LA SPERANZA (parte seconda)

Terminiamo, con questo Dossier, la pubblicazione del riassunto degli annunci tenuti dal prof. Graziano BOTTI, teologo, relatore all'ultimo Campo Invernale.
Chi desiderasse ricevere il testo completo può farcene richiesta, allegando 3 francobolli da 800 lire, come rimborso per le spese di spedizione.

LA SPERANZA NELLE TRIBOLAZIONI
"...noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza" (Rm 5,3-4)
La tribolazione fa parte dell'esperienza di ogni uomo, ma per i più risulta qualcosa di incomprensibile.
Per esempio, che senso ha per Israele peregrinare quarant'anni nel deserto? Mosè tenta di dare una risposta al popolo: "Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere..., per umiliarti e e per metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore" (Dt 8,2).
Dio non si ferma all'apparenza, scruta il cuore dell'uomo (1 Sam 16,7) e usa come strumento la sua Parola "viva, efficace e più tagliente di ogni lama a doppio taglio; essa penetra... e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12).
La vita del credente non solo è sondata ma è nutrita da questa parola: "l'uomo non vive soltanto di pane, ma... di quanto esce dalla bocca del Signore" (Dt 8,3).
Resta il fatto che la vita dell'uomo è simile ad una corsa, meglio ad una corsa ad ostacoli, ma questi ultimi non sono mai insuperabili, perché non sono superiori alle nostre forze (1 Cor 10,13).
Le difficoltà che incontra la speranza dell'uomo nel cammino della vita possono essere esemplificati, come accennato in apertura, con i quarant'anni trascorsi da Israele nel deserto.
Una sintesi di questa esperienza la troviamo nel salmo 106 (105 nella versione CEI) che per Israele è l'equivalente di un inno nazionale, pieno di ricordi di fede ma anche di peccati (Sal 106,7-33).
La prima scena (vv 7-12) rimanda al capitolo 14 dell'Esodo: appena gli Ebrei sono partiti il faraone si pente della sua decisione e li insegue; lo spavento invade i fuggiaschi e diventa rimprovero e rimpianto: "Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto?...è meglio per noi servire l'Egitto che morire nel deserto" (Es 14,11-12).
Ecco la prima difficoltà: Israele rimpiange un passato appena lasciato perché il presente lo spaventa!
Al loro spavento fa da contrappunto la fede di Mosè: "Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi" (ib. v 13).
La seconda scena (vv 13-15) gravita intorno alle "brame nel deserto".
Il Signore salva Israele e distrugge nel mare l'esercito egiziano, ma gli Ebrei "presto dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno" (v 13).
Dimenticare Dio e le sue opere è il peccato di apostasia, equivale a sfiduciare il Signore per sostituirci a Lui nella direzione della nostra vita.
Da questo peccato nascono le "brame del deserto" che assumono l'aspetto della sete, della fame e dell'ingordigia.
Per la sete andiamo a rileggere l'episodio di Mara (Es 15,2-25); per la fame l'episodio della manna (ib. 16,1-4); per l'ingordigia quello delle quaglie (Nm 11,31-34).
La terza scena (vv 16-18) si rifà al capitolo 16 del libro dei Numeri e ricorda la ribellione contro Mosè, simbolo del potere civile, e Aronne, simbolo del potere religioso, da parte di tre uomini e dei loro seguaci in nome di un falso egualitarismo: "tutta la comunità, tutti sono santi e il Signore è in mezzo a loro; perché dunque vi innalzate sopra l'assemblea del Signore?" (Nm 16,3).
Mosè rimette al giudizio di Dio la conferma o la smentita del suo operato ed i tre con i loro seguaci sono divorati dal fuoco.
La quarta scena (vv 19-23) riporta l'adorazione del vitello d'oro (Es 32).
Il popolo sente come troppo misterioso e bizzarro questo Dio che privilegia solo Mosè, parla solo con lui, promette delle cose che, allo stato dei fatti, sembrano esagerate.
Durante un'assenza prolungata di Mosè il popolo chiede ad Aronne "un dio che cammini alla nostra testa" (Es 32,1).
Una simile richiesta fatta ad un profeta sarebbe subito apparsa blasfema, perché il profeta sta dalla parte di Dio, il sacerdote invece, costituito a favore degli uomini nelle cose che riguardano Dio, è più accondiscendente e Aronne cede alle richieste del popolo.
Da ciò possiamo trarre un insegnamento: dobbiamo essere critici verso l'istituzione religiosa, sia verso ciò che concede sia verso ciò che nega.
Tre verbi scandiscono il peccato d'Israele: " si prostrarono... scambiarono... dimenticarono" (vv 19-21).
L'ira di Dio non tarda a manifestarsi e solo l'intercessione di Mosè salva Israele (Es 32,7-14).
La quinta scena (vv 24-27) sottolinea il discredito che nasce tra il popolo nei confronti della promessa di Dio.
Giunti nei pressi della terra promessa gli uomini mandati in avanscoperta "screditarono presso gli Israeliti il paese che avevano esplorato" (Nm 13,32).
E', come promesso, un paese "dove scorre latte e miele" ma "il popolo che lo abita è potente..."(Nm 13,27-33).
Israele si arrende: non ce la faremo mai, Dio pretende troppo! (Nm 14,1-4).
Anche per questo la condanna del Signore è immediata: "non vedranno il paese che ho giurato di dare ai loro padri" (Nm 14,23), moriranno nel deserto, di quella generazione entreranno nella terra promessa solo Caleb e Giosuè perché hanno continuato a confidare nel Signore (Nm 14,6-9;30).
La sesta scena (vv 28-31) è ricostruibile attraverso il racconto di Nm 25 e si riferisce alla tresca tra gli Israeliti e le figlie di Moab e al culto di Baal.
La punizione di Dio non si fa attendere: un misterioso flagello uccide 24 mila persone (Nm 25,9).
E' il rischio che si corre ogni volta che si entra in contatto con nuove culture: quello di cadere nel relativismo religioso e considerare i nuovi dei alla stregua dei vecchi, per Israele dell'unico Dio.
La settima e ultima scena (vv 32-33) è collegata con Meriba, dove Mosè "disse parole insipienti" (v 33): la poca fede di Israele sembra aver contagiato anche il suo profeta che infatti, a causa di questo peccato, non entrerà nella terra promessa.
La natura di questo peccato non è chiarita ma quello che conta è l'insegnamento che possiamo trarre: la vita intera non basta per entrare nella pienezza di Dio, se questo vale per i profeti, figuriamoci per noi!
C'è nell'uomo un'incompiutezza che è sancita dalla morte e il cui compimento è nelle mani di Dio nell'altra vita.

