Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF67 - dicembre 2009 - Noi e gli "altri"

1-DI TUTTI I COLORI…

Questo è un numero un po’ particolare: è la prima volta, dopo vent’anni, che la rivista esce a colori.
Ma anche il tema trattato rimanda ai colori: sono quelli dei volti, dei vestiti, degli usi e tradizioni dei migranti che ormai sono una presenza permanente nel nostro Paese. Migranti che ormai sono sempre più, grazie ai matrimoni, ai ricongiungimenti ed ai figli nati in Italia, famiglie.
Un ultimo richiamo ai colori è dovuto alla diversa impostazione del numero, che per ragioni di costo ha meno pagine e che ha tagliato di fatto, lo spazio per le informazioni dai gruppi e le consuete rubriche.
Un ultimo, doveroso accenno, va alle foto. Ci siamo orientati su foto che, pur nella loro particolarità, ci rimandano al tema della migrazione.
Sono foto di giovani immigranti della seconda generazione, realizzate dalla fotografa e artista Ilaria Turba nell’ambito di un progetto della Fondazione Giovanni Agnelli sul tema: "I figli degli altri" e che sono stati esposti l’anno scorso in piazza San Carlo a Torino.
A lei e al dottor Gioannini della Fondazione va un grazie di cuore per averle messe a nostra disposizione.
Queste foto sono frutto di un lavoro di mesi dell’autrice con un gruppo di giovani che si sono fatti fotografare nei luoghi di Torino che percepivano come propri perché ci vivono o perché li sentono vicini.
Per un commento alle foto cliccate qui.
La redazione

2-NOI E GLI "ALTRI"
Ci troviamo sempre di più di fronte a nuclei familiari che progettano il futuro dei loro figli in Italia

di Franco Rosada
Dall’inizio degli anni 2000 la redazione ha coltivato il progetto di dedicare un numero della rivista al tema dell’immigrazione, con una particolare attenzione a quella islamica.
Sono stati anni in cui, a livello culturale e politico, ha dominato il pensiero di Huntington sullo "scontro di civiltà". L’occidente era scosso dal dramma delle Torri gemelle di New York e la conseguente paura ha reso tollerabili "guerre preventive" che hanno seminato sovente distruzione e disordine.
Ora il tema immigrazione ha assunto un volto diverso. Il fenomeno migratorio, allora apparentemente transitorio e arginabile, si è rivelato un fenomeno epocale.
Adesso non ci troviamo più di fronte a singoli in cerca di fortuna ad ogni costo - così ci hanno fatto credere - ma sempre più di fronte a famiglie, molte delle quali pensano al futuro dei loro figli in Italia.
La società italiana, volente o nolente, è di fatto multietnica.
Così in questo numero, dopo un'introduzione sullo stato dell’immigrazione oggi in Italia, parliamo delle realtà che sono più vicine alle famiglie, o come esperienza quotidiana: badanti e scuola, o come interesse culturale: convivenze, matrimoni misti e non, famiglie e figli.
Molti argomenti che la cronaca continuamente ci propone sono rimasti in sottofondo: clandestinità, criminalità, CAT, ghetti ma anche nuove categorie di "reati", sanatorie, lavoro in nero, sfruttamento.
"Nulla di nuovo sotto il sole", perché ci ricorda un "film" già visto negli anni cinquanta con l’immigrazione dal Sud verso il Nord. Non insistiamo negli stessi errori!
formazionefamiglia@libero.it
Scontro di civiltà: http://it.wikipedia.org/wiki/Lo_scontro_delle_civilt%C3%A0
Guerra preventiva: http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2003/3662/index_3662.html e poi selezionare Editoriale.

 

3-Lo stato dell’immigrazione in Italia
UN PAESE IN TRANSIZIONE
Un paese con una transizione avvenuta, con transizioni in corso e con una transizione che ancora deve farsi

di Graziano Battistella*
Parlare di transizione vuol dire spesso semplificare volutamente l’analisi di un fenomeno. La realtà, infatti, è sempre in evoluzione e non c'è qualcosa di cui non si possa affermare che stia cambiando, oppure per contrapposto notare che non si sta evolvendo. In pratica stabilità e cambiamento sono intrecciati e la diversità di accenti riguarda in genere la lunghezza di periodo che si prende in considerazione.

Il fenomeno migratorio
Per quanto riguarda le migrazioni, vi sono molti aspetti relativi alle cause, alle dinamiche, alle conseguenze e alla gestione che si possono considerare acquisiti, data l'ampia analisi delle migrazioni nell'Ottocento e nel Novecento. Contemporaneamente, non vi è, e forse non è possibile, una teorizzazione generale del fenomeno, capace di predirne gli sviluppi.
Pochi nei primi anni '70, ancora impegnati e descrivere lo sviluppo dell'emigrazione italiana, avevano predetto il rapido evolversi dell'immigrazione in questo paese. Le migrazioni, dunque, presenteranno sempre elementi di novità, per tanti versi imprevedibili. Ma osservare per capire gli sviluppi è necessario, se non si vuole rimanere impreparati, e la transizione può essere un accorgimento utile.
Naturalmente, le migrazioni non sono un fenomeno sociale a sé stante, ma sono il risultato e la componente della trasformazione che coinvolge il mondo intero, nelle sue varie dimensioni. È proprio questa multidimensionalità che rende complessa e difficile l'analisi, come pure è la diversità di provenienze e destinazioni che rende non immediatamente trasferibili le conclusioni cui si giunge.
In riferimento all'immigrazione in Italia, si può parlare di un paese con una transizione avvenuta, con transizioni in corso e con una transizione che ancora deve farsi.

La transizione avvenuta
È il passaggio dell'Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Se dire questo è ormai banale, non è banale constatare che la percezione del fatto e delle sue conseguenze non è avvenuta di pari passo o con la stessa condivisione e questo in particolare per quanto riguarda l'atteggiamento verso gli stessi immigrati.
Per qualcuno gli immigrati rimangono un fastidio sociale, magari anche utile, ma di cui i liberarsi appena possibile.
La transizione avvenuta indica invece, come già ampiamente detto da molti, che gli immigrati sono una componente strutturale della società e che quindi la gestione della convivenza (il vivere e lo stare insieme) va affrontata con i migranti, non contro loro o nonostante loro.

Le transizioni in corso
Queste riguardano la demografia, gli andamenti dei flussi e la partecipazione della comunità immigrata.
Non è tanto la transizione demografica che sta avvenendo (è già accaduta qualche decennio fa), ma la manifestazione evidente delle sue conseguenze: una componente sempre più importante di popolazione inattiva e una percentuale bassa di popolazione giovane. La conseguenza è che per il ruolo che svolge nelle due fasce estreme della piramide (il contributo all'incremento demografico e la cura degli anziani) l'immigrazione è da considerare non solo utile ma necessaria.
Per quanto riguarda i flussi, emergono due tendenze: gli arrivi dall'Est Europa potrebbero aver raggiunto un plateau che si manterrà attraverso un normale ricambio, mentre l'incremento avrà origine soprattutto dalle due regioni più popolose, Asia ed Africa.
Questo dà ragione in parte della transizione occupazionale degli immigrati, il cui inserimento lavorativo tende ad espandersi sulla base di nicchie occupazionali di origine etnica. Pertanto, molti rimangono inseriti nel lavoro dipendente di alcuni settori specifici (edilizia, agricoltura, lavoro domestico, assistenza), mentre cresce l'imprenditorialità di altri e non soltanto nel terziario.
L'altra transizione riguarda le dinamiche di arrivo, che sono sempre più determinate dalle reti sociali, piuttosto che dalla programmazione socio-economica dei flussi. Inutile dire che ci vorrà del tempo prima che l'ingresso e l'inserimento degli immigrati raggiunga un livello accettabile di normalità amministrativa. Dal punto di vista della partecipazione, sta diventando sempre più rilevante la seconda generazione di immigrati. Si tratta di persone che cercano e hanno bisogno di appartenenza. Questa appartenenza va articolata nel tessuto normale fatto di scuola, lavoro, casa, impegno civile e culturale e non può accontentarsi perché alcuni giovani stanno avendo successo nel mondo dello sport o dello spettacolo. Ritardare la loro partecipazione significa creare disadattamento e sprecare opportunità. I figli di italiani nati in America si sentono americani. Cosa si sentono i figli di immigrati nati in Italia?

