Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF9
5settembre 2017
PERDONO E RICONCILIAZIONE
Perdonarsi, perdonare, chiedere perdono, riconciliarsi

LETTERE ALLA RIVISTA
1-NON RIUSCIRE A PERDONARE
Il perdono che Dio ci dona è alla base del nostro perdono

C'è una frase del Padre Nostro che non riesco più a pronunciare: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a i nostri debitori”. Sono da anni separata da mio marito ma non riesco a perdonarlo del male che mi ha fatto. Dio mi perdonerà?
Gianna

Risponde mons. Giancarlo Grandis, Docente di Teologia Morale del Matrimonio
L’invito al perdono può essere certamente considerato l’aspetto più rivoluzionario del messaggio evangelico, destinato, se abbiamo la volontà e la forza di praticarlo, a cambiare il volto della vita sociale e a modificare in positivo la qualità della nostre relazioni, introducendoci in un nuovo mondo: quello dell’amore oblativo e della pace.
Il perdono, infatti, rompe la catena della pur giusta rivendicazione e della vendetta, fissata nella nota e antica legge del “taglione”, espressa dalla locuzione dell’occhio per occhio e dente per dente. Gesù ne parla a seguito dell’annuncio delle beatitudini nel famoso discorso della montagna, in cui proclama la nuova legge dell’amore verso tutti, anche dei nemici, come compimento dell’antica Legge e dei Profeti (cfr Mt 5,1-48), l’orizzonte della misericordia come compimento della giustizia.
L’aspetto sorprendente del messaggio di Gesù lo possiamo cogliere in tutto il suo significato per noi nell’atto conclusivo della sua missione, sulla croce da dove invoca dal Padre il perdono per i suoi aguzzini: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Sorprende il fatto che a chiedere il perdono, qui, non è l’aggressore, il colpevole, come sarebbe logico, ma la vittima. Il perdono invocato da Gesù è il segno che Dio ci ama per primo e, amandoci così, non dall’alto della sua divinità ma dal basso della sua umanità, umiliandosi fino “fino alla morte e alla morte di croce” (Fil, 2,8), risveglia la nostra coscienza a intraprendere la stessa strada di un amore senza limitazione, anche fino all’amore di chi sperimentiamo come traditori e nemici (cfr (Mt 5,44).
Certamente il perdono più che cosa umana è cosa divina. La nostra esperienza ci dice che perdonare non è facile. Ci lo ha ricordato papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia “Come sembra difficile tante volte perdonare!”. Eppure – continuava – “il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere”.
L’esperienza personale del perdono di Dio e l’invito a perdonare gli altri non possono vivere separati. Il primo è il fondamento del secondo e ci dà titolo per continuare a chiedere il perdono di Dio per noi: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a i nostri debitori”.
grandis.giancarlo@gmail.com

DIALOGO TRA FAMIGLIE
2-LA ROUTINE MATRIMONIALE
Non è il matrimonio che uccide l’amore ma un certo modo di viverlo

Lavoriamo tutti e due e abbiamo due figli, una bella casa, ecc.: cosa volere di più dalla vita?
Vorrei tanto che mia moglie tornasse ad essere la persona di cui mi sono innamorato e non una donna stanca con cui non riesco più a comunicare.
Quale percorso potrei intraprendere per migliorare la situazione?
Ale

Non capisco bene cosa voglia dire, per te, tornare innamorati. Dopo anni di matrimonio e due figli l'innamoramento dovrebbe essersi da tempo trasformato in amore cioè capacità di accogliersi e accettarsi così come si è.
Tua moglie lavora, cura i figli e la casa (se è bella sarà anche merito suo, non credi?). Quanto la aiuti?
Prima di “accusarla” di essere stanca e attribuire a questo la mancanza di dialogo hai fatto qualcosa per permetterle di riposare?
Le hai mai proposto, una sera, di aiutarla a “fare le faccende”, chiamare qualcuno che stia coi figli e uscire insieme senza una meta, solo per parlarvi tranquilli, come certamente facevate da fidanzati? E senza l'intenzione di farvi un reciproco processo, ma in atteggiamento di ascolto, aperti alla critica, ma anche al perdono?
Mia mamma, poche ore prima di morire, ha stretto a sé mio babbo e ha detto: “reciproco perdono… per tutto e per sempre…”. Sono state le ultime parole: un dono di grazia per lui ma anche per me e i miei fratelli.
Anna Lazzarini

EDITORIALE
3-L’ARTE DEL PERDONO
Perdonarsi, perdonare, chiedere perdono, riconciliarsi

di Franco Rosada
Quando, in Eden, l’uomo ha scelto il frutto dell’albero del bene e del male ha scelto di non avere più Dio come riferimento per il proprio agire ma se stesso.
Questo frutto, che sembrava ‘buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza’ (Gn 3,6), in realtà ha ‘regalato’ all’uomo solo la consapevolezza della sua fragilità.

