1° incontro dei Gruppi Famiglia di Pederobba – Cavaso a Cavaso
17 Novembre 2002

Che male c’è? Impariamo a distinguere "bene" e "male"
Sviluppare la coscienza senza cadere nel soggettivismo.

Relatori: Tony e Valeria Piccin
Partiamo da una considerazione generale sull’uomo e sulla sua realtà. Chi è quest’uomo? È un insieme di bene e di male, di buono e d’imperfetto, di ricco e di povero. Anche nella vita di coppia si uniscono due forze ma anche due debolezze. Mi piace sottolineare in proposito questa frase: Dio non ci ama perché siamo giusti o finché siamo giusti ma perché diventiamo giusti, o meglio tendiamo verso… L’errore appartiene alla condizione umana debole e fragile. Il rischio maggiore d’oggi è credere nell’onnipotenza dell’uomo, a differenza di un tempo passato in cui si confidava di più nella provvidenza divina e perciò gli orientamenti morali erano più chiari.
I rischi maggiori per noi oggi sono confidare:

Per la maggior parte delle persone d’oggi non c’è più riferimento a Dio e i comandamenti sono leggi superate. Così sembra impossibile che oggi si possa vivere in modo diverso e si tende a giustificare tutto in base alla legge del branco: tutti fanno così! Sembra che tutto sia determinato da situazioni esterne e a noi non resta che adeguarci a questo sistema di vita che rende le persone sempre più disorientate, superficiali e senza regole comunemente condivise.
Ci sono evidenti segnali di nuovi stili di vita che mirano alla realizzazione del singolo soggetto trascurando il contesto che gli sta intorno (famiglia, società, chiesa). Per quello che riguarda la fede ad esempio la domenica oggi è vista come il momento di distensione e divertimento, e non è più il dies Domini. Perciò si viaggia, i negozi sono aperti, ristoranti, agriturismo, discoteche fino all’alba. Se pensiamo che la tradizione e la pratica religiosa sono le ultime a morire, significa che la mentalità cristiana con i suoi valori e la sua coscienza sono già morti da un pezzo.
Per un cristiano che cosa significa agire, operare nella verità? Ci confrontiamo con il vangelo, e nel vangelo la nostra logica viene messa sottosopra. Il vangelo non fa tante raccomandazioni morali ma traccia uno stile di vita che deve illuminare le nostre azioni, la nostra vita e le sue scelte, le nostre relazioni con gli altri. Se a volte ci troviamo in difficoltà ad educare i figli e non sappiamo dare le risposte giuste secondo la fede circa la giustizia, la sessualità, la fedeltà, …significa che anche noi non abbiamo più le idee così chiare e il nostro vissuto è contraddittorio, non facciamo più riferimento ai valori cristiani.
Ogni epoca storica ha avuto le sue difficoltà né più né meno come noi le abbiamo oggi, dipende solo dalla nostra capacità di discernimento. Ci sono tante negatività ma altrettante possibilità. Non si tratta di buttare tutto e lasciare così il vuoto, ma di cogliere il bene in ogni situazione e cercare di coltivarlo. Per essere persone di speranza nella nostra epoca occorre essere testimoni di quella libertà che non è il "fare ciò che mi piace", ma persone che sanno tracciare un piccolo sentiero che porta alla vetta. Sicuramente non è annacquare tutto per accontentare un po’ tutti. È facile sentire luoghi comuni come: io ci tengo alla famiglia! Basta poi girare la domanda con parole diverse e tutta la chiarezza di quest’affermazione si offusca: che valore dai alla fedeltà? come vivi la fecondità? come le tue relazioni in casa?
Sviluppare la coscienza senza cadere nel soggettivismo. Partirei proprio da questa seconda parte del titolo che esprime due esigenze, tutte e due vere: il rispetto del soggetto, della sua libertà, del suo modo di sentire, di vedere, di valutare le cose, ma che sia rispettata anche una certa oggettività. Abbiamo bisogno che quello che noi riteniamo giusto sia ritenuto giusto anche dagli altri, ossia c’è il bisogno di oggettività. Se si va in ospedale abbiamo bisogno che il chirurgo che esegue un’operazione rispetti certi criteri e non si abbandoni alla sua fantasia. Abbiamo bisogno, nel rapportarci con gli altri, che sia rispettato il nostro sentire, il nostro modo di vedere ma è evidente che vogliamo anche che il nostro punto di vista sia condiviso e condivisibile dagli altri.
Questi due elementi soggettività e oggettività sono tutti e due importanti anche se continuamente in forte tensione tra loro, perché in molti campi pare che l’oggettività schiacci il soggetto. È importante mettere delle regole che devono essere valide per tutti, a volte tuttavia non si riesce a riconoscersi più dentro queste regole e bisogna un po’ far quadrare, combinare queste due cose.
