Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF88 – dicembre 2015
Vivere la sobrietà in famiglia e nella società
Riflettendo sull'enciclica Laudato sii

Lettere alla rivista
1-PER UN'ECOLOGIA "INTEGRALE"
Che mondo desideriamo lasciare ai nostri figli e nipoti?

Lo confesso, non ho letto l’enciclica ecologica del Papa. Ma cosa centra l’ecologia con la fede cristiana?
Arturo

Risponde mons. Giancarlo Grandis, docente di Teologia Morale del Matrimonio

Le auguro innanzitutto di aver letto, nel frattempo la lettera enciclica, definita impropriamente un’enciclica “ecologica”.
In questo scritto, papa Francesco, lasciandosi ispirare dal noto Cantico delle creature del poverello di Assisi, ne esprime così la domanda centrale, la quale ne costituisce, anche, la chiave di lettura: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” (n. 160).
Ad uno sguardo attento, questo interrogativo mette subito in risalto che la prospettiva di questa enciclica non è ecologica, ma antropologica e sociale. È una domanda che ci riguarda e riguarda la nostra responsabilità su questa terra.
Lo afferma lo stesso papa, subito dopo: “Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra”.
La “questione antropologica” – su cui la Chiesa da un po’ di tempo sta attirando l’attenzione per un utilizzo responsabile ed etico dei grandi mezzi tecnologici di cui oggi noi disponiamo – tocca una precisa competenza della Chiesa, “esperta in umanità” (Paolo VI), perché ella ha come specifica missione la salvezza dell’uomo, di ogni uomo e di tutto l’uomo; una missione che è la stessa di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo.
Infatti, Dio si è incarnato “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”, come si afferma nella professione di fede (Credo).
Papa Francesco articola tutta la sua riflessione attorno alla nozione di “ecologia integrale” (n. 216). E se invita tutti ad una “conversione ecologica” è per richiamare la necessità di una conversione interiore del cuore: “la crisi ecologica – afferma – è un appello a una profonda conversione interiore” (n. 217).
Occorre ritornare a purificare il nostro sguardo sul mondo, “la nostra casa comune” (n. 1), come ricordava san Giovanni Paolo II nella “Evangelium vitae” (n. 83): da uno sguardo utilitaristico a uno sguardo contemplativo. L’inquinamento dell’ambiente è diretta conseguenza di un inquinamento della coscienza morale oggi, purtroppo, dilagante.
grandis.giancarlo@gmail.com

Dialogo tra famiglie
2-Sentirsi responsabili del creato
Educhiamo i nostri figli a rispettare l'ambiente in cui vivono

Da sempre in casa nostra si differenzia la spazzatura, si sta attenti a dove e a cosa si compra, si mangia, si indossa. Cosa possiamo fare di più per essere più ecologici?
Luisa

Cara Luisa,
Voi fate già molto come famiglia ma credo che quello che conti sia il senso complessivo di sentirsi responsabili del Creato come ci invita a fare il Papa.
È però difficile tradurre in pratica questa convinzione e i consigli relativi allo stile di vita dipendono molto dalle condizioni di vita concrete (vivere in città, in un paese, in campagna...)
I comportamenti sui quali possiamo tutti focalizzarci penso siano: ridurre i consumi di energia legata a riscaldamento in inverno e condizionamento d’estate, uso di lampade a basso consumo, limitare l’uso dell’auto, fare attenzione all’utilizzo di detersivi (sceglierli con cura ed utilizzarne il meno possibile, volendo si possono anche auto-produrre con vantaggio sia ambientale sia economico), riduzione dell’utilizzo di imballaggi (è sempre necessario l’uso di acque minerali in bottiglie di plastica?).
Ma la cosa più importante è che tutti questi comportamenti tu li possa motivare e spiegare ai tuoi figli in modo tale che siano occasioni di educazione: i cambiamenti climatici coinvolgeranno negativamente più loro di noi!
Per trovare idee ed informazioni ecologiche guarda questo sito: http://www.greenme.it/abitare/risparmio-energetico
Paola Lazzarini

Editoriale
3-La sobrietà, scuola di vita
La cura della casa comune nella Laudato sii

di Franco Rosada
La sobrietà è un argomento che abbiamo trattato, trasversalmente, in diverse occasioni e approfonditamente nel numero 79 del dicembre 2012 (soprattutto nella versione su Internet) che aveva per titolo: Economia e famiglia. Nuovi stili di vita per una nuova società.
Questa quindi è una sorta di ripetizione e anche questa volta si riparte dall’economia.
Il quadro dal 2012 non è molto cambiato, stiamo lentamente uscendo dalla crisi ma, tra i giovani, i disoccupati sono ancora il 40%.
Allora, cosa possiamo dire di nuovo su questo tema?
Una novità è costituita dalla recente enciclica di papa Francesco sulla cura della casa comune: Laudato sii. Penso che l’abbiate recepita come un’enciclica “ecologica”. Ciò è vero, ma l’ecologia non riguarda solo il nostro pianeta, tutto l’ambiente e gli esseri che lo popolano, ma anche il cuore dell’uomo (cfr n. 5).
Quindi senza trascurare i temi ecologici, che sono molto legati ai nostri stili di vita, in questo numero vorremmo focalizzarci sul degrado morale (cfr n. 229) che ci circonda, quello che Francesco chiama relativismo pratico (n. 122-123) e quello che i sociologi definiscono individualismo libertario (Stefano Zamagni), frutto dell’era post-
industriale e del capitalismo tecno-nichilista (Mauro Magatti).
Infatti, la scarsa attenzione o, meglio, lo sfruttamento indiscriminato nei confronti del pianeta scaturisce non solo da una scarsa consapevolezza – ormai non più giustificabile – ma soprattutto dal degrado morale, dall’indifferenza nei confronti degli altri, dalla loro “strumentalizzazione”.
La sobrietà diventa quindi una risposta a questo degrado, ma ha bisogno di trovare delle fondamenta che latitano nella società attuale.
In questa società ci sono ambientalisti, strenui difensori della natura, che però giustificano l’aborto (cfr n. 120), ci sono animalisti che combattono per salvaguardare la biodiversità al punto da impedire le sperimentazioni sugli animali, anche se queste non servono per testare cosmetici ma per curare e salvare vite umane (cfr n.130) e così via.
Le fondamenta le troviamo nella nostra fede ma che dobbiamo riconsiderare alla luce dei cambiamenti sociali ed etici di questi ultimi cinquant’anni.
Non servono precetti ma testimonianze, servono nuovi stili di vita, non solo ecologicamente sostenibili ma anche controcorrente, serve un ritorno alla politica, come più la forma più alta della carità (Paolo VI), serve riscoprire il volto dell’altro (in cui si riflette l’Altro per eccellenza) nella sua vera identità, un volto che conosciamo bene dall’immagine impressa sulla Sindone.
formazionefamiglia@libero.it

4-La morale secondo Bauman

La modernità è stata caratterizzata dalla razionalità e ha riguardato un periodo storico che, dall’illuminismo, è arrivato praticamente quasi ai nostri giorni.
Secondo Bauman, in questo periodo la morale è stata segnata dalla regolazione - spesso imposta - dell’agire sociale attraverso la proposta di valori o leggi universali cui nessun uomo ragionevole poteva sottrarsi.
Con la fine delle "grandi narrazioni" del Novecento (cioè delle ideologie), sono finite le verità assolute, e quindi sono sorti tanti modi - sovente contrapposti - per valutare l’agire morale.
Per Bauman la morale nasce come (ed è sostanzialmente) il consegnarsi totalmente dell’io al tu (ovvero di me all’altro). È un fatto assolutamente e totalmente individuale e libero.
Per Bauman solitamente si incontra l’altro non tanto come persona - perché il termine è ormai diventato ambiguo (richiama il concetto di maschera) - ma come volto, cioè non nel suo ruolo ma nella sua vera identità. Con l’atto morale mi consegno a una debolezza assoluta (l’atto morale è l’antitesi del potere o della sua logica, che è forza) perché accetto di consegnarmi all'altro.
Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Zygmunt_Bauman#La_morale_in_Bauman

5- ECONOMIA, MERCATO,PERSONA
Quali spazi per l'economia civile?

I guai di oggi sono dovuti ad una serie di fattori che hanno fatto sì che, nei mercati, alle persone subentrassero gli individui.

di Stefano Zamagni*
Partirei prendendo in considerazione le parole che costituiscono il titolo di questo incontro.

Che cos’è l’economia
L’economia esiste da quando esiste l’uomo. Già nel paradiso terrestre c’era un problema economico. Adamo ed Eva avevano abbondanza di tutto, però erano creature, limitate, cioè dovevano operare delle scelte. Il problema economico è esattamente un problema di scelta, non posso fare tutto contemporaneamente, devo scegliere cosa fare.
Dopo la caduta, il problema si è aggravato perché, oltre alla questione della scelta, si è aggiunta quella della scarsità (il lavoro diventa fatica).

Mercato e persona
Economia non richiama automaticamente il concetto di mercato - basta pensare all’Unione Sovietica.
Il concetto di mercato è relativamente recente e nasce nel contesto dell’umanesimo civile, nel 1400 in Toscana. Firenze è la culla dell’economia di mercato (EdM). Serva qui una precisazione: l’EdM non sono i mercati. Questi ultimi, intesi come luoghi fisici in cui avvengono gli scambi, sono sempre esistiti.
Il terzo elemento del titolo è persona. Per noi oggi, di fatto, non c’è alternativa all’EdM, quello che ci deve angustiare è che oggi si può avere il mercato anche senza le persone, o meglio il mercato può essere abitato da “non persone”. Oggi, infatti, il mercato è abitato da individui e l’individuo è un animale diverso dalla persona. L’individuo, come diceva Leibniz, è come una monade, che può stare benissimo da solo mentre la persona è un individuo in relazione ontologica con gli altri.

Il mercato civile
Non è sempre stato così, perché l’EdM nasce per le persone e ha come obiettivo ultimo il bene comune. I fondatori dell’EdM furono i francescani con l’invenzione delle prime banche: i Monti di Pietà.
I Monti nascono per aiutare i poveri ad uscire dalla loro condizione di miseria.
L’EdM, quindi, nasce come strumento di umanizzazione dei rapporti all’interno della società, tende a ridurre le barriere fra le caste, a far incontrare le persone e permetter loro di stabilire nessi di reciprocità.
Questo modello, che in economia si chiama mercato civile, finisce con il ‘500.
I fattori sono stati tanti: uno di questi è stata la riforma protestante che ha fatto scomparire il concetto di persona sostituendolo con quello di individuo.
Per Lutero, ma soprattutto per Calvino, la dimensione religiosa che conta è quella verticale: il rapporto tra l’uomo e Dio. Così, quando arriveremo, nel 1700, alla rivoluzione industriale, i tempi saranno maturi per la nascita dell’EdM capitalistica.
Ma non dobbiamo rassegnarci all’idea che non ci sia alternativa alla situazione attuale perché sappiamo, come ho già detto, che un modello di organizzazione sociale diverso c’è stato e ha funzionato, seppure solo per un secolo.

Il mercato capitalistico
Il capitalismo porta con sé il concetto di Homo oeconomicus.
L’uomo economico è un soggetto individualista e auto interessato, che pensa cioè solo al proprio interesse. Questo individuo interagisce con gli altri suoi simili attraverso il principio del contratto e delle leggi. Di conseguenza, la maggior parte degli economisti sostiene che l’EdM per funzionare ha bisogno solo di un sistema di contratti e di regole ben definite e fatte rispettare.
Se l’800 è stata l’epoca della rivoluzione industriale, oggi viviamo l’epoca della globalizzazione.
La globalizzazione ha separato i luoghi di vita dai luoghi di lavoro. Prima i due ambiti coincidevano, questo era palese per i contadini, per gli artigiani, e con la rivoluzione industriale, anche per gli operai che vivevano in paesi sorti intorno alle grandi fabbriche.
Questa terza rivoluzione industriale, legata alle tecnologie info-telematiche, è caratterizzata dalla sostituzione delle relazioni con i contatti. Internet ha aumentato enormemente le possibilità di contatto ma ha diminuito di molto le possibilità di relazione interpersonale perché quest’ultima presuppone che io ti guardi in faccia per entrare in dialogo con te.

L’individualismo libertario
Tutto ciò ha portato allo sviluppo della cultura dell’individualismo libertario, che oggi è il cancro delle nostre società. Questa tesi afferma che:
1) la sorgente del valore è nell’individuo, ha valore solo ciò che l’individuo decide che abbia valore;
2) ognuno deve esser lasciato “libero” di fare ciò che vuole perché ogni tentativo di educare e indirizzare è una coartazione della libertà del soggetto.
Quest’ultima affermazione (libertarismo) si poggia sulla tesi dell’autocostruzione del sé, ognuno deve costruirsi da solo la propria identità, il proprio futuro, ecc.
Ciò comporta l’estensione dei “deserti” spirituali, della solitudine e dell’infelicità.

La competizione posizionale
Con l’individualismo libertario, il mercato da luogo di socializzazione è diventato luogo di scontro.
Non si entra nel mercato per aumentare il benessere della società ma per eliminare i concorrenti, per migliorare la propria posizione a detrimento degli altri (competizione posizionale).
Tutte le spiegazioni che trovate sui media, p.e. di fronte al fenomeno disoccupazione, sono tautologie, cioè giochi di parole.
Se invece si approfondisce, si scopre che alla base c’è lo snaturamento del modo di funzionamento dei mercati: la competizione posizionale ha bisogno della crisi perché ogni impresa si dà come obiettivo quello di espellere le altre imprese dal mercato ma, così facendo, le imprese sconfitte devono chiudere e licenziare i dipendenti.
Ma se le regole del gioco fossero diverse questo non avverrebbe.

La fine del taylorismo
Un’altra implicazione riguarda il modo di organizzazione interno dell’impresa, la fine del taylorismo, della “catena di montaggio”. La catena di montaggio ha avuto il grande merito di aumentare la produttività e far diminuire il costo dei prodotti.
Ma oggi, dell’epoca post-industriale, il modello taylorista non funziona più e chi si ostina ad applicarlo è destinato al fallimento, perché non si può più chiedere ai lavoratori di limitarsi ad eseguire ciecamente la mansione loro assegnata.
Oggi, infatti, viviamo nell’epoca dell’economia della conoscenza e, di conseguenza, nell’impresa tutti devono pensare, anche l’ultimo arrivato, anche l’uomo delle pulizie.
Avere eliminato nei luoghi di produzione la persona e averla sostituita con l’individuo, vuol dire avere impedito alle imprese di reggere alle sfide dell’epoca post-industriale.

Mercato e democrazia
L’ultima implicazione, molto delicata, dell’avere dimenticato il concetto di persona ha portato a far sì che oggi il mercato sia diventato il regno dei fini e la democrazia il regno dei mezzi.
Nei secoli precedenti i ruoli erano invertiti: la democrazia era il luogo dove si decidevano gli obiettivi che la società intendeva raggiungere e il mercato era il luogo dove si chiedeva agli operatori di trovare il modo più efficiente per raggiungere quegli obiettivi.
Oggi la politica è diventata a servizio dell’economia e questo stravolgimento, se non si interverrà con decisione, ci porterà alla rovina.
Papa Francesco è uno dei pochi che ha il coraggio di denunciare questa distorsione.

La ricomparsa dell’economia civile
Cosa ce ne facciamo di un modello di organizzazione sociale che aumenta la ricchezza ma rende più infelici le persone? Se lo scopo della vita è la felicità cosa me ne faccio delle ricchezze?
La felicità è nell’incontro, se io penso di impostare la vita economica solo sull’individuo che entra in rapporto con gli altri attraverso contratti e rispettando le leggi ed elimino la reciprocità - e quindi la fraternità - non faccio altro che condannare quella persona all’infelicità.
Ecco perché oggi si parla con insistenza di economia civile, come l’economia di comunione proposta dal movimento dei Focolari, come le cooperative sociali (quelle buone!), come tutte quelle forme di associazionismo che producono beni e servizi con una logica diversa da quella dominante, la finanza etica, il commercio solidale.
Queste realtà sono una forma notevole per tradurre nel concreto l’idea della centralità della persona nell’economia.
L’economia di mercato non può essere fine a se stessa ma a servizio della persona, per il bene comune.

Non è un’utopia
Questa idea è realizzabile perché già sperimentata in passato e perché i tempi sono maturi. Infatti, le organizzazioni d’impresa perdono competitività e la gente è più infelice – un esempio lampante è l’attuale condizione giovanile. La gente è stufa di questo sistema: è uno scandalo che l’1% della popolazione, entro il 2016, avrà una ricchezza pari al restante 99% degli abitanti del pianeta.
Ma perché le cose cambino dobbiamo imparare a divertirci, non in senso ludico ma secondo il significato etimologico di divertirsi: “divertere”, cioè uscire da noi stessi per incontrare il volto dell’altro.
Il motore delle nostre azioni non deve essere il dovere ma l’amore, e dall’amore deriva anche il rispetto della legge. Se non c’è l’amore, il rispetto della legge diventa legalismo, con tutte le conseguenze del caso.
* economista. Conferenza del 31 gennaio 2015, Centro Convegni Regione Piemonte. Sintesi della redazione
Per leggere il testo integrale dell'articolo clicca qui!

6-LA LIbertà immaginaria
Le illusioni che ci propina il capitalismo tecno-nichilista

Il modello adottato oggi dal capitalismo è quello tecno-nichilista: fondato cioè sulla tecnica e la volontà di potenza che è presente in noi.

di Mauro Magatti*
Le questioni di fondo che toccano l’uomo sono sempre le stesse dall’inizio delle civiltà, ma in questi ultimi decenni è radicalmente cambiato il modo con cui viene posta la questione dell’esistenza personale e collettiva.

In trent’anni tutto è cambiato
Tutto inizia negli anni dal ‘68 al ‘70, anni in cui il capitalismo societario entra in crisi e gli subentra, a partire dagli anni ’80, il neo-liberismo dei paesi anglosassoni. Con la caduta del muro di Berlino saltano poi gli equilibri nelle relazioni internazionali e da allora si dispiega il capitalismo tecno-nichilista.
L’equilibrio che si era costruito alla fine della seconda guerra mondiale, fondato sullo stato nazionale e sulla socialdemocrazia, è finito e siamo alla ricerca faticosa di un nuovo equilibrio.
Ma anche noi singoli, e non solo il nuovo capitalismo, siamo colpevoli di questa situazione.
La forza del capitalismo è, infatti, la capacità di cogliere alcuni tratti che si manifestano dell’umano, come la tendenza al consumo.
Noi siamo consumisti non tanto a causa della pubblicità (anche se questa aiuta molto) quanto del “desiderio” che fa parte di noi. Il capitalismo coglie questa nostra pulsione e le dà un contenuto.
Desideri un’automobile? Eccola! Non hai i soldi? Comprala a rate!
Ma anche il capitalismo ha un problema: è capace di soddisfare le nostre esigenze materiali, ci fa stare bene, ma ha bisogno di trovare dei punti di appoggio nella società.

Lo sviluppo del capitalismo
Il capitalismo nasce con la riforma protestante e trova il suo riferimento nell’etica calvinista. I calvinisti cercavano nella vita mondana le prove della Grazia. Non erano interessati tanto a star bene quanto a cercare nel successo economico le prove della benevolenza di Dio, della loro salvezza eterna.
Senza fare l’intera storia del capitalismo passiamo direttamente all’epoca social-democratica del secondo dopoguerra. Allora lo spirito del capitalismo era quello di costruire collettività democratiche relativamente giuste; è stata la stagione della ricostruzione post-bellica, in cui il capitalismo diventa sociale, societario. Non sostiene solo i bisogni individuali ma anche quelli collettivi, come scuole, ospedali, ecc.
In questa stagione il capitalismo si è strettamente associato a uno spirito democratico, di democrazia istituzionale. È stata questa la grande stagione dell’economia sociale di mercato.
In questi ultimi 30 anni, invece, il capitalismo si è appoggiato su un nuovo spirito, quello tecno-nichilista.