Desideriamo ‘amare’ ed essere amati, ma sovente come fa comodo a noi e non all’altro o agli altri.
Quando ci innamoriamo, tutto ci sembra perfetto nell’altro, ma non è così. La vita in comune rende prosaico anche l’amore ed i difetti dell’altro, che ci sembravano all’inizio così trascurabili, vengono a galla. Quello che all’inizio ci sembrava un vezzo, una simpatica mania, diventa qualcosa di pesante da sopportare.
Nasce da qui la facilità con cui riusciamo a ferire l’altro, e poi ad offenderlo, fino ad oltraggiarlo.
Fine della nostra storia d’amore? Sì, se non siamo disposti a cambiare, a vedere l’altro per quello che è realmente, al di là delle illusioni dell’innamoramento.
La strada del cambiamento può essere lunga e faticosa, ma passa comunque attraverso lo strumento del perdono.
Il perdono non è mai unidirezionale: la colpa, anche se in misura diversa, interessa entrambi.
Se non si è capaci di perdonarsi non si può neanche perdonare, se non si è in pace con se stessi non si può ricevere la pace che l’altro ci offre, chiedendoci perdono.
Serve una conversione del cuore, che riguarda tanto l’offeso quanto l’offensore.
Ma per chi offende il cammino è più impegnativo: non è sufficiente essere pentiti, è necessario fare passi concreti per dimostrare la propria volontà di cambiare, per farsi perdonare e per ottenere la riconciliazione.

Il bello, nella vita di coppia e di famiglia, è che non abbiamo bisogno di andare molto lontano, di trovarci in situazioni particolari per mettere in pratica il Vangelo di Gesù.
La carità fraterna, il perdono, il cammino verso la santità si possono sperimentare ogni giorno. La definizione di famiglia ‘piccola chiesa’ non è azzardata se la viviamo come comunità (ekklesia) di credenti.
Questo stile di vita, fondato sulla correzione fraterna, la concordia, è un modello di cui la società ha estremamente bisogno, a cominciare dalla nostra comunità ecclesiale.
È proprio dai sacramenti della Chiesa, infine, che possiamo attingere la grazia per continuare a crescere nella sequela di Gesù, nostro Maestro e Signore.

Il tema del perdono, nei libri a cui abbiamo attinto per realizzare questo numero, è trattato da diversi punti di vista, seppure con qualche inevitabile sovrapposizione.
Noi abbiamo privilegiato quello che attiene alla realtà di coppia, anche se il perdono interessa anche i rapporti tra genitori e figli, tra fratelli, parenti, vicini di casa, colleghi d‘ufficio.
Quanto scritto in questo numero è comunque valido, con gli opportuni adattamenti, anche a questi tipi di relazione.
Abbiamo poi preferito distinguere tra perdono e riconciliazione, perché non si tratta di sinonimi.
È molto importante che una coppia, dopo una ferita, faccia esperienza di perdono, anche se nulla sarà più come prima, e i loro cammini si potranno anche separare.
Per ragioni di spazio, e anche per rispetto degli autori, non abbiamo riportato esempi di vita vissuta, che sono invece molto presenti nei libri e sono utili per chiarire i vari argomenti e scoprire come altri ce l’hanno fatta.
Abbiamo invece volutamente trascurato il valore del perdono e della riconciliazione a livello sociale.
Il tema, infatti, è assai complesso da trattare in una società incline da un lato al perdonismo e dall’altro al giustizialismo, perché si tratta di distinguere tra perdono e giustizia, tra correzione e castigo, tra espiazione e riparazione.

4-ABBRACCIAMI!