Se si vuole superare la tensione tra oggettività e soggettività credo ci sia soltanto una strada, ed è quella dell’innamoramento. Solo l’innamoramento può portare nello stesso tempo a rispettare le due esigenze. Cerchiamo di chiarire con l’esempio: la persona innamorata dell’. Questa persona non è che non sappia che cos’è la giustizia, che cos’è la verità, …. però se la giustizia dovesse contrastare il suo aver successo, far denaro, questi valori verrebbero trascurati o negati. Cioè, in pratica, tutte le scelte che questa persona fa sono coerenti con questo valore che diventa per lei il valore fondamentale.
Prendiamo, all’opposto, un’altra persona che avesse come passione fondamentale, come valore fondamentale l’amore per un’altra persona; piuttosto che perdere questa persona perde sonno, denaro, occasioni, trascura tante altre cose.
Ognuno di noi fa le sue scelte in base a quello che è il valore fondamentale, la passione fondamentale che si porta dentro. È la passione fondamentale che determina il tipo di scelte che si fanno, ed ognuno è convinto che le proprie scelte siano giuste perché le valuta a partire dalla sua passione. Se ad esempio provate a convincere il signore dell’€ che è più giusta la scelta del signore che coltiva invece l’amore, quello ti ride in faccia e ti dice che con il denaro di donne ne trovi fin che vuoi, una meglio dell’altra, ed è quindi da stupidi perdere occasioni. L’altro è esattamente convinto dell’opposto perché per lui il senso dell’esistenza è dato da una determinata persona.
Per cercare di capire meglio, ciò che determina la verità della mia scelta è la passione che si porta dentro. Il discorso sta tutto qui, se si cerca per un’altra strada di combinare la mia scelta particolare con il rispetto del mio essere profondo e della oggettività, si vive soltanto un gran tira-molla.
In fondo la morale del Vangelo è tutta qui. Chi ha scoperto la perla preziosa vende tutto il resto, che non diventa più così importante, e segue il Signore.
Nella messa di questa domenica c’era il Vangelo dei talenti, che sono le cose preziose che abbiamo ricevuto da Dio e che dobbiamo far fruttare con entusiasmo. I discepoli di Emmaus: quando scoprono che si trattava del Signore si dimenticano addirittura che devono cenare, partono subito e tornano indietro. Quando si è scoperto qualcosa d’importante le scelte vengono di conseguenza. Pensiamo alla Samaritana che va al pozzo: era andata per prendere dell’acqua e si dimentica lì la brocca. San Paolo dirà: "Per me quello che prima era importante adesso è diventato spazzatura".
Non ci sono altre strade: il problema del bene e del male, della scelta di ciò che è giusto ultimamente è solo un problema di fede. E’ un problema di capire qual’è la passione di fondo e c’è una stretta correlazione con i propri giudizi e comportamenti. Nella vita concreta le mie scelte rivelano anche a me ciò in cui credo oppure dico una cosa soltanto verbalmente e invece nella realtà è vero esattamente l’opposto. Il vero problema morale è capire dove batte il tuo cuore, qual è il tuo tesoro, il tuo Signore, qual è la tua perla preziosa.
Qualche volta però non è così semplice trovare il modo, nella realtà complessa e contraddittoria della vita, di realizzare quella che è la passione di fondo.
Possiamo definire la vita del cristiano: un’appassionata ricerca di come rispondere nella vita concreta all’amore che Dio ha avuto per noi. In fondo la morale è tutta qui. Non è così semplice trovare la risposta più giusta, più adatta e poter dire: "Sono sicuro che questo è il modo buono, che questo è il bene, che questo è giusto".
Allora, siccome delle cose che interessano ci si preoccupa, si chiede consiglio ad esperti (consulenti finanziari, insegnanti, medici,…) per avere indicazioni più corrette e precise, così è capitato anche per i ministri della chiesa. In fondo tutta la morale evangelica di Gesù è: chi ha scoperto la perla preziosa, vive in modo nuovo. Gesù va sempre al cuore.
Ma poi gli apostoli si trovano di fronte a queste domande della gente che chiede loro: "Ma adesso che io sono diventato cristiano, che cosa significa per me vivere da cristiano dentro questa situazione particolare e complessa?"
Per esempio i militari diventati cristiani (i militari avevano in mano la spada per infilzare qualcuno e nel Vangelo è scritto: "Perdona i nemici e prega per loro") domandavano: "Posso continuare a essere militare essendo diventato cristiano?". Queste sono domande concrete che vengono poste a chi ha autorità, ossia all’apostolo e l’apostolo dà delle risposte. Queste risposte che all’inizio sono consigli abbastanza aperti diventano via via sempre più normativi, diventano regole. Regole che poi si codificano e diventano sempre più astratte.