Tecnica (e globalizzazione)
La tecnica è un linguaggio globale: lo standard delle cure mediche è lo stesso a Milano come a New York o a Buenos Aires, i computers funzionano alla stessa maniera in Argentina, a New York, in Italia, li possiamo programmare abitando sia in California sia in India.
La tecnica, fondata essenzialmente sulla matematica, è l’unico linguaggio universale che gli esseri umani sono stati fino ad oggi capaci di concepire.
Grazie al linguaggio della tecnica, il capitalismo ha avuto gli strumenti per superare la dimensione dello stato nazionale e sostenere la sua ulteriore crescita: così è nata la globalizzazione.
Si è passati così dal concetto di Stato a quello del mercato, perché questo, potenzialmente, è un sistema di governo universale. Lo stato è invece carico di idee, di storia, di pensieri; la democrazia richiede confronto, dibattito, ecc.
Tornando alla tecnica, questa si evolve continuamente e ci permette di fare ogni giorno che passa più cose o cose nuove, è qualcosa in grado di cambiarci non solo dentro e anche all’esterno (p.e. con la chirurgia plastica).
Per questo il capitalismo tecnico continuamente cambia e allarga la scena.
In questo modo non c’è più spazio per la trascendenza, per pensare all’Oltre, ma tutto si gioca sul piano dell’immanenza, qui ed ora. Al posto di Dio pone il divenire continuo, sfruttando la capacità della nostra mente di guardare sempre oltre, di desiderare. Di qui l’esigenza di una crescita continua perché, se il meccanismo s’inceppa, ti poni delle domande e ciò va assolutamente evitato.

Il nichilismo
Il nichilismo è una sfida di verità alla cultura e alla società: “O mi fai “vedere” quello in cui credi o ciò in cui credi non ha senso. Invece, io ti faccio vedere ciò in cui credo, la mia volontà di potenza, che è dentro di me e si manifesta naturalmente”.
La definizione antropologica dell’essere umano come volontà di potenza è un modo più elaborato per tradurre quello che nella tradizione cattolica si definisce come egoismo. Però esprime meglio di egoismo un concetto vitale: volontà di potenza è fondamentalmente desiderio di vita, di vita in pienezza, di vita al massimo.
La volontà di potenza è presente in ciascuno di noi, anche se non la manifestiamo palesemente, ma per il capitalismo tecno-nichilista non ci sono altre dimensioni nell’uomo.
Noi però siamo anche molto altro! Ma ciò non conta. Il messaggio del nuovo capitalismo è: sfrutta ogni opportunità che ti capita, perché “ogni lasciata è persa”. Non badare ai principi morali, afferra l’attimo…
Oggi l’immaginario della libertà, non è di certo l’egualitarismo dei nostri padri, oppure costruire la democrazia, ma essere aperti, disponibili a nuove esperienze, disponibili anche alla violenza se qualcun altro ci intralcia.

La crisi del sistema
La bolla finanziaria scoppiata nel 2008 dimostra che questo modello di sviluppo è in crisi profonda.
Ci sono due indicatori forti che ci spiegano perché il sistema è entrato in crisi: il primo è l’indebitamento generalizzato. Sono indebitate le imprese, sono indebitati gli stati, sono indebitate, non tanto in Italia, ma in altri paesi, le famiglie. Così tutti, attraverso i debiti, abbiamo di fatto vissuto oltre le nostre possibilità reali: famiglie, imprese, stati.
Nello stesso tempo, in quote di popolazione, minoritarie, ma non del tutto irrilevanti, è cresciuta la consapevolezza che per stare meglio bisogna accedere ad altri tipi di beni. Uno di questi è l’ambiente; se lo vogliamo salvare dobbiamo cambiare, smettere di “usarlo”. Poi vi sono tutta una serie di beni relazionali, di convivenza, che l’individualistico scarta ma sono fondamentali e che vanno riproposti.

Affettività e generatività
Nella nostra esperienza culturale abbiamo sviluppato, dal romanticismo in avanti, un modo di pensare che, pur non ignorando l’economia, l’efficienza, il valore del denaro, considera più importante la dimensione affettiva della vita, il suo valore.
Allora bisogna prendere sul serio il tema dell’affettività. Come è vero che siamo liberi è altrettanto vero che non siamo sovrani della nostra libertà, perché la vita è la somma tra noi e le persone che incontriamo.
L’affettività porta con sé la generatività, che non è innovazione, tecnica, ma semplicemente vita, è giocarsi la propria esistenza. La generatività vuol dire far esistere qualcuno che andrà aldilà di noi, che scavalca la nostra volontà di potenza perché fa esistere qualcuno al di fuori di noi.
Siamo chiamati a proporre i valori dell’affettività e della generatività superando l’immediatezza del mero godimento, non perché sono un obbligo (il dovere per il dovere, di kantiana memoria), ma perché sono desiderabili, ci piacciono, ci muovono le viscere, danno un senso alla nostra vita.

Il senso della vita
La parola “senso” è una parola fondamentale, indica sì la direzione, ma indica anche i cinque sensi. In spagnolo il senso della vita suona in maniera molto efficace: el sendido de la vida.
Dobbiamo moltiplicare i contesti in cui le persone si mettono insieme, mobilitano la loro affettività su temi per cui si possano spendere, che prendano loro la vita. La democrazia serve proprio a fare questo!
Serve anche recuperare il ruolo della ragione, che non può essere mera ragione tecnica ma soprattutto capacità di giudizio motivato sulla vita.
Il capitalismo tecno-nichilista ci vuole tutti bambini capricciosi che intendono la libertà come fare quello che vogliono, invece non esiste libertà senza responsabilità soggettiva.
La vera libertà è capire che siamo esseri umani, che non possiamo essere tutto e il contrario di tutto, che la nostra vita va dispiegata in una direzione ben precisa, che per esistere dobbiamo rispondere al nostro passato, a noi stessi, al nostro futuro, a chi ci sta intorno.
I deliri sulla soggettività multipla, sul queer, finiscono per annullare il soggetto, e senza soggetto non si dà libertà.

Il valore della fede
L’affettività ha bisogno della fede. Non tanto la fede che ci hanno insegnato da bambini, il catechismo, ma quella che mi dice che l’amore esiste, che la carità esiste, ed è incarnata dentro la mia vita, la mia storia, la mia esperienza, i miei ragionamenti.
O siamo capaci di incarnare (il cristianesimo ha qualcosa da dire su questo tema!) i valori in cui crediamo oppure le nostre sono solo parole vuote, retorica e Nietzsche, il padre del nichilismo, ha ragione.
Ci serve ritrovare la capacità di stare vicino alla vita, vederne le contraddizioni, coglierne gli aspetti promettenti e lavorare sul piano sociale e politico perché le cose buone che l’umanità produce possano esistere e non essere calpestate dal nichilismo.

* Sociologo ed economista. Sintesi della conferenza del 6 marzo 2010 presso i Circoli Dossetti di Milano
Per leggere il testo integrale dell'articolo clicca qui!

7-Expo 2015. Non di solo pane...
Che legami ci sono tra l'EXPO e il messaggio cristiano?

Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.

La logica eucaristica è in grado di assumere e fare sue tutte le fami del mondo e degli uomini.

di Luca Bressan*
Il titolo scelto per l’Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita” chiama in gioco dimensioni fondamentali dell’esperienza cristiana; per questo motivo la chiesa cattolica è presente a questo evento: per prendere la parola su idee, sul futuro, sulle forme di convivenza e di collaborazione tra i popoli.

Le esposizioni universali
In momenti storici anche molto complessi e spesso segnati da tensioni e contrapposizioni politiche e culturali, le esposizioni internazionali si sono dimostrate luoghi di confronto, spazi di dialogo sulle questioni della modernità e del progresso tecnologico, momenti di aggiornamento sulle tematiche sociali e politiche, occasioni di dibattito ecumenico e interreligioso, una reale possibilità di promozione e di diffusione del messaggio cristiano.
C’è da aggiungere che negli ultimi decenni il ruolo delle esposizioni universali si è radicalmente trasformato in luoghi di riflessione, di scoperta e di contemplazione della complessità del creato e della sua storia, dando così risalto ai temi del limite e dell’armonia tra le diverse forme di vita, sottolineando in particolare la necessità dello sviluppo di una convivenza tra i popoli sempre più profonda e strutturata, non più solo come esposizione di tecnologia.

Expo e cristianesimo
Il riconoscersi creature dentro un disegno che non è nostro, ma di Dio; la vocazione a diventare custodi e non tiranni di un pianeta che dobbiamo rendere ospitale; la lotta quotidiana perché a tutti sia garantito il “pane quotidiano” del Padre nostro; la figura di Cristo, pane vero disceso dal cielo... quanti temi cristiani vengono trascinati nella scia del titolo di Expo 2015!
Per questo la Chiesa ritiene importante partecipare a questo e ad altri eventi simili: per prendere parte ai dibattiti (sempre più incentrati sulle questioni del futuro del pianeta, come abitarlo e custodirlo), per saper articolare la propria tradizione di fede con le sfide sociali e culturali del presente.
La sua vuole essere una presenza non marginale ma capace di portare frutto, per generare influssi dentro la più ampia cultura mondiale.

Un destino di comunione
Gli uomini e le donne, proprio attraverso l’azione del nutrirsi, hanno imparato a conoscere la loro identità.
Il cibo e l’azione del nutrire sono per l’uomo uno spazio di educazione senza paragoni, vista la forza e l’universalità delle dinamiche simboliche attivabili.
L’esperienza del nutrire può essere un’ottima palestra per imparare a essere uomini, e a crescere sempre più in maturità.
Per noi cristiani il destino dell’uomo sta in un grande disegno ecologico che al centro ha l’uomo stesso.
La storia della nostra fede ci ha insegnato che il gesto del nutrire è diventato ben presto momento di comunione, in cui non soltanto gli uomini possono osare una relazione con Dio, ma addirittura il luogo in cui Dio stesso rivela la sua volontà di relazione e di comunione con gli uomini.
Il destino dei popoli della terra, il destino della terra stessa, sono simboleggiati da una tavola che Dio imbandisce per tutti, come grande gesto di comunione.
Il nostro futuro è di sederci tutti assieme alla tavola imbandita da Dio, realizzando così quel destino di comunione fatto proprio in senso realistico dallo stesso Gesù, nel momento della sua passione.

C’è cibo e cibo
Il Vangelo è pieno di esempi che ci illustrano come l’esperienza dell’essere nutriti diventa fonte di interrogazione e di verifica della qualità del nostro essere uomini e donne.
L’uomo ha bisogno di molti cibi per vivere e per realizzare il proprio destino. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” è un’affermazione messa in bocca a Mosè (Dt 8,3) che Gesù riprende (Mt 4,4) per contrastare la tentazione di ridurre l’uomo ai soli bisogni fisici e materiali; e allo stesso tempo per rilanciare l’idea che l’azione del nutrire, intesa in modo integrale, è lo spazio che Dio ha istituito per educare gli uomini e per incontrarli.
Proprio come intuiva in modo lucido don Lorenzo Milani: “Lo diceva anche Gesù, l’uomo non vive di solo pane e casa, ma anche di scuola e di pensiero e di libertà interiore, perché da questa si passa direttamente alla fede e alla vita eterna, mentre dal pane e dalla casa si può tranquillamente passare alla televisione e al cine”.

Cristianesimo ed ecologia
La Chiesa non è una maestra acida, ma una sorella che condivide il percorso dell’uomo con lucidità e visione di futuro, con attenzione alla dimensione ecologica ed economica, educativa e religiosa, una madre appassionata capace di indicare strade e risorse per il domani.
Potremo così riscoprire che, proprio perché cristiani, non si può non essere ecologici.
Da qui deriva l’urgenza per un convinto impegno di noi cristiani a favore del creato. L’ecologia è un luogo di testimonianza della nostra fede, contro i nuovi idoli che seducono l’uomo moderno.
L’Expo può essere l’occasione per un lavoro di sensibilizzazione che, a partire dalle conseguenze ben visibili di questa gestione immatura e peccaminosa del creato (cambiamenti climatici, migrazioni in massa di popolazioni in seguito a questi cambiamenti), permetta a ogni essere umano di sentirsi responsabile del mondo che lo ha generato, lo nutre ed è il luogo della sua vita.
Come cristiani abbiamo molte cose da dire non soltanto sul modo con cui oggi usiamo il cibo per creare solidarietà, ma anche per ricordarci che abbiamo il compito di essere nella storia come l’anima del mondo, proponendo la vita buona del Vangelo in tutti gli ambiti dell’esistenza, quello economico compreso.
Il mondo ha anzitutto fame di futuro e noi, come cristiani, siamo chiamati a partecipare alla costruzione di processi di soluzione, di guarigione, di risanamento e di rinascita.

Un Dio incarnato
Per la fede cristiana il cibo è il crocevia di tutta una serie di legami (tra Dio e gli uomini, degli uomini tra di loro, con il creato) generatori a loro volta di pratiche che maturano le persone e ne arricchiscono le identità.
Ogni anno il tempo della Quaresima è un buon momento per riprendere, anche noi, quella disciplina, che abbiamo perso, del cibo e quella capacità di scrivere la nostra fede sui nostri corpi.
Potremo così essere capaci di leggere, ancora più in profondità, il dono che ci fa Dio nel suo Figlio: il Dio cristiano è un Dio che si incarna, si rende presente tra gli uomini; e che consegna la memoria di questa sua presenza proprio nel pane eucaristico, un pane che dà vita e salvezza.
L’incarnazione è il grande dono di Dio che nutre gli uomini, Gesù Cristo diventa il cibo, il nutrimento capace di saziare ogni desiderio, ogni ferita, ogni fame e sete che l’uomo e il creato provano oggi come nel passato.
I cristiani hanno il compito di svelare l’anima mistica dell’identità umana, il cuore mistico dell’esperienza, la dimensione profondamente e radicalmente religiosa del creato, del mondo.
Si tratta di esserci per condividere, esserci per dare da pensare, esserci per aiutare a stupirsi, esserci per promuovere giustizia e solidarietà, per ricordare a tutti il cammino che come umanità stiamo percorrendo, per rispondere all’invito che Dio ha rivolto a tutti gli uomini di sedersi alla sua tavola e di spezzare il suo pane per loro.

* docente di teologia pastorale, Facoltà Teologica di Milano. Tratto dalla rivista Missioni Consolata, giugno 2015. Sintesi di Roberto Vescovo.
Vedi: http://www.rivistamissioniconsolata.it/new/articolo.php?id=3543

8-L'ENCICLICA LAUDATO SII
Ecologia integrale per un nuovo umanesimo

Di Fabrizio Casazza*
Basterebbe leggere solo l’introduzione (n.1) per capire il senso dell’enciclica.
Il mondo viene designato come “nostra casa comune… una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza… una madre bella che ci accoglie” (n.1). Sono metafore tratte dalla vita familiare: casa, sorella, madre.
Fin dalle prime righe del documento emerge uno stile “di casa”; infatti, ecologia si collega ad un termine greco che vuol dire casa, l’ecologia è la scienza della nostra casa comune.
Però, evidentemente, il pensiero cristiano pensa ad una ecologia integrale, che ci relaziona al mondo con stile fraterno (n.16).

Il primo capitolo, intitolato quello che sta accadendo alla nostra casa, constata che la terra è ridotta ad un immenso deposito di immondizia (n.21), in cui regna la cultura dello scarto (n.22).
È interessante l’osservazione sull’esistenza di un inquinamento mentale che confonde la sapienza con una mera accumulazione di dati, che finisce per saturare e confondere (n.47).

Nel secondo capitolo, il vangelo della creazione, il papa constata che la preoccupazione ecologica non è un’esclusiva dei cattolici, ma afferma che la fede offre ai cristiani motivazioni alte (n.64). Innanzi tutto a partire dal dato biblico che “ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio” (n.65).
Il testo denuncia anche alcune contraddizioni di una certa ecologia affermando: “il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone” (n.92).
L’ultima parte del secondo capitolo coniuga il discorso ecologico nella prospettiva sociale; non
a caso quest’enciclica fa parte della dottrina sociale della Chiesa.

Nel terzo capitolo si parla della radice umana della crisi ecologica. Il punto centrale è che il paradigma tecnocratico (n.101) è diventato dominante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla resti fuori dalla sua logica (n.108). Allora non si può guardare ai problemi ambientali solo con una serie di soluzioni tecniche (n.110) perché vorrebbe dire ignorare la radice dei problemi. Quindi, per superare questo modello tecnocratico, occorre un nuovo umanesimo (n.118).
Il fratello gemello del paradigma tecnocratico è il relativismo (n.122). Se non ci sono verità oggettive né principi stabili che cosa resta? Tutto è trattabile. È la stessa logica “usa e getta”.

Il capitolo quarto tratta di ecologia integrale. Noi non siamo accostati alla natura, siamo dentro di essa, viviamo dentro la natura. Allora ci vuole un’ecologia sociale (n.142), culturale (n.143), urbana (n.150).
L’ecologia umana implica però anche la necessaria relazione dell’essere umano con la legge morale, altrimenti non c’è un ancoraggio (n.155).

Come organizzarci in pratica? Il tema viene trattato nel quinto capitolo: alcune linee di orientamento e di azione.
Il potere politico deve essere prevalente sul potere economico, non si può giustificare un’economia senza politica. Ma ci vuole una politica ad ampio raggio (n.178), che superi il tempo di una legislatura, altrimenti non si costruisce nulla.
Infatti, “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita” (n.193), cioè ridefinire il concetto di progresso (n.194).

Il capitolo sei tratta di educazione e spiritualità ecologica. A livello dei singoli, il paradigma tecnocratico che domina il mondo si traduce nel consumismo (n.203). Se il consumismo nasce da un giusto bisogno di pienezza offre però una risposta illusoria, “Più il cuore della persona è vuoto più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare” (n.204).
Serve allora una conversione ecologica, fatta di tanti piccoli gesti, I punti principali sono due: gratitudine e gratuità (n.220), cioè riconoscere il mondo come un dono.
Un piccolo gesto molto concreto che suggerisce il papa per coltivare la gratitudine è la preghiera prima e dopo i pasti, come segno che non è tutto dovuto (n.227).
La Chiesa, poi, ha sempre difeso la domenica, non solo la Messa, ma il riposo dei lavoratori (n.237).
Il documento si conclude con una particolare visione del paradiso, che è la meta verso cui tutti siamo incamminati. La parola paradiso deriva da giardino.
Il papa descrive l’eternità in termini ecologici: “la vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati” (n.243). La luce della fede, nella prospettiva dell’eternità, fornisce ai credenti motivazioni più solide e più profonde per migliorare questo mondo.
*Ordinario di teologia morale, Sintesi della redazione.
Per leggere il testo integrale dell'articolo clicca qui!

9-PAPA FRANCESCO: L'ENCICLICA LAUDATO SII
Le riflessioni delle famiglie sull’ecologia e sulla sobrietà, gli spunti per il lavoro dei Gruppi Famiglia

È la prima volta, nella storia della nostra rivista, che prendiamo così di petto un documento pontificio e proviamo a riflettere su di esso.
Sarà merito del tema dell’ultima enciclica del papa, l’ecologia, sarà il carisma di Francesco, comunque abbiamo voluto provarci.
Non abbiamo preso in considerazione tutti i paragrafi dell’enciclica, ma solo quelli che ci sembrava toccassero più da vicino la nostra sensibilità di sposi e di famiglie, e anche così vi sono stati punti che hanno suscitato più interesse rispetto ad altri.
Ci auguriamo che la lettura di queste pagine stimoli nei lettori il desiderio di leggere questo documento ma, soprattutto, di condividerlo negli incontri di gruppo e in parrocchia.
La redazione

Capitolo I. Quello che sta accadendo alla nostra casa
L'obiettivo di questa prima parte non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo (Francesco).