Molte volte quando due sono emotivamente scossi, arrabbiati, è perché c'è stato qualcosa che li ha feriti. Se si lasciano prendere soltanto dal discutere spesso complicano le cose.
Più uno è intelligente, più trova motivi per darsi ragione e accusare l'altro. A volte è meglio tacere, stare abbracciati dieci minuti, mezz'ora, in silenzio, poi ci si calma e si chiariranno i problemi in maniera più serena, al momento opportuno.
È molto collegato il discorso dell’abbraccio - come linguaggio eloquente - anche alla riconciliazione.
Il litigio è inevitabile nella coppia, non si può pretendere che nella coppia non ci siano mai litigi, però si può chiedere che il litigio sia sano, costruttivo, serva a chiarire, non sia distruttivo.
L'abbraccio è una via, fondamentale, perché anche il contatto fisico trasmette un'immagine positiva e calma gli animi.
Carlo Rocchetta

5-I BISTICCI QUOTIDIANI
Non tramonti il sole sopra la vostra ira (Ef 4,26)

Tutti noi tendiamo a minimizzare i nostri errori personali, ma sappiamo evidenziare bene gli errori altrui.
Due persone che si vogliono bene quando litigano, purtroppo sono tentate di attaccare l’altro proprio nei suoi punti più deboli.
Quando cerco onestamente e apertamente di essere perdonato, mi metto nelle tue mani.
Se un fatto del passato torna sempre fuori, forse è perché non è stato perdonato davvero.

della Comunità di Caresto*
Per molti dialogare è parlarsi, è dirsi tutto. Sì certamente, ma questo non è tutto, anzi è molto poco!
Un vero dialogo porta a buone decisioni di coppia.

Le regole del dialogo
Se i due sono incapaci di regolare dialogo - pur volendosi bene, pur non essendoci problemi psichici di rilievo - si feriscono anche gravemente, si feriscono e si attraggono, si attraggono e si feriscono anche mortalmente; finché uno dei due non dice: ‘non siamo fatti l'uno per l'altro; abbiamo sbagliato’.
La nostra esperienza ci porta a dire che il 90% di quelli che pensano così ha solo bisogno di capire come si dialoga e mettere in pratica le ‘regole’ del buon dialogo.
Il dialogo in coppia andrebbe fatto secondo le ‘regole’ della buona comunicazione e del buon ascolto. In altre parole non è bene lasciarsi prendere subito dalla voglia di arrivare a stabilire la verità; o chiarire chi ha ragione o torto.
È necessario ‘prima’ lasciare un ampio tempo per ascoltarsi reciprocamente, aiutandosi con domande per aprirsi e per capire ancora meglio. Chi vuol comunicare eviti di esprimere giudizi intransigenti, che possono ferire. Si esprima piuttosto comunicando i suoi sentimenti.
Il ‘dovere di sedersi’ riguarda tutti gli sposi. È necessario ogni tanto ritagliarsi del tempo per il bene della coppia, per capirsi e decidere insieme. Alcuni sposi dicono che non hanno tempo perché devono badare ai figli... Eppure ciò che serve al bene dei due sposi non è sottratto al bene dei figli, perché essi hanno bisogno prima di tutto del vostro amore.

Scusami non è perdonami
I verbi ‘perdonare’ e ‘scusare’ esprimono due esperienze ben diverse e, se non le comprendiamo, il perdono non ‘funzionerà’ mai bene.
Io ti chiedo ‘scusa’ quando nel fatto in questione io non ho colpe, perciò ti chiedo di scusarmi.
Invece, ti chiedo ‘perdono’ quando (in molto o in poco) io ho delle colpe.
In questo caso, io non posso pretendere semplicemente di essere scusato e ripetere la stessa mancanza quando capiterà ancora quella situazione.
In effetti, succede molto spesso che uno dica: ‘scusa’ anche quando dovrebbe chiedere perdono; chiede di essere scusato anche quando c'è colpa. Ma l'altro fa più fatica a perdonare perché non è chiaro se c'è il dispiacere e il proposito di migliorare.
Quando dico ‘scusami’ sei tu che devi fare lo sforzo di accettarmi come sono. E quando invece dico ‘mi spiace, perdonami’, sono io che devo fare lo sforzo di cambiare.

