2° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego
a Vallà 28 Ottobre 2001

La felicità nella vita di coppia: utopia o possibilità reale?

Relatore: Dott. Paolo Tolomelli
Il tema della felicità è un tema profondamente umano perché, se una persona non la desiderasse, avrebbe bisogno di cure psichiatriche. Tutti noi cerchiamo di essere felici. E su questo punto credo che non ci siano grosse contestazioni anche da parte di coloro che non hanno un orientamento cristiano.
Che cosa significa essere felici? Sulla questione ci potrebbero essere idee ed opinioni diverse.
Sembra assurdo parlare di felicità nel contesto in cui viviamo. Ho notato, proprio in questi giorni, tante persone che hanno paura, che non dormono di notte, che avevano in progetto di mettere al mondo un altro figlio ma ci hanno ripensato perché sono ossessionati dal pensiero di come sarà per questa nuova creatura il mondo di domani.
Come sarà il mondo domani? Noi che cosa ne pensiamo?
Basta guardarsi attorno e vediamo gente che soffre, non soltanto per qualche grave malattia, ma persone preoccupate, ansiose, depresse. È un problema anche per i medici e gli specialisti che vedono recentemente un aumento della paura nelle persone.
Poco tempo fa ho partecipato ad un congresso di aggiornamento medico sul genoma umano. Si tratta di studi particolari a livello ultramicroscopico sui cromosomi. Uno dei relatori, di fama internazionale, accennava che nella rivista scientifica Science del febbraio scorso alcuni scienziati scrivevano letteralmente che ormai oggi possiamo "giocare a Dio".
È una frase che fa venire i brividi specie in queste comunicazioni di altissimo livello scientifico. È vero che ci sono anche notizie consolanti come quella del nuovo farmaco che guarisce la leucemia mieloide, malattia legata al cromosoma Filadelfia dato dall’unione di due frammenti dei cromosomi 5 e 22, spezzati e riagganciati per formare appunto un cromosoma nuovo. Questo farmaco ha fatto sparire il cromosoma incriminato da tutti i malati e il quadro sanguigno delle persone è tornato normale.
Giocare sui cromosomi è appunto "giocare a Dio" perché possiamo dare la vita ad una creatura umana e sceglierne le caratteristiche: maschio o femmina, biondo o moro, occhi… È una realtà terrificante, più pericolosa della bomba atomica.
Ma noi come giochiamo a Dio? Noi lo facciamo quando pensiamo di poter vivere come se Lui non ci sia, come se si possa essere felici per la sicurezza dei nostri progetti, del nostro lavoro, magari di un certo conto in banca o della salute fisica.
Vedete allora che l’episodio della torre di Babele, che troviamo nel capitolo 11 del libro della Genesi, si può ripetere anche oggi con altre modalità ma con la stessa pretesa.
Per essere felici occorre avere dei punti di riferimento. Non significa però rimanere arroccati nelle proprie idee immutabili, spesso perché si ha paura della novità, del cambiamento.
Sembra assurdo parlare di felicità in un mondo carico di paura, di preoccupazioni, in una situazione esistenziale in cui si sono interrotti antichi criteri di riferimento e la prevedibilità del domani, nel cui ambito siamo cresciuti, siamo stati educati e ci eravamo abituati. Siccome vediamo che la felicità ci sfugge perché sopraffatta dall’ansia ci viene spontaneo dare la colpa agli altri della nostra insoddisfazione: colpa del coniuge, dei figli, dei suoceri…
Più specificamente nella nostra vita di coppia, forse non abbiamo considerato che troppe aspettative e idealizzazioni creano poi delusione e infelicità. Ci si ritrova nella vita concreta a dover fare i conti con una realtà pesante che non era stata messa in preventivo. Ossia fare i conti con il lavoro, con i figli che non lasciano respiro, con gli impegni extra, con la moglie /marito con punti di vista diversi, ecc., per cui sorgono spontanee certe domande: "Ho fatto bene a sposarmi? Non mi sarò sbagliato persona? Sono così impegnato che non so più da che parte girarmi, non sto soffocando la mia stessa persona?".