Gesù pone al centro il soggetto, la sua verità, l’uomo e non la regola, però proprio per esigenze pratiche si ritorna ancora alle regole.
Perché si ritorna alle regole? Fondamentalmente per due motivi:

L’autorità è sempre un po’ machiavellica, anche quella dei genitori, perché, mentre si è soltanto figli si ha bisogno di libertà, quando si passa all’altra sponda si ha bisogno anche di far tornare i conti.
Quindi in fondo l’autorità anche quella che dovrebbe essere soltanto un servizio, come quella dalla chiesa, corre il rischio di voler assumere una volontà quasi di controllo e di dominio. Questo soprattutto per le vicende storiche della chiesa che ci sono ben note, di una chiesa che ha dovuto sostituire in passato anche l’autorità civile e politica.
Questo è avvenuto e purtroppo se noi guardiamo la morale che anche noi abbiamo conosciuto, quella precettistica, a che cosa è stata ridotta la parola morale? Ci ritorna l’idea di precetti, regole, comandamenti. In fondo abbiamo ridotto la morale non ad una ricerca appassionata per vivere i valori ma semplicemente a che cos’è bene e che cos’è male, che cosa è lecito e che cosa non è lecito, che cosa è peccato e che cosa non è peccato.
Per portare qualche esempio, se andiamo su un argomento come quello della sessualità, e guardiamo la morale sessuale della Bibbia, lì c’è la grande preoccupazione di evidenziare che il Signore è venuto perché abbiamo la vita e possiamo averla in abbondanza (Gv 10, 10). Non è venuto, scusate la pesantezza del termine, per castrare le persone ma perché ci sia una buona salute sessuale.
Cosa vuol dire una buona salute sessuale? Se noi apriamo il libro della Genesi e cerchiamo di capire che cosa vuol dire buona salute sessuale, ci accorgiamo che la sessualità è vissuta bene quando è e diventa un riconoscimento dell’altro nella sua intimità, nel suo volto, quando cioè la sessualità non è ridotta semplicemente a un mio bisogno istintivo per cui l’altro diventa un oggetto per me, diventa corpo offerto al mio piacere.
Io, creato dalla "Parola", devo conservare la parola e il volto dell’altro per cui la sessualità è vissuta nella sua verità profonda quando diventa una celebrazione, un riconoscimento reciproco nella gioia da cui sboccia anche il piacere. Il piacere della sessualità allora non è il fine, non è lo scopo ricercato per se stesso per cui l’altro diventa soltanto uno strumento a che io possa ottenere più piacere, ma dove il piacere è la conseguenza, l’esplosione dell’incontro. In questo senso possiamo anche parlare di valore spirituale dell’erotismo. Oggi, per fortuna, siamo arrivati a una liberazione del sesso dai tabù di altri tempi ma siamo ancora molto lontani dall’aver liberato la sessualità come forma di linguaggio e come profonda forma di riconoscimento reciproco. Questa è la visione morale della sessualità che noi ricaviamo dalla Bibbia, ma se dovessimo interrogare tante persone circa la morale della chiesa sulla sessualità che cosa ci direbbero? Che la morale della chiesa sulla sessualità è: no alla masturbazione, no ai rapporti prematrimoniali, no alla contraccezione, no, no, no…e quando abbiamo finito i no abbiamo finito tutto, cioè la morale è ridotta praticamente a tutta questa serie del non fare. Questa è la morale? L’obbligo di non fare qualche cosa che va contro un ordine per cui essa tratta tutto sommato dei peccati, di ciò che è peccato, di ciò che non è peccato?
Ma pensiamo anche in campo civile, la giustizia a che cosa si riduce? Al non rubare! Lo stesso vale per altri valori. Il problema della comunicazione: quando Dio comunica rivela se stesso per il bene degli altri e così dovrebbe essere ogni nostra comunicazione, ogni nostra parola. Tutto il problema è ridotto invece a non dire il falso. Tutta la morale cioè è intesa come regole da osservare e da non trasgredire.
Queste regole da osservare e da non trasgredire potevano anche andar bene una volta in una società fondamentalmente statica, sempre uguale a se stessa, o meglio, diciamo che in ogni società abbiamo bisogno di regole. Guai se non ci fossero delle regole! Almeno quando andiamo per strada speriamo che vengano osservate le regole della destra e sinistra altrimenti sono guai. Ogni società ha bisogno di regole, ha bisogno di regole giuridiche ma tutto sommato quelle regole lì posso funzionare perché sono sostenute da evidenze, perciò posso sperare che un altro tenga la destra perché sotto c’è un valore più fondamentale che sostiene questa realtà ed è il fatto del rispetto della vita dell’altro e della vita mia.