La difficoltà del perdono
La questione ‘chi ha ragione, chi ha torto’ rappresenta il più grosso ostacolo da superare nel chiedere o nel dare il perdono. Se sono io a dover perdonare mi è difficile rinunciare alla mia convinzione che tu hai torto.
Nell'atto della riconciliazione non ci si preoccupa di sapere chi ha torto o chi ha ragione: conta soltanto la capacità di perdonare.
Ma spesso preferisco restare nella mia posizione: così avrò anche ragione, ma resto solo! E poi è vero che la ragione sta tutta da una parte?
Tutti noi tendiamo a minimizzare i nostri errori personali, ma sappiamo evidenziare bene (e ingrandire) gli errori altrui. Ci viene spontaneo usare due misure, non ce ne accorgiamo perché il male (o torto) dell'altro verso di me brucia e mi fa penare. E, invece, il male (o torto) che faccio io all'altro non pesa su di me ma sull'altro; possiamo fare male all'altro addirittura senza accorgersene.
Nessuno ha voglia di ammettere di non essere stato capace di essere come aveva promesso quando si era sposato. Allora io cerco una scusa, qualsiasi cosa che possa giustificare il mio carattere.
Ma ammettere il peccato e chiedere il vero perdono non è la via più lunga, ma la via meno lunga... anche se non è sempre semplice e facile.

Chi fa il primo passo
Ci sono coppie in cui si è instaurata l'abitudine che è sempre la stessa persona a iniziare a far pace.
In altre coppie si interrompe semplicemente il litigio e ci si rimette insieme... senza tante spiegazioni e ragionamenti.
Questa modalità ha certamente il vantaggio di concludere una discussione ma ha l'inconveniente che non è soddisfacente per nessuno dei due, perché non tiene conto del danno fatto alla loro relazione e impedisce ai due di guarirsi l’un l'altro nel profondo.
Non basta concludere la vertenza, dobbiamo anche guarirci dalle ferite che ci siamo inflitti.
Durante la riconciliazione forse io penso a come sono stato bravo e generoso nel perdono; se lo penso sono ancora concentrato su di me.
Forse nascondo ancora un po' di risentimento, oppure ho deciso di cedere per sfinimento.
Questo non va bene: quando decidiamo di essere nuovamente coppia, dobbiamo farlo in maniera visibile per l'altro e non solo per una soddisfazione personale.

Non tergiversare
Uno dei modi migliori per evitare i conflitti futuri è quello di non tenersi dentro nulla oggi. Ogni volta che c'è un malinteso fra noi, ogni volta che noto un po' di freddezza, devo parlarne apertamente e serenamente con te.
È più facile considerare un problema ai suoi inizi che quando ha raggiunto proporzioni di gigantesche.
Lo si potrà evitare per un certo tempo, ma si svilupperà dentro di noi e aspetterà il momento opportuno per venire fuori.
Ci comprenderemo meglio se al posto di voler risolvere qualcosa, cercheremo di scoprire cosa si nasconde dietro il punto di vista dell'altro, cos'è importante per lui. Lo scopo non è quello di cambiarci reciprocamente, ma di accrescere la nostra comprensione e la nostra conoscenza reciproca.
È una forma di medicina preventiva per evitare la sofferenza e il male che ci siamo inflitti nel passato.

Ferire il coniuge
Le ferite più dolorose vengono dalla nostra famiglia: per esempio dal nostro coniuge o dai nostri figli. Proprio perché li amiamo possono farci soffrire.
Solo la persona amata conosce le nostre debolezze, i nostri punti vulnerabili. Due persone che si vogliono bene, quando litigano, purtroppo sono tentate di attaccare proprio in questi punti deboli.
Dal coniuge, più che da chiunque altro, ci aspettiamo di essere compresi.
Non chiediamo ad altri di contribuire al nostro ben-essere personale, ma dal nostro coniuge sì.
Inoltre, in una relazione coniugale siamo portati a rimbeccarsi l'un l'altro. Cerco di sminuirti per condurti a cedere.
Il farsi del male a vicenda è un aspetto significativo in una relazione coniugale. Le coppie devono imparare a parlare di questo aspetto; devono capire ciò che causa sofferenza, nonostante non abbiano intenzione di farsi del male.
Ma, in genere, aspettiamo di farci del male prima di trovare un rimedio o una soluzione ai problemi. E questo modo di agire non è saggio.

