DIO …..TI SENTO? CRISI DI FEDE E DI RELAZIONE

Il cammino della nostra vita ci porta a percorrere sentieri a noi non solo sconosciuti, ma neppure mai immaginati. Abbiamo tutti avuto almeno una volta il pensiero che se avessimo saputo prima cosa ci sarebbe accaduto sarebbe stata una ulteriore difficoltà nel procedere. Ma proprio in questi frangenti abbiamo preso contatto con la forza più grande che muove il mondo: la speranza. Quando il buio ci circonda e non troviamo più la strada, ciò che muove i nostri passi non è il sentimento, perché se fosse solo per quello nello sconforto non potremmo fare altro che disperarci, ma è la speranza che nasce dalla fiducia in Dio e dalla fiducia in coloro che amiamo e che ci camminano accanto.
Provare a dire qualcosa sulla crisi di fede è affrontare due dei mali che affliggono la nostra epoca: il sentimentalismo alla deriva e la mancanza di speranza.
Il sentimentalismo alla deriva è lo stato di animo in cui ci troviamo quando ci lasciamo dominare solo da ciò che sentiamo. Noi siamo creature meravigliose, dotate di intelligenza e volontà, due doni eccezionali che nel sentimentalismo alla deriva sono immobilizzati dalla ricerca spasmodica di sensazioni "vere e coinvolgenti" a cui affidare ogni nostra decisione, anche il cammino di fede. Probabilmente a molti di noi è capitato di vivere momenti di amore verso Dio e verso lo sposo che potremmo definire esaltanti, in cui i palpiti di amore umano e quelli divini si sono mossi all’unisono inebriandoci, ma questa non è una condizione permanente del nostro vivere. Si tratta di momenti di dono, da cui partire o ripartire per muoverci nella concretezza del nostro esistere.
Amare non è solo sentire, è scegliere, decidersi per e poi partire confidando nell’Amore e nell’amore, vincendo il secondo male che è la mancanza di speranza.
Già, perché noi abbiamo a che fare nel nostro cammino di uomini e di donne, di sposi e di genitori, con sentieri oscuri e imprevisti in cui la sola forza che muove il passo a volte può solo essere la speranza; una speranza che diviene certezza nella misura in cui noi sappiamo nella fede fidarci di Dio e dell’amore.
Mi fido o no? Mi fido di te, mi fido di Dio?
La sfiducia è l’interruttore generale del nostro essere. Qualcuno pensa che sia il dolore o la fatica a frenare la relazione di amore con chi ci sta attorno (che sia il nostro sposo o Dio stesso) mentre noi pensiamo che tutto parte da un’assenza di fiducia. Infatti il dolore e la sofferenza creano in noi il desiderio di cercare abbracci che ci sorreggono, cuori in cui versare una parte della nostra fatica. Mentre la sfiducia blocca ogni esistere con, ogni andare verso. La "non fede" annienta il giardino delle nostre relazioni e prosciuga il nostro cuore.
Ma perché non ci fidiamo, cosa è che blocca il nostro stesso respiro vitale di amore? Probabilmente l’elemento principale è la paura, in particolare il timore che ci venga chiesto qualcosa. La paura diviene la nostra padrona e non riusciamo più a muoverci. Alcuni mesi fa i giornali erano pieni delle pagine del diario spirituale di Madre Teresa di Calcutta che descriveva della sua difficoltà a "sentire" Dio. La notte oscura è propria di tutti noi e anche i Santi non ne sono indenni, ma ciò che ci piace sottolineare in una simile vicenda è che Madre Teresa, pur nella sua solitudine spirituale, non ha mai smesso di donarsi, non si è fatta bloccare dalla paura che le venisse chiesto troppo, perché il suo metro del dono non era "poco o tanto", ma tutto.
Quando noi siamo fuori dalla logica di Dio perdiamo di vista ciò che siamo, esseri voluti da Dio per se stessi e che si ritrovano solo nel dono sincero di sé.
In effetti una volta avvenuta la decisione di fidarsi, di abbandonarsi all’amore, siamo chiamati a rispondere ad un’ altra domanda cruciale: siamo disposti a perdere qualcosa per questa relazione? E’ un passo importante questo che gli sposi scelgono ogni giorno: cosa sono disposta a fare, quale impegno so di dover assumere perché ogni giorno questa relazione viva. Ma anche: cosa sono disposta a ricevere? Sono disposta a lasciarmi invadere dalla forza creatrice dell’amore, a riconoscere il bello che non mi aspettavo, che non mi meritavo e che dà senso alla mia vita? So ragionare in termini di noi e non solo più di io, cosciente che solo in quel noi io posso scoprire chi sono e a cosa sono chiamata?
Sono disposta a mettermi nelle mani di chi amo?
Perché sperare e avere fiducia non vuol dire vederci chiaro, ma semplicemente affidarsi, certi che nessuno mai cade fuori dalle mani del nostro Dio!