Detto tra parentesi oggi penso che la nostra crisi di società è dovuta non tanto alla crisi delle regole giuridiche ma il fatto che sono in crisi le fondamenta etiche e morali. Tanto per dire una volta si dava per scontato che il matrimonio dovesse essere tra un uomo e una donna mentre adesso non lo è più, una volta si dava per scontato che un figlio dovesse nascere da un uomo e da una donna, oggi non è più così scontato.
In una società statica, sempre uguale a se stessa, come quella di una volta esistevano delle risposte, delle regole sperimentate che erano ormai pacifiche, scontate e tutto sommato anche accettate da tutti. Si faceva in quel modo ed era chiaro, magari era difficile comportarsi in quel modo, ma che fosse giusto, che fosse quella la cosa vera sembrava un fatto scontato. Era scontato che non ci dovevano essere i rapporti prima del matrimonio, che poi ci fossero questa è un’altra cosa, però uno sapeva che aveva fatto qualcosa che era male e sembrava giusto così. Sembrava giusto che non ci fossero rapporti extra matrimoniali… In una società che è diventata terribilmente convulsa le cose sono assolutamente cambiate.
Pensate dove ci ha portato il progresso tecnico oggi da "L’albero degli zoccoli" di una volta! E tutto in una sessantina d’anni. Siamo in una realtà che è terribilmente cambiata, terribilmente trasformata e quelle regole che sembravano evidenti in quel tempo non sono più evidenti oggi.
Se un genitore dice al figlio: "Se vuoi vivere bene il tuo matrimonio, il tuo fidanzamento, comportati come ci siamo comportati noi, e vedrai quanto contento sarai!", viene deriso perché si sente che l’esperienza del passato non ha più significato per quello che i giovani oggi stanno vivendo. Capite allora il rifiuto di quelle regole che vengono percepite come sorpassate, non più capaci di interpretare la realtà presente che è tutta diversa da quella di ieri.
Sempre nel campo che abbiamo preso ad esempio, una volta si parlava di fidanzati e noi facciano i corsi per fidanzati, ma la parola "fidanzati", "fidanzamento" non esiste più. Oggi è il mio ragazzo, la mia ragazza, il mio amico, amica, e non è soltanto un termine diverso per dire la stessa cosa.
Una volta dire fidanzamento voleva dire un tempo di preparazione a un altro periodo della vita che veniva dopo, considerato più importante, il matrimonio. Adesso invece dire il mio amico, la mia amica vuol dire concentrare l’attenzione soltanto sul presente. Il matrimonio non centra. Provate a chiedere a due ragazzi che sono insieme da 5 anni: "Avete intenzione di sposarvi?", magari vi sentite ridere in faccia. Che c’entra?
Le cose sono cambiate, però anche se sono cambiate, se quelle regole non sembrano più valere, non è venuto meno il problema morale perché ogni uomo, ogni persona in fondo sente un desiderio profondo dentro di se che è il bisogno di realizzazione di se stesso, e, conseguente a quel bisogno, c’è una domanda: "Che cosa devo fare per realizzare la mia vita?". E dov’è che uno va a trovare la risposta? Una volta uno poteva trovare la risposta nelle regole ma le regole adesso non valgono più!
Qual è il criterio morale più diffuso? Il criterio morale più diffuso è il criterio soggettivo del benessere. Sono io che, in base a quello che io giudico bene per me, decido ciò che è giusto per me, ciò che è bene, ciò che è buono. Dall’idea del bene in sé stabilito dalle regole, dall’oggettività, all’idea invece di ciò che è bene per me.
Questo è il cambiamento che è avvenuto. Oggi acquista una grande importanza non più il termine di legge come una volta ma il termine di coscienza. Coscienza che di per sé, almeno all’origine, significherebbe cum scientia = un sapere insieme con gli altri, invece oggi è interpretato soltanto come ciò che io sento dentro di me, quello che io decido, e tu non mettere il naso. La senti in modo diverso? Tu sta sul tuo che io sto sul mio.
Ci fermeremo su questo termine coscienza per considerare due cose:
1- Seguendo un certo autore, che poi diremo chi è, vedere come si sviluppa di fatto la coscienza morale.
2- Come la coscienza morale possa intervenire nella formulazione del giudizio morale, cioè nello stabilire ciò che è bene ciò che è male.

Come si sviluppa di fatto la coscienza morale (i livelli di Kohlberg).
Ci sono varie teorie e il discorso sarebbe complicatissimo su che cosa intendiamo per coscienza, accontentiamoci di indicare una teoria che è una delle più interessanti per lo studio di come si sviluppa dal bambino fino all’adulto la coscienza morale.