Quante volte?
Il momento del perdono ha la sua essenza e la sua propria realtà.
Non ha niente a che vedere con il passato, né con il futuro ma deve tener conto solamente del presente.
Non ti chiedo di perdonarmi questa volta perché io ti ho perdonato la volta precedente, ma perché ho bisogno del tuo perdono in questo momento.
Ti chiedo perdono perché ti ho fatto soffrire e non per pareggiare i conti!
Se accetto di perdonarti lo devo fare negli stessi termini.
Devo perdonarti ora. È un momento unico che esiste per se stesso.
La causa della mia pena può risalire a diverse ore, giorni o settimane prima ma il perdono che mi chiedi ora è per quel che sento in questo momento.
Non per ciò che è stato fatto, ma per quel che siamo ora. Non è per un avvenimento passato, ma per il dolore che ha provocato in me.
Spesso succede che nelle discussioni si ritorni sulle cose passate, che dovrebbero essere già state risolte.
Ci capita di farlo normalmente e anche di ritenerlo una cosa buona.
Se stiamo parlando di un inconveniente sorto ieri, ci viene spontaneo collegarlo ad analoghi comportamenti in passato.
Questo non aiuta a trovare una soluzione, ma solo a mortificare l'altro allontanandoci dalla metà.
Questi comportamenti vanno ripresi in giusta considerazione con il dialogo (buon ascolto e buona comunicazione) per arrivare al chiarimento e al perdono. Ma poi vanno tolti dalla circolazione; non devono più servire in future discussioni.
Dobbiamo attenerci all'argomento del dissenso senza fare allargamenti.

La vera riconciliazione
Una difficoltà grave che ci impedisce di pervenire al vero perdono e alla vera riconciliazione è che io fatico a riconoscere il mio errore, non mi fermo a rimarcare il mio peccato ma corro immediatamente a difendermi e a giustificarmi.
Ma non è così che avviene la vera riconciliazione.
Chi chiede perdono, riconosce anche il male che ha fatto all'altro. Quando chiedo perdono devo essere concentrato non tanto su quello che ho fatto e sui motivi per cui l'ho fatto, ma su quello che provi tu, sulla ferita che ho provocato in te.
È solo così e dopo questo passaggio che io potrò invitare te a non bloccarti sulla tua ferita, ma a guardarmi con occhio nuovo.
Quando cerco onestamente e apertamente di essere perdonato, mi metto nelle tue mani e chiedo: ‘vuoi accettarmi come peccatore oppure mi respingi?’.
Tu, che sei quello che può perdonarmi, devi prima prendere una decisione fondamentale: scegliere tra la tua sofferenza e me.

Chiedere all'altro di cambiare
Uno dei segni che indicano che non si crede nell'altro e nella sua richiesta di perdono è di chiedergli che cambi il suo comportamento prima di perdonarlo. Ci succede di condizionare il nostro perdono alla promessa che non si ripeterà più quello che è successo.
Per l'altro è impossibile darci una garanzia della sua impeccabilità, cioè garantirci che non mancherà di parola martedì prossimo o fra 5 anni!
Quando ti chiedo le garanzie del cambiamento, mi metto nel ruolo di un giudice. Ti domino e ti giudico se meriti o no il mio perdono.
Potrei pensare che la cosa peggiore che possa succedere sia che tu fallisca di nuovo e mi procuri altre sofferenze. Errore! La cosa peggiore che può accadere è che io mi compiaccia del mio attuale dispiacere e che ti rifiuti il perdono. La pena che potrebbe nascere è solo una possibilità, mentre ciò che provo ora è una realtà.
Ma io non posso permettermi di giudicarti. Anzi se lo facessi, sarei io a doverti chiedere perdono.

Gli effetti della riconciliazione
Il perdono si avvicina e rinforza la nostra relazione. Ci rende anche coscienti della realtà dell'altro. Chi riceve il perdono è come soggiogato e impressionato dalla misericordia e dalla generosità della persona amata.
D'altra parte colui che perdona è colpito dall’umiltà e dall'amore del coniuge il quale si è accostato imbarazzato e dispiaciuto. Una volta che ci siamo perdonati a vicenda la situazione non è più la stessa, ci sembra che sia cambiato il mondo.
Il perdono è anche un momento di crescita all'interno del matrimonio. È un passo in più verso la maturità e ci aiuta a scoprire le nostre qualità.
La riconciliazione è un'esperienza forte e meravigliosa e, come si parla di miracolo in caso di guarigioni fisiche, anche la guarigione dello spirito non è ordinaria né quotidiana.
È un bene ripensare a questi momenti. Infatti, non c'è niente che ‘rigenera’ di più, nient'altro mi può dare un tale slancio verso di te, se non questi momenti in cui tu mi fai rinascere e mi salvi dalla tristezza.