La transizione che si deve fare
Quest’ultima riguarda la prospettiva in cui si articola la gestione delle migrazioni. Dopo il periodo dell'improvvisazione e dell'approssimazione si assiste ora al periodo della severità e delle misure drastiche, come se bastasse la voce grossa per far aumentare l'adesione alla legalità, trascurando l'impegno nell'area cruciale, che è quella dell'integrazione reciproca. Alla fine si constata che i proclami si sgonfiano, l'efficienza di gestione non ne guadagna e restano provvedimenti che rendono solo la vita più difficile agli immigrati e il clima di convivenza tra cittadini meno pacifico. Nessuno chiede che si condonino comportamenti illegali, neanche gli immigrati. Ma oltre al rispetto delle norme, occorre passare ad una gestione lungimirante dell'immigrazione, che faccia sentire fieri gli immigrati di vivere e lavorare in questo paese, e a una gestione umile, cosciente che le migrazioni sono una forza troppo grande e complessa per essere lasciata a qualche decreto.
* Scalabrini Int. Migration Institute
Sintesi da: Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2008, Edizioni Idos, Roma, p. 69-70.
http://www.caritasitaliana.it/pls/caritasitaliana/v3_s2ew_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=1090

Brani per la Lectio:
- Il giudizio finale (Mt 25,31.34-40)
- Prescrizioni morali (Lv 19,33-34)
- La circoncisione di cuore (Dt 10, 16-19)
- Raccomandazioni (Eb 13,1-4)

Domande per la R.d.V.:
- L’insicurezza che proviamo è un dato di realtà o è una percezione?
- Quali esperienze abbiamo avuto con immigrati?
- Come educhiamo i figli su questo tema?

4-UN FENOMENO EPOCALE

Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, è il fenomeno delle migrazioni [...]
Siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati [...] Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori [...]
I lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d'origine grazie alle rimesse finanziarie.
Questi lavoratori [...] non devono essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione.
Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 62
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate_it.html

5-STARE SUL CONFINE PER INCONTRARE GLI ALTRI

Ho sempre avuto una particolare predilezione per l'idea del confine. Forse questo accade a tutte le persone che non si sentono a proprio agio nel mondo e nel tempo in cui vivono... Forse accade anche - di amare il confine - a chi non si trova a proprio agio nemmeno con se stesso... Ma il confine non è solo la via di fuga per sognatori malinconici. È anche luogo di sfida, una modalità di conoscenza del mondo, di incremento dell'essere. Ed è questo, credo, che mi attira di più nell'idea di confine: le innumerevoli variazioni di cui è suscettibile...
Vi è infine un'ultima figura del confine che non possiamo trascurare: quella del margine. Stare sul confine significa anche questo: sostare su un margine, lontani dal centro, abitare una periferia... In ottica di giustizia umana non vi dovrebbero essere persone che vivono al centro e altre che vivono in periferia. Come non vi dovrebbero essere periferie del mondo...
Ma vivere sul margine può riservare possibilità impreviste. Lo sguardo si fa più nitido, non accecato dalla presunzione di pulsare nel cuore del mondo... Chi sosta nel centro, sovente, ha immagine e conoscenza solo di se stesso e del proprio limitato orizzonte. Per chi sta ai margini, la realtà acquista diverso sapore... Il confine, per chi voglia viverne l'esperienza, non è più soltanto una linea, ma uno spazio in cui esperire anche i confini degli altri... Un luogo in cui sostare, conoscere, incontrare. Un luogo in cui gustare anche le gioie dell'altro, oltre alle proprie. In cui piangere i dolori dell'altro, oltre ai propri... Sul margine sono possibili gesti di libertà. Sul margine il desiderio può farsi più largo, più generoso.
Penso inoltre che chi vive un'esperienza religiosa dovrebbe aver chiaro il valore della marginalità. Stare dove si è, senza ambire a diventare o rimanere potenti nel mondo, senza tremare se si viene spodestati. Essere nel mondo, senza al mondo appartenere (Gv 17,10-15).
Non è con l'ambizione di un potere che si impone che si renderà servizio a ciò in cui si crede. E non è salvando la propria centralità che si salverà la propria vita.
Gabriella Caramore
Sintesi da: La fatica della luce, Morcelliana, Brescia 2008, p. 17.35-38.
Notizie sull'autrice: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=1400&ID_sezione=81&sezione=
Notizie sul libro: http://www.morcelliana.it/or4/or?uid=morcelliana.main.index&oid=26916

 

6-Un particolare incontro tra culture
IL CASO DELLE "BADANTI"
Differenze linguistiche, culturali, alimentari si incontrano e si scontrano
e devono ricomporsi per rendere possibile la convivenza

di Guido Lazzarini
Una delle sfide che si presenta alla nostra società per i prossimi anni consiste nel ridurre il divario esistente tra aspettativa di vita totale delle persone e aspettativa di vita attiva, priva di disabilità. L'aumento degli anni di sopravvivenza si è tradotto, per una percentuale crescente di popolazione, in un aumento degli anni liberi da malattia, ma l'avanzare dell'età è inevitabilmente associato ad un peggioramento delle condizioni di salute anche se i ritmi del decadimento sono più lenti che in passato e variano da persona a persona.

Un welfare "fatto in casa"
Le famiglie si sono trovate sole di fronte a situazioni che richiedono un sostegno su più versanti: infermieristico, psicologico, assistenziale ed economico per cui sono ricorse ad una nuova forma di welfare "fatto in casa" assumendo un'assistente familiare, comunemente chiamata "badante", termine restrittivo e quasi indicativo di spregio, nel senso che una persona bisognosa non è da 'badare', ma da assistere, ha diritto ad un'assistenza che sia un "prendersi a cuore", compito importante, delicato e difficile.
Le condizioni di salute spesso peggiorano in tempi brevi, pertanto il ricorso all'assistente si presenta quasi sempre come un problema da risolvere rapidamente per far sì che la persona possa proseguire la vita in casa propria, anche nella condizione di non autosufficienza. L'assistente familiare permette all'anziano di vivere in continuità col passato e col futuro e di non affrontare un passaggio traumatico come l'abbandonare la propria casa per andare a vivere in casa dei figli o in casa di riposo e, contemporaneamente, permette ai figli di mantenere la propria routine di vita e di lavoro.
Molte famiglie ritengono di poter delegare l'assistenza totale del proprio caro, a livello fisico e psichico, alla badante. I familiari, eventualmente, si 'giustificano' dicendo che si fidano della badante perché, nella ricerca per individuare la persona giusta per il proprio anziano hanno usato il 'passa parola' tra amici e parenti che hanno già fatto tale esperienza.

Cosa si chiede alla badante
Dalle nostre indagini svolte in Piemonte risulta che alla badante i parenti chiedono innanzi tutto l'onestà, in quanto si è consapevoli di affidarle la totale gestione di una persona cara (salute, alimentazione, igiene ed anche il denaro occorrente per le spese quotidiane e la conduzione della casa); poi anche pazienza, capacità di adattamento, attenzione, abilità a livello infermieristico, talvolta senza restituirle stima per il suo impegno, cordialità o addirittura rispetto del contratto di lavoro.
In altre situazioni si verifica, invece, un felice passaggio dalla diffidenza alla fiducia e un rilevante coinvolgimento affettivo della badante nei confronti della persona assistita, vissuta quasi come un proprio genitore e dei familiari, considerati amici, più che datori di lavoro.
Normalmente la famiglia ritiene necessaria la convivenza dell'assistente familiare con l'anziano in modo continuativo, sia di giorno sia di notte, ma in questa situazione è rilevante anche la condizione abitativa: il 33% non dispone di una stanza propria. In questa situazione la badante non ha mai un momento di 'intimità' e non può mai riposare, di notte, in modo continuativo: questa situazione pesa sulla sua salute e aggrava ulteriormente, in modo significativo, la situazione lavorativa, già oggettivamente pesante, che queste persone vivono.
Il lavoro di cura in casa è un aiuto agli anziani e alle famiglie, ma spesso chi è coinvolto non è consapevole delle implicanze culturali e relazionali che ciò comporta.