Paragrafo 4: Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale
A questo si aggiungono le dinamiche dei media e del mondo digitale che, quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità… (n.47).
Nel telegiornale senti la notizia, di un terremoto in Cile, del papa fa la sua udienza e della velina si è spogliata di fronte a suo zio. Si mette tutto sullo stesso piano, il papa che dice amatevi, chi è morto in Cile e la velina che si è spogliata (Mauro Magatti, 2010).
Domande: Le nostre opinioni quanto dipendono dai media? Quali sono le nostre fonti? Quando parliamo con gli altri, sosteniamo le nostre idee o preferiamo tacere?

Scorriamo più giornali, La Stampa, Avvenire, Famiglia Cristiana, il settimanale diocesano… tutti quelli che troviamo nelle biblioteche ed ascoltiamo almeno un telegiornale. Commentiamo le notizie in famiglia e le confrontiamo con il Vangelo.
Abbiamo ampi rapporti con gli altri: bar, pranzi con la Pro Loco... e non è facile andare contro corrente.
Ci preoccupiamo di “essere”, e la gente lo capisce, interveniamo e qualche volta “preferiamo tacere” in senso negativo.
Canzio e Irene

È vero, non siamo mai stati così tempestati di informazioni ma tutto è troppo veloce, non abbiamo più il tempo di interiorizzare quanto udiamo e così molto spesso le notizie ci scivolano addosso e rischiamo di trattenere molto poco. In questo modo si riscontra un impoverimento culturale che va sicuramente a scapito della qualità della vita.
Nei discorsi, ad esempio tra colleghi di lavoro, si sentono spesso banalità, concetti superficiali, che la fanno da padrone anche sui nuovi media tipo Facebook, ecc... In casa cerchiamo di andare oltre le informazioni, non abbiamo la TV dove mangiamo, per cui succede che ritrovandoci si dialoghi anche su questi problemi.
Anna e Ferruccio

Paragrafo 5: Inequità planetaria
Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri (n.49). La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso (n.52).
Nessun sistema economico - per quanto tecnologicamente o socialmente evoluto sia – può sopravvivere al crollo dei sistemi ambientali che lo reggono. Questo pianeta è difatti casa nostra; ma è anche la casa di ogni forma di vita creata da Dio (Bartolomeo I, 2015).
Domande: Siamo abbonati a riviste che parlano del terzo mondo? Siamo consapevoli delle ingiustizie che i poveri subiscono? Cosa facciamo in concreto per sostenere i missionari e la loro gente? Facciamo fare ai nostri figli esperienze di aiuto ai più poveri?

Siamo consapevoli delle enormi ingiustizie che caratterizzano il nostro momento storico. Devolviamo sistematicamente il dieci per cento del nostro reddito a favore di iniziative missionarie e assistenziali. I nostri figli lo sanno e ci auguriamo che, quando cominceranno a guadagnare dei soldi loro, mettano a bilancio la voce “condivisione”.
Elisabetta

Riceviamo via posta molte richieste di sostegno. Cerchiamo di interessarci circa i mandanti ed inviamo piccole offerte almeno due volte l'anno. Preghiamo. Qualche volta abbiamo aderito ad iniziative locali cercando di sensibilizzare su questi temi i catechisti ed i bambini.
Canzio e Irene

Sono ormai una ventina d’anni che sosteniamo progetti di adozione a distanza e partecipiamo all’associazione missionaria esistente nella nostra parrocchia. Questo ci ha stimolato nel tempo a riflettere sui problemi dei Paesi del terzo mondo.
Comunque, vivere nel cosiddetto primo mondo a volte ci mette in crisi. Se pensiamo alle condizioni in cui vivono tantissime persone in molti Paesi, noi siamo sicuramente ricchi e troppo spesso ce ne dimentichiamo.
Il Papa ci fa notare come “trascurare l’impegno di coltivare e mantenere relazioni corrette con il prossimo, con Dio e con la terra mette tutta la vita in pericolo”. Credo che dovremmo riflettere di più su questo punto e cercare di conseguenza di migliorare il nostro comportamento.
Anna e Ferruccio

Viviamo in un sistema finanziario-economico dove il 20% della popolazione mondiale consuma il 90% dei beni prodotti, tenendo in miseria oltre tre miliardi di persone e affamandone un miliardo. Come paesi ricchi siamo protetti da armi che ci costano 5 miliardi di dollari al giorno; con questi soldi crediamo che si potrebbe praticare una più equa redistribuzione delle ricchezze per far vivere tutta l’umanità in modo dignitoso e dare respiro alla Terra che soffre.
Gloria e Dino

Paragrafo 6: La debolezza delle reazioni
La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti (n.54).
Chi è che condanna il fatto che la Banca Mondiale dichiari un miliardo di persone inutili per il sistema e senza futuro? (Alez Zanoltelli, 2000)
Domande: Cosa possiamo fare per ridurre l’egemonia della tecnologia e della finanza? Quanto tempo passiamo a fare cose “inutili” con lo smartphone? Come investiamo i nostri risparmi? Siamo investitori “prudenti” o “dinamici”?

Sia io che Mauro non abbiamo certo il tempo di giocherellare con il telefonino, però apprezziamo la possibilità di fare e inviare delle belle foto, di avere un comodo gruppo “family” su whatsapp per condividere velocemente le informazioni, di poter leggere la posta immediatamente e in qualsiasi luogo. Questo non significa che rincorriamo l’ultimo modello di smartphone in uscita, con circa cento euro abbiamo tutto quello che ci occorre!
Elisabetta

Siamo investitori “prudenti”. Abbiamo piccole pensioni e pensiamo che i nostri risparmi possano servire per le emergenze. Cerchiamo uno stile sobrio non facendoci mancare anche diversivi ricreativi con un occhio ai più poveri.
La tecnologia, la finanza? Cerchiamo di aggiornarci quel tanto che possiamo e di fidarci delle persone giuste.
Canzio e Irene

A nostro parere, due sono, più di altri, i pericoli per il presente e ancor più per l’immediato futuro: la finanza, che crediamo a volte sia criminale e comunque fortemente speculativa, e la tecnologia, che sempre più condiziona la vita umana e cambia il sistema di relazioni.
Gloria e Dino

Capitolo II. Il vangelo della creazione
In questo secondo capitolo, Francesco affronta i temi ambientali ed ecologici a partire dai testi scritturistici della tradizione ebreo-cristiana, ossia il Vecchio e il Nuovo testamento.

Paragrafo 2: La sapienza dei racconti biblici
I testi biblici… ci invitano a “coltivare e custodire“ il giardino del mondo. Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare… Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future (n.67).
Le tecniche di disboscamento della foresta amazzonica arrecano gravi danni all'equilibrio dell'ambiente naturale. Infatti, la cenere fertilizza per poco tempo il terreno, mentre la distruzione del sottobosco distrugge l'habitat della foresta pluviale accelerando fenomeni erosivi del terreno. Dopo pochi anni si deve abbandonare il terreno e diboscare un'altra area (Roberta Helterskelter).
Domande: Come genitori pensiamo molto al futuro dei nostri figli: possibilità di studio, di lavoro, sostegno economico, ecc. Quanto pensiamo al mondo che lasceremo loro (non solo in termini ecologici ma anche etici)?

A causa del nostro stile di vita, nostra figlia adolescente ogni tanto sospira perché vorrebbe dei genitori più normali che le comprassero a scadenze regolari la Coca Cola o la portassero al Mc Donald’s, ma scopro con piacere che anche lei sta diventando consapevole del fatto che siamo circondati da molte cose allettanti ma altrettanto inutili.
Accanto a questi tentativi di coerenza, però, nelle nostre vite convivono anche contraddizioni più o meno vistose.
Infatti, non possiamo affermare di possedere solo l’essenziale, ma molto, molto di più…
Talvolta questo accade per nostre scelte personali e desiderio di surrogare i bisogni più autentici (pace, riposo, rapporti profondi) con vestiti, libri e ammennicoli vari; altre volte per la grande famiglia che ci circonda – nonni, zii, cugini, nipoti - e che ritiene un atto di amore dare tanto, anche dal punto di vista materiale.
Paola e Federico

Paragrafo 5: La destinazione comune dei beni
La Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato. Non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi (G. Paolo II) (n.93).
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune (At 4,32).
Domande: Ci teniamo molto alle nostre cose e sovente contagiamo anche i figli. Sappiamo educarli a donare cose loro? Sappiamo educarli alla rinuncia?

C’è una frase che mi ha colpito e che mi sta molto a cuore: “Le cose che amano non si posseggono mai completamente. Ma si conservano e si custodiscono. E si trasmettono”. È quello che cerco di fare non solo nei confronti delle cose ma anche delle persone.
Paola

Ho imparato a collezionare da ragazzino: francobolli, ma soprattutto giornalini, erano miei, non li imprestavo a nessuno.
Col tempo ho capito che, salvo casi particolari, è meglio regalare che tenere per sé. Almeno puoi far contento qualcun altro e tu sei più “libero”.
Filippo

Essendo il terzo di 7 figli, mi permetto di essere un po' orgoglioso di appartenere ad una famiglia numerosa e che ha vissuto anche periodi difficili, in anni meno facili di oggi.
Uno dei vantaggi è che si impara fin da piccoli a "condividere", almeno in famiglia, soprattutto se ben guidati da genitori che in modo costante ci hanno fatto vivere il senso e la pratica della carità.
Da qui a vivere una vera carità ce ne corre!
L'esame di coscienza mi dice che obbiettivamente non siamo capaci di grandi gesti, di toccare la sostanza dei nostri averi, ma almeno conserviamo dentro il nostro cuore la disponibilità a vedere anche in concreto le necessità del prossimo vicino e lontano.
Ci sembra di aver formato in questo senso i nostri figli ed ora ci sentiamo di fare quel che possiamo con i nipotini. Non è certo l'ideale evangelico, ma un minimo, verso cui ci sentiamo impegnati ed è una base da cui ciascuno può partire per gesti più grandi.
Paolo

Paragrafo 6: Lo sguardo di Gesù
Nei dialoghi con i suoi discepoli, Gesù li invitava a riconoscere la relazione paterna che Dio ha con tutte le creature, e ricordava loro con una commovente tenerezza come ciascuna di esse è importante ai suoi occhi (n.96).
La religione paterna invece è quella che non soddisfa sempre il desiderio, che è “altra”, che propone una realtà che non sempre combacia con i desideri dell’uomo. Ma è di capitale importanza capire che la paternità di Dio è altamente responsabilizzante, in quanto comandamento di amare l’altro, non infantilistica dipendenza da lui. (A. Vergote, 2004).
Domande: Come viviamo la paternità? Soddisfiamo ogni desiderio dei figli o sappiamo dire no? Quanta responsabilità lasciamo loro?

Abbiamo dato ai nostri figli tutto quello che pensavamo utile alla loro crescita, non solo fisica ma anche intellettuale. Abbiamo armadi pieni di giocattoli ma altrettanti pieni di libri.
Come pensiamo possano essere serviti ai nostri figli, così speriamo che servano ai nostri nipotini (che li stanno già apprezzando).
Paola

Ci siamo fidati dei nostri figli, ci sembravano giudiziosi e, in funzione dell’età, abbiamo dato loro il giusto grado di libertà. Sapevamo però quali compagnie frequentavano e conoscevamo le loro famiglie. Non ce ne siamo mai pentiti.
Andrea

Capitolo III. La radice umana della crisi ecologica
In questo terzo capitolo, Francesco affronta le cause profonde della crisi ecologica e ambientale del nostro tempo.

Paragrafo 2: la globalizzazione del paradigma tecnocratico
Il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità e della storia, e la gente intravede che sono altre le strade fondamentali per un futuro felice. Ciononostante, neppure immagina di rinunciare alle possibilità che offre la tecnologia (n.113).
Il progetto di Google trasforma Internet nell’equivalente di un servizio pubblico come l’acqua, il gas e l’elettricità: sappiamo che funzionanano, diamo per scontato che ci siano e non ci pensiamo mai tanto (Francesco Guerrera, 2015).
Domande: Come faremmo se per giorni fossimo senza luce? Abbiamo in casa una candela e i fiammiferi per accenderla? Sappiamo aggiustare un rubinetto che perde? Insegniamo ai nostri figli i lavori manuali?

Pensiamo che la tecnologia sia cosa buona nel senso che la usiamo per renderci la vita più agevole ed avere più tempo per le cose che contano.
Abbiamo in casa candele e fiammiferi ed anche una stufa a legna che oltre a riscaldare ci dà un sacco di lavoro manuale. Ma guai se non ci fosse! (insieme ai termosifoni).
Canzio e Irene

Spesso la tecnologia è usata a sproposito, per far credere che i beni del pianeta siano illimitati ma non è così.
Però ci sono imprese, governi, teorici, tecnologi, economisti che predicano che la rigenerazione delle risorse ci sia e quindi le manipolazioni e lo sfruttamento non provochino poi gravi danni alla natura e all’umanità.
Gloria e Dino

Paragrafo 3: Crisi e conseguenze dell'antropocentrismo moderno
Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia (n.118). Non si può proporre una relazione con l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio (n.119). Poiché tutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto (n.120).
Non mi stupisco che questa generale diseducazione del senso religioso coincida con un aumento della malora, del trattar male le persone, le cose… Se in questo tempo viene mortificato il senso religioso allora vengono meno le conseguenze di una educazione che tende a trattare bene le cose, con realismo e passione (Davide Rondoni, 2015).
Domande: Va molto bene educare i figli al rispetto per la natura, alla raccolta differenziata, a non sprecare l’acqua, ecc. Quanto e con quale convinzione li educhiamo alla fede o, almeno, a una certa etica?

Come genitori, ci siamo sforzati soprattutto di educare i nostri figli alla fede. È davvero l’unico fondamento su cui costruire la propria vita, tutto il resto è vano, se il Signore non costruisce la città.
Nostro figlio più grande è un bravo studente di Medicina, noi però gli diciamo sempre (e lui per questo ci prende un po’ in giro): “Fede, se ti viene la vocazione, non preoccuparti di niente, va pure in seminario, che papà e la mamma sono stracontenti!”.
Elisabetta

Ovviamente le nostre opinioni non dipendono dai media. Sappiamo perfettamente che ci vengono fornite solo determinate informazioni e con finalità ben precise. Capita sovente di ascoltare i classici “discorsi da bar” in merito alla fede, alla Chiesa, al Papa… A volte è sufficiente una battuta per chiarire un po’ la questione, a volte occorre un’analisi più approfondita, ma zitti di fronte alla stupidità e all’ignoranza proprio no!
Mauro

Di fronte a questi argomenti il Papa “ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale” (n.114). Ma quanti cattolici sono disponibili ad una rivoluzione culturale? Quello che noi vediamo in tante parrocchie è il passare da una scadenza e l’altra: riti, feste o attività di prassi. Sono cose giuste ma che non producono cambiamento e non formano le coscienze sui temi che questa enciclica propone.
Gloria e Dino

Paragrafo 3.1: Il relativismo pratico
Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? (n.123).
Il messaggio del nuovo capitalismo è: sfrutta ogni opportunità che ti capita, perché “ogni lasciata è persa”. Non badare ai principi morali, afferra l’attimo… (Mauro Magatti, 2010).
Domande: Quanto questo modo di vedere la vita ci condiziona? Quanto condiziona l’ambiente in cui lavoriamo? Come reagiamo?

Per fortuna lavoriamo a scuola, un ambiente tranquillo, in cui non ci sono squali né tigri… Casomai la fatica è trasmettere agli studenti una scala di valori diversa da quella proposta dal relativismo pratico. In questo senso è molto evidente come la pensino i genitori dei nostri ragazzi: quelli che saltano le verifiche con regolare e insindacabile giustificazione di falso malessere da parte di mamma e papà e quelli che vengono a scuola anche con la febbre per non sottrarsi…
Elisabetta

Cerchiamo di non tenere conto delle opportunità che sono vantaggiose per noi ma possono essere nocive per gli altri e per l'ambiente.
Canzio e Irene

In famiglia abbiamo sempre cercato di essere attenti alle persone come figli di Dio, convinti che prima di tutto ci sia l’uomo, unico e irripetibile, che se l’uomo trova la sua pienezza e la sua libertà in Dio, sarà più attento ai fratelli, alla natura, all’ambiente. Certo non è sempre facile, soprattutto nell’ambito lavorativo, dove interessa di più il profitto delle persone e a volte ci si scontra con chi è disposto a calpestare valori e persone nel proprio percorso. Abbiamo però notato che sul lungo periodo viene apprezzata la coerenza di comportamento nell’applicare i valori in cui crediamo. Questo sicuramente è molto più difficile ai livelli più alti di potere.
Anna e Ferruccio

Capitolo IV. Un’ecologia integrale
Francesco inizia qui la parte propositiva della sua enciclica, alla luce di un'"ecologia integrale", di un'ecologia cioè che parta dal convincimento che l'uomo è parte integrante della natura e dell'ambiente in cui vive.

Paragrafo 1: Ecologia ambientale, economica e sociale
Anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana…
L’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione (n.142).
La globalizzazione e l’individualismo postmoderno favoriscono uno stile di vita che rende molto più difficile lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone e non è favorevole per promuovere una cultura della famiglia. Qui si apre un nuovo campo missionario per la Chiesa, ad esempio nei gruppi di famiglie dove si crea spazio per le relazioni interpersonali e con Dio (Papa Francesco, 2014)
Domanda: Quanto i temi di questo numero della rivista sono presenti nei nostri gruppi parrocchiali?

Non siamo inseriti in gruppi parrocchiali ma facciamo parte di gruppi di volontariato che sono occasione d'incontrare persone di ogni cultura. Per esempio la mia “ora” di volontariato nella biblioteca comunale diventa estremamente impegnativa per i temi che inevitabilmente affronto con gli altri volontari. Occorre essere preparati.
Canzio e Irene

Abbiamo letto l’enciclica due volte per documentarci, ma l’interessante è come abbiamo constatato come questa importante enciclica non sia stata adeguatamente illustrata e discussa in ambito cattolico come parrocchie e oratori, almeno in quelli che conosciamo.
Gloria e Dino

Paragrafo 2: Ecologia culturale
La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità (n.144).
Parlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte quando fanno naufragio (Mario Calabresi, 2014).
Domande: Conosciamo degli immigrati? Li frequentiamo? Cosa sappiamo della loro cultura? I nostri figli/nipoti hanno degli extracomunitari in classe? Come si rapportano?

A scuola abbiamo sempre ragazzi di origini straniere, così come in oratorio. È ovvio che i nostri figli li frequentino in questi due ambiti. Quello che fa una grossa differenza è la lingua: chi ha grosse difficoltà con l’italiano rimane isolato sia a scuola sia nelle amicizie, e finisce per rinchiudersi nell’ambito della propria famiglia e dei connazionali.
Elisabetta

Un esempio di quanto singoli e famiglie, insieme, possono compiere, unendo le forze di ciascuno, lo abbiamo toccato con mano anche lo scorso inverno in parrocchia. La Caritas diocesana ci aveva chiesto di utilizzare i locali della nostra ex canonica per l’accoglienza invernale dei cosiddetti “senza tetto”, sobbarcandoci, se possibile, l’onere di preparare il pasto di ogni sera per i 18 ospiti, feste (anche “grandi”) comprese, per i quattro mesi di apertura.
Il nostro parroco ha avuto il coraggio di lanciare l’iniziativa ed è stato il primo a sorprendersi della risposta: tante famiglie, più di duecento persone, hanno risposto all’appello, non c’è stata neanche la possibilità di far partecipare tutti! Il servizio è stato più che assicurato, con un modesto impegno da parte di ciascuno, e come sempre succede, sono stati i volontari coloro che ne hanno goduto, anche più degli ospiti, perché felici di aver fornito loro il di più di un calore davvero familiare; questo ha fatto sì che la nostra casa fosse la più ambita dagli ospiti delle strutture diocesane!
Elda e Fabio

In teoria siamo convinti che la varietà delle culture sia un tesoro dell'umanità ma... facciamo ancora fatica a capirci tra italiani del sud e del nord.
Circa i migranti seguiamo sgomenti quello che succede attraverso giornali e tv ed accogliamo chi bussa alla nostra porta con dialogo e piccoli aiuti economici.
Canzio e Irene

Quando nostro figlio era alle elementari, il suo migliore amico era un bambino albanese che spesso veniva a giocare a casa nostra così la sua mamma è diventata una nostra amica; erano arrivati da poco in Italia e spesso ci chiedeva consigli su come comportarsi.
Il rapporto con gli immigrati non è sempre facile, abbiamo buoni rapporti con alcune famiglie rumene che partecipano alla messa nella nostra parrocchia.
Un paio di anni fa con il nostro parroco abbiamo anche tentato di avviare un gruppo per coinvolgere queste ed altre famiglie rumene (che sono le più numerose sul nostro territorio) in comunità ma sia per motivi di lavoro, sia per diffidenza e ragioni culturali, in quanto non abituate a questo tipo di partecipazione, la proposta non è decollata.
Anna e Ferruccio

Paragrafo 3: Ecologia della vita quotidiana
Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessa-
rio per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé (n. 155).
L’essere maschio o femmina non è solo differenza anatomica ma investe tutta la persona umana, le dà una forma corporea, di un corpo vivente e “animato”, della cui riscoperta ora più che mai abbisogna l’uomo post moderno che, all’opposto, tende a depersonalizzare il corpo, facendolo diventare un oggetto muto facilmente pilotabile da manipolazioni biotecnologiche (Eugenia Scabini, 2014).
Domande: Che idee ci siamo fatti sulla controversa questione del gender? Abbiamo una nostra opinione o preferiamo tacere?