Il valore del perdono
Il perdono è un'esperienza magnifica che apprezziamo, ma non riusciamo a godere appieno dei suoi grandi momenti che ci procura.
Perché lasciarli offuscare nella nostra memoria? Perché non trattenerli, viverli nel nostro cuore e riparlarne insieme?
Uno dei più bei regali che possiamo fare al nostro coniuge è quello di fargli capire chiaramente tutta l'importanza che ha per noi, tutto il suo apporto nella nostra vita e quanto questa sia diversa proprio grazie a lui.
Uno dei modi migliori per farlo è ricordare insieme i momenti di perdono e di riconciliazione.

Perdono ma non dimentico
Uno degli aspetti più difficili del perdono è senza dubbio di riuscire a ‘dimenticare’ il torto o la pena subita.
Possiamo però esercitare la nostra memoria a far sì che, quando ci torna in mente quell'avvenimento doloroso, ripensiamo soprattutto al momento del perdono, al caldo riavvicinamento dell'altro e alla sua bellezza.
Se invece ripensiamo di più alla nostra sofferenza, dovremmo noi chiedere perdono per il fatto che non abbiamo veramente perdonato la volta precedente.
È chiaro che fisicamente parlando non si può dimenticare. Ogni istante è fissato nelle cellule della memoria. Ma un conto è ricordare, un conto è tirare fuori i fatti vecchi e farli pesare nella discussione su un punto che riguarda l’oggi.
‘Perdono, ma non dimentico’ è una frase che suona minatoria: cioè, ‘per ora ti perdono ma la prossima volta paghi per due!’.
Se un fatto del passato torna sempre fuori, forse è perché non è perdonato davvero.
Esso, invece, va chiuso nel ‘museo coniugale’ dove il fatto può essere ricordato (come un reperto del passato) ma non può essere tirato fuori nelle discussioni che ancora si faranno.
* Tratto da: Il perdono come guarigione di coppia, Gribaudi Editore, Milano 2005.
Sintesi della redazione.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Pretendiamo sempre di avere ragione?
• Tendiamo a ‘tenerci dentro’ quello che non va nel nostro rapporto?
• Quando chiedo perdono sono davvero pentito o lo faccio solo per convenienza?
• Quando litighiamo, tendiamo a ‘rivangare’ il passato?

6-NON SIAMO PERFETTI

di Gilberto Gillini e Maria Teresa Zattoni*
Il conflitto nella vita di una coppia non è eliminabile, perciò non deve essere l'ombra nera da cui scappare terrorizzati; non è neanche il marchio che qualcosa non va, che occorre fare tutto da capo, che sarebbe bello rinascere insieme di nuovo, innocenti e mai feriti…
Ma il conflitto è lì, sornione e ironico, per dirci che non siamo perfetti, per farci incontrare con i nostri (benefici!) limiti, per ricordarci la nostra umanità, che ci unisce tutti, santi compresi, in quella che potremmo definire ‘la confraternita della debolezza’.
Lì dove possiamo, passata la bufera, riprenderci per mano.
Ma non per magia, né per puro volontarismo. Il conflitto, infatti, è una sorta di specialissima ‘chiamata’ ad imparare umilmente un'arte: l'arte del buon litigio, l'apprendimento di un linguaggio cooperativo, esercizio di controllo degli impulsi e l'arte di tranquillizzare se stessi.
Si tratta di un apprendimento perché nessuno, per natura o per istinto, sa gestire il conflitto. Tutti noi possiamo fare qualche passo per imparare a confrontarci con esso, senza farci male, reciprocamente.

7-L’OFFESA
Quando il bisticcio è una cosa seria

Di fronte all’offesa abbiamo il diritto di arrabbiarci, ma non il diritto di vivere di rabbia.
Nutrire risentimento consuma molte energie, alimenta uno stress senza fine ed è all'origine di diverse malattie psicosomatiche.

a cura della Redazione
“Quando si viene offesi”, scrive Monbourquette, “si è colpiti nella propria integrità fisica, morale e spirituale e qualche cosa di importante si verifica in noi. Diventiamo rabbiosi e inclini ad offendere a nostra volta, come se fossimo stati contaminati da un virus contagioso”.