L’autore che prendo in esame si chiama Kohlberg, egli ha elaborato la sua teoria sul campo, cioè in una ricerca fatta su oltre 5000 persone di culture diverse, quindi il suo studio avrebbe una plausibilità a livello multiculturale. Nello sviluppo della coscienza morale lui identifica tre livelli ognuno dei quali si divide in due stadi per cui complessivamente abbiamo sei stadi. I tre livelli si chiamano preconvenzionale, convenzionale, postconvenzionale.
Primo livello che comprende i primi due stadi, riguarderebbe il bambino piccolo. Il bambino piccolo (primo stadio) naturalmente non ha ancora l’idea di bene e male, per lui l’idea di bene e male non esiste, riceve questi concetti immediatamente dall’esterno attraverso messaggi di comandi proibizioni, premi, castighi dei suoi genitori. Se una cosa è comandata è buona, se è proibita è cattiva, se è premiata, ecc.
Se passiamo al secondo stadio il bambino comincia ad avere una rudimentale idea di bene o male, giusto o sbagliato, ma sotto il segno della strettissima reciprocità. "Se non fai capricci ti do il gelato!", se poi il gelato non arriva egli protesta: "E no! Non è mica giusto così, io non ho fatto i capricci!". Il bambino comincia capire ciò che è giusto o sbagliato però in un rapporto di strettissima reciprocità.
Secondo livello che comprende il terzo e il quarto stadio.
Il preadolescente (terzo stadio). Mentre il bambino era totalmente legato alla famiglia, totalmente dipendente dai genitori, la grande esigenza del preadolescente, forte, progressiva è quella di sganciarsi dai genitori.
La preadolescenza, le classi delle medie, è uno dei periodi più delicati della vita del ragazzo. Si ha la sensazione che per molti genitori vi sia un duplice pericolo, o di considerare il ragazzo ancora bambino e quindi ignorare i suoi problemi, oppure visto che oggi la psicologia, quella divulgativa, ha così profondamente insistito sull’importanza dei primi anni di vita, il genitore ritiene di aver esaurito il suo compito per cui ritiene che debba essere libero di fare le sue scelte. Con tanti messaggi che arrivano dalla famiglia, dalla scuola, dalla società, dai mezzi di comunicazione che complicano enormemente la possibilità del ragazzino a pervenire ad una visione equilibrata e matura della vita il ragazzo ha difficoltà immani ad orientarsi.
Dicevamo, il ragazzino che prima era totalmente dipendente dai genitori, adesso sente invece il bisogno di sganciarsi. Qui acquista nello sviluppo dalla coscienza morale un’importanza molto grande il gruppo, ma non si tratta del gruppo del catechismo, del coretto del canto, degli scout, della scuola, questi sono ancora la longa manus della famiglia. Il gruppo è quello di quei quattro scavezzacolli del paese che stanno rovinando "il mio caro bambino, la mia cara bambina, ma guarda se doveva proprio andare a finire con quelli li, i peggio!". Il gruppo è importantissimo per lo sviluppo della coscienza morale. Aggiungiamo per i genitori, più che criminalizzare il fatto del gruppo o la partecipazione di questo ragazzino al gruppo o anche ignorarla, anche questo sarebbe sbagliato, potrebbe diventare un’utile spia per capire i bisogni nascosti del ragazzo. La conoscenza di quel mondo lì forse permette di capire molto di più alcune realtà profonde del ragazzo che altrimenti alla superficie non si conoscerebbero. Il gruppo è importante perché fino a questo momento il bambino aveva ricevuto le regole dall’esterno, dai genitori, un gruppo invece per vivere, quale che esso sia, ha bisogno di darsi delle regole, di avere delle regole proprie. Magari date dal leader, date da tutti ma comunque da tutti osservate, perché se uno non le osserva si sente tagliato fuori. Ecco l’esigenza di osservare le regole e di sentire che la regola può avere una portata realizzante per sé.
Qual’è il rischio che il ragazzo adesso vive? Quello di passare da un pecorismo, quello della famiglia, (prima bastava che una cosa l’avesse detta il papà ed era vera, adesso basta che l’abbia della il papà perché sia falsa), ad un altro pecorismo, quello del gruppo (adesso le cose vere diventano quelle del gruppo).
"Mi compri il motorino?"
"Non te lo compro neanche a morire!"
"Ma lo hanno tutti!"
"Ma chi ce l’ha? Guarda il tale, guarda la tale, hanno il motorino quelli li?"
"Ma quelli sono tutti scemi!".