Brani per la Lectio:
Es 16,1-20; Gv 6,30-40; Es 17,1-7; Gv 4,5-26; Es 32,1-14; Gv 14,5-14.

Domande per la Revisione di Vita:
- Qual è la tentazione a cui cedo più facilmente?
- Qual è il comandamento che mi coinvolge di più, che sento più vicino alla mia esperienza di fede?

LA SPERANZA AL DI LA' DI OGNI SPERANZA
"...è tempo di cercare il Signore finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia" (Os 10,12)
La vita del credente, anche se segnata dalla speranza, deve misurarsi quotidianamente con il senso del tempo.
La vita di ciascun uomo è infatti "tempo del... pellegrinaggio" (1 Pt 1, 17).
Se è vero che "nella speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24) è anche vero che "ciò che si spera, se visto, non è più speranza" (ib.); la speranza donataci da Gesù non è in questa vita un possesso tranquillo, goduto nella sua pienezza, può essere solo un "tendere a" un "tendere verso".
Una lettura cristiana del tempo la troviamo nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 7,29-31).
Per Paolo il tempo, uscito dall'eternità al momento della creazione, con Cristo ritorna nell'eternità, o meglio convive con essa, perché Cristo è risorto e continua ad essere presente fino alla fine del tempo (Mt 28,20).
Noi tuttavia continuiamo a avvertire la pesantezza del tempo, o perché troppo rapido o perché troppo lento.
Abbiamo, in altre parole, ancora una visione pagana del tempo, visione simboleggiata dal dio Kronos, un dio che divora tutto ciò che vive e falcia tutto ciò che la terra produce.
Non è questa l'idea del tempo che troviamo nella Bibbia: per Israele il tempo dipende dal Creatore, è nelle sue mani ed egli lo riempie con i suoi interventi di salvezza fino a che "nella pienezza del tempo,... mandò suo Figlio... perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5).
E' stato così ripristinato il progetto iniziale di Dio che "ha creato l'uomo per l'immortalità" (Sap 2,23).
Ma se il tempo si è accorciato ed ha raggiunto il suo compimento, come vivere questa vita che si vive nella carne? (cfr. Gal 2,20).
Paolo, nel brano sopracitato, ci invita a stare nel mondo con atteggiamento distaccato: "come se non".
Questa non è indifferenza di fronte alle realtà profane, è vigilanza per non essere sommersi dal quotidiano dato che ciò che per il cristiano è essenziale è "altrove".
Il "come se non" concretamente si realizza così: "non conformatevi alla mentalità di questo secolo" (Rm 12,2), "non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui" (1 Gv 2,15).
I desideri sregolati della natura umana, la sicurezza basata sulle proprie forze, sono ostacoli al cammino della speranza.
Ma questo non è un cammino facile, "voi avrete tribolazione nel mondo" (Gv 16,33); per questo occorre "molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, ..., nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni" (2 Cor 6,5) e non bisogna mai abbattersi perché "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18).
In questo la vita di Gesù è stata uguale a quella di tutti gli uomini: "nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5,7-8).
Così come per Gesù, anche per i discepoli l'amore al Padre deve manifestarsi nel fare, nell'accettare le cose che il Padre ha comandato.