Uno strumento di integrazione
Si realizza, infatti, uno scambio interculturale tra le assistenti familiari straniere, le famiglie e gli anziani: differenze linguistiche, culturali, di abitudini alimentari si incontrano e scontrano e devono trovare una ricomposizione che renda il più serena possibile la convivenza.
Quest'esperienza ha un forte valore di integrazione e dimostra come ciò sia possibile ogni qualvolta esista un rapporto personale diretto, pur nella fatica dell'accettazione reciproca e sebbene, spesso, sia l'assistente a dover assumere in toto la lingua e le abitudini, soprattutto alimentari, dell'assistito ed anche adattarsi a relazioni intrafamiliari diverse da quelle che ha vissuto nel proprio Paese d'origine dove, di norma, l'atteggiamento culturale verso gli anziani è molto diverso dal nostro…
È del tutto incomprensibile, per molte di loro, che qui gli anziani non siano considerati depositari della 'sapienza della vita' e che, quindi, i figli non se ne occupino direttamente, anche se proprio grazie a questo diverso nostro modo di vedere si sono aperte, per loro, ampie opportunità di lavoro.
guido.lazzarini@unito.it
Tratto da: Lazzarini G., Santagati M., Bollani L., Tra cura degli altri e cura di se, Franco Angeli, Milano 2007.
http://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.asp?ID=15391&Tipo=Libro&strRicercaTesto=&titolo=tra+cura+degli+altri+e+cura+di+se%2E+percorsi+di+inclusione+lavorativa+e+sociale+delle+assistenti+familiari

Interviste a badanti

 

7-METTERSI IN CASA DEGLI ALBANESI!

Era il 1996 e mia madre aveva bisogno di assistenza continua. Ho dovuto ricorrere ad un aiuto per non lasciarla sola neppure di notte.
Le volontarie della Parrocchia, cui mi ero rivolta, mi hanno presentato una famiglia di Albanesi. Era composta da una giovane coppia con un bimbetto di tre anni e la mamma della giovane moglie. Abitavano vicino all'abitazione di mia mamma. Questo facilitava il lavoro. Madre e figlia mi garantivano la presenza giorno e notte alternandosi.
Sono andata all'Ispettorato del Lavoro per la regolarizzazione. Ricordo come fosse adesso lo sguardo sbalordito dell'impiegato e la frase che mi ha detto: "ma lei è matta a prendersi in casa una famiglia di albanesi!". Sono uscita un po' preoccupata. Pensavo tra me e me: "eppure mi sembrano delle brave persone. Anche il marito di Arta mi è sembrato un gran lavoratore…".
Le ho viste molto attente a tutti i bisogni di mia madre ma ho anche scoperto che avevano molti pregiudizi sull'Italia.
L'avevano conosciuta, come avevano imparato l'italiano, dalla televisione italiana che vedevano in Albania e si erano fatta l'idea che l'Italia fosse un paese di ricchi. Quando hanno visto come era la nostra vita, decorosa, ma modesta quasi non credevano ai loro occhi.
La madre, oltre a lavorare la notte da mia madre (la quale dormiva quasi tutta la notte e quindi la lasciava riposare), al mattino si recava presso un'altra famiglia per assistere qualche ora un'altra anziana.
La figlia, invece, faceva fatica ad osservare gli orari. Dovevo sovente riprenderla e ragionare con lei sull'importanza di rispettare orari ed impegni. Era una ragazza intelligente e dopo un po' è divenuta precisa. Aveva un diploma di scuola media superiore conseguito in Albania. L'ho quindi aiutata nella ricerca di una lavoro. Ha deciso di fare un corso di operatore sanitario all'Ospedale vicino casa. Si è molto impegnata nell'esame di ammissione e poi al corso. Terminato il quale ha subito trovato lavoro.
Mia madre è mancata poco prima che Arta iniziasse il corso. Ma Arta e sua madre mi hanno detto che in mia mamma avevano trovato una loro mamma e nonna. Il rapporto tra di noi non è mai cessato. Sono passati sette anni dalla morte di mia madre, ma l'amicizia non è mai venuta meno.
Mi sarebbe piaciuto ritornare all'Ispettorato del Lavoro e spiegare a quell'impiegato com'è la famiglia albanese "che mi sono messa in casa"!
Giuseppina Ganio Mego
Per saperne di più sugli albanesi in Italia: http://albanianews.it/

8-BADANTI E PERMESSI

Più di un anno fa è mancata mia mamma e abbiamo dovuto trovare una sistemazione per mio padre (di 95 anni). Abbiamo deciso di prenderlo in casa con noi e abbiamo assunto una signora extracomunitaria "part time" per aiutarci ad accudirlo.
Questa signora è entrata in Italia con la figlia per ricongiungersi al marito, dotato di regolare permesso di soggiorno. Ma per quasi un anno, fino a quando non l'ha avuto anche lei, le è stato impossibile regolarizzare qualsiasi rapporto di lavoro.
Era in Italia, parlava e capiva bene l'italiano, la figlia frequentava la scuola statale, aveva il codice fiscale ma non poteva lavorare!
Francesco

9-TORNARE A CASA?

La nostra collaboratrice familiare è una peruviana che è in Italia con il marito e il figlio di otto anni, e sono entrambi regolarizzati.
Come vedono l’Italia? Entrando in confidenza con lei ho scoperto che marito e moglie hanno prospettive diverse. Per lei l’Italia è ormai il suo Paese, sente bisogno di integrazione, vuole per il figlio un avvenire qui da noi. Per lui l’orizzonte resta il Perù.
È molto legato alla comunità peruviana locale, mantiene forti legami con i suoi parenti lontani e sogna, messo da parte un gruzzoletto, di tornare "da signore" in patria. Questi sogni, con la crisi attuale, sono stati messi nel cassetto ma domani?
Paola

 

10-UNA COPPIA, DUE MONDI
I matrimoni inter "qualcosa": nuove realtà familiari di cui si conosce poco o nulla

di Barbara Ghiringhelli
Bi-nazionali, inter religiosi, inter confessionali, inter etnici, inter razziali: ecco i nuovi matrimoni all'italiana.
Da alcuni considerati di "serie B", scelte di interesse o di rimedio, scelte di devianza o solidali, oppure pura seduzione del "diverso". Da altri invece letti come testimonianze della nuova società multietnica e della possibile convivenza tra tradizioni, culture, religioni diverse: perfino unioni costruttrici di pace.
In quasi dieci anni di coordinamento di un consultorio per famiglie inter etniche e in 13 anni di studio e ricerca della realtà coniugale e familiare mista (bi-nazionale, inter religiosa, inter etnica…) tante sono le dichiarazioni, i divieti, le concessioni e le eccezioni incontrate a livello familiare, sociale e giuridico di fronte a scelte matrimoniali miste.
Chi come me si occupa di coppie e famiglie miste vede recuperata in questi matrimoni la dimensione di "fatto sociale totale" dell'unione tra due persone, spesso invece relegata ad affare privato e impresa personale.
Qualche studioso l'ha anche detto: "La coppia mista non ha diritto all'indifferenza". Cosa che a pelle ci sembra bella, ma che in realtà in questo caso cela un interesse che troppo spesso si esaurisce nelle reazioni che esse suscitano per il loro essere "strane", "esotiche"…
Il risultato è che oggi poco o nulla si conosce sulla realtà familiare mista che vive nel nostro paese, delle sue specificità e caratteristiche: e ancor meno ci si interagisce. Eppure dovrebbe interessare un po' di più occuparsi di quella relazione che viene definita da psicologi, antropologi, sociologi come "vero laboratorio inter culturale, in quanto il confronto con "l'altro" non è teorico, bensì reale e quotidiano" [...]