Gli unici che hanno senso per il ragazzino, sono i quattro gatti del gruppo, il suo mondo è quello lì. Le scelte del gruppo diventano le sue scelte. Questo ragazzino prima andava a messa, non ha alcun motivo per non andarci, i componenti del gruppo non vanno a messa tranquilli neanche lui ci andrà, perché altrimenti si sente fuori dalle attese, dal modo di essere del gruppo.
Facciamo un passo avanti al quarto stadio, secondo del secondo livello. Ad un certo punto il ragazzo si accorge che c’è sì questo gruppo ma c’è anche una realtà più ampia dalla quale ha ricevuto e riceve, e probabilmente verso la quale ha anche degli obblighi, ossia deve dare.
Per farla veloce veniamo all’ultimo livello quello che ho chiamato postconvenzionale che comprende il quinto e il sesto stadio.
Fino a questo punto il ragazzo aveva fatto alcune cose e le aveva capite nella loro significatività sotto il segno di una certa reciprocità, in fondo è sì leale verso il gruppo, osserva le regole del gruppo. Ma perché? Perché immediatamente ne ha un vantaggio. Quale? Quello di uscire dalla sua solitudine. Il bisogno più grande che il ragazzo ha è quello di essere in relazione ed è leale anche se gli costa una fatica da matti. Però non se ne rende conto. In quest’ultimo livello finalmente si arriva al livello propriamente morale, a capire cioè ciò che è giusto in sé, bene in sé, per cui io dovrei attuare il bene perché è bene, anche se non ne avessi un vantaggio personale, addirittura anche se ne avessi uno svantaggio. Io sono un ufficiale delle S.S. adesso ho l’obbligo di fucilare questi ostaggi, capisco però che da un punto di vista umano è un omicidio è una cosa assolutamente ingiusta e cattiva, lo faccio o non lo faccio? Se sono davvero convinto del valore della vita umana, solo in questo caso, anche se poi ho delle ritorsioni nei miei confronti, non devo assolutamente eseguire quell’ordine che è ingiusto. Se una cosa è bene in sé io sono chiamato ad attuarla anche a rischio di uno svantaggio.
Qui arriviamo a livello profondamente morale e per il momento (quinto stadio) è onestà civile, cioè se noi vogliamo avere una buona convivenza credo che già a questo livello dobbiamo essere onesti nei confronti di ciò che è vero, di ciò che è giusto, altrimenti una convivenza si fonderà soltanto sull’arrivismo, sulla maggior conquista, sui disvalori.
Cioè il bene propriamente morale, la grande morale laica di Kant, il quale dice: "Tratta la persona che è in te e nell’altro come un bene o come un fine mai come un mezzo uno strumento." Pensate quante volte strumentalizziamo e ci lasciamo strumentalizzare!
Infine la grande morale cristiana (sesto stadio).
"Non fare agli altri ciò che non vorresti gli altri facessero a te", è ancora un atteggiamento molto umano, se poi facciamo il salto cristiano:
"Ma gli altri non mi fanno così!"
"Beh! Fallo tu all’altro!".
Quindi quel bene che tu desideri dall’altro, e l’altro non ti fa, sei tu che devi farlo all’altro.
Adesso cerchiamo di vedere cosa succede, secondo Kohlberg, in questo sviluppo della coscienza morale.
Alcune regole:

Due osservazioni finali.
Secondo questo studioso qual è lo stadio dei sei nominati al quale mediamente arriviamo nello sviluppo della nostra coscienza morale? Il 3°, ossia il gruppo, quello che tutti fanno, quello che tutti pensano, la mentalità corrente, la mentalità dominante. "Cosa dice , mi chiedeva una signora, che la mia ragazza vuol fare le ferie con il fidanzato?", ma questa signora non si aspettava la risposta perché continuava lei "cosa vuole oggi fanno tutti così!". La sua preoccupazione era se quella relazione aveva un senso o si stava esaurendo in un rapporto che non finisce più od era un semplice consumismo sessuale oppure invece solo che cosa pensano e dicono gli altri?
Pensiamo che cosa vuol dire questo discorso oggi con la televisione e con i mezzi di comunicazione di massa che mirano solo agli alti indici d’ascolto! Quello che è a livello di pancia viene considerato come criterio razionale; per cui quando ci si trova a ragionare su quell’argomento non potrai più ragionare con la tua testa, ma con la testa del tal presentatore, della tale attrice,…
Nei nostri paesi e dintorni quanti matrimoni, bene o male, sono ancora saldi, sono ancora insieme? Di cento matrimoni esistenti una ottantina di matrimoni sono ancora insieme? Se prendiamo soltanto i giovani degli ultimi 10 anni le cose sono parecchio cambiate. Se guardiamo la televisione li abbiamo rappresentato il 3% della popolazione, nel senso che appare alla televisione il politico, il presentatore, il calciatore, il giornalista. Queste categorie rappresentate, e sono le uniche rappresentate, sono per 99,5% separati, divorziati, sposati più volte, quindi quando parleranno di questo argomento, quando daranno consigli devono coerentemente darli in questo senso. Non potranno dire guardate che la separazione è una cosa negativa, perché ci si tira la zappa sui piedi. Allora i discorsi al supermercato suonano: "Sai che mia figlia trova in difficoltà con il suo ragazzo, con suo marito e non so come andrà a finire.", la risposta sarà: "Cosa vuoi al giorno d’oggi sono tutti così!". Tutti significa è normale così.

