LA DIVERSITÀ: OSTACOLO O RISORSA?
La famiglia come chiave di risposta per una pastorale dell’accoglienza
(prima parte)

Questo mio intervento vuole offrire una chiave di lettura teologica e pastorale sulla diversità.
La tesi di fondo che cercherò di sviluppare e, in qualche modo, di dimostrare è la seguente: le diversità non sono un limite o un problema ma sono una risorsa.
Ci può infatti capitare di considerare le diversità come problema, difficoltà, disagio, questione che ci interpella; da parte mia sono convinto che, senza le diversità diventerebbe impossibile decifrare il mistero della vita dell'uomo, il suo destino e il senso stesso della Storia.
Il punto di partenza della mia relazione è la famiglia, non per un'attribuzione impropria, ma perché c'è un nesso imprescindibile tra la realtà della famiglia e la tematica della diversità, anzi sono convinto che la famiglia ci possa dare il codice di lettura di questo tema.

IL MISTERO DELL’UOMO
Per spiegare questa affermazione, parto da quello che è il mistero dell'origine dell'uomo così come ci è descritto nella Parola di Dio.
Sappiamo che i primi capitoli di Genesi non costituiscono una spiegazione scientifica della creazione dell'uomo e del mondo ma un'interpretazione sapienziale ispirata dalla vicenda umana.
Il primo capitolo di Genesi, di fonte sacerdotale, descrive la creazione in una prospettiva di separazione: viene separato il cielo dalla terra, poi il mare dalla terraferma, e così via: tutto è diversificazione in un orizzonte di armonia. Quanto più la diversificazione si accentua, tanto più si mettono in evidenza gli elementi che contribuiscono a creare l'armonia.
Al vertice, al cuore di questa realtà, c'è la creazione dell'uomo e della donna.
Per questa creazione c'è un intervento straordinario del Dio creatore: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza", che pone l'essere umano in una condizione completamente diversa da tutte le altre cose.
Immagine e somiglianza non significano che l'uomo è uguale a Dio, in quanto è opera delle sue mani, ma che porta in sé una partecipazione al mistero stesso di Dio.
E questa partecipazione si realizza attraverso la differenziazione "maschio e femmina"; questo essere creato ad immagine e somiglianza di Dio porta dentro di sé una differenziazione che potremmo definire radicale, irriducibile: l'essere umano non esiste se non come uomo e come donna.
Possiamo quindi concludere che Dio genera il principio della diversità e lo genera non come spaccatura, o come frattura dell'essere umano, ma come un qualcosa di armonico con il creato e con Lui stesso.

MASCHIO E FEMMINA
La differenziazione "maschio e femmina" in filosofia ha costituito sempre un enigma, un interrogativo.
Grandi sono stati gli sforzi, nel periodo classico, di ridurre questa differenza.
Con Platone si arriva a considerare la diversità come un limite, come qualcosa di mancante, nostalgia di un'interezza che non esiste più.
Da qui nascono i diversi miti dell'androgino, dell'ermafrodito, così presenti, anche se in modo diverso nella società contemporanea, ma che sono in antitesi con il progetto di Dio.
Il secondo racconto di Genesi, più di carattere antropologico, sottolinea maggiormente questo aspetto: ci dice infatti che Dio si preoccupa della solitudine di questo essere umano, dice che "non è bene che sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile"; il termine ebraico utilizzato sta ad indicare "gli voglio fare qualcosa che gli sia simile standogli di fronte" cioè una similitudine quasi per contrapposizione: la donna infatti costituisce, rispetto all'uomo, quella realtà che gli è simile, ma che continuamente lo riflette, lo rispecchia, lo richiama alla sua diversità.
Il modo in cui l'autore sacro cerca di tradurre visivamente questo dinamismo è affascinante, perché la donna viene tratta in un momento di torpore dalla costola dell'uomo; la costola è stata scelta, secondo una delle interpretazioni più accreditate, perché è l'elemento più vicino al cuore, quindi è qualcosa di intimo, interiore; la donna viene a costituire la verità più profonda del sentire umano e non è qualcosa che viene generato dopo, perché preesiste quasi all'uomo stesso, è l'intimo dell'intimo dell'uomo che viene posto di fronte a lui.
Adamo allora esclama "questa è veramente carne della mia carne". Questa affermazione non significa solo "mi è stato donato qualcuno che finalmente corrisponde alla mia dignità di essere intelligente", ma soprattutto "mi è stata donata quella parte di me che mi rivela che il senso della vita è la relazionalità". Diversità e relazionalità al di fuori delle quali Dio stesso, che è l'orizzonte ultimo della vita, non può essere compreso: "per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola".