Per le coppie coinvolte
Vorrei ora dire una cosa direttamente alle coppie: la mia esperienza mi porta a dire che la conoscenza del mondo dell'altro - in termini di tradizioni, usi, costumi, leggi, religione, modalità comunicative - vi aiuterà nel cammino.
Conoscere significa accogliere l'altro nella sua pienezza, aiuta a non perdere la propria identità, a sviluppare una maggiore competenza nel prendere le decisioni e nel gestire i conflitti, a sviluppare relazioni soddisfacenti con le rispettive famiglie d'origine, a rispondere alle comunità, a mantenere una genitorialità condivisa anche se non si è più coppia.

Per gli operatori
Una seconda cosa la vorrei dire agli operatori di servizi alla persona e per la famiglia: anche se banalizzata, sottovalutata, annullata e quindi non gestita dalla coppia, la differenza prima o poi si manifesta.
Tante volte ho visto quanto la diversità culturale, religiosa e di ordinamento giuridico può incidere nella vita quotidiana di queste coppie, indipendentemente dalla loro consapevolezza a riguardo.
Gli operatori però ne devono essere consapevoli! Tante sono quindi le indicazioni che portano a riconoscere la necessità di un maggior studio di tali matrimoni (è stato scritto veramente poco, e quel poco soprattutto sulla coppia italo-nordafricana o islamo-cristiana), ma anche la necessità di progettare politiche e implementare servizi e azioni servizi e azioni (sociali, legislative, pastorali) capaci di rispondere alle specificità di tali famiglie.
Bisogna partire innanzi tutto da interventi di formazione, informazione e sensibilizzazione sulle nuove famiglie e sul lavoro che è possibile attivare per loro, ma anche per i servizi che vi entrano in contatto.

Per la società
Un'ultima cosa la dico a noi, in quanto "società", italiani e stranieri: trattando gli altri con dignità si guadagna il rispetto di se stessi. La diversità va riconosciuta per la sua differenza, e non connotata di inferiorità perché ha caratteri non uguali all'identità di chi l'osserva. Si può fare.
Sintesi da: Vita.it, 16/06/2006: http://beta.vita.it/news/view/57872

11-I MATRIMONI ISLAMO-CATTOLICI

di Stefania Garini
Secondo l'ultimo Dossier Statistico Caritas sull'Immigrazione, le unioni miste sono in costante aumento, e in soli 10 anni risultano raddoppiate. Per gli uomini italiani che sposano straniere (l'80% dei matrimoni misti), in un caso su due la moglie viene dall'Est Europa, soprattutto Romania e Albania; per le italiane, in un caso su tre il marito straniero è africano (Senegal, Tunisia, Marocco).
Molto rari sono i matrimoni tra uomini italiani e donne musulmane, a causa del divieto del diritto islamico, che invece permette le nozze tra donne cattoliche e musulmani.
Tali unioni, più diffuse, possono però rivelarsi problematiche, specie se i coniugi vanno a risiedere nel paese d'origine del marito, dove leggi e usanze sono spesso incompatibili con lo stile di vita e di matrimonio occidentale: come la totale sottomissione della donna, l'autorità paterna sui figli, la poliginia (il Corano consente un massimo di quattro mogli più le concubine, anche se la pratica è in regresso), il diritto di ripudio da parte del marito, e persino le pratiche funerarie.
Le nozze contratte in Italia hanno validità solo nel nostro paese, ma la loro diffusione può diventare un importante strumento di integrazione e dialogo interculturale. E l'intero fenomeno migratorio può costituire, come sostiene il coordinatore del Dossier Caritas, Franco Pittau: "una fase provvidenziale per conoscersi tra diversi e comprendersi".
Tratto da: Volontari per lo sviluppo, agosto/settembre 2006, p. 54.
Il sito della rivista: http://www.volontariperlosviluppo.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=43&Itemid=63
Matrimoni islamo-cattolici: http://www.centro-peirone.it/Alhiwar/1999/6_99/alhiwar699_11.htm#10

 

12-LA FAMIGLIA IMMIGRATA
La famiglia, comunque si declini, ha ovunque la funzione di "produrre" ed educare i nuovi membri della società

di Roberta Ricucci
La famiglia è oggi un tema chiave per il confronto e l’analisi del processo migratorio. Il processo migratorio da temporaneo è ormai diventato definitivo e la famiglia è sempre più un elemento strutturale della popolazione straniera. Lo confermano anche i nuovi flussi di arrivo: i ricongiungimenti familiari negli ultimi anni hanno costituito la principale via d’ingresso regolare in Italia, subito dopo il lavoro.

Il valore della famiglia
La famiglia, in un contesto di migrazione, incide sulla stabilizzazione dei migranti di prima generazione. Il ricongiungimento o la formazione di un gruppo familiare in emigrazione, procrastina - quando non esclude definitivamente - il ritorno al paese d’origine. Si passa così da una situazione di tendenziale invisibilità sociale ad un rapporto più intenso con il paese d’accoglienza.
Studiare la famiglia in emigrazione è importante per i suoi riflessi sulla società di accoglienza, che va accompagnata nel decodificare i mutamenti in corso nella popolazione immigrata, spesso presentata come un monolite da parte dei media, che ne accentuano l’aspetto più precario, emarginato e pericoloso. Riflessi che gettano luce anche sul futuro: le prossime generazioni nate in Italia saranno formate da una quota sempre maggiore di cittadini stranieri (se non sarà cambiata la legge sulla cittadinanza) o da cittadini di origine straniera.
È difficile dare una definizione di famiglia poiché la sua rappresentazione varia a seconda della cultura considerata. Vi sono comunque alcune funzioni comuni a ogni contesto socioculturale come quella di "produrre" i nuovi membri della società e di trasmettere valori, norme e comportamenti (in senso ampio "cultura") alla generazione successiva.

I percorsi dei migranti
In ogni progetto migratorio chi si muove è inserito in un contesto familiare che determina diversi profili migratori.
Vi è chi parte con un vero mandato familiare, chi per trovar fortuna, chi forzato da motivi esterni gravi, chi fugge per sottrarsi a valori non condivisi.
Vi sono percorsi tipicamente maschili, dove l’uomo è l’anello forte della catena migratoria e la donna raggiunge in seguito il marito (p.e. da Maghreb e Cina), e percorsi tipicamente femminili (p.e. da Capo Verde, Filippine, Perù, Polonia, Ucraina) dove avviene il contrario.

I malesseri della famiglia
La ricomposizione della famiglia del migrante nel nuovo contesto non è scevra da malesseri e turbamenti.
Gli sposi, quando si ricongiungono, possono aver maturato differenze culturali troppo ampie. È soprattutto il caso dei percorsi al femminile, dove il marito che arriva si trova "gregario" della moglie poiché il suo ruolo di capo famiglia viene, di fatto, messo in discussione. Chi si ricongiunge, adulto o minore, patisce maggiormente la retrocessione sociale in cui si viene a trovare nel nuovo paese, insieme alla sua scarsa conoscenza della lingua.
Questo rende più difficile l’inserimento sia nella scuola sia nel lavoro e ostacola l’integrazione nel nuovo sistema sociale.
C’è, in ultimo, la precarietà giuridica in cui si trovano le famiglie che chiedono asilo o che si sono ricongiunte.
Il permesso di soggiorno temporaneo è un elemento che ha un ruolo destabilizzante e ansiogeno nei rapporti familiari e non.
Sintesi dal libro: Generazioni in movimento, EGA, Torino 2008, p.51-61.
http://www.egalibri.it/catalogo/Strumenti.asp, selezionare "Studi e ricerche" e poi ricercare "Generazioni in movimento".