La proposta morale della chiesa a che stadio si colloca?
La proposta ideale della chiesa è al sesto o anche al settimo. Si è detto che i discorsi di due stadi superiori di quello nel quale si è non vengono capiti. Il messaggio morale della chiesa scivola tranquillamente sopra le teste.
I giovani vanno a Parigi: "Viva il Papa, forte questo Papa, vecchio ma…", Oh, ragazzi, ma niente rapporti sessuali prima del matrimonio!, "Cosa vuoi, è vecchio non capisce niente!".
Ma che cosa dice la chiesa a proposito della contraccezione, c’è qualcuno qui che per caso è convinto che quello che la chiesa dice abbia senso nella sua vita privata? Capite, non è che non senta il discorso, ma tra quello che la chiesa dice e quello che si pensa vero bene per me c’è una grande distanza. Si, si! Va bene la giustizia, la carità cristiana ma gli affari sono affari. Non si scherza, si tratta di soldi!
C’è il grosso problema. Com’è che la chiesa, con il suo linguaggio, non rinunciando alla sua identità, riesce a fare il discorso della gradualità che prima si diceva? Come riesce a prendere per mano da dove si è, cercando di far intuire la forza liberante di alcune verità? Perché se si propone la morale soltanto come no, questa morale non verrà mai capita. Come devo liberami dalla morale se voglio essere me stesso, se voglio realizzarmi?
Oggi alla chiesa si pone un severissimo discorso di rivedere il suo linguaggio, soprattutto per vedere come davvero accompagnare le persone a percepire che la realizzazione di un valore diventa appunto liberante.

La coscienza morale e la formulazione del giudizio morale, ciò che è bene ciò che è male.
L’ultimo punto era quello di tentare di vedere anche come, quando si parla di coscienza, i diversi modelli di coscienza possono portare a diverse modalità di discernimento per stabilire ciò che è bene e ciò che è male. Su questo ultimo punto indico soltanto poche cose.
La coscienza è soltanto un termine, una parola che ci serve per interpretare, che ci serve per far capire alcune cose e dove essa si colloca.
Il modo però con il quale interpretiamo la realtà dipende molto dallo schema logico dentro il quale ci poniamo. Nel campo morale dipende molto da come noi interpretiamo anche altre realtà, per esempio la legge. Ad esempio quando la morale è interpretata come la morale precettistica: regole, precetti, comandamenti, come veniva interpretata la coscienza? Di fronte al precetto la coscienza era quella che vedeva il precetto e lo applicava alla realtà. Alla domenica devi andare alla messa: che cosa fa la coscienza? Vede il precetto, lo applica, sono a posto. Tutto il grosso problema era di sentirsi a posto.
Abbiamo però già sottolineato prima la situazione di crisi di questa morale, soprattutto perché molti precetti oggi vengono visti come sorpassati e non più interpretanti la propria realtà. Tra l’altro questa coscienza viene ridotta soltanto a elemento passivo: vedi e traduci. Quindi tutta la tua creatività, tutta la tua presenza di soggetto in qualche maniera viene esautorata, non viene riconosciuta.
Come reazione a questa impostazione abbiamo un altro modello di coscienza che in termini più tecnici si chiama la morale della situazione.
Non è il precetto che mi dice ciò che è vero, perché è sorpassato, ma sono io che adesso decido per me quello che è bene per me. Se la mettiamo nell’ambito cristiano si può dire così: che è la situazione che, in qualche modo, mi prospetta qual’è il comandamento di Dio per me. Dio mi fa capire il suo volere attraverso quello che sto vivendo in questo momento. Qui il rischio è di soggettivismo e di un grande relativismo perché ognuno si trova la sua risposta, se la inventa come lui crede e come lui vuole.
A fronte di questi due modelli estremi c’è un’altra possibilità. La forma più corretta per interpretare la coscienza è vedere la coscienza come un insieme di relazioni.
Quindi, per poter parlare di coscienza, dovrei avere una capacità di rientrare in me stesso. Spesso c’è il rischio di vivere soltanto la superficie.
