Il campo invernale di Maguzzano (BS)
IL DOLORE DI GIOBBE ALLA LUCE DEL VANGELO

INTRODUZIONE
Sotto le parole dolore, sofferenza, morte ci sono realtà diverse, molteplici. Parliamo di dolore fisico, dolore sentimentale, dolore per la morte di una persona cara, dolore dei bambini.
Assistiamo alla sofferenza innocente di bambini che muoiono di fame, di cancro, alla sofferenza morale; pensiamo alle umiliazioni che subiamo, a certe convivenze matrimoniali che sono un martirio.
Perché? Abbiamo bisogno di capire, ci poniamo delle domanderà vita ha un senso di fronte al dolore? si può decidere se vale la pena vivere o no? Si può accettare l'esistenza di un Dio buono e il dolore, o il dolore è un ostacolo all'esistenza di Dio?
L'obiezione classica all'esistenza di Dio è: "O Dio può impedire il male e non lo fa, allora Dio non è buono o Dio non può impedire il male e allora non è onnipotente".
La realtà è che tutti soffriamo, ma il significato che diamo al dolore è diverso. Per il pensiero greco il problema non è discutere il dolore, ma come reggere al dolore. L'ideale è lo Stoico, imperturbabile di fronte a tutto.
Per la religione induista il male non suscita scandalo in quanto tutto è apparenza. La radice di ogni sofferenza è il desiderio, quindi una volta spento il desiderio non c'è più dolore. Per il mondo contemporaneo la sofferenza è diventata una questione tecnica. La scienza attenua il dolore o lo nasconde: il malato sparisce, nessuno lo vede.
L'unico orizzonte in cui la sofferenza fa problema è l'orizzonte Ebraico-Cristiano che ci rivela un Dio premuroso, che ci ama, che ci è Padre, in apparente contrasto con il male e la sofferenza. Dobbiamo pensare che l'esistenza del male non è una negazione di Dio anzi l'opposto perché lo chiama in causa. Se neghiamo l'esistenza di Dio allora tutto non ha più senso, non esiste più niente, ne vale alcuna regola.

IL LIBRO DI GIOBBE
II libro di Giobbe è un libro sapienzale scritto probabilmente nel quinto secolo a.c. Siamo dopo l'esilio a Babilonia, per Israele l'esilio è stato una condanna a morte, ha visto cadere tutto.
Israele riflette sulle cause e si chiede: "Se l'esilio è avvenuto a causa del peccato di Israele perché ha coinvolto anche degli innocenti? La punizione è definitiva?".
Lo scopo del libro è perciò quello di spiegare qual è la posizione dell'uomo di fronte a Dio ed è diviso in cinque parti: Prologo (1,1-2,13); Discorsi (3,1-31,40); Quarto amico (32,1-37,24); Dialogo fra Dio e Giobbe (38,1-42,6); Epilogo (42,7-42,15).

PROLOGO
II prologo si svolge come una fiaba orientale. E' importante rilevare che Giobbe non è ebreo, quindi ciò che si dice è universale. Per Dio Giobbe è un tesoro e Dio lo loda, ma Satana interviene e chiede: "Forse che Giobbe teme Dio per nulla?" cioè: Ti ama per niente? Ciò implica che Giobbe abbia un secondo fine nell'amare Dio, ovvero che non sia possibile la gratuità, amare Dio senza altre motivazioni. Satana sostiene che l'uomo ha fede o perché ha paura, o perché vuole delle grazie o perché teme di perdere quello che ha, l'uomo è un cortigiano, non una persona che ama Dio senza aspettarsi niente in cambio. E' facile essere buoni quando tutto va bene!
Possiamo chiederci: perché credo? Amo Dio o aspetto delle ricompense?
Lo scopo del libro di Giobbe non è quello di trattare il dolore bensì domandarsi se Giobbe sia dentro la dinamica dell'amore, se l'uomo sia capace di semplice e pura gratuità, qualunque cosa succeda.