Per la verità non conosciamo nessuno che professi apertamente la teoria gender, ma penso che anche la maggior parte degli omosessuali la consideri, ci sia concessa la parola, una autentica boiata. Che durante l’adolescenza possa esserci un momento di dubbio e di incertezza in merito a chi amare e con quanta intensità è abbastanza normale, ma che tutto il resto ci sembra una teoria francamente bizzarra e lo diciamo, lo diciamo… Tuttavia non sarebbe male che i ragazzi imparassero a cucinare e le ragazze a cambiare una gomma: stiano tranquilli, sapersela cavare non procurerà un’alterazione dei loro ormoni!
Elisabetta

Gender? Cerchiamo di capire ma per noi è qualcosa di assurdo. Alla gente non interessa più di tanto, però bisogna stare attenti a quello che viene insegnato ai bambini. Valorizzare il proprio corpo come maschi e femmine è la cosa più bella.
Canzio e Irene

Paragrafo 5: La giustizia tra le generazioni
Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia (n.162).
Grazie principalmente al controllo della procreazione, il bambino è diventato un ‘figlio del desiderio’. Prima era un dono della natura, un frutto della vita che si esprimeva attraverso noi, ma spesso malgrado noi. Ora è il risultato di una volontà espressa, di un progetto definito (Marcel Gauchet, 2010).
Domande: Quanto aiutiamo i nostri figli a farsi una casa? Li aiutiamo anche se non sono come li avremmo voluti? Anche se non sono sposati in Chiesa?

Non abbiamo esperienza diretta. Conosciamo genitori che danno tanto, tantissimo ai figli ma sovente questi non diventano adulti indipendenti. Intorno a noi, invece, abbiamo coppie conviventi che sono cresciute con il nostro vecchio stile. Che fare, oltre a pregare?
Canzio e Irene

Abbiamo due figli, una figlia ora sposata e un figlio che convive ed ha avuto un bambino. Li abbiamo aiutati entrambi a farsi una casa, anche se le loro esperienze di convivenza ci hanno fatto e ci fanno soffrire.
Paola

Capitolo V. Alcune linee di orientamento e di azione
Sono cinque i percorsi indicati da Francesco (noi ne affrontiamo solo tre).

Paragrafo 1: Il dialogo sull'ambiente nella politica internazionale
Il XXI secolo, mentre mantiene una governante propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica (n.175).
Il problema è capire da chi e in che modo tale regolazione possa essere costruita, visto che, nel quadro del nuovo capitalismo… sembra mancare persino il soggetto storico in grado di sostenere una simile iniziativa: quali e quanti leader politici possono credibilmente presentarsi all’opinione pubblica chiedendo una sensibile riduzione dei livelli di vita in nome di una maggiore stabilità globale? (Mauro Magatti, 2010).
Domande: Vivere a casa propria in un clima di sobrietà è un conto, vedersela imposta è un altro. Come abbiamo reagito p.e. alla raffica di tasse sulla casa degli ultimi anni?

Le tasse le abbiamo pagate pensando agli errori disastrosi del passato e per dare “fiato”al paese. Ma forse siamo ingenui...
Canzio e Irene

La qualità della nostra vita familiare, forse perché già improntata alla sobrietà e al risparmio, non ha risentito particolarmente della “grande recessione”. Mi indigna il fatto che i soldi che verso per le tasse siano usati male o “rubati” dai soliti “furbetti”.
Paola

Paragrafo 2: Il dialogo verso nuove politiche nazionali e locali
La società, attraverso organismi non governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i governi a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali (n.179).
In questa prospettiva il Forum delle associazioni familiari lancia oggi una nuova proposta di riforma del sistema fiscale, il “fattore famiglia”, capace di costruire un sistema finalmente equo per le famiglie con carichi familiari (Forum Famiglie, 2010).
Domande: Che idea abbiamo della politica? Perché Paolo VI la definiva la forma più alta di carità? Conosciamo il nostro sindaco? Facciamo parte di qualche comitato?

Partecipiamo ai consigli comunali e ne facciamo il resoconto per il nostro giornale locale. Dalla mia esperienza di consigliere comunale posso dire che si tratta di un impegno estremamente “impegnativo” che il “popolo” apprezza solo se ha benefici personali, anche se non tanto “limpidi”.
Irene

Per ragioni di volontariato, quest’anno ha incontrato diversi politici, sia a livello locale sia nazionale. L’impressione complessiva che ho avuto è che molti di loro vivano la politica con gli stessi limiti - in proporzione - che viviamo noi semplici cittadini: c’è sempre qualcuno più in alto che alla fine decide. Spero per il bene comune…
Francesco

Paragrafo 5: Le religioni nel dialogo con le scienze
Molte volte i limiti culturali di diverse epoche hanno condizionato la consapevolezza delle religioni circa il proprio patrimonio etico e spirituale, ma è precisamente il ritorno alle loro fonti che permette loro di rispondere meglio alle necessità attuali (n.200).
L’approccio di stupore dei media nei confronti delle notizie che hanno presentato e titolato come “Papa Francesco apre all’evoluzionismo” è l’ultimo esempio di come la copertura mediatica sulla Chiesa Cattolica sia, a volte, superficiale (Raffaele Buscemi, 2104).
Domande: Secondo noi, su quali argomenti la Chiesa Cattolica è ostile alla scienza e alla tecnologia? È vero che la Chiesa ha posizioni retrograde?

La Chiesa non è infallibile, può essere che nel tempo alcune convinzioni cambino, e di conseguenza anche le indicazioni per il comportamento dei fedeli. A titolo personale, per esempio, non troviamo così inammissibile l’inseminazione fra coniugi, cosa assai diversa dalla fecondazione in vitro. Non ci sembra più invasiva o più contro natura di un trapianto di cuore, ma ripetiamo, sono opinioni personali.
Elisabetta

I Papi di nostra conoscenza, dal Papa Buono ad oggi, sono molto attenti su tutti i punti che riguardano la persona.
Canzio e Irene

Noi crediamo che l’enciclica in sé vada oltre le religioni e richiami tutti, proprio tutti, anche chi non è credente, alla conversione ecologica.
Gloria e Dino

Capitolo VI. Educazione e spiritualità ecologica
Nell'ultimo capitolo, Francesco suggerisce alcune riflessioni per "riorientare la propria rotta" personale e collettiva.

Paragrafo 1: Puntare su un altro stile di vita
Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione (n.206).
L'intera "politica pubblicitaria" del L'intera "politica pubblicitaria" della Mac Donald’s mira a coinvolgere e convincere i bambini (con regali, promozioni e gadgets). E, ovviamente, quando il bambino vuole andare da McDonald's, ci va tutta la famiglia. Tre piccioni con un cheesburger. La campagna contro questa multinazionale dura ormai da più di una decina d'anni. La McDonald's ha pagato diversi milioni di dollari di risarcimento danni ai consumatori (mediterre.net).
Domande: Siamo consapevoli che come consumatori abbiamo tra le mani un’arma potente che non usiamo: scegliere in modo etico cosa acquistare, cosa consumare?

Tra noi coniugi, ma talvolta anche con i figli, ci è capitato molte volte di parlare di scelte, sia personali sia familiari, che possono essere magari un po’ “scomode” per il portafoglio o per altri nostri interessi: per esempio se siano da preferire i prodotti del commercio equo e solidale, benché più costosi, o se sia opportuno comprare o meno qualcosa di desiderabile, anche di utile, ma proveniente da aziende dal comportamento eticamente discutibile, e così via. L’obiezione che viene rivolta spesso a scelte di tal genere è del tipo: “tanto ciò che compie una sola persona o una sola famiglia non conta nulla; se anche lo facciamo noi, ma non lo faranno altri, cosa cambia?”.
Credo che non sia facile scrollarci di dosso il conformismo e la pigrizia che ispirano questi pensieri, la fatica di compiere scelte controcorrente e di coinvolgere in esse le persone che conosciamo. Non ci rendiamo neppure conto, pur sperimentando la bellezza e la forza di essere Chiesa del Signore, delle immense possibilità che si aprono quando, invece, ci proviamo!
Elda e Fabio

Il cambiamento del nostro stile di vita è qualcosa che è progressivamente cresciuto in noi nel corso degli anni, ma che ha cominciato a mettere radici fin da quando ci siamo sposati. Se rivediamo le immagini di quei primi anni, infatti, ci colpisce la nudità delle pareti di casa nostra e l’essenzialità dell’arredo, dovuti all’esserci sposati non appena possibile.
Quello della sobrietà è stato il nostro primo “pallino”, rafforzato anche attraverso la riflessione nei GF.
Se ci si vuole mettere in cammino su quella strada, poi, si possono trovare innumerevoli spunti intorno a sé: libri, associazioni, incontri, persone… Così anche le nostre scelte concrete sono andate via via maturando in questo senso: dal consumo critico all’adesione al GAS locale (NdR: Gruppo di Acquisto Solidale); dal fare il pane in casa alla creazione di un orto che ha coinvolto anche i nostri genitori; dalle banane e dal caffè Fairtrade (NdR: Commercio equo e solidale) ai pannolini lavabili per la nostra terzogenita (come forma di riscatto a fronte del monte di rifiuti prodotti coi primi due!).
Paola e Federico

Paragrafo 2: Educare all'alleanza tra l'umanità e l'ambiente
La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale. Nella famiglia si impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espres-
sione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male. Questi piccoli gesti di sincera cortesia aiutano a costruire una cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda (n.211).
Dobbiamo invece lanciare messaggi positivi: vivere noi per primi in pienezza e farci testimoni e costruttori di un nuovo modo di essere uomini e donne. Ma questo non succederà se perseveriamo nello scetticismo: bisogna convincersi che le cose non solo «si possono» cambiare, ma che la rivoluzione di cui ci facciamo portatori è una imprescindibile necessità. (Jorge Bergoglio, 2013).
Domande: Permesso, scusa, grazie sono davvero per noi tre parole che possono “rivoluzionare” il mondo?

Abbiamo attaccato un cartoncino sul frigorifero di casa con le tre parole di Papa Francesco “permesso, scusa, grazie” per ricordarci di usarle prima di tutto in famiglia, dove non sono sempre così scontate.
Diciamo sempre che dobbiamo essere noi i primi a vivere ciò che crediamo e diciamo; non andiamo praticamente mai ai centri commerciali di domenica; in casa cerchiamo di cenare tutti insieme come momento giornaliero di comunione e in genere partecipiamo tutti e quattro alla stessa messa settimanale.
Abbiamo cercato di trasmettere ai figli l’idea che non sono le cose che abbiamo che ci liberano, ma l’Amore di Dio. Sicuramente la partecipazione ai Gruppi Famiglia ormai da più di quindici anni ci ha aiutato e continua ad aiutarci in questo cammino.
Anna e Ferruccio

Paragrafo 3: La conversione ecologica
Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali… Sarà necessaria un’unione di forze e un’unità di contribuzioni. La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria (n. 219).
Anche quest’anno la città di Milano ha aperto i propri cortili per "La festa del vicinato": 18 cortili distribuiti nelle 9 zone della città hanno aperto le porte a tutti gli abitanti dei rispettivi quartieri. Presenti e arruolati di diritto anche i “cuochi sociali”, i volontari che da mesi preparano a loro spese pranzi per gli anziani soli segnalati dal Comune, donando loro affetto e compagnia (secondowelfare.it, 2015).
Domande: La solidarietà esiste, è presente nella società. Ci lasciamo interpellare, coinvolgere? Riusciamo a farci promotori di qualche iniziativa?

Noi siamo una famiglia di sole due persone ma siamo molto impegnati nella solidarietà, grazie alla gestione di una Onlus e al nostro servizio di volontariato in un paese povero. Guardando ai cattolici della domenica, a quelli che vanno a messa pensando di avere così compiuto il loro dovere di cristiani, ci sembra che siano poco disponibili a farsi coinvolgere, che il loro cristianesimo sia più apparenza che sostanza.
Gloria e Dino

Nei mesi scorsi a Torino c’è stata una forte mobilitazione per una bimba siriana che aveva urgente bisogno di un trapianto di fegato, ma non riusciva ad avere i permessi necessari per questioni burocratiche. Ma questa sensibilità è presente per le centinaia di migliaia di siriani in fuga dalla guerra?
Ho presente il caso di una mia conoscente, molto impegnata nella sua parrocchia, ma che non riesce ad accettare l’idea che un alloggio dell’ex parroco, da lei sistemato gratuitamente, sia assegnato a una famiglia di profughi.
Paola

Paragrafo 4: Gioia e pace
Il costante aumento di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento (n.222). La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario (n.223).
Tra vent’anni ci saranno uomini che ricorderanno la loro infanzia come una fiera delle banalità, con code ai parcheggi e alle casse, luci artificiali e relazioni di plastica. Altri la ricorderanno come una gioiosa camminata tra i boschi, in una soleggiata giornata d’inverno (Patrizio Righero, 2013).
Domande: I ritmi della vita oggi sono per molti stressanti; il lavoro, quando c’è, ci insegue ovunque e sovente ci impone i suoi tempi, a discapito dei nostri. Come facciamo a non faci travolgere? A trovare tempo per la nostra famiglia?

Mi hanno molto colpito le lunghe attese che, chi è andato all’Expo, ha dovuto fare per visitare i padiglioni ritenuti più interessanti. A me sembra che non valga la pena sprecare così tanto tempo per vedere qualcosa di effimero che in un domani sarà illustrato ampiamente sui media.
Paola

Quando ci ritroviamo tutti insieme nelle grandi occasioni, figli e nipotini con i rispettivi partner, un argomento di discussione è la conciliazione famiglia-lavoro.
Mio genero, molto legato ai figli, ritiene che non si possa dare “tutto” al lavoro, che - anche a scapito della carriera - sia necessario dire dei no. Mia nuora condivide questo ragionamento solo in parte, secondo lei ci sono delle situazioni di lavoro in cui dire no sia troppo controproducente. Entrambi hanno un lavoro a tempo indeterminato, ma l’azienda di mia nuora è in mano americana e può chiudere da un giorno all’altro. Bel dilemma!
Francesco

Da pensionato ormai apprezzo fino in fondo il tempo libero, la mancanza di affanno. Vedo i problemi di lavoro dei figli, delle loro famiglie, i momenti difficili, cambi di lavoro più o meno obbligati, ambienti di lavoro non particolarmente felici. Sono vicende che possono scuotere le famiglie e mettere a prova il legame coniugale. Serve dare priorità a questo legame, al rapporto con i figli, trovare la forza e le risorse per far fronte alle difficoltà. Se nella scala delle nostre priorità la famiglia resta al primo posto, i problemi del lavoro si possono affrontare con maggiore serenità; forse tutto questo aiuta anche con colleghi e superiori difficili.
Noi, ormai pluri nonni, ci siamo assunti il compito di essere a disposizione, lasciare ogni tanto un po' di tempo esclusivo per loro come coppia, tenendo i bimbi per una notte, un week-end.
Tocca anche a noi ricordare che la Provvidenza c'è, ci soccorre, e aiutare a riconoscere la sua opera nelle fatiche della vita.
Paolo

Paragrafo 6: I segni sacramentali e il riposo celebrativo
Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione... Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia (n.236).
Il corpo risorto del Signore è il luogo dove è stata definitivamente superata la tensione tra carne e spirito, dove il corpo ha già raggiunto quella “liberazione dalla schiavitù della corruzione”, cui l’intera creazione anela (Raniero Cantalamessa, 2014).
Domande: Come il mondo è inquinato, così la nostra società è inquinata dalla “carnalità”, esibita, ammiccante, seducente. Quanto ci lasciamo influenzare dal pensiero corrente?

Un maestro spirituale, Ali Al-Khawwas, a partire dalla sua esperienza, sottolineava la necessità di non separare troppo le creature del mondo dall’esperienza di Dio nell’interiorità. Diceva: “ Non bisogna dunque biasimare per partito preso la gente che cerca l’estasi nella musica e nella poesia. C’è un “segreto” sottile in ciascuno dei movimenti e dei suoni di questo mondo. Gli iniziati arrivano a cogliere quello che dicono il vento che soffia, gli alberi che si piegano, l’acqua che scorre, le mosche che ronzano, le porte che cigolano, il canto degli uccelli, il pizzicar di corde, il fischio del flauto, il sospiro dei malati, il gemito dell’afflitto...”.
Nota 159 dell’enciclica, segnalata da Gloria e Dino

L’amore, o meglio il suo surrogato, che ci propone il mondo è seducente. Ogni lasciata è persa, ci dice. Ma tutto alla fine si riduce ad un “tubo” che entra in un “foro”, a due pezzi di carne che si strofinano tra loro.
Quello che fa la differenza, che ti riempie il cuore, è l’affetto, l’amore che l’altro/a ti corrisponde. Quando penso a queste cose mi viene in mente san Paolo: quello che resterà alla fine sarà solo l’amore.
Francesco

Paragrafo 7: La Trinità e la relazione tra le creature
La persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da sé stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature (n.240).
Andiamo a scuola per imparare a leggere e scrivere, allo stesso modo dobbiamo imparare a dialogare o confliggere in modo costruttivo, perché siamo diversi e dobbiamo conoscerci meglio. Erroneamente spesso siamo portati a pensare che in amore le cose siano scontate, ma anche il più bel giardino, sappiamo che va costantemente coltivato (Saula Sironi, 2014).
Domande: Ci siamo amati, amiamo, confidiamo di saper continuare ad amare. Cosa ci dà questa speranza? Cosa facciamo per coltivarla?