Occorre ancora la capacità di confronto. Con che cosa? Con i valori, e per il cristiano per esempio il valore ultimo è Dio, ma comunque con i valori che possiamo aver percepito o che stiamo percependo nella vita. Confronto anche con la legge, certo, non è che quella venga scansata o non più riconosciuta, confronto con gli altri, confronto con la situazione. È da tutto questo confrontarmi, (S. Paolo usa la parola discernimento) che io arrivo a capire qual’è la risposta che meglio, qui e ora, risponde ai valori e quindi a Dio. Risponde agli altri, risponde alla situazione, risponde alla verità profonda di me stesso. Ma, attenzione, è ricerca non superficialità o irriflessione: "A me mi piace così!". Si esige un confronto serio con tutti questi elementi, legge compresa, però la legge non diventa un assoluto per cui ho fatto quello che la legge diceva e sono a posto. Essa diventa un elemento che mi aiuta, ma non mi sostituisce. In questa ricerca io posso arrivare a un punto di risposta che, visto dall’esterno, non è una risposta molto buona, vista anche in rapporto al paramento morale della legge o dell’osservatore esterno. Diciamo che sarebbe una risposta sbagliata, ma se il soggetto è arrivato a questa risposta con un profonda ricerca e un serio discernimento, questa è la risposta che lui deve mettere in atto. In effetti per lui il bene da compiere è quello che lui, con profonda coscienza, ha visto come la risposta che deve dare a Dio, agli altri, alla sua situazione, anche se dall'esterno quella risposta appare sbagliata. Dall'esterno non possiamo mai giudicare gli altri, perché non sappiamo i loro condizionamenti interiori, dentro quale ricerca essi siano arrivati a quella conclusione. Il discorso è delicato.
Dire questo non significa che il soggetto concluda: "Io sono così, ho deciso così, per me sta bene così!" No! Perché questa risposta obliqua, sbagliata, limitata, qualche volta negativa, proprio per il suo limite, è qualche cosa che può danneggiare o danneggia il soggetto stesso o può danneggiare gli altri. Qualora il soggetto si rende conto che la sua risposta è sbagliata non diventa peccato quello che lui aveva fatto in precedenza con quella coscienza.
Il peccato dipende dall'onestà della coscienza del momento nel quale lui ha agito, ma certamente questa azione è stata sbagliata e dire sbagliata non vuol dire peccato. Quando però lui se ne rende conto assume una responsabilità verso le conseguenza negative che ha prodotto con la sua azione. Il confessore, l’educatore allora che compito ha? Non può dirgli: "Tu hai agito così hai peccato", ma potrò dirgli hai sbagliato perché nel tuo discernimento non hai tenuto conto di questo aspetto o hai sopravalutato questo o ti sei dimenticato di quest’altro, cioè posso allargare il suo ambito di valutazione, il suo ambito di discernimento.
Se però lui si attarderà ancora su questa soluzione, dopo tutto questo lavoro di coscientizzazione allora la sua risposta diventa davvero limitata, povera, negativa, anche immorale. Non bisogna dimenticare che, messa la persona nella condizione di fare un discernimento migliore a livello di conoscenza, non è tutto. Sappiamo bene che la vita è ben più complicata e c'è una ignoranza invincibile a livello del conoscere intellettuale, ma talvolta c'è una ignoranza invincibile anche a livello di conoscenza valoriale. Esempio, una donna che si trova ad aspettare un bambino sicuramente portatore di grave handicap, è decisa per l'interruzione della gravidanza. Cerchiamo di vedere le cose e tentiamo di vedere come la vita potrebbe essere significativa anche in questa situazione e quali aiuti possono essere dati perché questa vita possa venire al mondo e possa essere anche strutturata in futuro. Lei sa delle possibilità che ci sono, lo sa, ma si trova ad agire in un contesto nel quale quando va all'ospedale, se non abortisce è criminalizzata. A casa la madre cattolicissima che aveva lottato contro l'aborto: "Tosa non mi porterai a casa…" e avanti di questo passo. Cioè dentro un contesto nel quale la vita non viene per nulla percepita come sacra, non si dice che non lo sia, però il condizionamento dentro il quale quella persona agisce probabilmente è ben più forte. Lei sa a livello intellettuale ma c'è una ignoranza invincibile a livello valoriale. Da un punto di vista morale noi non possiamo mai giudicare un azione di altri. Questo non vuol dire essere indifferenti perché quanto più siamo appassionati dei valori tanto più siamo appassionati del bene e di testimoniarlo. Gesù che è il primo radicale nel riconoscimento dei valori è quello che non giudica mai le persone. Anzi da sempre una mano alle persone.