La rabbia
“Di fronte all'offesa”, scrive Testa, “la reazione più normale e quella della rabbia. Avere rabbia è una reazione istintiva, abbiamo quindi il diritto di arrabbiarci, ma non il diritto di vivere di rabbia. Perché non ci conviene, non ci serve, ci fa star male”.
“Quando la rabbia si trasforma in rancore cronico”, continua Testa, “avveleniamo la nostra vita con una sensazione costante di disprezzo o di malafede verso chi ci ha offeso.
Perdonare è liberarci delle conseguenze della rabbia e del rancore cronico che ci indeboliscono, rompere il circolo vizioso formato dal ricordo dell'offesa ricevuta e aprirsi a nuove prospettive per il futuro”.

La vendetta
“La vendetta è senza dubbio la risposta più istintiva e più spontanea all’affronto”, annota Monbourquette.
“In questo modo l'offeso prova la sensazione di non sentirsi più solo nella disgrazia, ma si tratta di una soddisfazione da poco. Perché cercare di rendere la pariglia a chi ha provocato l'offesa fa entrare vittima e carnefice in una dialettica ripetitiva. Soltanto il perdono può interrompere il ciclo infernale della vendetta e creare un nuovo stile di rapporti umani.
La soddisfazione procurata dalla vendetta, infatti, è di brevissima durata. Essa non può compensare i guasti che ha prodotto nella rete dei rapporti umani”.
“Il perdono invece ci insegna che possiamo essere in netto disaccordo con qualcuno”, suggerisce Testa, “senza perdere il nostro affetto per lui: ‘Quello che mi hai detto o fatto penso che non sia giusto, ma non per questo te la voglio far pagare’. Il perdono comincia con la decisione di non vendicarsi”.

Il risentimento
Anche se non si ricorre alla vendetta molte persone, se non riescono a perdonare, si trovano a vivere in uno stato di costante risentimento.
“Nel caso dei divorziati”, scrive Monbourquette, “studi effettuati hanno dimostrato che molte persone, in particolare le donne, continuano a nutrire un grande risentimento nei confronti del loro ex coniuge, anche dopo 15 anni di separazione.
Vivere contrariati, anche se a livello inconscio, consuma molte energie e alimenta uno stress senza fine.
Il risentimento, questa specie di collera mascherata che è la suppurazione di una ferita non ben guarita, ha anche altri effetti dannosi. Per esempio, è all'origine di diverse malattie psicosomatiche, fino ad arrivare a colpire il sistema immunitario”.

Legati al passato
Un'altra conseguenza è quella di avere difficoltà a vivere il momento presente. Sempre Monbourquette scrive: “Di fronte all’incapacità di perdonare, la vita del soggetto si fossilizza. Il ricordo del passato continua a inasprire le sue vecchie sofferenze. Il momento presente si sfilaccia in inutili rimuginazioni, il tempo passa senza felicità, sfuma la possibilità della gioia dei rapporti personali. Il futuro è senza prospettive e minaccioso. La vita è rimasta ancorata al passato”.
“Voglio portarmi in cuore per tutta la vita la ferita che mi è stata inferta?” Si domanda Testa. “Lo posso anche fare perché ognuno ha diritto di essere masochista, anche se questo è il modo per continuare a soffrire tutta la vita. È come rigirare il coltello nella piaga, la ferita non guarirà mai”.

Non chiedere scusa
Cosa succede se nessuno dei due cerca la riconciliazione?
“Ho conosciuto coppie di coniugi”, scrive Chapman, “che hanno trascorso trent’anni vivendo nella stessa casa come estranei, perché ognuno aspettava che l'altro compisse il primo passo per chiedere scusa. Quando le persone compiono la scelta consapevole di non chiedere scusa, è una tragedia.
Le persone possono scegliere di non chiedere scusa perché il rapporto interpersonale con l'altro non sta loro a cuore. Forse in passato hanno avuto contrasti, e sotto la superficie cova tanto risentimento.
Un secondo motivo per cui alcune persone scelgono di non chiedere scusa è che ritengono che il loro comportamento sia giustificato e che l'altra persona sia dalla parte del torto”.
“La persona che trova giustificazioni per il proprio comportamento negativo si illude”, continua Chapman. “La persona che ritiene di non far mai nulla che richieda il perdono vive in un mondo non realistico. La realtà è che tutti noi pronunciamo affermazioni aspre, critiche e poco amorevoli e a volte ci comportiamo in modo offensivo e distruttivo. La persona che rifiuta di riconoscere di aver bisogno di essere perdonata avrà una vita piena di relazioni interrotte”.