All’inizio dell’anno pastorale la nostra parrocchia celebra gli anniversari di matrimonio e invita le coppie, durante l’eucaristia, a rinnovare le promesse matrimoniali; noi abbiamo usato la “nostra” formula di quarantuno anni fa: nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto.
Francesco

Se continuiamo a credere, nonostante tutte le difficoltà della vita a due, conserviamo la speranza che l’amore che doniamo non sia qualcosa di inutile.
Paola

Quando i capelli si imbiancano, viene la tentazione di chiedersi che cosa ci unisce alla persona che ci sta al fianco. Poi si apre un cassetto e si trovano le camicie ordinate, si arriva a casa ed il pranzo è pronto e allora si scopre che l’amore, che sembrava non avere più parole, ha cambiato linguaggio e parla attraverso le attenzioni quotidiane.
Filippo

Ogni santa Messa ben vissuta e partecipata è una celebrazione dell'amore di Gesù per noi e nostro verso il prossimo in cui possiamo vedere la scintilla del Creatore che c'è in ogni persona.
Anche se devo confrontarmi con la mia difficoltà di essere in relazione con le persone, la S. Messa con il Vangelo ma, soprattutto, con l'Eucaristia mi apre alla speranza di essere capace di amare, di essere attento ad esprimerlo, di essere disponibile a fare i piccoli sacrifici che servono per concretizzarlo.
Poi c'è, giorno dopo giorno, il riconoscere in mia moglie come un impulso di amore e di disponibilità verso di me, i figli, i nipotini, i vicini...
Ma se devo fare una confessione la cosa più bella è scoprire l'amore dei figli verso noi due vecchietti. Questo si è rivelato in modo forte quando sono stato ricoverato in ospedale.
L'amore vissuto, condiviso, riempie il cuore e lo aiuta a riconoscerne la presenza nella natura, nelle persone, e questa scoperta ritorna a noi aprendoci alla realtà che ci circonda in cui Gesù è sempre presente.
Paolo

10-la solidarietà come frutto della sobrietà
La testimonianza di una coppia che opera in Nicaragua

L’uomo occidentale è sempre più invadente, non solo consuma suolo, biodiversità, acqua a dismisura, ma facendo questo la toglie a milioni di altri esseri umani.

di Gloria e Dino Verderio*
La nostra avventura cominciò con la passione per i viaggi, con il desiderio di conoscere il mondo nella sua realtà, vivere le culture di altri popoli, amare la natura nella sua completezza.
Presto ci siamo resi conto che la povertà e la miseria segnavano una grande parte dell’umanità e la nostra coscienza - e conoscenza - ci ha portato poi a sostenere vari progetti.
Siamo sempre stati abituati a vivere in sobrietà, ad evitare il superfluo, non solo come condizione materiale, ma soprattutto mentale.

Solidarietà e sobrietà
Ma cosa c’entra la solidarietà con la sobrietà? C’entra, nel senso che ci siamo accorti che per essere solidali non servono solo i soldi, serve il cuore, l’amore, la disponibilità, il sacrificio, la responsabilità verso gli ultimi.
Noi abbiamo iniziato con le nostre umili forze, creando nel tempo un’associazione, diventata Onlus nel 2007.
È da 32 anni che siamo impegnati, buona parte del tempo in Nicaragua, dove abbiamo deciso di avviare un piccolo progetto di ricambio generazionale. Adesso l’associazione ha 82 soci di cui quelli attivi sono una quindicina.

Cosa facciamo
Ogni anno trascorriamo da tre a 5/6 mesi in Nicaragua. Attualmente abbiamo attive 5 iniziative:
1) La comunità rurale di El Bonete, dove operiamo nei settori dell’educazione, salute, lavoro, infrastrutture, formazione, artigianato, lavoro sui semi di jicaro e carbone attivo per depurare l’acqua.
2) Le comunità rurali di Jinotega, abbiamo coinvolto finora 31 comunità realizzando 17 pozzi, 10 impianti d’acqua per gravità, 6 ponti pedonali, 5 aule scolastiche con materiale povero, riparato 4 chiese rurali usate anche come luoghi di riunione per i campesinos. A 1.520 capanne abbiamo dato un tetto di lamiera sostituendo quello di plastica, e poi borse di studio e vestiti. Abbiamo aiutato economicamente un gruppo di giovani che fanno lavoro sociale a formare due squadre di calcio.
3) La scuola Sagrada Famiglia delle Suore Cabriniane, con borse di studio per 50 bambini/e ogni anno.
4) L’ospedale dei bambini La Mascota, fornendo medicine salva vita non contemplate nel prontuario gratuito del ministero.
5) Aiuto al “mecate”, cioè ai contadini promotori culturali che vanno nelle comunità rurali cercando di recuperare la cultura tradizionale.

I bambini ci interrogano
Il nostro vivere sobrio, da quando siamo sposati, ci ha aiutato a recepire prima, e poi praticare, la solidarietà verso gli altri, soprattutto i bambini perché i loro primi anni di vita devono essere sereni e gioiosi per poter crescere bene.
Guardando gli occhi dei bambini poveri come quelli del Nicaragua viene voglia di ribellarsi a questa società del consumo, spreco, corruzione e guerre.
Gli occhi dei bambini poveri ci interrogano, i loro sguardi penetrano nel nostro cuore. Quando andiamo nelle case dei campesinos, dove a volte la povertà si mescola alla miseria morale e a volte ad un alto livello di dignità umana, restiamo sempre stupiti da queste baracche fatte di assi consumate dal tempo, dalle lamiere o dalla plastica del tetto, sovente bucati dal sole e dalle intemperie. Dentro c’è solo il fogòn (cucina di fango). Non ci sono letti ma legni coperti da stracci. Riso, fagioli e mais sono messi dove non piove dentro, sono l’unico bene della famiglia campesina. Ma ciò che ci colpisce di più è la serenità di questa gente, i loro sorrisi e ospitalità, a noi sembrano felici.

La ricetta della felicità
L’Onu, in una sua statistica, mette infatti il Nicaragua al 4° posto al mondo per la felicità. Ma come si fa ad essere felici se manca quasi tutto?
Forse, anche i poveri hanno una loro sobrietà, data dal saper vivere con poco. Spesso in queste case vivono due o tre famiglie, la divisione viene fatta da un telo di plastica nero e da una vecchia coperta, la promiscuità è quotidiana. Durante la stagione delle piogge in queste baracche, lo sgocciolio diventa un tic tac che accompagna la vita. I bambini sono ovunque, in ogni famiglia sono 4 o 5, giocano per terra senza mai litigare, i loro occhi sembrano diamanti che brillano.

Chi ce lo fa fare
Molti ci chiedono come facciamo a resistere mesi in questi posti, ma questo fa parte del nostro concetto di vita: solidarietà e sobrietà. Certo la fatica, le malattie, non mancano, ma nemmeno le guarigioni che a volte hanno del miracoloso.
L’umanità sta dimenticando che la vita viene dalla terra che ci alimenta, dalla natura che ci dà la bellezza del creato. Stiamo consumando tutto voracemente e ci stiamo autodistruggendo: basta pensare ai cambiamenti climatici, al buco dell’ozono, contaminazioni, malattie; l’uomo occidentale è sempre più invadente, non solo consuma suolo, biodiversità, acqua a dismisura, ma facendo questo la toglie a milioni di altri esseri umani.
Si parla troppo di crescita, investimenti, sviluppo, in realtà ci vuole giustizia e tanta sobrietà di vita.
Molti confondono la libertà con il fare quello che voglio, mettono il loro IO al posto del NOI, invece la nostra libertà esiste quando altri fratelli la percepiscono.

Essere Chiesa
Il termine “chiesa” nell’antichità rivestiva un senso di comunità, cooperazione; bisognerebbe tornare a cooperare per un cambio di società e per affermare i diritti umani.
Bisogna andare alle cause degli squilibri e non soltanto cercare di porre rimedio alle conseguenze.
Guardiamoci attorno, la vera ricchezza sta nella natura, nei rapporti umani, nei sogni, nella riflessione, nelle emozioni, nella bellezza, nella sobrietà di vita associata alla solidarietà con i nostri fratelli del mondo.
* Associazione La Comune – Luigi Bottasini ONLUS

AFORISMI SULLA SOBRIETà

Il senso della vita equivale ad una vita semplice e sobria, che si svolge come una preghiera che recitiamo con regolarità, una filosofia di vita.
Ludwig Wittgenstein

La povertà è la peggiore forma di violenza, vivere nel lusso è inaccettabile, il giusto è vivere sobriamente.
Mahatma Ghandi

Il giorno in cui la tecnologia diventerà più importante dell’umanità e il lusso più della sobrietà, il mondo avrà una generazione di idioti.
Albert Einstein

Bisogna passare da una civiltà del “sempre di più” ad una civiltà del “può bastare”, forse è già troppo!
Alexander Langer

La felicità non è fuori di noi ma dentro di noi, va scoperta nelle piccole cose, nel vivere sobrio e nella natura che ci circonda.
Serge Latouche

Il vero potere è quello dell’amore, che accoglie e trasforma i rapporti umani e questo amore è dentro ad ogni uomo e donna di buona volontà che sappia vivere di cose semplici, per una società a misura d’uomo.
Martin Luther King

La prima fraternità è quella dell’uomo con tutte le cose che lo circondano.
Teresa d’Avila

Mite è colui che quando entra in contatto con altri non lo fa per gareggiare, il mite non conosce la mania del potere, la cupidigia, è invece altruista, generoso, non sfrutta il prossimo e svolge una vita all’insegna della sobrietà, perché ciò gli permette spicchi di felicità quotidiana.
Norberto Bobbio

Non inseguite solo piaceri e divertimenti, illusioni e momenti dorati usa e getta. Cercare invece, nella normalità, la felicità insita nei rapporti tra umani e tra questi e la natura.
Rainer Maria Rilke

Uomini e donne nella Bibbia
11-con gesù nel deserto
Oggi la forma più necessaria di digiuno si chiama sobrietà

di Damiano Gatto
Dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni Gesù, obbedendo a un impulso dello Spirito Santo, si ritira nel deserto dove rimane quaranta giorni (Mt 4,1-10).

Il deserto
Nella storia vi sono state schiere di uomini e donne che hanno scelto di imitare Gesù che si ritira nel deserto.
Ma l’invito a seguire Gesù nel deserto non è rivolto solo ai monaci e agli eremiti. In forma diversa, esso è rivolto a tutti. Se i monaci e gli eremiti hanno scelto uno spazio di deserto, noi dobbiamo scegliere almeno un tempo di deserto.
Purtroppo l’interiorità è un valore in crisi. Noi tutti siamo molto protesi verso l’esterno, esponendoci al pericolo quasi inevitabile dell’ipocrisia.
Lo sguardo di altre persone ha il potere di far deviare la nostra intenzione, come certi campi magnetici fanno deviare le onde. L’azione perde la sua autenticità e la sua ricompensa.
Il sembrare prende il sopravvento sull’essere. Per questo Gesù invita a digiunare e fare l’elemosina di nascosto e a pregare il Padre “nel segreto” (cfr Mt 6,1-4).

Digiuno di cose
Il secondo grande elemento presente nel racconto di Gesù nel deserto è il digiuno. “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame” (Mt 4,1). La forma più necessaria e significativa di digiuno si chiama oggi sobrietà.
Privarsi volontariamente di piccole o grandi comodità, di quanto è inutile e a volte anche dannoso alla salute. Questo digiuno è solidarietà con la povertà di tanti.
Un tale digiuno è anche contestazione di una mentalità consumistica.
In un mondo, che ha fatto della comodità superflua e inutile uno dei fini della propria attività, rinunciare al superfluo, saper fare a meno di qualcosa, frenarsi dal ricorrere sempre alla soluzione più comoda, dallo scegliere la cosa più facile, l’oggetto di maggior lusso, vivere, insomma con sobrietà, è più efficace che imporsi delle penitenze artificiali.
È anche giustizia verso le generazioni che seguiranno la nostra che non devono essere ridotte a vivere delle ceneri di quello che abbiamo consumato e sprecato noi. La sobrietà ha anche un valore ecologico, di rispetto del creato.

Digiuno di immagini
Più necessario del digiuno dai cibi è oggi anche il digiuno dalle immagini. Viviamo in una civiltà dell’immagine; siamo diventati divoratori di immagini. Attraverso la televisione, la stampa, la pubblicità, lasciamo entrare a fiotti immagini dentro di noi.
Molte di esse sono malsane, veicolano violenza e malizia, non fanno che aizzare i peggiori istinti che ci portiamo dentro. Sono confezionate espressamente per sedurre.
Ma forse il peggio è che danno un’idea falsa e irreale della vita, con tutte le conseguenze che ne derivano nell’impatto poi con la realtà, soprattutto per i giovani. Si pretende inconsciamente che la vita offra tutto ciò che la pubblicità presenta.
Se non creiamo un filtro, uno sbarramento, riduciamo in breve tempo la nostra fantasia e la nostra anima a un immondezzaio. Le immagini cattive non muoiono appena giunte dentro di noi, ma fermentano. Si trasformano in impulsi all’imitazione, condizionano terribilmente la nostra libertà.

Digiuno di parole inutili
Un altro di questi digiuni che possiamo fare è quello dalle parole cattive.
San Paolo raccomanda: “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Efesini 4, 29).
Nel vangelo di Matteo è riportata una parola di Gesù: “Ma io vi dico che di ogni parola inutile gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio” (Mt 12, 36).
Gesù non intende certo condannare ogni parola inutile, nel senso di non “strettamente necessaria”, ma la parola infondata, calunniosa; San Paolo raccomandava al discepolo Timoteo: “Evita le chiacchiere profane, perché quelli che le fanno avanzano sempre più nell’empietà” (2 Tim 2,16).
Una raccomandazione che papa Francesco ci ha ripetuto più di una volta.

12-Famiglie insieme ai piedi del Pollino
Un investimento estivo oculato

“Le relazioni familiari tra le insidie del male e la forza risanatrice del bene: un percorso biblico ed esistenziale sulle orme di Tobia e Sara”.
È stato questo il tema del campo estivo per famiglie svoltosi dal 6 al 9 agosto 2015 a Mormanno (Cosenza), nella suggestiva cornice dell’Appennino calabrese settentrionale (Parco nazionale del Pollino).
Il campo è nato dalla collaborazione tra il Gruppo Famiglia della Parrocchia San Paolo Apostolo di Rende (CS), il Collegamento nazionale dei GF ed il GF del Rosario di Lamezia Terme.
Tredici famiglie giovani, con 26 bambini, una coppia senior e una di fidanzati, hanno condiviso momenti di formazione, preghiera, svago e ordinaria quotidianità.

Le meditazioni, e i lavori di coppia e di gruppo, hanno seguito il testo biblico della storia di Sara e Tobia (libro di Tobia) e sono state proposte, con incisività, da un giovane presbitero della Diocesi di Cosenza-Bisignano, don Luigi Bova.
Tra i vari spunti offerti si è affrontato il tema della paura: la funzione positiva delle paure personali di indicare ciò che nella propria vita va bonificato; l’importanza di riconoscerle e accettarle senza lasciarsene paralizzare; la capacità di affrontarle confidando, attraverso la preghiera, nell’aiuto liberante di Dio.
I coniugi Durante, responsabili nazionali del Collegamento dei GF, hanno guidato con entusiasmo due lectio sulle tre parole proposte da papa Francesco alle famiglie: permesso, grazie e scusa, e, con l’aiuto di due animatrici incontenibili, come Irene e Letizia, hanno accompagnato il percorso di animazione e formazione dei bambini, secondo un programma parallelo sullo stesso racconto biblico.

Commovente il momento penitenziale progettato per i bimbi, che si è concluso con un abbraccio ai genitori, chiedendo scusa per le proprie marachelle con l’apertura di un fiore di carta colorata.
Tutto l’itinerario del campo è culminato nella giornata del grazie, la domenica: con la mediazione di Renato e Antonella che hanno distribuito blocchi di foglietti, con la scritta Grazie, e che ogni famiglia era invitata a donare ad altri.
L’uscita per le vie del paese, gli altri momenti serali di festa, l’adorazione eucaristica, la Messa: sono stati altri momenti significativi del Campo.

Nella condivisione finale unanimi i riscontri positivi sull’esperienza vissuta, con alcuni partecipanti che avrebbero desiderato rimanere insieme ancora qualche altro giorno, per poter approfondire la conoscenza reciproca.
L’“effetto campo” si è prolungato dopo il ritorno a casa, quando ogni famiglia, non senza commozione, ha letto i messaggi ricevuti dalle altre famiglie, nelle caselle di posta (non virtuali) che erano state appese nel refettorio. Parole scritte che hanno permesso una maggiore apertura comunicativa.

“Sacrificare” (anche nel senso etimologico di “rendere sacro”) alcuni giorni di ferie in questa modalità così alternativa, rispetto alle ammiccanti proposte estive della nostra società dei consumi, si è rivelato per queste famiglie – figli compresi – un ottimo investimento, anche per il futuro.
Livio Guida

“Le relazioni familiari tra le insidie del male e la forza risanatrice del bene: un percorso biblico ed esistenziale sulle orme di Tobia e Sara”.
È stato questo il tema del campo estivo per famiglie svoltosi dal 6 al 9 agosto 2015 a Mormanno (Cosenza), nella suggestiva cornice dell’Appennino calabrese settentrionale (Parco nazionale del Pollino).
Il campo è nato dalla collaborazione tra il Gruppo Famiglia della Parrocchia San Paolo Apostolo di Rende (CS), il Collegamento nazionale dei GF ed il GF del Rosario di Lamezia Terme.
Tredici famiglie giovani, con 26 bambini, una coppia senior e una di fidanzati, hanno condiviso momenti di formazione, preghiera, svago e ordinaria quotidianità.

Le meditazioni, e i lavori di coppia e di gruppo, hanno seguito il testo biblico della storia di Sara e Tobia (libro di Tobia) e sono state proposte, con incisività, da un giovane presbitero della Diocesi di Cosenza-Bisignano, don Luigi Bova.
Tra i vari spunti offerti si è affrontato il tema della paura: la funzione positiva delle paure personali di indicare ciò che nella propria vita va bonificato; l’importanza di riconoscerle e accettarle senza lasciarsene paralizzare; la capacità di affrontarle confidando, attraverso la preghiera, nell’aiuto liberante di Dio.
I coniugi Durante, responsabili nazionali del Collegamento dei GF, hanno guidato con entusiasmo due lectio sulle tre parole proposte da papa Francesco alle famiglie: permesso, grazie e scusa, e, con l’aiuto di due animatrici incontenibili, come Irene e Letizia, hanno accompagnato il percorso di animazione e formazione dei bambini, secondo un programma parallelo sullo stesso racconto biblico.

Commovente il momento penitenziale progettato per i bimbi, che si è concluso con un abbraccio ai genitori, chiedendo scusa per le proprie marachelle con l’apertura di un fiore di carta colorata.
Tutto l’itinerario del campo è culminato nella giornata del grazie, la domenica: con la mediazione di Renato e Antonella che hanno distribuito blocchi di foglietti, con la scritta Grazie, e che ogni famiglia era invitata a donare ad altri.
L’uscita per le vie del paese, gli altri momenti serali di festa, l’adorazione eucaristica, la Messa: sono stati altri momenti significativi del Campo.

Nella condivisione finale unanimi i riscontri positivi sull’esperienza vissuta, con alcuni partecipanti che avrebbero desiderato rimanere insieme ancora qualche altro giorno, per poter approfondire la conoscenza reciproca.
L’“effetto campo” si è prolungato dopo il ritorno a casa, quando ogni famiglia, non senza commozione, ha letto i messaggi ricevuti dalle altre famiglie, nelle caselle di posta (non virtuali) che erano state appese nel refettorio. Parole scritte che hanno permesso una maggiore apertura comunicativa.

“Sacrificare” (anche nel senso etimologico di “rendere sacro”) alcuni giorni di ferie in questa modalità così alternativa, rispetto alle ammiccanti proposte estive della nostra società dei consumi, si è rivelato per queste famiglie – figli compresi – un ottimo investimento, anche per il futuro.
Livio Guida

13-DAL CAMPO DI MORMANNO

Signore ti benediciamo….
• perché ci hai concesso questo tempo di riposo;
• per le persone che ci hai messo accanto in questo campo, e soprattutto per l’occasione che ci hai concesso di guardare negli occhi la nostra metà e riscoprire l’amore che ci ha portato al sacramento del matrimonio;
• per i bambini che ci hai donato, con la loro vivacità: sono testimonianza viva della tua Presenza;
• perché ci aiuti a ridimensionare i nostri problemi grazie al confronto fraterno;
• perché ci accompagni nel nostro percorso di crescita, ci rendi maturi di fronte a tematiche e difficoltà che ci mettono a dura prova quotidianamente;
• perché ci dai aiuto e sostegno;
• perché, nella tua grande misericordia, ci ricordi ogni giorno il tuo immenso amore, la tua profonda vicinanza e paternità;
• per la gioia e per la speranza che ogni giorno ci dai e per la tua fantasia creativa e procreativa;
• per la creazione e perché ogni giorno ci fai sentire persone vive.
Amen

14-Coltivare gli atteggiamenti dell’amore
La virtù più grande è la carità!