DISCORSI
Dopo che Dio, accettando la sfida di Satana, ha tolto tutto a Giobbe e lo ha provato anche nel fisico, tre amici vengono da Giobbe e stanno sette giorni presso di lui senza parlare. Davanti al dolore si sta in silenzio, perché l'uomo non è in grado di spiegare il dolore e perché quello è l'unico modo per stare veramente vicino a chi soffre.
Poi Giobbe, finalmente, parla e maledice il giorno in cui è stato concepito. Soffrire è essere separati, nel soffrire si diventa unici. Di fronte alla morte o alla sofferenza non sono sostituibile, non la posso condividere con altri e perciò mi separo dagli altri.
In quei momenti mi chiedo: "Che senso ha vivere?" Se la prova è continua, ti logora.
Giobbe si chiede perché (vv.3,11-20). Sono l'urlo disperato dell'uomo che non ne può più, grido che tutta l'umanità ripete di fronte al dolore innocente. Gli amici tentano di convincere Giobbe che la colpa del suo male è da ricercarsi in lui, nel suo peccato. E' la dottrina della retribuzione: "Stai espiando i tuoi peccati", "Convertiti e guarirai".
Giobbe protesta, nega che la sofferenza derivi immediatamente dalla colpa. Per gli amici di Giobbe la religione salta, se non si accetta la logica della retribuzione. Giobbe protesta la propria innocenza, non ha paura di dire che Dio è ingiusto se lo punisce per un male non commesso. Gli amici non accettano, continuano a dire che Dio punisce solo i cattivi.
Nell'oscurità e nella solitudine, tutti spariscono e Giobbe viene rischiarato dalla luce e vede l'eternità (19,25-27).
"Mi cercherai" dice, aggrappandosi a Dio (7,21). Anche il quarto amico non fa che ribadire la logica della retribuzione e dei peccati di Giobbe.

L'INTERVENTO DI DIO
Quando tutti smettono di parlare Dio si fa vivo. Nella misura in cui l'uomo incentra su di sé l'attenzione, si priva di quell'udito che può dargli la risposta.
Dio interviene in modo strano, facendo a Giobbe delle domande e sviluppando una lenta pedagogia che lo porti a capire la sua verità di uomo. Lo prende per mano e lo porta a interrogarsi sui segreti del mondo. Costringe Giobbe a misurarsi con il mondo che lo circonda.
Il cammino che Dio fa fare a Giobbe non è un cammino razionale, ma esperienziale. Dio vuole fare capire a Giobbe che non sa nulla della vita e quindi non sa nulla del dolore e della morte. La realtà dell'uomo è che non sa nulla; dobbiamo farci piccoli.
Giobbe non ha la chiave per capire, ma ha la capacità di accogliere il mistero. Per poter accogliere il mistero bisogna essere infiniti, aprirsi all'eternità.
Dio fa una domanda decisiva che si può riassumere così: "Vuoi fare cambio. Io faccio l'uomo e tu Dio?" (40,7-14). Bisogna accettare di essere uomini e non Dio, accettare il mistero senza averne la chiave. Bisogna aprire il dolore alla speranza e non avere un rapporto commerciale con Dio. Dio ci parla di gratuità, non dobbiamo pensare a cosa guadagnarne ad essere cristiani.
La sofferenza si risolve non capendo o giustificando il dolore, bensì accettando il mistero di Dio.

IL MISTERO DI DIO
"Solo l'uomo che ha conosciuto il dolore senza rifiutare la vita, può accogliere il Santo". Da un punto di vista umano, di fronte al dolore, abbiamo più soluzioni: il disfattismo, cioè il rifiuto della vita, il lasciarsi vivere, la ricerca di libertà eliminando la vita, il superamento stoico della sofferenza, la ribellione. Ma contro chi ti ribelli? se Dio c'è devi fare i conti con Lui, se non c'è la tua ribellione è contro il nulla!
La risposta di Dio è Cristo. Tre sono i passi fondamentali del Nuovo Testamento: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito..." (Gv 3,16), "Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi..."(Rm 8,32), "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio..."(l Gv 4,10).
Dio è carità, è amore, e soffre per noi. Dio da la vita per noi ieri, oggi, sempre.
Non si può amare senza patire, senza soffrire per l'amato. La sofferenza di Cristo inizia a Natale (pensiamo a come si è dovuto sentire stretto Gesù dentro il corpo di un bambino, di un uomo!).
Gesù ha sperimentato la sofferenza morale, spirituale e fisica, rifiutato, ucciso, abbandonato dal Padre. Ma l'abbandonato che, come Giobbe, chiede "perché?" (Mc 15,34), non è un disperato: "Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito" (Lc 23,46) e dalla fiducia nasce la speranza (che resta vera per ognuno di noi, sempre) "Oggi sarai con me in Paradiso" (Lc 23,43).
L'amore del Padre riporta Gesù alla vita, ma la sofferenza di Dio continua, Egli accetta di essere mendicante alla porta del nostro cuore, aspetta di essere consolato da noi, soffre assieme a me e per me, per l'umanità ed è chino su di noi e ci supplica di ascoltarlo: accetta, Lui, il Logos, di venire in 2 cm2 di pane! Lui, il creatore dell'universo! E continua spesso ad essere rifiutato o ignorato, certamente non ricambiato con l'intensità di cui avrebbe diritto.
Ma se Cristo e il cristiano sono una cosa sola dobbiamo condividere con Lui lo stesso destino. Gesù non spiega il dolore, lo accetta, lo vive...
Noi abbiamo la convinzione che sofferenza e dolore siano limiti...e se per Dio le cose stessero diversamente? e se fossero l'unico modo per vivere l'amore? "Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13) e si può dare la vita senza soffrire?
Don Dario Berruto