A volte, di fronte a questi interrogativi pensiamo o diciamo: "Qui non c’è più niente da fare!". Me lo sono sentito dire ormai tante, troppe volte: "Lei non conosce mio marito, mia moglie; le assicuro che non c’è proprio più niente da fare.". È quella che si chiama rassegnazione passiva, con l’aggravamento che i cristiani pensano: per essere buon cristiano, bisogna essere persone rassegnate. Si tratta invece di fatalismo e il fatalismo non si trova in nessuna pagina del Vangelo. Gesù non si è rassegnato e non ci ha proprio insegnato a rassegnarci. È stata la bravura del demonio ad inserire nella cultura collettiva, nel cervello delle buone persone che vanno in chiesa, l’idea che bisogna rassegnarsi a quello che è male, a quello che non ci fa felici.
Nel Padre nostro, la preghiera che recitiamo con una certa frequenza, diciamo: "e non ci indurre in tentazione", ossia non permettere che cadiamo nella tentazione. Quando pronunciamo queste parole dovremmo rivedere rapidamente i nostri pensieri della giornata: "Oggi che cosa ho pensato di mio marito/moglie?". Se la convinzione è stata che non c’è possibilità di cambiamento, che la situazione non ha sbocco,… noi ci allontaniamo dalla possibilità di essere felici.
Il fatalismo, la rassegnazione passiva credo sia la maggiore tentazione che noi tutti oggi abbiamo. È capace di rovinare la felicità possibile nel nostro rapporto di coppia. La più grande tentazione d’oggi quindi è la chiusura in sé stessi e la divisione.
Vi capita di parlare con voi stessi? Se osserviamo bene lo facciamo tutti molto spesso, si chiama dialogo interno. Noi abbiamo un dialogo interno coniugale frequentissimo, purtroppo questo dialogo interno è per lo più negativo, cioè vediamo del nostro partner i suoi difetti, quello che ci delude.
Se ci pensiamo diaballein è il verbo che nella lingua greca significa dividere (Diavolo), mentre i "simboli" di cui è così ricca tutta la liturgia delle nostre chiese è una parola che deriva da simballein (= mettere insieme). Se Satana divide Cristo unisce.
C’è nella nostra settimana qualche cosa che ci divide oppure ci sono delle realtà che ci uniscono?
In tante relazioni coniugali c’è oggi una grande "povertà", a volte un deserto affettivo: non si conoscono a sufficienza e non si utilizzano le nostre potenzialità e quelle dell’altro, che sono spesso molto più grandi di quanto non possiamo immaginare.
Sembra assurdo che in una cultura moderna nella quale domina la sfacciataggine, la nudità mercificata (basta passare davanti ad una qualsiasi edicola o seguire qualche trasmissione televisiva) ci sia una grande paura di scoprirsi all’altro. L’aspetto della nudità corporea è l’aspetto meno importante, anzi impedisce spesso di mettere a nudo sentimenti e cuore.
I rapporti sessuali, secondo il mio parere, sono tra le più belle invenzioni in assoluto del Creatore; ma proprio perché si tratta di cose bellissime ed estremamente preziose si possono facilmente guastare o deteriorare. Lo dico come sessuologo, i rapporti sessuali, inventati da Dio e non da Satana per farci felici e per darci piacere, molto spesso diventano motivo di preoccupazione, di ansia (ansia anticipatoria, ansia da prestazione). C’è una quantità di impotenze psicogene in un’epoca nella quale tutto sembra permesso.
Occorre educare i bambini, fin da piccoli, ad esprimere i loro sentimenti, le loro emozioni. L’amore comincia da qui, nel denudarsi non tanto dei vestiti, ma nel cuore.
C’è spesso la paura che la moglie non capisca, che il marito deluda…e si preferisce tacere; è un silenzio di morte, di dolore che non permette di essere felici tra coniugi. Lo dico con tutta la forza di cui sono capace che l’altro è sempre pieno di ricchezza ma ha solo paura di non essere compreso, di essere mal interpretato, paura di ricevere un rifiuto oppure di essere dominato, strumentalizzato. In questa situazione non si può essere felici.

La felicità consiste nella capacità di amare e di farsi amare
Non è proprio quello che ragazzi adolescenti sognano: pensano di norma ad una felicità che si raggiunge attraverso le cose; avere il motorino, l’abbigliamento, le vacanze, la libertà incontrollata, le esperienze schoccanti…
La felicità è qualcosa di interiore, non di esteriore, però lo sappiamo noi che ne abbiamo fatto esperienza, e siccome ne siamo convinti pensiamo di proiettare negli altri quello che noi abbiamo nella testa e che è poi giusto. Solo che quello che per noi è ovvio per gli altri può essere un faticoso punto di arrivo. Si tratta di mettere la pulce nell’orecchio, specie dei giovani e giovanissimi, che le cose non sono proprio così scontate come loro pensano.