Coltivare gli atteggiamenti dell'amore è il tema che ci ha accompagnato quest'anno al campo famiglia di Sant'Angelo in Vado (PU).
E anche quest'anno con gioia ed entusiasmo siamo partiti dalla Puglia sicuri di ricevere tanto, e le nostre aspettative sono state superate perché il Signore è sempre il Primo in tutto.
Attraverso le testimonianze di chi ha saputo mettere la propria vita - fidandosi di Lui - nelle Sue mani, abbiamo scoperto che Lui compie meraviglie.
Partecipare al campo estivo per noi è una ricarica, è mettersi in gioco, è cammino di crescita.
È condividere con altre famiglie che sentono come noi lo stesso desiderio di incontrarsi, è approfondire la fede, stando insieme in un clima di accoglienza e festa.

Il nostro è stato un campo itinerante nel senso che ci spostavamo noi per incontrare i relatori e ogni giorno era una sorpresa, una bella sorpresa.
Così abbiamo conosciuto suor Gloria che, attraverso l'arte, ci ha parlato della coppia e la sua importanza.
Quindi andare a Pennabilli, all'eremo delle Beatitudini di suor Sveva, un'eremita diocesana, che ci ha parlato della "carità che tutto crede”: a Dio niente è impossibile; quando ti affidi completamente a Lui compie cose grandi con noi.
Poi conoscere una giovane famiglia coraggiosa - o meglio che ha fatto una scelta coraggiosa - della comunità della "Papa Giovanni XXIII". Loro si sono fidati ciecamente della Provvidenza - perché "la carità tutto spera" - sia nel loro matrimonio che nella loro scelta di accogliere ragazzi con difficoltà.
E, ancora, scoprire alla comunità di Caresto, che "la carità tutto sopporta", ovvero l'importanza del perdono e della comprensione della diversità all'interno della coppia.
Il venerdì con don Fabio Ercoli abbiamo celebrato la giornata della riconciliazione, perché "la carità tutto scusa". Il sabato, infine, a Mercatello sul Metauro una suora cappuccina ci ha parlato della "la carità" che "non avrà mai fine".

Morale: tutto ciò che conta nella nostra vita è l'Amore che deve spingere ogni nostra azione, atteggiamento e interiorità.
Sicuramente tutti portiamo nel cuore i bei incontri e il desiderio di approfondire sempre di più i temi trattati.
Grazie, grazie di cuore a chi organizza, a coloro che ci hanno accolto nelle loro realtà, a tutte le famiglie che hanno partecipato con noi al campo, a don Fabio che ci ha accompagnato, ma soprattutto a Dio.
Cosa dire? A quando il prossimo campo?
Letizia, Maria, Enza e Vito

15-Misericordia e perdono
Voltago Agordino 2015

A Voltago ho voluto tornare
per vivere il campo familiare.
Arrivando al campo ho ritrovato
lo stesso cielo grigio e suol bagnato,
ma appena son entrato nella casa
c'è un'atmosfera d'amore pervasa,
vedo aguzzando occhi e ciglia
tante famiglie... una sola famiglia
bambini e ragazzi e genitori,
cui s'aggiungono gli educatori.
La cucina è buona e ci sazia
con Carmen, Assunta e Maria Grazia,
cui collabora per farci piacere
Gabriele, il nostro pasticciere.
Noi ci prestiamo come ausiliari
per piatti, servir e lavori vari.
Padre Francesco cura la preghiera
dalle Lodi alla Messa della sera.
Gabriella, col suo solito zelo,
spezza a noi le parole del Vangelo,
partendo dalle Beatitudini
(alcune ci crean inquietudini).
Si passa dai farisei brava gente,
a quelli ipocriti, buoni da niente...
Il figliuol prodigo, il buon papà
che perdona il figlio e festa fa.
Il servitor coi debiti rimessi,
che non rimette quelli concessi...
Infine la mitezza del Signore...
sacrificatosi per il peccatore.
Seguon i gruppi con la discussione,
ognun presenta la sua posizione
Conclude il lavoro della giornata
la Messa, che direi concelebrata:
qui ogni gruppo spiega il suo lavor
offrendolo agli altri ed al Signor.
Ogni sera ci sono le serate,
dagli animatori ben animate.
Al Sabato c'è la Messa Sponsale
(rinnovo promessa matrimoniale)
la sposa col bouquet di fiorellini,
colti dal marito o dai bambini.
lo, nel bene e nel male, distinto
ho fatto il bouquet d'un sol giacinto.
Ed ora, dalla commozione vinto,
vi abbraccia tutti...
Nonno Giacinto
Per leggere il testo integrale della poesia clicca qui!

16-La famiglia, comunità di vita e di amore
La testimonianza di una coppia relatrice

Quando Corrado e Nicoletta Demarchi ci hanno invitato al campo di Bessen Haut come relatori, offrire la nostra disponibilità non è stata una scelta scontata.

Ci preoccupava l’idea di “metterci in cattedra” per una intera settimana, condizione che è un po’ aliena al nostro modo di essere, la quantità di spazio e tempo dedicata alle riflessioni (ci chiedevamo: ma dopo un po’ non si annoieranno di sentirci parlare?) e soprattutto la reazione dei nostri figli, due ragazzetti che si affacciano all’adolescenza, di 12 e 13 anni, di cui uno adottato e l’altro in affido, che si dimostrano spesso non facili da accontentare. Quindi fino al giorno di inizio campo, le nostre perplessità erano davvero molte…
Come cerchiamo di fare in questi casi, abbiamo affidato al buon Dio l’occasione che ci veniva offerta, confidando nelle sue strategie: se è Lui a chiedere qualcosa, ti dà anche il modo, gli strumenti, le condizioni per portarla a buon fine.

Ancora una volta, abbiamo potuto constatare quanto ciò sia vero; lo spessore dell’esperienza vissuta insieme, a livello umano e spirituale, è stata una grazia per la quale continuiamo ad essere riconoscenti a ogni persona che ha partecipato con noi a questa esperienza.
I nostri figli, lungi dal chiederci fin dalla prima sera “quando si torna a casa?”, come temevamo, sono stati fin da subito coinvolti grazie a degli animatori davvero in gamba, capaci di creare un clima spensierato e gioioso anche in attività impegnative, di amalgamare in pochissimo tempo ragazzetti di età, temperamenti ed esperienze totalmente diversi, di rispettare i tempi e le esigenze di ciascuno pur rimanendo nelle “regole” del campo.

Totalmente tranquilli sul punto figli (ed era una sensazione davvero non scontata) ci siamo potuti dedicare anima e cuore alla condivisione e alla riflessione. Il senso di comunione è cresciuto di giorno in giorno, abbiamo messo in comune le nostre vite, le nostre pene e i motivi di gioia, interrogandoci sui temi non semplici dell’Instrumentum Laboris del Sinodo sulla famiglia: natura, vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
Ciò che aveva suscitato in noi qualche timore, la quantità di tempo a disposizione per le riflessioni, si è rivelata un aspetto indispensabile e provvidenziale per poter andare a fondo nei vari aspetti trattati, e lungi dal farsi prendere dalla noia, in questo tempo prezioso molti hanno potuto affrontare e confidare aspetti profondi della propria vita di coppia e familiare.
Avere a disposizione non solo il breve tempo di una relazione, ma i pranzi, le cene, i momenti di relax, per parlare, conoscersi e confrontarsi è stato un arricchimento reciproco di cui anche a distanza di qualche mese continuiamo a sperimentare la forza e il valore.

Sappiamo che può sembrare una frase fatta, ma abbiamo sicuramente ricevuto molto più di ciò che abbiamo messo a disposizione, e abbiamo davvero sperimentato l’azione dello Spirito che fa lievitare l’impasto, del Maestro che moltiplica i tuoi pochi pani, del Padre che invia e fa sentire la Sua voce.
Vorremmo qui ancora ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile tutto ciò, dagli organizzatori, alle cuoche, agli educatori e soprattutto ogni persona che ha partecipato al campo, mettendo in gioco il cuore della propria vita di coppia e familiare con umiltà, disponibilità e fiducia.
Roberta e Massimo Querce

17-LA FESTA PER I VENTICINQUE ANNI DEL COLLEGAMENTO
Di generazione in generazione... che meraviglia!

L'incontro di Treviso per la festa dei 25 anni è sicuramente riuscito per la partecipazione di tante famiglie che hanno organizzato e vissuto con gioia e generosità l'esperienza, esprimendo così un grosso apprezzamento per il lavoro svolto e un sincero incoraggiamento ad intensificare l'impegno per la pastorale famigliare in questo periodo così significativo per la Chiesa tutta.
Il cammino di questi anni ha molti nomi e volti, esperienze e storie che vanno ben oltre il valore dei semplici numeri. L'intuizione di Mons. Anfossi, allora Ausiliare di Torino, e di un piccolo gruppo di sposi capeggiati da Guido e Anna Lazzarini ha contagiato nel tempo più generazioni, sparse ormai in tutta la penisola e con la voglia di non fermarsi qui.
Cosa trasmettere alle generazioni se non la meraviglia nello scorgere nel cuore di tanti amici, anche sacerdoti e religiose, e dei nostri figli la gratitudine, la gioia di condividere fondamentalmente la fede nel Dio della vita, che per noi significa nel Dio della promessa su cui si fonda il nostro matrimonio, la nostra famiglia?
È quella fede che Davide e Nicoletta Oreglia ci hanno richiamato far parte della storia, dei nostri padri e dei nostri genitori: quella stessa che ci spinge a scegliere il Vangelo, a vivere in pienezza il nostro essere sposi, l'uno per l'altra, per i figli e per il mondo.
L'esperienza dei gruppi famiglia umilmente si mette a servizio delle famiglie che vogliono camminare insieme nelle parrocchie, nelle case e ovunque si senta questo bisogno di essere comunità, proprio per sostenerci nel cammino della vita, proprio per incarnare quell'Eucaristia che è il pane nella nostra mensa fatta di relazioni, faticosamente e pazientemente costruite giorno dopo giorno, difese con la logica della gratuità dai continui assalti del tutto e subito, dell'interesse e del tornaconto.
L'unico riferimento rimane l'Amore di Cristo, che si dona oltre misura, senza chiedere nulla in cambio, rispettando la libertà dell'uomo, sopportando anche il rifiuto del dono. Non è forse questa la logica che anima i genitori nei confronti dei propri figli?
Che bella questa dimensione che intravediamo in noi del Dio che ci è padre, Dio dal cuore ricco e senza misura; che bel senso di perdono accogliente in questo inizio di Anno Santo straordinario della Misericordia.
Le strade che ci hanno portato a Treviso partono un po' da tutta Italia, da nord a sud e da est a ovest. I nostri figli e soprattutto quelli più grandi sono stati il segno più bello: il loro stile nel prendersi cura dei più piccoli ha tutto il sapore intenso della famiglia. L'essere famiglia l'uno per l'altro.
Sono loro che misurano il nostro sogno, sono le loro scelte che completano e coronano le nostre fatiche.
Che meraviglia scorrere le immagini di questa festa, che meraviglia i lunghi riti dei saluti, che meraviglia leggere i numerosi messaggi di quelli che pur non presenti, hanno voluto esserci.
Che meraviglia vederci celebrare insieme la messa con don Giancarlo e padre Francesco, momento significativo del nostro grazie al Signore con i bambini che scorrazzavano ai piedi dell'altare, come a casa loro…
A ciascuno va il nostro grazie, alla diocesi che ci ha ospitato, all'istituto religioso delle Canossiane che ci ha accolto, alle famiglie che si sono messe in gioco perché tutto nella semplicità riuscisse bene. Al Collegamento per il prezioso lavoro nel tener vivo il “sogno” per tante famiglie: il gruppo famiglia.
Antonella e Renato Durante
Per la preghiera riportata sul segnalibro ricordo clicca qui!

18-PER CONCLUDERE
Preghiera per la nostra terra

Dio Onnipotente,
che sei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tua tenerezza
tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore
affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle
senza nuocere a nessuno.
O Dio dei poveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
e i dimenticati di questa terra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo,
affinché seminiamo bellezza
e non inquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
a spese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per la giustizia, l’amore e la pace.
Papa Francesco, Laudato sii

GF88 Extra

A-ECONOMIA, MERCATO, PERSONA
Quali spazi per l'Economia Civile?

Partirei prendendo in considerazione le parole che costituiscono il titolo di questo incontro.

Che cos’è l’economia
L’economia esiste da quando esiste l’uomo. Già nel paradiso terrestre, prima della caduta, c’era un problema economico. Come voi sapete Adamo ed Eva avevano abbondanza di tutto però erano creature, limitate, cioè dovevano operare delle scelte. Il problema economico è esattamente un problema di scelta, non posso fare tutto contemporaneamente, devo scegliere cosa fare.
Dopo la caduta il problema si è aggravato perché, oltre alla questione della scelta, si aggiunta quella della scarsità (il lavoro diventa fatica).
Il problema economico precede la scelta giuridica, che nasce dopo l’uccisione di Abele da parte di Caino. Caino è chiamato a fondare la prima città (Gn 4,17) e questo porta con sé il problema della legge perché, per evitare il caos, ci vogliono delle regole.
Però si può fare economia anche senza mercato. L’esempio più eclatante è quello dell’Unione Sovietica ma ancora oggi questo è vero nella Corea del Nord.

Mercato e persona
La forma del mercato è relativamente recente perché nasce nel contesto dell’umanesimo civile, nel 1400 in Toscana. Firenze è la culla dell’economia di mercato (EdM). Faccio una precisazione prima di proseguire: l’EdM non sono i mercati. Questi ultimi, intesi come luoghi fisici in cui avvengono gli scambi, sono sempre esistiti. Quando si parla di EdM si fa riferimento ad un preciso sistema di ordine sociale che nasce in Toscana come conseguenza dell’umanesimo civile.
Il terzo elemento del titolo è persona. Per noi oggi, di fatto, non c’è alternativa all’EdM, quello che ci deve angustiare è che oggi si può avere il mercato anche senza le persone, o meglio il mercato può essere abitato da “non persone”. Oggi, infatti, il mercato è abitato da individui e l’individuo è un animale diverso dalla persona. L’individuo, come diceva Leibniz, è come una monade, che può stare benissimo da solo mentre la persona è un individuo in relazione ontologica con gli altri.
Quello che vorrei ora dimostrare è che i guai delle società contemporanee sono dovute ad una serie di ragioni che hanno fatto sì che alle persone subentrassero gli individui.

Il mercato civile
Ma è sempre stato così? No, perché l’EdM nasce per le persone e ha come obiettivo ultimo il bene comune. I fondatori dell’EdM furono i francescani con l’invenzione delle prime banche: i Monti di Pietà.
Il primo Monte viene fondato a Perugia nel 1462, il secondo a Siena, per opera di San Bernardino.
I monti nascono per aiutare i poveri ad uscire dalla loro condizione di miseria. San Francesco, infatti, nella sua regola, scrive che bisogna combattere la miseria perché questa induce al peccato e schiavizza la persona.
L’EdM, quindi, nasce come strumento di umanizzazione dei rapporti all’interno della società, tende a ridurre le barriere fra le caste, a far incontrare le persone e permetter loro di stabilire nessi di reciprocità.
Questo modello, che in economia si chiama mercato civile, finisce già alla fine del 1500.
I fattori sono stati tanti: uno di questi è stata la riforma protestante che ha fatto scomparire il concetto di persona sostituendolo con quello di individuo. Per Lutero, ma soprattutto per Calvino, la dimensione religiosa che conta è quella verticale: il rapporto tra l’uomo e Dio. La dimensione orizzontale, cioè il rapporto con i fratelli scema d’importanza.
Così, quando arriveremo, nel 1700, alla rivoluzione industriale, i tempo saranno maturi per la nascita dell’EdM capitalistica.
Ma non dobbiamo rassegnarci all’idea che non ci sia alternativa alla situazione attuale perché sappiamo, come ho già detto, che un modello di organizzazione sociale diverso da quello capitalista c’è stato e ha funzionato, seppure solo per un secolo.

Il mercato capitalistico
La sostituzione del concetto di persona con quello di individuo è ciò che ha caratterizzato il passaggio tra il mercato civile e quello capitalistico. L’individuo è uno che bada solo a se stesso, che mette se stesso al primo posto. Qui ci può aiutare la metafora dell’Homo oeconomicus, l’uomo economico. Questa definizione appartiene a Stuart Mill, grande filosofo ed economista della metà dell’ottocento, che la usò per descrivere quello che egli osservava nella società inglese del suo tempo.
L’Homo oeconomicus è un soggetto individualista e auto interessato, che pensa cioè solo al proprio interesse. Questo individuo interagisce con gli altri suoi simili attraverso il principio del contratto e delle leggi. Da allora la maggior  parte degli economisti sostengono che l’economia di mercato per funzionare ha bisogno solo di un sistema di contratti e di regole ben definite e fatte rispettare.
Si è passati dall’economia civile a quella capitalistica gradatamente e per una pluralità di fattori: il primo è stato la rivoluzione industriale e, in tempi più vicini a noi, quel fenomeno di portata epocale che è la globalizzazione.
La globalizzazione, di cui tanto si parla, contiene un elemento di verità fondamentale: ha separato i luoghi di vita dai luoghi di lavoro. Prima i due ambiti coincidevano, questo era palese nella campagne – la fattoria sorgeva in mezzo ai terreni da lavorare – per gli artigiani – sotto la bottega e sopra l’abitazione – e poi, con la rivoluzione industriale, i paesi iniziarono a sorgere intorno alle grandi fabbriche.
Questa terza rivoluzione industriale, legata alle tecnologie info-telematiche, è caratterizzata dalla sostituzione delle relazioni con i contatti. Internet ha aumentato enormemente le possibilità di contatto ma ha diminuito di molto le possibilità di relazione interpersonale perché quest’ultima presuppone che io ti guardi in faccia ed entri in dialogo con te.

L’individualismo libertario
Tutto ciò ha portato allo sviluppo della cultura dell’individualismo libertario, che oggi è il cancro delle nostre società.
L’individualismo libertario è una tesi di economia politica e morale che afferma che:
1- la sorgente del valore è nell’individuo, in altre parole ha valore solo ciò che l’individuo decide che abbia valore;
2- ognuno deve esser lasciato “libero” di fare ciò che vuole perché ogni tentativo di educare e indirizzare è una coartazione della libertà del soggetto.
Quest’ultima affermazione (libertarismo) si poggia sulla tesi dell’autocostruzione del sé, ognuno deve costruirsi dal solo la propria identità, il proprio futuro, ecc.
Ciò comporta l’estensione dei “deserti” spirituali, della solitudine e l’abbassamento dell’indice sintetico della felicità. (Vedi: http://www.istat.it/it/archivio/126613)
Sono dati statistici che tutti i paesi del mondo sono tenuti a pubblicare ogni anno.
Da questi indici si ricava che negli ultimi 25 anni la felicità è in netto calo, come segnalato da una serie di indicatori (12 in tutto) come: il tasso di suicidi, il numero di separazioni e divorzi, il consumo degli psicofarmaci, ecc.
Questa è la prima conseguenza negativa dell’individualismo libertario.