 

T E S T I M O N I A N Z E

13-IL "SUCCHIAGOMME"
Quando la fiducia è mal riposta

Per la nostra famiglia, il confrontarci con persone provenienti da ogni angolo del mondo è sempre stata un'occasione per allargare i nostri orizzonti e per constatare come la diversità sia un arricchimento e non una limitazione.
Ma a volte si fanno anche esperienze negative.
Da circa 15 anni un ragazzo proveniente dalla Costa d'Avorio frequenta la nostra parrocchia ed è stato accolto con grande generosità da molti.
Il nostro parroco gli ha trovato più di un lavoro e la gente ha sempre risposto alle sue molteplici richieste di aiuto di aiuto, soprattutto di denaro, anche se si sono fatte col tempo sempre più incalzanti.
Nel rispetto della sua diversa cultura abbiamo soddisfatto anche richieste piuttosto singolari, ad esempio quando abbiamo scoperto che in Africa doveva mantenere diverse mogli, ed a volte la nostra comunità si è divisa tra il desiderio di dimostrarsi solidale e la perplessità di fronte ad abitudini e mentalità così diverse dalla nostra.
Tre anni fa ci ha sottoposto il suo progetto di avviare un laboratorio di sartoria in Costa d'Avorio provocando una spaccatura tra chi voleva appoggiarlo e chi sosteneva che sarebbe stato l'ennesimo buco nell'acqua.
Alla fine si è deciso di offrirgli quest'ultima opportunità e la comunità ha "sponsorizzato" l'iniziativa con una somma di denaro piuttosto consistente.
In cambio gli è stato chiesto di tenerci sempre aggiornati sull'andamento dei lavori e di mandarci notizie dettagliate.
A distanza di tre anni purtroppo dobbiamo riconoscere che la nostra fiducia è stata mal riposta, dato che poco o niente pare sia stato fatto e le nostre richieste di notizie sono regolarmente cadute nel vuoto.
Paola e Fernando Longo

14-Una sfida per la comunità ecclesiale
LE FAMIGLIE IMMIGRATE

Ho molto a cuore l'impegno per i migranti e da tempo sto cercando di promuoverlo nelle realtà in cui mi sono trovata.
Porto la mia esperienza in primo luogo come madre di famiglia, anche io emigrata per 18 anni da Roma in Emilia a seguito del matrimonio con un modenese (spesso affermo che anch’io faccio parte di una coppia mista!). In secondo luogo come membro, insieme a mio marito, del Movimento laici missionari scalabriniani, realtà che si occupa da diverso tempo di migrazioni, e in terzo luogo come formatrice interculturale, professione che è cresciuta con lo sviluppo della realtà multietnica in Italia, ormai da almeno 30 anni paese di immigrazione.
Una nuova evangelizzazione e l'immigrazione sono "sfide di oggi per la comunità ecclesiale". Lo affermavo 15 anni fa e lo ribadisco ancora oggi perché queste sfide sono state raccolte da pochi.
La realtà migratoria è per la nostra comunità ecclesiale un segno dei tempi e una grossa occasione di conversione e rinnovamento. Dovremmo saperla cogliere; particolarmente in questo periodo in cui si discute tanto di accoglienza e respingimenti.
Ma come coglierla se non la conosciamo, non la facciamo conoscere, non creiamo occasioni di incontro e scambio stimolante da ambedue le parti?
Quanto conosciamo la realtà delle famiglie immigrate presenti nella parrocchia, nel quartiere, nella Diocesi in cui viviamo? E fino a che punto la conosciamo?
La conosciamo perché vediamo qualcuno di loro per strada o magari in chiesa o perché i dati statistici affermano che ci sono molti immigrati nella nostra zona? O, magari, perché alcuni di loro vengono al nostro centro d'ascolto per cercare lavoro o per risolvere altri problemi economici ? Quanto influiscono su questo le immagini negative presentate dalla cronaca nera?
Sono solo pochi spunti, ma oggi forse c'è bisogno anche di questo…
Cinzia Sabbatini
Sito scalabriniani: http://www.scalabrini.org/index.php?option=com_alphacontent&view=alphacontent&Itemid=345&lang=it

15-Testimonianze dal "campo"
UN MIGRANTE GENEROSO

Al centro Caritas Parrocchiale di Trecate (NO) si tocca con mano il forte aumento del fenomeno dell'immigrazione, tanto da poterlo considerare uno specchio della situazione che esiste a livello nazionale.
Nuclei familiari interi, donne sole o con bambini, uomini che hanno lasciato la loro famiglia nel paese di origine, provenienti da svariate parti del mondo, si rivolgono ogni sera al Centro di Ascolto o di distribuzione degli indumenti: tante storie, una diversa dall'altra ma che hanno in comune una cosa sola, e cioè la speranza di migliorare la propria esistenza e quella della propria famiglia, garantendo almeno il minimo indispensabile per sopravvivere.
Tante storie, che ogni sera i volontari che prestano il loro servizio in Caritas accolgono, anche solo donando loro un momento di attenzione.
Storie che raccontano di situazioni alcune davvero difficili e altre che hanno avuto un lieto fine come quella di quell'ingegnere pakistano che circa quattro anni fa lascia la sua terra con la moglie e i loro quattro figli perché non trova lavoro.
Arrivato chissà come a Trecate, si rivolge alla Caritas per essere aiutato con generi alimentari e indumenti. Nel frattempo trova un lavoro, anche se non definitivo, ma alla fine riesce a sistemarsi con un'occupazione sicura che gli permette di mantenere in maniera decorosa la propria famiglia.
La cosa straordinaria di questa storia sta nel fatto che, una volta raggiunta una certa stabilità economica, questo signore si è preso l'impegno di donare mensilmente alla nostra Caritas generi alimentari a lunga scadenza per un valore pari al 3% del suo stipendio mensile, impegno che puntualmente rispetta.
Antonio Banfi

16-MONDOVÌ: FESTA DEI POPOLI
Tempi difficili per gli stranieri e le famiglie

Musica e danze da tutto il mondo, gastronomia multietnica, partecipazione, impegno, educazione delle giovani generazioni, solidarietà: sono questi gli ingredienti che ormai da parecchi anni contribuiscono a dare vita alla Festa dei Popoli, a Mondovì (CN).
L'edizione 2009 però ha avuto una gestazione un po' travagliata. "Quest'anno non c'è nulla da festeggiare", dicevano gli immigrati alle riunioni preparatorie.
Perché questi sono tempi difficili: per tutti, ma soprattutto per gli stranieri che vivono in Italia. Sono tempi di grave crisi economica, che pesa di più su chi ha un lavoro precario e su chi lavora nell'industria. Tempi di licenziamenti e cassa integrazione. E sono i tempi della paura del diverso fomentata ed utilizzata dalla politica: sugli immigrati vengono riversare le colpe di tutti i problemi italiani. I tempi in cui uno straniero non ha più nemmeno voglia di uscire da casa perché si sente "guardato male".
Cosa c'entra tutto questo con il tema caro a questa rivista, ovvero "la famiglia"? Non sono forse famiglie quelle degli immigrati, per i quali sono sempre più difficili i ricongiungimenti a causa delle nuove norme del "pacchetto sicurezza"? O quelle che tornano a dividersi, perché per la crisi economica i padri sono costretti a mandare in patria mogli e figli (talvolta nati in Italia), perché qui è diventato impossibile mantenerli? Si parla molto di difesa della famiglia, ma forse si intende solo quella italiana e benestante...
La Festa dei Popoli, infine si è deciso di farla ugualmente. Servono segnali di speranza. Noi italiani e immigrati dobbiamo dirci che non abbiamo paura gli uni degli altri. Dobbiamo far vedere alla città che la convivenza è possibile, anzi è fonte di arricchimento per tutti. Dobbiamo mostrare e credere in un'appartenenza comune a una città in cui c'è posto per tutti e in cui i nostri figli possano avere un futuro degno insieme, e non divisi da muri fatti di diffidenza.
Claudio Boasso
Per foto e commento:  http://mondoqui.wordpress.com/festa-dei-popoli-2009/

 

17-I figli degli immigrati
SONO ITALIANI OPPURE NO?
Volevamo delle braccia, sono arrivate delle persone

di Roberta Ricucci
Il tema delle seconde generazioni rappresenta non solo un punto cruciale dei fenomeni migratori ma anche, per le società riceventi, una sfida per la loro coesione sociale.
Con i ricongiungimenti familiari, l’arrivo di minori nati altrove, la nascita di figli nati nel Paese d’insediamento, vengono alla ribalta alcuni nodi fondamentali per l’integrazione sociale, che erano occultati finché si trattava di immigrati di prima generazione.
Con le seconde generazioni si formano minoranze etniche che iniziano a interrogarsi su quesiti come la parità di trattamento, il diritto a mantenere la propria identità culturale nonché a rivendicare spazi di autonomia.