"Sei davvero sicuro/a che le top model sono felici? E i campioni di calcio e i cantanti?". La felicità sgorga dalla capacità di amare e da quella di farsi amare. Se ci guardassimo allo specchio qualche volta mentre parliamo con nostra moglie o con nostro marito chi lo sa se non prenderemmo paura nel vedere la nostra stessa faccia. Farsi amare è ancora più difficile che amare.
Mi rendo conto che nella vita ci sono situazioni tutt’altro che facili perché i rapporti sociali non ci aiutano certamente in questo compito. Non è però solo questione di immoralità, certe situazioni c’erano anche in altri tempi, si pensi al tempo dei Romani, o all’epoca di Carlo Magno i cui figli si sono ammazzati tutti l’uno con l’altro.
Nella lettera ai Romani (C. 7) S. Paolo dice: "Conosco il bene che devo fare ma non ci riesco, è più forte di me!". Se così per S. Paolo che era uno con le spalle buone!? S. Paolo fa un’altra considerazione: "Ma chi mi libererà da questo corpo di morte?"
Ho citato S. Paolo per dire che siamo tutti sulla stessa barca, tutti capaci di combinare pasticci.
Però è certo che Dio ci vuole felici. Egli conosce la nostra fragilità, la nostra sfiducia, sente e ascolta i mostri lamenti, le nostre parole confuse, le nostre preghiere manchevoli. Gesù invece non predica la rassegnazione di fronte al dolore, al male; egli lotta contro il male, lenisce il dolore, cura e guarisce. (Lc. 7, 11 e ss.) Gesù si commuove di fronte ad una vedova, ad una mamma nel dolore per la perdita del suo unico figlio, ha compassione di questa persona e ha voluto dimostrare di poter ridare la vita, di guarire le malattie come segno di liberazione definitiva da tutti i mali. Luca era medico e forse per questo sottolinea certi fatti con maggior puntualità.
Ne cito uno: la guarigione dei 10 lebbrosi. Di questi dieci uomini soltanto uno ritorna per ringraziare e riceve un secondo regalo: "La tua fede ti ha salvato.". Gesù non dice: la fede ti ha "guarito" ma "salvato". Salvare significa credere che il Signore ci vuole rendere felici. Noi invece abbiamo identificato la volontà di Dio con le disgrazie. Dio invece non vuole la morte, siamo noi che siamo arrivati a dire certe sciocchezze.
C’è un simpatico episodio che si narra di Don Bosco. Mentre se ne tornava a Torino da Barcellona, una sera si fermò a Grenoble. Quella sera soffriva molto per l’artrite reumatoide e il rettore del seminario dove si era fermato gli disse: "Padre, lei lo sa che è la sofferenza che ci santifica.". Pare che Don Bosco gli abbia risposto contrariato e in modo molto secco: "Reverendo non è la sofferenza che ci santifica ma la pazienza".
La pazienza in fondo è l’amore per gli altri, ed è ben diverso dalla rassegnazione. Pazienza vuol dire non darsi mai per vinti, non alzare bandiera bianca, vuol dire chiedere perdono e ricominciare ogni giorno. Prima di tutto occorre aver pazienza con se stessi; è la cosa più difficile. Non si deve mai perdere la fiducia che possiamo cambiare noi stessi e che possono cambiare gli altri.
Vi rinnovo allora l’invito di recitare il Padre nostro e di chiedere al signore, con questa bella preghiera, di non lasciarci cadere nella tentazione di chiuderci in noi stessi e di liberarci dal Male, che è una persona, ossia il Maligno che sta sempre lì (lo dice S: Pietro) "come un leone ruggente che cerca di divorare". Ricordiamoci che può divorare il nostro matrimonio e noi diventiamo infelici perché aspettiamo che sia sempre l’altro a chiederci scusa, ad ammettere che ha sbagliato.
La Chiesa, così come la ha chiamata Papa Giovanni XXIII, "madre e maestra" ci chiede di convertirci ogni giorno, cioè di cambiare i nostri pensieri, le nostre abitudini. È difficile cambiare le abitudini ed ancor più i pensieri.
Forse bisognerà incominciare ad abituare i bambini ed i ragazzi, ve lo dico anche come pediatra, a non aver paura delle piccole rinunce e sacrifici per amore.