La competizione posizionale
Si è reso inoltre, con l’individualismo libertario, il mercato non più luogo di socializzazione ma di scontro.
Si entra nel mercato per sconfiggere l’altro, questa si chiama competizione posizionale. Non si entra nel mercato per aumentare il benessere della società ma per eliminare i concorrenti, per migliorare la propria posizione a detrimento degli altri.
Questo crea profonde sofferenze in chi lavora nelle imprese, a cominciare dai manager, a cui viene affidato come obiettivo quello di sconfiggere il concorrente. Si ribatterà: questo è nient’altro che competizione ma il termine competizione significa tendere-con (verso un comune obiettivo). Competizione ha infatti la stessa radice di comunione.
Questo nuovo modo di competere, non più cooperativo ma posizionale, è la seconda conseguenza negativa dell’individualismo libertario.
Tutte le spiegazioni che trovate sui media, p.e. di fronte al fenomeno disoccupazione, sono tautologie, cioè giochi di parole. Ci sono i disoccupati e le famiglie povere perché c’è la crisi. Ma allora perché c’è la crisi? È come il gioco dei perché che non va mai alla fine!
Se uno approfondisce scopre che alla base lo snaturamento del modo di funzionamento dei mercati: la competizione posizionale ha bisogno della crisi perché ogni impresa si dà come obiettivo quello di espellere le altre imprese dal mercato ma, così facendo, le imprese sconfitte devono chiudere e licenziare i dipendenti. Ma se le regole del gioco fossero diverse questo non avverrebbe.

La fine del taylorismo
La terza implicazione ha a che vedere con il modo di organizzazione interno dell’impresa.
Avrete presente che cos’è il taylorismo. L’ing. Taylor, americano, nel 1911 pubblica la sua opera fondamentale: “L’organizzazione scientifica del lavoro”. L’elemento fondamentale di questo nuovo modo di lavorare si chiama “catena di montaggio” e ciò ha permesso all’America, a partire dal primo dopoguerra, di diventare la prima potenza industriale del mondo, scalzando l’Inghilterra.
La catena di montaggio ha avuto il grande merito di aumentare la produttività e far diminuire il costo dei prodotti. Ma la novità dell’oggi, dell’epoca post-industriale, è che il modello taylorista non funziona più e chi si ostina ad applicarlo è destinato al fallimento.
Taylor, infatti, nel suo libro scrive: “i lavoratori nella fabbrica vanno trattati come se fossero dei buoi. Il lavoratore cioè non deve pensare e deve solo eseguire ciecamente le mansioni che il suo superiore gerarchico gli ha dato”. Ma oggi viviamo nell’epoca dell’economia della conoscenza e, di conseguenza, nell’impresa tutti devono pensare, anche l’ultimo arrivato, anche l’uomo delle pulizie.
Se ci si ostina a gestire i rapporti di lavoro in termini gerarchici non si sfrutta la conoscenza presente tra i dipendenti, e così l’azienda non fa innovazione, perde in produttività e va fuori mercato.
Avere eliminato nei luoghi di produzione la persona e averla sostituita con l’individuo vuol dire avere impedito alle imprese di reggere alle sfide dell’epoca post-industriale.
C’è la crisi per questo motivo, perché a ben guardare alcune imprese hanno migliorato le loro vendite e i loro bilanci, vanno male le imprese deboli, quelle che non hanno instaurato al loro interno dei rapporti di natura personale e hanno mantenuto una struttura gerarchica e tayloristica.
Eliminare la persona intesa come soggetto la cui individualità va rispettata e i cui talenti vanno fatti fruttare è pernicioso.

Mercato e democrazia
L’ultima implicazione, molto delicata, dell’avere dimenticato il concetto di persona ha portato a far sì che oggi il mercato sia diventato il regno dei fini e la democrazia il regno dei mezzi.
Nei secoli precedenti i ruoli erano invertiti: la democrazia era il luogo dove si decidevano gli obiettivi che la società intendeva raggiungere e il mercato era il luogo dove si chiedeva agli operatori di trovare il modo più efficiente per raggiungere quegli obiettivi.
Oggi la politica è diventata a servizio dell’economia e questo stravolgimento, se non si interverrà con decisione, ci porterà alla rovina.
Papa Francesco è uno dei pochi che ha il coraggio di denunciare questa distorsione.
Alexis de Tocqueville apparteneva ad una famiglia aristocratica che aveva vissuto sulla sua pelle la Rivoluzione Francese al punto che, durante il Terrore, alcuni suoi stretti parenti finirono ghigliottinati.
[Tocqueville, dopo un viaggio negli Stati Uniti pubblica nel 1840 il libro: La democrazia in America. In questo libro
afferma che la rivoluzione francese e quella americana non hanno aspetti in comune in quanto da quella francese scaturiscono violenza e terrore, mentre da quella americana libertà. Una sua frase emblematica è: “Il dispotismo vene nella separazione tra gli uomini la garanzia delle sua permanenza, il despota facilmente perdona i suoi sottoposti dal non amarlo a condizione che essi non si amino l’un l’altro”. Questo è un pensiero di bruciante attualità: tutti i dittatori vogliono essere l’unico riferimento per il loro popolo, non sopportano la solidarietà tra pari, il concetto di fraternità.
Il pensiero di Tocqueville è di bruciante attualità. Nel momento in cui le regole dell’economia dettano l’agenda ai politici, le leggi da approvare].
Un'altra voce in tal senso è quella di Tip Mayer, già alto funzionario della Banca Centrale tedesca, che ha scritto: “mi meraviglio che i politici europei non abbiano ancora capito che il loro potere è vicino allo zero, perché quello che fanno è imposto loro dalle grandi multinazionali e dai grandi gruppi bancari”.
Anche Alan Greenspan, presidente della FED fino al 2006, dopo questa esperienza e la crisi del 2008, ha scritto: “io stesso mi ero illuso che le regole dell’economia potessero dettare la linea ai politici e mi ero battuto per questo, adesso mi rendo conto del tragico errore commesso”.
Da quanto detto si può incominciare a capire perché la trasformazione dell’economia di mercato civile in economia di mercato capitalista, che vuol dire aver eliminato la centralità della persona è stato molto più grave di quanto non si pensi, perché parlare di persona vuol dire parlare di reciprocità che a sua volta è la traduzione pratica della fraternità.

La ricomparsa dell’economia civile
Da 10-15 anni a questa parte l’espressione economia civile sta riemergendo ed è la ragione per cui alcuni studiosi e docenti hanno dato vita un anno fa alla Scuola di Economia Civile (SEC), che ha sede a Loppiano e opera su tutto il territorio nazionale. Il nostro scopo è quello di fare un contro canto, di fronte al canto dominate che è quello che ho descritto e che sta provocando crisi, disperazione, infelicità. Cosa ce ne facciamo di un modello di organizzazione sociale che aumenta la ricchezza ma rende più infelici le persone? Se lo scopo della vita è la felicità cosa me ne faccio delle ricchezze? Ricordiamo cosa diceva Aristotele: non si può essere felici da soli! Bisogna essere almeno in due. Questo punto ci aiuta a capire il cuore delle religione cristiana il cui Dio non è uni personale ma trinitario. Il dio cristiano è il Dio della gioia perché non si può essere felici da soli.
La felicità è nell’incontro, se io penso di impostare la vita economica solo sull’individuo che entra in rapporto con gli altri attraverso contratti e rispettando le leggi ed elimino la reciprocità e quindi la fraternità non faccio altro che condannare quella persona all’infelicità.
Ecco perché oggi si parla con insistenza di economia civile. Il modello di economia di comunione che è tipico del movimento dei Focolari, che nasce dal pensiero di Chiara Lubich a seguito di un viaggio in Brasile e dopo aver visto la miseria di quel popolo, è una forma di economia civile.
Ma lo sono anche le cooperative sociali (quelle buone!), tutte quelle forme di associazionismo che producono beni e servizi con una logica diversa da quella dominante, la finanza etica, il commercio equo-solidale. Tutte queste realtà sono una forma notevole per tradurre nel concreto l’idea della centralità della persona nell’economia.
L’economia di mercato non può essere fine a se stessa ma a servizio della persona, per il bene comune. Il bene comune vuol dire il mio bene accanto al tuo, il bene comune non è l’altruismo puro.
Bene comune non vuol dire rinunciare ad affermare le mia identità, realizzare i miei progetti per portare vantaggio all’altro ma farlo insieme all’altro. Con il bene comune tutti devono star bene.

Non è un’utopia
Questa idea è realizzabile perché già sperimentata in passato e perché i tempi sono maturi. Infatti, le organizzazioni d’impresa perdono competitività, la gente è più infelice - un esempio lampante è l’attuale condizione giovanile - e queste tematiche sono maturate in questo ultimo quarto di secolo. Un brillante manager inglese, Norman Pickavance, ha pubblicato di recente il libro “The reconnected leader”. Questa persona, ad un certo punto della sua vita, si è reso conto del modo con cui nelle grandi imprese erano concepite le relazioni interpersonali. Secondo lui, il ruolo del leader è quello di interfacciarsi con tutti e non soltanto con i suoi diretti sottoposti. Questo approccio migliora la qualità delle relazioni e permette di valorizzare la conoscenza diffusa.
La gente è stufa di questo sistema: è uno scandalo che l’ «1%» della popolazione, entro il 2016 avrà una ricchezza pari al restante 99% degli abitanti del pianeta.
C’è una sorta di precondizione antropologica perché le cose cambino: dobbiamo imparare a divertirci. Quando dico questo miei studenti restano sconcertati perché pensano che il divertimento significhi tirar tardi in discoteca, nei pub, ecc.
Il significato etimologico di divertirsi deriva dal latino “divertere”: uscire da se stessi per incontrare il volto dell’altro. Noi gioiamo quando usciamo da noi stessi per aprirci all’altro. Il motore delle nostre azioni non deve essere il dovere ma l’amore, dall’amore deriva anche il rispetto della legge.
Se non c’è l’amore il rispetto della legge diventa legalismo, con tutte le conseguenze del caso.
Stefano Zamagni, 31 gennaio 2015, Centro Convegni Regione Piemonte

B-La libertà immaginaria
Le illusioni che ci propina il capitalismo tecno-nichilista

Di Mauro Magatti*
Inizio con una premessa. Quanto ho scritto nel mio libro: "La libertà immaginaria" (0), può colpire e sconcertare molto ma non è frutto di una mia improvvisa crisi di follia bensì di 10 anni di studi e di impegno.

 

In trent’anni tutto è cambiato
Le questioni di fondo che toccano l’uomo sono sempre le stesse dall’inizio delle civiltà, ma in questi ultimi decenni è radicalmente cambiato il modo con cui viene posta la questione dell’esistenza personale e collettiva.

Tutto inizia negli anni dal 68 al 70, anni in cui il capitalismo societario entra in crisi e gli subentra, a partire dagli anni ’80, il neo-liberismo (1) dei paesi anglosassoni. Con la caduta del muro di Berlino saltano poi gli equilibri nelle relazioni internazionali e da allora si dispiega il capitalismo tecno-nichilista.

Il capitalismo, che è una modalità di organizzazione dei rapporti economici e politici, oggi è vivo e vegeto. Quello che si è dissolto in trent’anni è tutto il resto: le democrazie, le guerre, ecc.

Come italiani siamo convinti che gli ultimi decenni siano stati solo caratterizzati da crisi e fatiche ma, per il capitalismo globale, sono stati invece contrassegnati da una crescita economica mai vista prima.

L’equilibrio che si era costruito alla fine della seconda guerra mondiale, quello che una buona parte delle persone di una certa età ha vissuto nei suoi anni migliori, fondato sullo stato nazionale e sulla socialdemocrazia, è finito e siamo alla ricerca faticosa di un nuovo equilibrio.

Anche noi, e non solo il nuovo capitalismo, siamo colpevoli di questa situazione.

La forza del capitalismo è, infatti, la capacità di cogliere alcuni tratti che si manifestano dell’umano, come la tendenza al consumo.

Noi siamo consumisti non tanto a causa della pubblicità (anche se questa aiuta) quanto del “desiderio” che fa parte di noi. Il capitalismo coglie questa nostra pulsione e le dà un contenuto. Che cosa desideri? Quell’automobile! Eccola! Non hai i soldi? Comprala a rate!

Ma anche il capitalismo ha un problema: è capace di soddisfare le nostre esigenze materiali, ci fa stare bene, ma ha bisogno di trovare dei punti di appoggio nella società, di incarnarsi nello spirito del tempo.

Il capitalismo nasce con la riforma protestante e trova il suo riferimento nell’etica calvinista. I calvinisti cercavano nella vita mondana le prove della Grazia. Secondo Weber, non erano interessati tanto a star bene quanto a cercare nel successo professionale le prove della benevolenza di Dio, della loro salvezza eterna.

Non sto a fare l’intera storia del capitalismo e salto direttamente all’epoca social-democratica del secondo dopoguerra. Lo spirito del capitalismo era allora costruire collettività democratiche relativamente giuste; questa è stata la una stagione di ricostruzione post-bellica, in cui il capitalismo diventa sociale, societario. Non sostiene solo i bisogni individuali ma anche quelli collettivi, come scuole, ospedali, ecc.

In questa stagione il capitalismo si è strettamente associato a uno spirito democratico, di democrazia istituzionale. È stata questa la grande stagione dell’economia sociale di mercato.

In questi ultimi 30 anni, invece, il capitalismo si è appoggiato su un nuovo spirito, che io chiamo tecno-nichilista.

 

Tecnica e globalizzazione

La tecnica è un linguaggio globale: lo standard delle cure mediche è lo stesso a Milano come a New York o a Buenos Aires. L’unico problema che possono avere in Argentina è non avere ovunque le risorse per adeguarsi allo standard.

Il computers funzionano alla stessa maniera in Argentina, a New York, in Italia, li possiamo programmare abitando sia in California sia in India.

La tecnica, fondata essenzialmente sulla matematica, è l’unico linguaggio universale che gli esseri umani sono stati fino ad oggi capaci di concepire.

Grazie al linguaggio della tecnica, il capitalismo ha avuto gli strumenti per superare la dimensione dello stato nazionale e sostenere la sua ulteriore crescita: così è anta la globalizzazione.

Il capitalismo dei paesi anglosassoni per primo ha capito che, per continuare a crescere, la sua anima, il suo demone, doveva passare da una visione nazionale (keynesiana-welfarista), a una visione globale.

Così si è passati dal concetto di Stato a quello del mercato, perché questo, potenzialmente, è un sistema di governo universale. Lo stato è invece carico di idee, di storia, di pensieri; la democrazia richiede confronto, dibattito, le decisioni prese possono essere rimesse in discussione, ecc. Inoltre, più cresce il benessere più le persone sono istruite e più diventa difficile imbrogliarle.

La tecnica ha inoltre un’altra caratteristica: quella di essere continuamente innovativa, è capace di aumentare gli obiettivi che possiamo perseguire.

Il fatto che la tecnica si evolve continuamente e ci permette di fare ogni giorno che passa più cose o cose nuove, non è qualcosa di neutro ma ci cambia dentro e anche all’esterno (p.e. con la chirurgia plastica).

Il capitalismo tecnico ha capito questo e continuamente cambia e allarga la scena. In questo modo non c’è più spazio per la trascendenza, per pensare all’Oltre, ma tutto si gioca sul piano dell’immanenza, qui ed ora. Al posto di Dio (ma poi chi l’ha mai visto?) pone il divenire continuo, sfruttando la capacità della nostra mente di guardare sempre oltre, di desiderare.

Di qui l’esigenza di una crescita continua perché, se il meccanismo s’inceppa, ti poni delle domande e ciò va assolutamente evitato.

Quello che conta è la novità, fornire sempre nuovi scopi, nuovi obiettivi. Ecco qualcosa a cui non avevi pensato, ma che ti intessa e ti impegnerà per i prossimi sei mesi, per il prossimo anno.

Il vero nemico (2) di questo capitalismo tecnico è il panico legato alla crisi finanziaria e alla recessione perché, se si ferma la crescita, tutto il castello cade, altro che decrescita felice! (Serge Latouche).

 

Il nichilismo

Il nichilismo (3) è una sfida di verità alla cultura e alla società: “O mi fai “vedere” quello in cui credi o ciò in cui credi non ha senso. Invece, io ti faccio vedere ciò in cui credo, la mia volontà di potenza, che è dentro di me e si manifesta naturalmente”.

La definizione antropologica dell’essere umano come volontà di potenza è un modo più elaborato per tradurre quello che nella tradizione cattolica si definisce come egoismo. Però esprime meglio di egoismo un concetto vitale: volontà di potenza è fondamentalmente desiderio di vita, di vita in pienezza, di vita al massimo.

La volontà di potenza è presente in ciascuno di noi, anche se non la manifestiamo palesemente. Andare in giro a fare conferenze dà soddisfazione, appaga la mia volontà di potenza. La volontà di potenza è una forza vitale, che non è solo negativa.

Il problema è che questo concetto è stato fatto proprio dal capitalismo tecno-nichilista per il quale l’essere umano è solo volontà di potenza. Ma noi non siamo solo questo, siamo anche molto altro! Ciò però non conta. Il messaggio del nuovo capitalismo è: sfrutta ogni opportunità che ti capita, perché “ogni lasciata è persa”. Non badare ai principi morali, afferra l’attimo…

Qual è oggi l’immaginario della libertà? Non è di certo l’egualitarismo dei nostri padri, oppure costruire la democrazia, ma essere aperti, disponibili a nuove esperienze, come in quei film dove il protagonista ha famiglia, figli, una vita magari bella, ma a un certo punto incontra una donna meravigliosa che non aveva mai conosciuto e con lei si realizza pienamente.

L’immaginario della libertà oggi è quello di andare, senza meta, aperti a tutto ciò che si incontra, disponibili anche alla violenza se qualcun’altro ci intralcia.

Siamo come entrati in un oceano, quello della globalizzazione, della libertà, del multi-culturalismo, ci illudiamo di andare dove vogliamo ma l’oceano è grande, pieno di correnti, segnato dalle tempeste, e alla fine ci ritroviamo dove non volevamo, provati, sconfitti, con un forte senso di insensatezza.

Come è scritto nell’Enciclica Caritas in veritate (4), una situazione del genere porta alla tirannia del dato di fatto.

 

La crisi del sistema

La bolla finanziaria scoppiata nel 2008 dimostra che questo modello di sviluppo è in crisi profonda. Ma, se questo sistema crolla, ci sono forti probabilità di un conflitto globale le cui dimensioni non sono nemmeno conoscibili.

Ci sono due indicatori forti che ci spiegano perché il sistema è entrato in crisi: il primo è l’indebitamento generalizzato. Sono indebitate le imprese, sono indebitati gli stati, sono indebitate, non tanto in Italia, ma in altri paesi, le famiglie. L’indebitamento fa parte della la logica del capitalismo tecno-nichilista, che stimola desideri che devono essere subito soddisfatti. Così tutti, attraverso i debiti, abbiamo di fatto vissuto oltre le nostre possibilità reali: famiglie, imprese, stati.

Ora si dice che la crisi è alle spalle, che siamo in una fase di ripresa, seppur lenta, e nessuno osa dire alla gente la verità, e cioè che il tenore di vita delle persone non può più aumentare, ma solo ridursi.

Nello stesso tempo, in quote di popolazione, minoritarie, ma non del tutto irrilevanti, è cresciuta la consapevolezza che per stare meglio bisogna accedere ad altri tipi di beni. Uno di questi è l’ambiente; se lo vogliamo salvare dobbiamo cambiare, smettere di “usarlo”. Poi vi sono tutta una serie di beni relazionali, di convivenza, che l’individualistico scarta ma sono fondamentali e che vanno riproposti.

Inoltre, nel mondo, vi sono tante realtà che non accolgono queste idee, vi sono valori del passato che resistono, buoni o cattivi.

L’esempio più eclatante e violento è il fondamentalismo, che non è disposto a mettere in discussione la propria terra, la propria tradizione ed è disposto a versare il sangue, suo o di altri, per difenderle.

 

Affettività e generatività

Nella nostra esperienza culturale abbiamo sviluppato, dal romanticismo in avanti, un modo di pensare che, pur non ignorando l’economia, l’efficienza, il valore del denaro, considera più importante la dimensione affettiva della vita, il suo valore.

Il capitalismo tecno-nichilista non riesce a cogliere che il vero piacere è fare delle cose che ti fanno sentire la vita, come ascoltare un concerto, ricambiare un sorriso, respirare a pieni polmoni.