La famiglia
Tutti i membri della famiglia immigrata, sia genitori che figli, sono coinvolti in un processo di cambiamento con tensioni ambivalenti nei confronti del paese d’origine e di quello di accoglienza.
Con l’inserimento scolastico e l’acquisizione della lingua, le distanze tra genitori e figli possono aumentare, creando situazioni ambigue, sia per l’autorità genitoriale (sovente in crisi per la condizione sociale) a fronte della nuova autorevolezza dei giovani (forti della competenza linguistica e culturale) sia per la fedeltà alle proprie origini e tradizioni.

La scuola
Da sempre importante agenzia di socializzazione, la scuola è stata tra i primi soggetti a doversi ripensare a fronte del processo migratorio.
Ad essa è toccato il compito di sperimentare politiche multiculturali e quello di accompagnare l’allievo straniero nel suo percorso di inserimento nel Paese ospitante.
L’esperienza migratoria, infatti, può essere traumatica per l’adolescente. Le cause sono molte: lo sradicamento dalla società di origine, genitori che non si vedono da anni, condizioni socioeconomiche e abitative più modeste.

L’identità
Il problema dell’identità, comune ad ogni migrante, diventa più preoccupante nel periodo dell’adolescenza e può evolvere in aggressività: o verso se stessi (passività) o verso gli altri (criminalità). Per l’adolescente straniero la costruzione della propria identità è doppiamente difficile, perché alle difficoltà tipiche dell’adolescenza si affiancano le difficoltà di essere straniero.
Riferimenti: Olivero F., Ricucci R., Generazioni in movimento, EGA Editore, Torino 2008. http://www.egalibri.it/catalogo/Strumenti.asp, selezionare "Studi e ricerche" e poi ricercare "Generazioni in movimento".

Interviste a giovani delle seconde generazioni

18-A SCUOLA SENZA SAPERE L’ITALIANO
Serve tempo, pazienza e tanta buona volontà

Nella mia esperienza di insegnante di Scuola Primaria, ho avuto la possibilità di aver a che fare con decine di bambini e famiglie delle più diverse estrazioni culturali e sociali oltre che di differenti provenienze geografiche; infatti la scuola dove insegno si trova in un paese che, negli anni, ha avuto un'espansione piuttosto significativa anche grazie all'immigrazione da Paesi stranieri. Di conseguenza capita spesso che nelle classi vengano inseriti, a volte anche ad anno scolastico già iniziato, alunni stranieri provenienti direttamente dai Paesi d'origine e che, pertanto, non parlano né capiscono l'italiano.
La prima reazione di fronte alla notizia "dalla settimana prossima un bambino proveniente da..... arriverà nella tua classe! Non sa nulla di italiano!" generalmente è abbastanza negativa: un inserimento in un gruppo di bambini con dinamiche ormai consolidate non è mai una cosa semplice e, in questi casi, a tutte le altre preoccupazioni si aggiunge anche il fatto di come fare a far comprendere al nuovo arrivato le lezioni didattiche che non possono certo essere fermate per dedicarsi esclusivamente all'insegnamento dell'italiano all'ultimo arrivato.
Fortunatamente però, i bambini hanno una grande capacità nel fare amicizia con i coetanei superando ogni ostacolo linguistico e questo facilita l'inserimento iniziale; per il resto occorrono tempo, pazienza, impegno e tanta buona volontà sia da parte degli insegnanti che dei bambini. Solo così è possibile una completa integrazione e il raggiungimento di buoni risultati didattici.

Il bambino rumeno
Qualche anno fa nella mia classe, una quarta, è arrivato un bambino rumeno che non parlava italiano e che capiva appena qualche parola perché la mamma lavorava già da un paio di anni in Italia. L'ho subito affiancato a un compagno che aveva genitori provenienti dalla Romania e che quindi l'avrebbe aiutato a capire qualcosa in più di quello che le maestre dicevano. Il nuovo alunno in breve tempo ha imparato l'italiano meglio di alcuni compagni che, invece, faticavano ad imparare i verbi.
Alla fine della quinta, in un testo in cui i bambini dovevano raccontare un giorno del loro percorso scolastico, questo alunno ha parlato del suo primo giorno di scuola in Italia. Così ho scoperto che il compagno che gli era stato affiancato non sempre era in grado di tradurre e che lui si era divertito ad immaginare cosa le persone intorno a lui dicessero. Dal primo giorno si era dato da fare per imitare quello che i compagni facevano e dicevano e che ognuno di loro, a volte inconsapevolmente, lo aveva aiutato.
Sono così venuta a sapere che i progressi ottenuti in breve tempo non erano dovuti al fatto di avere in classe un bambino nato in Italia che sapeva il rumeno, ma alla "fortuna" di avere ventidue compagni che si davano da fare per far sentire l'ultimo arrivato come fosse sempre stato un membro della classe.
Elena Magni

19-Il nostro passato ha molti punti in comune con le esperienze attuali di molti altri Paesi
I RACCONTI DELLA NONNA

Anni fa, nel prendermi cura delle mie nipotine, avevo scoperto un bel gioco: raccontavo loro episodi della mia infanzia e della vita di mia madre che la maggiore riproduceva con un disegno. Fu così che un giorno decisi di pubblicare il tutto in un libro.
Questo libro è stato molto apprezzato da diverse insegnanti che mi chiamano per leggere questi racconti ai bambini e a discuterne con loro.
Ho così scoperto come questi racconti si prestino all'educazione del rispetto degli altri e allo sviluppo della solidarietà tra i popoli.
Alcuni racconti che descrivono la vita in campagna durante la guerra, o l'organizzazione delle case rurali dell'inizio secolo scorso con il pozzo per attingere l'acqua per gli usi domestici, il lavoro precoce dei bambini, hanno fatto prendere coscienza ai bambini italiani che le nostre radici si fondano su un tessuto sociale sovente povero, dove però emerge una capacità dei contadini di aiutarsi, come pure dei padroni terrieri di sfruttare adulti e bambini.
Questi fatti hanno però colpito anche i bambini che arrivano da noi provenienti dall'Est europeo, dall'America latina, dall'Africa.
Ricordo, quale esempio, il bimbo bulgaro che si mette a raccontare che lui andava con la sua mamma a prendere l'acqua al pozzo e "camminava tanto". O il bambino peruviano che dice a tutti che la sua mamma a otto anni è andata a lavorare a Lima da una famiglia ricca.
Mentre i bambini mi fanno domande di approfondimento sui racconti e gli stranieri raccontano le loro esperienze, io e le maestre guardiano i loro occhi, i loro sguardi che si posano sui volti dei compagni. I loro sguardi sono mutati dall'inizio dell'incontro.
Ora si guardano con occhi nuovi. Le maestre, molto attente, li accompagnano nel riflettere come le nostre storie si assomiglino. Cento o sessanta anni fa nelle nostre campagne, in molte nostre case si viveva come ora i bimbi che arrivano da altri paesi ci raccontano. Abbiamo molto in comune. Noi italiani abbiamo fatto un percorso che ora stanno facendo anche i Paesi dai quali provengono i nuovi compagni di scuola.
I bambini paiono illuminarsi. Non si sentono più "diversi". I bambini stranieri hanno potuto raccontare la loro storia che hanno sempre taciuto per vergogna.
È stato l'incontro con la storia della nonna italiana che ha permesso loro di uscire allo scoperto. Non doversi più vergognare della loro povertà.
Gli alunni italiani hanno capito che come i loro nonni hanno faticato ma si sono sollevati, così sarà anche per i loro compagni. A loro ora tocca di accogliersi ed aiutarsi reciprocamente.
Giuseppina Ganio Mego
Per saperne di più sul libro:
http://www.libreriadelsanto.it/libri/9788874021949/racconti-di-una-nonna-frammenti-di-vita-nella-campagna-astigiana-negli-anni-1942-52.html

 