Nicoletta e Davide Oreglia, Master in Scienze del matrimonio e della famiglia

Brani per la Lectio:
• La fede di Abramo (Gen 15, 1-6).
• Salmo di fiducia (Sal 131).
• Il Signore è la mia speranza e la mia fiducia (Sal 71, 2-6).
• Un esempio di fiducia in Gesù: la donna emorroissa (Mc 5, 25-29).
• La fede del centurione (Lc 7, 2-10).
• Sperare contro ogni speranza (Rm 4, 16-22).

Domande per la RdV:
• Ci sappiamo fidare di Dio in ogni occasione o solo quando tutto va bene?
• Siamo capaci di fidarci di Dio al punto da lasciare a Lui ciò che è oltre la nostra portata e capacità?
• Come cerchiamo di superare la paura che a volte ci attanaglia?
• Cosa siamo disposti a dare e a ricevere ogni giorno dall’altro perché la nostra relazione viva?
• Siamo disposti a metterci nelle mani di chi amiamo?

SILENZIO E PREGHIERA

Se prendiamo come nostra guida il più antico libro di preghiera, il libro dei Salmi, notiamo due principali forme di preghiera. Uno è un lamento, un grido di aiuto. L’altro è di ringraziamento e lode a Dio. Ad un livello più nascosto c’è un terzo tipo di preghiera, senza domande o più esplicite espressioni di lode. Nel Salmo 131, ad esempio, non c’è altro che tranquillità e fiducia: "Io sono tranquillo e sereno …. spera nel Signore, ora e sempre".
A volte la preghiera diventa silenziosa. Una tranquilla comunione con Dio si può trovare senza parole. "Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre" Come un bambino soddisfatto che ha smesso di piangere ed è nelle braccia della madre, così può "stare la mia anima" in presenza di Dio. La preghiera allora non ha bisogno di parole, forse neppure di pensieri.
Come è possibile raggiungere un silenzio interiore? Qualche volta siamo apparentemente in silenzio, e tuttavia abbiamo grandi discussioni dentro di noi, lotte con compagni immaginari o con noi stessi. Calmare la nostra anima richiede una specie di semplicità. "Non mi tengo occupato con cose troppo grandi o troppo meravigliose per me" Silenzio significa riconoscere che le mie preoccupazioni non possono fare molto. Silenzio significa lasciare a Dio ciò che è oltre la mia portata e le mie capacità. Un momento di silenzio, anche molto breve, è come una sosta santa, un riposo sabbatico, una tregua dalle preoccupazioni.
Il tumulto dei nostri pensieri può essere paragonato alla tempesta che colpisce la barca dei discepoli sul mare di Galilea, mentre Gesù stava dormendo. Come loro possiamo sentirci senza aiuto, pieni di ansietà ed incapaci di calmarci. Ma Cristo è abile nel venire in nostro aiuto. Come rimprovera il vento e il mare e "ci fu una grande calma", egli può anche donare calma al nostro cuore quando è agitato dalla paura e dalle preoccupazioni. (Marco 4)
Rimanendo nel silenzio, confidiamo e speriamo in Dio. Un salmo ci suggerisce che il silenzio è perfino una forma di lode. Siamo soliti leggere all’inizio del Salmo 65: "A te si deve lode, o Dio". Questa traduzione segue il testo greco, ma effettivamente il testo ebraico dice: "Il silenzio è lode a te, o Dio". Quando le parole ed i pensieri si fermano, Dio è lodato in un silenzio di stupore e ammirazione.
La parola di Dio: tuono e silenzio