Allora bisogna prendere sul serio il tema dell’affettività. È vero, siamo liberi, ma non siamo sovrani della nostra libertà, perché la vita è la somma tra noi e le persone che incontriamo, la cose che ci capitano. Un conto è subire tutto ciò che uno incontra, perché il sistema ti fa incontrare soprattutto ciò che vuole, e un conto scegliere criticamente cosa tenere e cosa buttare.

L’affettività porta con sé la generatività, che non è innovazione, tecnica, ma semplicemente vita, è giocarsi la propria esistenza.

La generatività vuol dire far esistere qualcuno che andrà aldilà di noi, che scavalca la nostra volontà di potenza perché fa esistere qualcuno al di fuori di noi.

Il capitalismo tecno-nichilista, segnato da innovazione e manipolazione delle parole, azzera tutto, compreso il significato del tempo.

Il fatto che noi abbiamo delle radici, che non nasciamo nel nulla ma in un ben preciso contesto sociale e culturale, non è un limite alla nostra libertà, è un ancoraggio indispensabile per iniziare a stare al mondo, poi possiamo essere liberi quanto vogliamo, ma se tagliamo queste radici siamo niente.

Allora, affettività e generatività vanno proposte superando l’immediatezza del mero godimento, non perché sono un obbligo (il dovere per il dovere, di kantiana memoria), ma perché sono desiderabili, ci piacciono, ci muovono le viscere, danno un senso alla nostra vita.

 

Il senso della vita

La parola “senso” è una parola fondamentale, indica sì la direzione, ma indica anche i cinque sensi. In spagnolo il senso della vita suona in maniera molto più efficace: el sendido de la vida.

Dobbiamo moltiplicare i contesti in cui le persone si mettono insieme, mobilitano la loro affettività su temi per cui si possano spendere, che prendano loro la vita. Se le società democratiche non sono capaci di fare questo, a cosa serve la democrazia?

Per questo è importante coltivare l’autonomia, le autonomie della società civile.

Serve anche recuperare il ruolo della ragione, che non può essere mera ragione tecnica ma soprattutto capacità di giudizio sulla vita.

il capitalismo tecno-nichilista ci vuole tutti bambini capricciosi che intendono la libertà il fare quel che vogliono, invece non esiste libertà senza responsabilità soggettiva.

La libertà non è fare quello che uno vuole, ma capire che siamo esseri umani, che non possiamo essere tutto e il contrario di tutto, che la nostra vita va dispiegata in una direzione ben precisa, che per esistere dobbiamo rispondere al nostro passato, a noi stesso, al nostro futuro, a chi ci sta intorno.

I deliri sulla soggettività multipla, sul queer, finiscono per annullare il soggetto, e senza soggetto non si dà libertà.

Naturalmente l’esercizio della libertà è condizionato anche da tutte le nostre fragilità. Riprendendo Nietzsche è vero che noi siamo volontà di potenza ma siamo anche impotenza, siamo limitati, non possiamo sempre e solo godere, ricercare il piacere. Una società che tiene conto solo della volontà di potenza dei suoi membri produce disumanità.

 

Il valore della fede

L’affettività che dà un senso alla mia vita ha bisogno della fede.

Non tanto la fede che ci hanno insegnato da bambini, il catechismo, ma quella che mi dice che l’amore esiste, che la carità esiste, ed è incarnata dentro la mia vita, la mia storia, la mia esperienza, i miei ragionamenti.

O siamo capaci di incarnare (il cristianesimo ha qualcosa da dire su questo tema!) i valori in cui crediamo oppure le nostre sono solo parole vuote, retorica e Nietzsche ha ragione.

Non ci serve trovare un intelligentone per mettere a posto il mondo, ma la capacità di stare vicino alla vita, vederne le contraddizioni, coglierne gli aspetti promettenti e lavorare sul piano sociale e politico perché le cose buone che l’umanità produce possano esistere e non essere calpestate dal nichilismo.
* Sociologo ed economista, docente presso l’Università cattolica di Milano.
Sintesi della conferenza del 6 marzo 2010 presso i Circoli Dossetti di Milano

(0) http://www.lafeltrinelli.it/libri/mauro-magatti/liberta-immaginaria/9788807104480

(1) Per approfondire vedi: http://www.storiacontemporanea.eu/globalizzazione/il-neoliberismo

(2) Questo testo è tratto da una conferenza 2010. Ora, nel 2015, nonostante la crisi, il sistema è ancora in piedi. Perché?
«Al cuore dell'enigma c'è il fatto che il neoliberismo realmente esistente è meno favorevole di quanto dica di essere alla libertà dei mercati. Esso, al contrario, promuove il predominio delle imprese giganti nell'ambito della vita pubblica. La contrapposizione tra Stato e mercato, che in molte società sembra essere il tema di fondo del conflitto politico, occulta l'esistenza di questa terza forza, più potente delle altre due e capace di modificarne il funzionamento. Agli inizi del ventunesimo secolo la politica, proseguendo una tendenza iniziata già nel Novecento e accentuata dalla crisi, non è affatto imperniata sullo scontro tra questi tre soggetti, ma su una serie di confortevoli accomodamenti tra di loro».
Vedi: Colin Crouch, Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo, Laterza, Roma-Bari 2012

(3) Nietzsche (1844-1900) era figlio di un pastore protestante. Scomparso prematuramente il padre, viene educato dalla madre, donna molto normativa, in un contesto molto rigido, e ciò gli suscita una reazione di rifiuto.

È come se Nietzsche si rivolgesse alla madre e al mondo che lo circonda dicendo: “Tu mi educhi con grandi concetti - obbedienza, giustizia, carità, servizio - ma quando me li mostri incarnati? Sono solo parole vuote, perché io credo che l’essere umano sia fatto di voglia di vivere, di volontà di potenza, di emozioni: questa è la realtà”.

La sfida del nichilismo è molto semplice: Proclami dei valori? Mettili in pratica, fammeli vedere, altrimenti taci. Invece, la mia volontà di potenza, il mio desiderio di godimento è una cosa vera, che sento nella mia carne.

La conseguenza di questo ragionamento è l’idea della “morte” di Dio.

Dio è morto non perché lo abbiamo ucciso ma perché la dimostrazione della sua esistenza attraverso la ragione e le istituzioni non regge più.
Per approfondire vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Nietzsche

(4) Rischiamo di parlare molto di amore, dolcezza, bontà ma senza dare a questi termini un contributo preciso e quindi, nella sostanza, perdendo il nostro tempo. Secondo l’enciclica c’è un buonismo per cui «l’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta fino a significare il contrario» Benedetto XVI, Caritas in veritate n. 3. Fonte: http://www.unitalsi.info/public/web/documenti/62010330165515Caritas_in_veritate_UNITALSI[1].pdf

C-L’enciclica Laudato sii
Ecologia integrale per un nuovo umanesimo

Di Fabrizio Casazza*
Affronto l’enciclica Laudato sii (1), la seconda di papa Francesco, cercando di mettere in evidenza gli snodi concettuali più rilevanti sotto il profilo teologico morale e tendendo conto che il linguaggio usato è più sovrabbondante ed evocativo che puntuale e analitico.
Per chiarezza espositiva procedo seguendo lo sviluppo del testo e cercando di lasciar parlare il più possibile il papa stesso.
Basterebbe solo l’introduzione, il numero uno, perché in essa c’è già tutto il senso dell’enciclica.
Il mondo viene designato come “nostra casa comune… una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza… una madre bella che ci accoglie” (n.1). Son metafore tratte dalla vita familiare: casa, sorella, madre.
Fin dalle prime righe del documento emerge uno stile “di casa”. Questo approccio non deve sembrare strano perché la parola ecologia, coniata nel 1866 dallo zoologo tedesco Ernst Eckel, si collega ad un termine greco che vuol dire casa, l’ecologia è la scienza della nostra casa comune.
Però, evidentemente, il pensiero cristiano non pensa ad una ecologia qualsiasi ma ad una ecologia integrale, che ci relaziona al mondo con stile fraterno. Il testo stesso si premura di elencare a mo’ di sommario alcuni assi portanti che attraversano tutta l’enciclica: “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta, la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso, la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia, l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso, il valore proprio di ogni creatura, il senso umano dell’ecologia, la necessità di dibattiti sinceri e onesti, la grave responsabilità della politica internazionale e locale, le cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita” (n.16).

Il primo capitolo, intitolato quello che sta accadendo alla nostra casa, ci ricorda che sono in atto cambiamenti rapidissimi, constata che la terra è ridotta ad un immenso deposito di immondizia (n.21), in cui regna la cultura dello scarto (n.22).
È interessante l’osservazione sull’esistenza di un inquinamento mentale che confonde la sapienza con una mera accumulazione di dati, che finisce per saturare e confondere (n.47).
Le relazioni reali con gli altri, con tutte la sfide che implicano, dice il papa, tendono ad essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da Internet (n.47), così “l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme” (n.48).
Su Internet, Facebook e simili vorrei ricordare un passo di un discorso tenuto da papa Francesco ai vescovi durante il suo storico viaggio a Cuba e in USA: “Una delle principali povertà o radici di tante situazioni contemporanee consiste nella solitudine radicale a cui si trovano costrette tante persone, inseguendo un “mi piace”, inseguendo l’aumento del numero dei followers, in una qualsiasi rete sociale: così le persone seguono - così seguiamo - la proposta offerta da questa società contemporanea. Una solitudine timorosa del’impegno, in una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti” (2). Bello e inquietante!

Nel secondo capitolo, il vangelo della creazione, il papa fa questa riflessione: la preoccupazione ecologica non è un’esclusiva dei cattolici e ciò è certamente vero, ma si può affermare che le convinzioni di fede offrono ai cristiani motivazioni alte (n.64).
Innanzi tutto a partire dal dato biblico che “ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio” (n.65), e questo ci mostra l’immensa dignità di ogni persona.
Qualcuno ha accusato sia l’ebraismo sia il cristianesimo di propiziare uno sfruttamento selvaggio della natura a causa del comandamento di soggiogare la terra (n.67) ma, dice il papa, questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa.
La Bibbia non dà adito ad un antropocentrismo dispotico (n.68), come se l’uomo potesse disporre arbitrariamente del mondo, ma la natura non va neanche mitizzata, va ammirata, va protetta, ma non adorata (n.75), perché è frutto del progetto di amore di Dio, ma non si identifica con Dio, contro ogni panteismo.
Però sarebbe sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano, insomma è un equilibrio dinamico quello tra uomo e natura, evitando i due estremi dello sfruttamento e dell’idolatria.
Tutte le creature hanno un valore nel progetto di Dio che ha però la persona umana al suo vertice come un valore peculiare e una preminenza.
Il sociologo Mauro Magatti vede la novità dell’enciclica proprio nell’allargamento del concetto ecologico, alla sua qualificazione umana.
Il testo denuncia anche alcune contraddizioni di una certa ecologia affermando: “il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone” (n.92).
L’ultima parte del secondo capitolo coniuga il discorso ecologico nella prospettiva sociale; non ha caso quest’enciclica fa parte della dottrina sociale della Chiesa.

Nel terzo capitolo si parla della radice umana della crisi ecologica. Il punto centrale è che il paradigma tecnocratico (n.101) è diventato dominante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla resti fuori dalla sua logica (n.108). Allora non si può guardare ai problemi ambientali solo con una serie di soluzioni tecniche (n.110) perché vorrebbe dire ignorare la radice dei problemi.
Quindi, per superare questo modello tecnocratico, occorre un nuovo umanesimo (n.118).
Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia. Gesù dice: la verità vi farà liberi, invece il mondo di oggi vorrebbe la libertà vi farà veri, ma non funziona!
Il fratello gemello del paradigma tecnocratico è il relativismo (n.122). Se non ci sono verità oggettive né principi stabili che cosa resta? Tutto è trattabile. E’ la stessa logica usa e getta.

Capitolo quarto tratta di ecologia integrale. Noi non siamo accostati alla natura, siamo dentro di essa, viviamo dentro la natura. Allora ci vuole un’ecologia sociale (n.142), culturale (n.143), urbana (n.150).
Pensate che il papa dice anche che ci vuole un miglioramento sostanziale dei mezzi pubblici, “che in molte città comporta un trattamento indegno delle persone a causa dell’affollamento, della scomodità e della scarsa frequenza dei servizi e della sicurezza” (n.153).
L’ecologia umana implica però anche la necessaria relazione dell’essere umano con la legge morale, altrimenti non c’è un ancoraggio (n.155).

Come organizzarci in pratica? Il tema viene trattata ne quinto capitolo: alcune linee di orientamento e di azione.
Il potere politico deve essere prevalente sul potere economico, non si può giustificare un’economia senza politica. Ma ci vuole una politica ad ampio raggio (n.178), che superi il tempo di una legislatura, altrimenti che cosa costruisci?
Qual è il ruolo della Chiesa? “La Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, la Chiesa non vuole neanche sostituirsi alla politica” (n.188), ma sollecita un dibattito onesto e trasparente a servizio del bene comune, che nella concezione cattolica è il bene di tutti e di ciascuno e non di tutti e chi c’è dentro c’è dentro, ma neanche il bene della sommatoria del bene dei singoli.
La tecnocrazia, che sembrava uccisa dalla crisi economica, è rispuntata. Si tratta allora di ridefinire il progresso. “È arrivata l’ora di accettare una certa decrescita” (n.193); ciò non vuol dire abbracciare la teoria della decrescita di Latouche e neanche auspicare il ritorno all’età della pietra ma che bisogna ridefinire il concetto di progresso (n.194).
Infatti, la questione ecologica è la nuova questione sociale. Qualche giorno fa il neo premio nobel per l’economia Angus Deaton diceva: la diseguaglianza è una seria minaccia per il benessere, non solo dei poveri, ma anche dei ricchi (3).

Il capitolo sei tratta di educazione e spiritualità ecologica. A livello soggettivo, dei singoli, il paradigma tecnocratico che domina il mondo si traduce nel consumismo.
Qui ci sono delle osservazioni molto belle perché si dice che il consumismo nasce da un giusto bisogno di pienezza ma offre una risposta illusoria, “Più il cuore della persona è vuoto più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare”.
Comprare però è un atto morale. Alcuni studiosi dicono: è votare con il portafoglio, perché le mie scelte orientano le aziende, orientano la produzione.
Serve allora una conversione ecologica, fatta di tanti piccoli gesti, I punti principali sono due: gratitudine e gratuità, che vuol dire riconoscere il mondo come un dono.
Qualche giorno fa il quotidiano francese Le monde osservava: la logica del dono e della gratuità si diffondono sempre più tra i giovani.
Un altro piccolo gesto molto concreto che suggerisce il papa per coltivare la gratitudine è la preghiera prima e dopo i pasti, come segno che non è tutto dovuto.
Non dimentichiamo che noi cristiani abbiamo la domenica. La Chiesa ha sempre difeso la domenica, non solo la Messa, ma il riposo dei lavoratori. La domenica è il giorno del risanamento delle relazioni, dell’essere umano con Dio, con se stessi, con gli altri, il mondo.
E’ giorno dell’eucaristia, che vuol dire ringraziamento, è proprio il sacramento del ringraziamento.
Il documento e anche il mio intervento si conclude con una particolare visione del paradiso, che è la meta verso cui tutti siamo incamminati. La parola paradiso significa giardino: l’eternità è descritta in termini ecologici: “la vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati. La luce della fede, nella prospettiva dell’eternità, non solo non distoglie i credenti dall’impegno di migliorare questo mondo ma fornisce motivazioni più solide e più profonde”.
*Ordinario di teologia morale, direttore dell’ISSR di Alessandria. conferenza del 16 ottobre 2015, chiesa del Santo Volto, Torino
(1) http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
(2) https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/september/documents/papa-francesco_20150927_usa-vescovi-festa-famiglie.html
(3) http://www.vita.it/it/article/2015/10/14/angus-deaton-quello-che-nessuno-vi-ha-detto-sul-nobel/136954/

D-Misericordia e perdono
Voltago Agordino 2015

A Voltago ho voluto tornare
per vivere il campo familiare
perché l'anno scorso anch'io qui c'ero
con voi, con i Piccin ed i Bottero.
Arrivando al campo ho ritrovato
lo stesso cielo grigio e suol bagnato,
ma appena son entrato nella casa
c'è un'atmosfera d'amore pervasa,
vedo aguzzando occhi e ciglia
tante famiglie... una sola famiglia
bambini e ragazzi e genitori,
cui s'aggiungono gli educatori.
La cucina è buona e ci sazia
con Carmen, Assunta e Maria Grazia,
cui collabora per farci piacere
Gabriele, il nostro pasticciere.
Noi ci prestiamo come ausiliari
per piatti, servir e lavori vari.
Padre Francesco cura la preghiera
dalle Lodi alla Messa della sera.
Si inizia tutti assieme la mattina
ritrovandoci nella cappellina
e ogni volta viene approndita
la preghiera per le singole dita.
Nei vari incontri della giornata
la famiglia dai figli è separata.
I ragazzi divisi per l'età,
eseguon le loro attività
con la guida degli animatori
per lasciar liberi i genitori.
Avranno l'incontro per lor mirato
pur gli educatori (dopo pranzato).
Gabriella, col suo solito zelo,
spezza a noi le parole del Vangelo,
partendo dalle Beatitudini
(alcune ci crean inquietudini
Si passa dai farisei brava gente,
a quelli ipocriti, buoni da niente...
Il figliuol prodigo, il buon papà
che perdona il figlio e festa fa.
Il servitor coi debiti rimessi,
che non rimette quelli concessi...
Infine la mitezza del Signore...
sacrificatosi per il peccatore.
Seguon i gruppi con la discussione,
ognun presenta la sua posizione
Conclude il lavoro della giornata
la Messa, che direi concelebrata:
qui ogni gruppo spiega il suo lavor
offrendolo agli altri ed al Signor.
Ogni sera ci sono le serate,
dagli animatori ben animate.
Il Giovedì che il tempo non è mal
si va in Val Canali al "Cant del Gal"
e c'è chi con sforzo ed un sorriso
sal a piedi al Rifugio Treviso.
Al Venerdì ci si va a confessare
e un cuore rosso si porta all'altare.
Al Sabato c'è la Messa Sponsale
(rinnovo promessa matrimoniale)
la sposa col bouquet di fiorellini,
colti dal marito o dai bambini.
lo, nel bene e nel male, distinto
ho fatto il bouquet d'un sol giacinto.
Ultima serata... sabato sera
vissuta assieme con gioia vera,
dalle famiglie il tutto è studiato,
collaborando al buon risultato:
pur le persone che paion austere
si trasformano in macchiette vere.
Mentre scrivo ho tanta nostalgia,
che domani ognun se ne va via...
si ritorna a casa, non c'è scampo,
ma portando nel cuore 'sto bel campo
e ad ogni famiglia... un pensierino
che ognun mette nel cuor-borsellino,
Ed ora, dalla commozione vinto,
vi abbraccia tutti... Nonno Giacinto.

E-CI IMPEGNIAMO

Ci impegniamo noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo
senza pretendere che altri s'impegnino,
con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s'impegna,
senza accusare chi non s'impegna,
senza condannare chi non s'impegna,
senza disimpegnarci perché altri non s'impegna.
Ci impegniamo
perché non potremmo non impegnarci.
C'è qualcuno o qualche cosa in noi,
un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia,
più forte di noi stessi.
Ci impegniamo per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una volta sola
e non vogliamo essere "giocati"
in nome di nessun piccolo interesse.
Non ci interessa la carriera,
non ci interessa il denaro,
non ci interessa la donna o l'uomo
se presentati come sesso soltanto,
non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee,
non ci interessa passare alla storia.
Ci interessa perderci
per qualche cosa o per qualcuno
che rimarrà anche dopo che noi saremo passati
e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
Ci impegniamo
a portare un destino eterno nel tempo,
a sentirci responsabili di tutto e di tutti,
ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare,
verso l'amore.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare
anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all'amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
c'è insieme a una grande sete d'amore,
il volto e il cuore dell'amore.
Ci impegniamo
perché noi crediamo all'amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnar
ci perpetuamente
Primo Mazzolari