Credere veramente nella bontà del Signore ci aiuta a dare un senso alla nostra vita, a non essere mai avviliti, a non sentirci mai sconfitti.
Occorre sottolineare la parola veramente. Credere davvero nella bontà e nella potenza del signore perché lui può tutto. Nella prima lettura di questa domenica abbiamo sentito la frase: "La preghiera penetra oltre le nubi". E la scorsa domenica il Vangelo di Luca diceva: "Bisogna pregare sempre". Non significa che ci dobbiamo mettere in ginocchio lasciando ogni altra attività, ma essere innamorati di Dio. Noi tutti abbiamo fatto l’esperienza dell’innamoramento, sappiamo che cosa significa.
Innamorarsi di Dio significa che, nonostante tutte le nostre attività che spesso sono gravose e noiose, pensiamo a Lui che continua a guardarci amorevolmente e fa il tifo per noi. In questo momento il vostro sguardo di assenso mi dice che Il Signore Gesù dal cielo e la sua madre Maria ci stanno guardando con benevolenza perché vedono i nostri cuori aprirsi alla felicità.
Giovanni Paolo II ci ha suggerito per la giornata della pace del 1° di gennaio prossimo lo slogan: "Non c’è pace senza perdono".
Il perdono spalanca la porta alla felicità.
L’ultimo punto di questa sera lo dedichiamo specificatamente alla vita di coppia. Perché la nostra vita di coppia sia appagante, non è indispensabile avere titoli di studio, capacità straordinarie, molto denaro, ma il dono sincero ed affettuoso di noi stessi al coniuge. È questo il punto di partenza per renderlo felice e per essere felici assieme. È come la ricetta della felicità quella che vi ho appena detto.
Adoperiamoci per rappresentare nella quotidianità il volto salvifico di Gesù al proprio marito o alla propria moglie, e ai nostri figli. Non occorrono tante elucubrazioni cerebrali, basta chiederci se nella giornata vissuta abbiamo rappresentato per il partner il volto del Signore Gesù, che è un volto di salvezza, di gioia, di pace. Se nella nostra giornata abbiamo mille cose urgenti da fare e alla sera siamo sempre stanchi, tesi, troppo preoccupati per il domani non vi può rimanere spazio per la felicità. E i giorni passano uno dopo l’altro, e non ritorneranno mai più. Per non perdere la felicità dell’oggi cerchiamo di realizzare un buon equilibrio tra lavoro e vita affettiva. Importante non è di sicuro il denaro, il prestigio, il successo o la salute, ma la cosa davvero più importante è il saper dialogare con il coniuge e con i figli, saper cioè parlare ma ancor di più ascoltare.
Passeggiare mano nella mano con chi amiamo, guardare i colori del cielo e dei campi, i colori delle stagioni e goderne.
Per riassumere, crescere nell’amore è porsi spesso la domanda: che cosa è per noi l’essenziale?
Pensiamo come è caduta in questi giorni la sicurezza degli stati soltanto perché è stato abbattuto qualche simbolo di potere!
Concludo citando il noto Discorso della Montagna. Il brano è riportato nel Vangelo di Luca e in quello di Matteo, è più noto quello di Matteo. Lo abbiamo letto oggi prima della relazione: "Beati…".
Ma poi prosegue fino al capitolo 7. In queste righe il Signore dice per ben 6 volte: "non affannatevi". Ecco la chiave per essere felici, non affannarsi e fidarsi di lui. Ci sono anche espressioni come: "Pensate agli uccelli del cielo…voi non siete più importanti di loro? E i gigli, i fiori eppure Salomone non era vestito come loro".
E noi, che con tutta la nostra scienza vorremmo giocare a Dio, possiamo aumentare di un’ora la nostra vita? O di tre millimetri la nostra statura? Perché affannarci tanto senza accogliere la felicità?

Suggerimenti:
non essere autocentrati
educarci ed educare a conseguire un’autentica maturità psico-sessuale
alimentare ed arricchire la speranza
fare ogni sera l’esame di coscienza in positivo
Che cosa è per noi la felicità: sappiamo amare e farci amare?
L’intesa sessuale di coppia è spesso fonte di ansia e di malintesi: come ci impegniamo per avvicinare le differenti sensibilità?
Se non sono felice nella mia vita di famiglia in che cosa credo di dover cambiare: cose materiali, modi di vedere, carattere, impostazione della vita, …?

Riferimenti biblici:
Mt. 19, 16-25
oppure Mt. 5, 1 e ss.