20-Ero straniero e mi avete ospitato (Mt 25,35)
IL "DECALOGO" DI UN ARCIVESCOVO SUL FENOMENO IMMIGRAZIONE

Di Enrico Masseroni*
C'è una diffusa inquietudine attorno al fenomeno "immigrazione". Se ne parla ovunque, a tutti i livelli: e con le parole tornano le domande: è utopia il coniugare insieme immigrazione e solidarietà o ciò fa parte del più elementare realismo evangelico?
Siamo ancora in un regime del sospetto o stiamo entrando pacificamente in una convivenza accogliente della sua multietnicità?
Mentre il dibattito è aperto anche nelle sedi più alte del mondo politico, non è fuori luogo una sorta di decalogo per illuminare le coscienze dei credenti e degli uomini di buona volontà. D'altra parte, il fenomeno immigrazione esiste, sta sotto gli occhi di tutti: da una parte si sta imponendo il bisogno di manodopera immigrata per l'agricoltura mediterranea, per l'impresa edilizia, per il basso terziario, per l'industria e l'assistenza; dall'altra, balza pure all'occhio la violenza consumata dagli immigrati, che non mancano di creare una grave turbativa nell'ordine pubblico e aggravano il disagio sociale della gente. Parole come "sicurezza", "legalità" stanno sulla bocca di tutti: fanno parte del pacchetto delle promesse elettorali di ogni schieramento politico; ma hanno bisogno di essere sdoganate con vera saggezza politica. Sono il pane del bene comune: sono al primo posto nelle attese di una società civile. Al punto di provocare opinioni contrastanti e non sempre coerenti con il messaggio evangelico di Matteo: "Ero straniero e mi avete ospitato" (Mt 25,35).

1. Pertanto - ed è il primo punto luce -, va ricordato un dovere preciso della chiesa che voglia essere stella polare per le coscienze del credenti: essa è sentinella vigile di tutti i valori e in particolare di quelli non negoziabili, che ruotano attorno alla sacralità intangibile della persona; essa richiama il comandamento dell'amore accogliente e affida soprattutto ai laici la responsabilità delle scelte concrete capaci di calare nella storia i grandi valori enunciati. Così tocca alla chiesa il giudizio etico circa la coerenza tra scelte concrete e principi proclamati.
2. Tocca pure ai laici preposti al governo del bene comune il dovere di salvaguardare il bene della propria identità storica e culturale; il bene della libertà al plurale, in cui va inclusa la libertà datrice di senso qual è la libertà religiosa. Un'autentica convivenza civile e solidale garantisce le differenze e le mette in dialogo, senza annullarle. [...]
3. Ogni straniero, rispettosamente accolto, deve rispettare le regole dello stato in cui immigra. La nostra gente è giustamente allarmata di fronte al fatto che la presenza degli immigrati di diverse religioni diventi il pretesto per azioni volte a rimuovere il crocifisso dalle pareti delle nostre scuole.
4. Ogni popolo deve promuovere una cultura dell'accoglienza, soprattutto se radicata sul terreno dei valori della gratuità e dell'amore cristiano: senza dimenticare le stagioni della nostra storia, in cui anche noi siamo stati emigranti in terra straniera, sia verso l'Europa sia verso le Americhe. Il movimento migratorio non è "ad tempus": appartiene alla stessa natura dell'uomo sin dai tempi biblici; e l'accoglienza appartiene alla natura relazionale e ospitale della persona umana. [...]
5. È urgente pertanto promuovere una cultura dell'integrazione, a partire dalla scuola, là dove la nuova didattica sa trasmettere, con intelligenza, i valori culturali e religiosi di tutti, e sa mettere in dialogo le differenze. [...]
6. In fatto di immigrazione l'attenzione alla famiglia costituisce un cardine importante per una legislazione favorevole all'integrazione e alla sicurezza sociale. Per questo va pensata una seria politica del ricongiungimento familiare; il contrario provoca instabilità e sradicamento sociale.
7. Una politica dell'accoglienza solidale va soprattutto garantita a livello legislativo, con la lungimirante consapevolezza che ogni legge ha una valenza pedagogica nel bene e nel male; genera cultura, crea mentalità e costruisce l'immagine di un paese solidale o intollerante. [...]
8. Alla luce di quanto detto, l'immigrazione clandestina non può essere ritenuta reato. Questa impostazione rischia d'essere impraticabile per il grande numero di persone coinvolte; è ipocrita e contraddittoria per il fatto che ampi settori della società italiana (famiglie comprese) impegnano lavoratori e lavoratrici in posizione irregolare; è soprattutto iniqua se pensiamo alla storia drammatica che appartiene ad una persona impedita di abitare la terra con dignità. [...]
9. Tocca certo ai responsabili del bene comune intessere relazioni internazionali per promuovere e operare scelte rispettose dei diritti umani e per creare condizioni di effettiva democrazia quale contesto idoneo per l'affermazione dei diritti. Sembra risuonare invano l'appassionato invito di Benedetto XVI a globalizzare la solidarietà. [...]
10. Resta scontato il dovere dello stato di garantire la sicurezza di tutti i cittadini e di intervenire nei confronti di tutti coloro che delinquono. siano essi italiani o immigrati. Il puntare l'indice contro la delinquenza straniera, come sovente accade nei media nostrani, non può che alimentare la cultura della paura e delle emozioni, e non favorisce una cultura della convivenza civile e solidale.

A tutti è noto che l'anno pastorale in corso è dedicato alla grave sfida educativa, alla formazione delle coscienze: in cui è rilevante l'educazione all'appartenenza e alla cittadinanza con la sua storia e i suoi valori. Anche per questo sono chiamate in causa soprattutto le comunità cristiane sapientemente motivate e incoraggiate dai loro pastori.
Il futuro che si annuncia non è quello di una società anarchica, senza un'anima etica, ma una società ricca della diversità dei suoi valori. Il cammino gomito a gomito sulla strada inedita di una società multietnica e multireligiosa è una prospettiva che ormai si profila all'orizzonte. Il vocabolario dei discorsi quotidiani va rieditato: perché, nonostante le fatiche, va coltivata una cultura di pace per il bene di tutti.
* arcivescovo di Vercelli
Documento sottoscritto e condiviso da: Ufficio di pastorale sociale e del lavoro, Caritas, Centro missionario, Pax Christi, Aci, Acli, Meic, dell'arcidiocesi di Vercelli.
Sintesi da: Corriere eusebiano, 21/06/08
Il sito del settimanale: www.corriereusebiano.com

21-UNA FEDE AL LUMICINO?

Si racconta che un cristiano proveniente dall'Africa, recatosi in parrocchia per chiedere il battesimo per il suo bambino si sia sentito dire che per prepararsi bene doveva fare 3-4 incontri. Questi, stupito, disse: "Come mai in Africa abbiamo fatto percorsi di catechesi per prepararci al battesimo che sono durati più di un anno, e qui in Italia vi limitate a pochi incontri; non sarà che la vostra fede è ormai ridotta al lumicino?".
E proprio il caso di dire che la multiculturalità, per non dire la multiforme ricchezza di vita di fede, è garanzia di integrazione, tolleranza e rispetto reciproci.
Nei ghetti e nelle sette, accoglienza, attenzione e amore verso gli altri hanno sempre fatto fatica ad attecchire nel cuore di chi, chiudendosi dentro, escludeva gli altri.
Un rischio che la comunità cristiana non deve assolutamente correre.
Mario Bandera
Tratto da: Settimana n.20/2009 p.4
Il sito della rivista:  http://www.dehoniane.it/riviste/riv_ew_page.php?CODE=SET

22-COSA FACCIAMO COME FAMIGLIE?