LA POLARITÀ SESSUALE
La differenziazione "maschio e femmina" è stato motivo di imbarazzo anche in ambito ecclesiale: alcuni Padri della Chiesa hanno interpretato o cercato di interpretare la polarità sessuale come segno di una caduta dovuta al peccato, da qui è scaturita una visione negativa della sessualità che ha riverberi anche ai nostri giorni.
E' vero che nella sessualità, come in tutte le altre dimensioni umane, si percepiscono gli effetti del peccato, ma la polarità sessuale è opera della creazione quindi del disegno provvidenziale di Dio: guai a noi se non abbiamo chiaro questo tipo di approccio e quindi il senso positivo della diversità!
Questi argomenti sono stati affrontati più volte dall'attuale Papa, il quale sarà ricordato in futuro, al di là di tutti i contributi che ha dato con il suo magistero alla vita e alla missione della Chiesa, anche per le sue riflessioni sull'uomo in un'epoca di crisi nell'interpretazione dell'essere umano.

IL MAGISTERO DEL PAPA
Il Papa, in piena conformità con la tradizione cristiana, ma anche con un grande sforzo di innovazione, ha sviluppato delle riflessioni che sono veramente innovative e una di queste è costituita dallo stretto legame presente tra il mistero della vita trinitaria e la realtà della famiglia.
I testi a cui faccio riferimento sono:

Nel primo testo: la "Mulieris Dignitatem", nei capitoli dal 6 all'8, il Papa fa un'affermazione teologicamente molto forte che alcuni teologi fanno fatica ad accogliere, cioè che Dio, creando l'essere umano a sua immagine e somiglianza, ha dato una chiave di lettura del suo stesso mistero.
Il Papa afferma che Dio è conoscibile guardando ciò che Dio ha creato e al cui vertice c'è l'essere umano maschio e femmina; guardando la polarità, la diversità, la complementarietà, la reciprocità tra uomo e donna noi possiamo entrare nel mistero intimo di Dio, cioè nel suo essere trinitario che è unità nella permanente insondabile diversità delle persone divine.
Mai il Papa si era spinto fino a una sottolineatura così radicale della conoscibilità di Dio attraverso il mistero dell'uomo e della donna: questo è un passaggio epocale!

LA LETTERA ALLE FAMIGLIE
Il secondo testo, molto più immediato nella sua lettura, anche se purtroppo non sufficientemente valorizzato, è la Lettera alle Famiglie.
In questo documento c'è un'affermazione che si ripete di continuo: il "noi" del vissuto familiare è comprensibile, dice il Papa, alla luce del "noi" del mistero trinitario.
Il mistero della Trinità non si rivela e non si manifesta se non in dinamismo di comunione e il vissuto familiare, che è la realtà più significativa della comunione interumana, è il contesto in cui si rende più visibile il mistero di Dio che è Trinità.
Con il termine vissuto familiare indico sia il rapporto tra i due membri della coppia che il vissuto di fecondità che da esso scaturisce.
Già Genesi ci dice con chiarezza che Dio ha creato l'essere umano maschio e femmina e li ha benedetti perché fossero fecondi.
Non si può dissociare la reciprocità uomo-donna da questa benedizione originaria: questi termini sono così strettamente congiunti che al di fuori di un'ottica di fecondità è incomprensibile il senso della diversità.

LA LETTERA ALLE DONNE
Il terzo testo è la lettera del Papa alle donne scritta in occasione della Conferenza Internazionale di Pechino.
Al n. 7 di questo documento il Papa dice: "la questione della differenza uomo-donna è una questione ontologica", cioè è una questione che riguarda la natura e la conoscenza dell'essere come soggetto in sé.
Il Papa ci ricorda che non potremo mai capire fino in fondo che cos'è l'essere umano se non tenendo conto e sviluppando anche la dimensione della relazionalità e reciprocità uomo-donna; questa relazionalità non è un "optional" ma un elemento costitutivo dell'essere.
Questi sono solo degli accenni che però ci permettono di individuare il nucleo centrale del problema, cioè che la diversità e la diversità per eccellenza, quella all'interno dello stesso essere umano come maschio e come femmina, è una risorsa, è un valore, è la chiave di lettura del mistero dell'uomo ma è anche l'accesso al mistero stesso di Dio.
Concludendo questo primo punto mi sembra di poter dire che allora la diversità ha il suo fascino: la diversità non è qualcosa a cui dobbiamo guardare con sospetto e con paura ma è il continuo rimando che noi abbiamo ad andare oltre, a non fermarci, a superare i limiti che inevitabilmente sono costituiti da ogni approccio soggettivo, individualista, che pone il "se stessi" al centro di tutte le cose.
La diversità è l'appello forte che noi abbiamo ad allargare il nostro orizzonte.
Don Claudio Giuliodori,
incaricato della pastorale familiare per la diocesi di Ancona