Brani per la Lectio:
Ger 29,4-14; Mt 25,1-13; Lc 13,22-30

Domande per la Revisione di Vita:
- Quali esperienze di speranza ho vissuto?
- Quali esperienze di sconforto, scoraggiamento, disperazione ho vissuto?

LA LIBERTA', STRUMENTO DI SPERANZA
"...liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia..." (Lc 1,74)
Come ci ha ricordato questo versetto tratto dal cantico di Zaccaria (Lc 1,68-79), noi cristiani siamo uomini liberi perché Qualcuno ci ha liberato.
Occorre però fare qualche riflessione sulla libertà cristiana per non cadere in equivoci.
- Senza verità non può esserci libertà.
"La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17).
Per Israele la verità è la saldezza del giuramento di Dio, per i cristiani la verità è Gesù Cristo, "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6).
La verità è la parola che Cristo rivolge all'uomo per fargli conoscere chi è Dio, qual è il suo piano, per indurlo a credere.
Ora è lo Spirito di verità che ha il compito di guidare alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13) e di convincere "il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio" (Gv 16,8).
Il peccato del mondo sta nel rifiuto di credere a Gesù, la giustizia di cui il mondo deve prendere atto è che, attraverso la morte, Gesù arriva al Padre, il giudizio a cui il mondo è sottoposto è la disfatta del principe di questo mondo, Satana (cfr Gv 16,9-11).
- Cristo ci ha liberato dal peccato.
Cristo è "l'agnello di Dio, ...colui che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29), alla disobbedienza dell'uomo egli sostituisce l'obbedienza "fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8).
Questo non significa che il peccato non c'è più ma che l'uomo, attraverso la Grazia, ha gli strumenti per evitarlo e, attraverso il pentimento, il modo per annullarlo.
- Cristo ci ha liberato dalla legge.
Sulla legge l'uomo fonda la sua giustizia di fronte a Dio, pensando che basti alla sua giustificazione l'osservanza dei comandamenti e la pratica delle opere buone.
La libertà dalla legge operata da Gesù consiste nell'evidenziare che alla base di tutti i precetti ci deve essere l'amore a Dio e l'amore al prossimo, "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i profeti" (Mt 22,40) e essi valgono "più di tutti gli olocausti e i sacrifici" (Mc 12,33).
La pratica cristiana non ha comunque eliminato le norme perché queste servono a rivelarci quando lo Spirito non ci vivifica più e a mantenerci giusti.
- Cristo ci ha liberato dalla morte.
La morte è la conseguenza estrema del peccato, "il salario del peccato è la morte" (Rm 6,23), come il peccato è segno di separazione, così la morte rappresenta il massimo di questa separazione.
La novità del cristianesimo è questa: il peccato è stato tolto e, assieme al peccato, anche la morte è stata sconfitta e la prova di ciò è la resurrezione di Gesù: "Dio lo ha resuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (At 2,24).
Di conseguenza "come ...per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così...per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita" (Rm 5,18).
Anticipazione simbolica e, nello stesso tempo reale, della morte di ciascuno, è ciò che avviene nel battesimo: per mezzo di esso "siamo ...stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" ((Rm 6,4).
Con questa morte anticipata nel sacramento, si muore a tutto ciò che la morte materiale comporterà: all'attaccamento a questo mondo, al peccato che lo domina, all'uomo vecchio, al corpo, per vivere da persone nuove, cambiate dal di dentro dallo Spirito di Gesù che ci fa gridare: "Abbà, Padre!" (Gal 4,6).
- La libertà strumento di carità.
Anche se Cristo ci ha liberati, noi continuiamo ad essere in bilico tra "il già presente nel mistero" e il "non ancora manifestato in pienezza", in un esercizio difficile e faticoso.
La palestra dove si svolge questo esercizio, senza possibilità di barare al gioco, è la carità fraterna.
"Se uno dicesse: -Io amo Dio- e odiasse il suo fratello è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,20).
Ci accompagni in questo cammino l'augurio di Paolo ai Romani: "Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13).

Brani per la Lectio:
Lc 18,9-14; Lc 12,16-21; Lc 10,25-37

Domande per la Revisione di Vita:
- A quale cammino di conversione mi chiama Dio oggi?
- Vivo da uomo libero? da cosa devo liberarmi per essere "risorto" con Cristo?

testo raccolto da Noris e Franco Rosada