Non c'è dubbio che, in prima linea nell'incontro con chi è straniero, ci siano le nostre famiglie.
Noi sposi e genitori vediamo i nostri figli vivere con naturalezza lo stare con quelli che solo per noi sono gli stranieri. Ci chiediamo se sia il caso di preoccuparci o di cambiare atteggiamento.
Sovente la nostra accoglienza si ferma sulle nostre labbra, mentre il nostro cuore tradisce preoccupazione, senso di impotenza e paura per quello che i media ci mostrano.
Eppure sospettiamo che questa stessa realtà sia storia di salvezza, cioè storia abitata e guidata dallo Spirito di Dio.
La prima accoglienza come adulti la dobbiamo a colui/colei che condivide la nostra vita, senza se e senza ma, per sempre. Proprio noi sposi cristiani, solo accogliendoci l'un l'altro, diventiamo sacramento.
Poveri noi! Sì, solo riconoscendoci poveri scopriamo di essere fratelli. Fratelli in Cristo con tutti gli altri perché al di là delle diversità, che pur ci sono, molte sono le cose che ci uniscono.
La prima cosa che i nostri gruppi famiglia sperimentano è la conversione dei gesti - prima ancora di quella del cuore - nella quotidianità. Parlando con certi genitori dei compagni di scuola dei nostri figli, ci viene spontaneo pensare a come faranno a vivere. La conversione dei gesti segna la nostra mente razionale e scende nel cuore. I poveri, i nuovi poveri non sono forse nel cuore di Dio?
Possiamo noi essere reciprocamente espressione della Provvidenza l'un per l'altro? Spesso chi ci sta intorno non ha bisogno della nostra elemosina, quanto di essere accolto nella sua dignità di uomo e donna.
Solo il reciproco riconoscimento può far nascere il rispetto e una umanità nuova, più ricca e solidale che non vede più l'altro come minaccia, ma come parte dei se stesso.
I gesti che ne nasceranno, diranno di una realtà nuova in cui la dignità di ciascuno nasce dal riconoscerci fratelli nell'umanità, figli di un dio che avrà nomi diversi ma che nel cuore ha l'uomo, ogni uomo.
Solo le famiglie possono far vincere la paura perché hanno incontrato e sperimentato nell’altro/a la diversità, l’hanno toccata con mano e la possono testimoniare.
Come possiamo non prestare ascolto alle domande di giustizia che questi nostri fratelli pongono a noi e alla nostra società: è veramente giusto il nostro modo di vivere?
Possiamo continuare a fare i sordi? Il grido del povero è giunto all'orecchio del Signore...
Antonella e Renato Durante

 

23-L’ospitalità di Abramo
UNA TENDA APERTA AI QUATTRO VENTI

Di Luigi Ghia
Abramo, dopo molte peripezie, pianta la sua tenda a Mamre, dove c'è acqua e ombra in abbondanza. Narra un midrash (commento rabbinico) che egli monta una tenda con quattro ingressi, uno per ogni punto cardinale, pronto ad accogliere i viandanti che, dai quattro venti, transitano in quel luogo, perché il patriarca ha "un chiodo fisso": l'ospitalità.
Ci fermeremo anche noi con lui e immagineremo che ognuno degli ingressi abbia un nome, capace di esprimerne la caratteristica.

La porta dello straniero
Tutto ha del nomade, Abramo. La struttura culturale, il pensiero, la fede. È sempre disposto a mettersi in cammino, in discussione. Non ha idee preconcette. Come tutti i nomadi ha interiorizzato la condizione di straniero, ne ha lo statuto, è straniero anche in casa propria.
Ma chi è lo "straniero"?
Lo straniero è uno che è "esterno" a noi. Lévinas direbbe che è il Volto estraneo, estraneo e "diverso" non solo sotto il profilo esteriore, ma culturale, un volto che con i suoi occhi ci interpella e, obbligandoci a rispondergli, ci guida verso la più grande e la più difficile della virtù: la responsabilità. Ci porta ad interrogarci su noi stessi, sui nostri ordinamenti, sulla nostra giustizia, sulle nostre leggi e sui nostri tribunali.
Questo modello etico, che vale anche nella relazione di coppia e di famiglia, è un confronto spesso non privo di drammaticità, ma ci consente di cogliere tutta la ricchezza di una dialettica nella quale le coppie di concetti solidarietà-diversità, appartenenza-stranierità, diritti di cittadinanza-doveri di ospitalità (anche dal punto di vista simbolico) si fanno sintesi per poter ripensare in modo sempre nuovo il valore primario della convivenza (prima ancora di quello della comunione), vincendo la tentazione dell'arroganza e dell'esclusione.

La porta dell'ospitalità
Anche la nostra casa dovrebbe essere, metaforicamente, aperta ai quattro venti. È il luogo in cui si possono incontrare viandanti provenienti da ogni direzione (non solo come provenienza geografica, ma anche esperienziale). Possiamo invitarli a pranzo o a cena, questi viandanti, ma soprattutto possiamo aprire loro il nostro cuore e consentire che essi ci aprano il loro. La nostra casa non può essere aperta ai quattro venti se noi stessi non possediamo la disponibilità a lasciarci interrogare da esperienze diverse, da situazioni che non condividiamo, ma che pure incontriamo nella nostra vita quotidiana.
L'ospitalità non è solo un piatto in più: è un problema etico.

La porta delle matriarche
Un uomo non potrà mai essere autenticamente ospitale se non ha con sé una donna, o almeno se non vive questa dimensione dell'esistere con spirito femminile. Dire "con" sé è già segno di reciproca ospitalità, in un tempo in cui, più ancora di quanto non fosse quaranta secoli fa (e come dimostrano cronache recenti), per molti uomini la donna è "per" sé.
Certo, come ricorda Massimo Giuliani, "le tende di Abramo e di Sarah non erano un recinto di santità". Ma resta il fatto che Sarah, per la quale la Bibbia sembra avere una particolare predilezione, ha accettato di condividere per lunghissimi anni fino alla morte il destino errante del suo uomo.

La porta della visione
È mezzogiorno. Il caldo è torrido. Il Signore sotto forma di tre uomini appare ad Abramo. Egli li accoglie e li rifocilla con cibo e latte.
Sogno così la Chiesa. Capace di accogliere tutti, senza condizioni, senza chiedere la provenienza, né carte di identità.
Il Signore parla: tornerò da te tra un anno a questa data, gli dice, e Sarah, tua moglie, avrà un figlio. Sarah era all'ingresso della tenda, dietro ad Abramo. Lei ed Abramo erano vecchi, e Sarah non era più in età fertile. Sara ride di fronte all'uscita dello straniero ma "c'è forse qualche cosa d'impossibile per il Signore?" (Gn 18,12-14).
Le nostre Chiese - quelle occidentali, almeno - sono vecchie, conoscono la decadenza, dopo aver conosciuto tempi più felici.
Hanno lo sguardo rivolto nostalgicamente al passato. Progettano il ritorno ad antiche liturgie. Temono il presente e il futuro. Ritengono, come Sarah, di essere sterili.
C'è molto pessimismo in giro, molta rassegnazione, crisi di utopia e incapacità di essere coscienza critica del mondo e della storia.
La parola del Signore è rara in questi giorni, le visioni non sono frequenti (cfr 1Sam 3,1). Il male della Chiesa è la mancanza di visioni.
Coraggio. Ognuno di noi può diventare la porta di accesso della visione per cogliere un futuro che va non solo immaginato, ma "visto", contemplato. Per questo è urgente una gravidanza di fede.
luigi.ghia@alice.it
Sintesi da: Famiglia domani, Elledici, Leumann (TO) n.3/2009, p.17-20.
Il sito della rivista: http://www.elledici.org/periodici/homepage.php?LOAD_TYPE=FAMDO

Brani per la Lectio:
- L’apparizione di Mamre (Gn 18,1-14)
- La chiamata di Dio a Samuele (1Sam 3,1-10)
- Alla chiesa di Efeso (Ap 2,1-7)

Domande per la R.d.V.:
- L'accoglienza in famiglia: a che punto siamo?
- L’ospitalità: siamo "aperti" a parole o anche nei fatti?
- Come pratica l’accoglienza la nostra comunità?

 

24-CITTADINO DEL MONDO

Il tuo Cristo è ebreo
E la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina
E i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese
E il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero
E il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana
La tua camicia è hawaiana.
Le tue vacanze sono turche
tunisine o marocchine.
Cittadino del mondo,
non rimproverare il tuo vicino
Di essere... Straniero
Graffito Munich