Sul Sinai, Dio parlò a Mosè e agli Israeliti. La parola di Dio fu preceduta ed accompagnata da tuoni e lampi ed un sempre più forte suono di tromba (Esodo 19). Secoli dopo, il profeta Elia tornò sulla montagna di Dio. Lì sperimentò tempesta,terremoto e fuoco, come era successo ai suoi antenati, ed fu pronto ad ascoltare Dio che parlava nel tuono. Ma il Signore non era in nessuno di quei potenti fenomeni familiari. Quando tutto il rumore terminò, Elia udì "il mormorio di un vento leggero" e Dio gli parlò (1 Re 19).
Dio parla con voce forte o in un mormorio silenzioso? Dobbiamo prendere come esempio le persone riunite sul Sinai o il profeta Elia? Potrebbe essere un’alternativa sbagliata. I terribili fenomeni connessi con il dono dei Dieci Comandamenti servono a mettere in evidenza quanto questi ultimi siano seri. Accoglierli o rigettarli è una questione di vita o di morte. Vedendo un bambino correre sotto una macchina è bene gridare il più forte possibile. In situazioni analoghe i profeti riferiscono le parole di Dio per far vibrare le nostre orecchie.
Le parole dette ad alta voce sono certamente ascoltate: sono di effetto. Ma sappiamo anche che difficilmente toccano i cuori. Sono rigettate piuttosto che accolte. L’esperienza di Elia mostra che Dio non vuole impressionare, ma vuole essere capito ed accettato. Dio sceglie "il mormorio di un vento leggero" per parlare. Questo è un paradosso: Dio è silenzioso e tuttavia parla.
Quando la parola di Dio diventa "il mormorio di un vento leggero" è più efficiente di altre cose per cambiare i nostri cuori. La tempesta sul Monte Sinai spaccava le rocce, ma le parole silenziose di Dio sono capaci di fare breccia nei cuori di pietra degli uomini. Per lo stesso Elia il silenzio improvviso era probabilmente più spaventoso della tempesta e dei tuoni. In qualche modo le manifestazioni potenti di Dio gli erano familiari. Il silenzio di Dio lo disorienta, una cosa così diversa da quella che aveva sperimentato in passato.
Il silenzio ci rende pronti ad un nuovo incontro con Dio. Nel silenzio la parola di Dio può raggiungere gli angoli più nascosti dei nostri cuori. Nel silenzio, la parola di Dio dimostra di essere "efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito" (Ebrei 4,12). Nel silenzio smettiamo di nasconderci di fronte a Dio, e la luce di Cristo ci può raggiungere e guarire e trasformare anche quello di cui ci vergogniamo.
Silenzio e amore
Cristo dice: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Giovanni 15,12). Abbiamo bisogno di silenzio per accogliere queste parole e metterle in pratica. Quando siamo agitati e irrequieti , abbiamo così tanti argomenti e ragioni per non perdonare e per non amare. Ma quando "abbiamo calmato e reso quieta la nostra anima", queste ragioni ci paiono insignificanti. Forse qualche volta rifuggiamo il silenzio, preferendo qualunque rumore, parola o distrazione, perché la pace interiore è una cosa rischiosa: ci rende vuoti e poveri, disintegra le amarezze e ci conduce al dono di noi stessi. Silenziosi e poveri i nostri cuori sono ricolmati dello Spirito Santo, riempiti con un amore incondizionato. Il silenzio è un umile ma sicuro cammino verso l’amore.

Tratto da: www.taize.fr/it_article958.html