Il perdono non richiesto
Un atteggiamento diametralmente opposto, di fronte all'offesa subita, è quello di perdonare anche in assenza di richiesta di scuse. Scrive ancora Chapman: “L'idea è questa: ‘lo devo perdonare, oppure Dio non mi perdonerà’. Ma questa affermazione è corretta?
La Bibbia dice che, se ci pentiamo, Dio ci perdonerà. Nessun passo né dell'Antico Testamento, né del Nuovo Testamento indica che Dio perdona i peccati delle persone che non se ne pentono.
Quando un sacerdote incoraggia una moglie a perdonare il marito infedele che continua ad agire in modo ingiusto, chiede a quella signora qualcosa che Dio stesso non fa.
Il perdono in assenza di una richiesta di scuse spesso è incoraggiato in vista del bene della persona che perdona, più che per il bene di chi ha commesso il torto. Questo genere di perdono non porta alla riconciliazione”.

Perché chiedere scusa
“Un buon rapporto è sempre contraddistinto dalla disponibilità a chiedere scusa, perdonare e riconciliarsi”, conclude Chapman. “Molti rapporti interpersonali sono freddi e distanti perché non siamo riusciti a chiedere perdono.
Una sincera richiesta di scuse mitiga anche i sensi di colpa. Una coscienza oberata lascia l'individuo pieno di sensi di colpa e di vergogna. L'unico modo per liberare in modo efficace la coscienza consiste nel chiedere perdono a Dio e alla persona che avete offeso. Dopo aver fatto questo, potete guardare Dio, guardarvi allo specchio e guardare l'altra persona negli occhi, non perché siete perfetti, ma perché siete stati disponibili ad assumervi la responsabilità del vostro errore”.

Perché perdonare
“Il perdono è un modo nuovo di vedere le persone e le situazioni, non può cambiare il passato ma amplia e libera il futuro”, scrive Testa.
“Il perdono è una decisione, una scelta: quella di guardare più in là dei limiti della personalità dell'offensore, delle sue paure, del suo modo di essere, delle sue nevrosi ed errori.
Il perdono è un atteggiamento, che ci aiuta a comprendere che ciò che percepiamo a volte è una nostra sensazione e non un fatto oggettivo. Certo ci sono dei fatti chiari, come la violenza su un familiare o su noi stessi. Ma spesso l'offesa dipende da come la viviamo.
Il perdono è un percorso, che esige di cambiare molte volte le nostre percezioni. Il frutto di questo cambiamento è una maggiore comprensione verso noi stessi e verso gli altri; diventiamo perciò capaci di lasciar andare e liberare il passato”.
“Il perdono”, conclude Testa, “diventa così un modo di vivere, che ci trasforma un poco alla volta da vittime in costruttori della nostra realtà”.
Per la bibliografia vedi pag. 26.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quanto durano le nostre arrabbiature?
• Ci capita, pur avendo detto di perdonare, di ‘vendicarci’ nei confronti dell’altro?
• Quanto le offese passate pesano sul nostro ‘presente’ di coppia?
• Ci vergogniamo delle offese che abbiamo arrecato?

8-CINQUE LINGUAGGI PER CHIEDERE PERDONO
Imparare a chiedere perdono per le offese arrecate

Amare con tutto il cuore spesso significa dire ‘mi spiace’.
Per diventare adulti responsabili e realizzati è importante imparare a dire ‘ho sbagliato’.
Chiedere perdono deve prevedere l’impegno a cambiare, a non ripetere l’offesa, pur mettendo in conto la possibilità di ricadute.
Chiedere perdono è un’ammissione di colpa, è mettere il futuro del vostro rapporto nelle mani dell’altro.

di Gary Chapman e Jennifer Thomas*
Quando si tratta di scusarsi, la gente parla linguaggi diversi. È questo il motivo per cui spesso una sincera richiesta di scuse non viene accolta come tale, e non sempre seguono perdono e riconciliazione.
In base alla nostra esperienza di consulenti matrimoniali, riteniamo che un motivo importante per spiegare la diffusione dei fallimenti matrimoniali oggi è legato all’incapacità di formulare richieste di perdono adeguate e convincenti.

Perché chiedere scusa
In un mondo perfetto, non ci sarebbe bisogno di scusarsi. Dato però che il mondo è imperfetto non possiamo sopravvivere senza chiedere scusa.
Più il rapporto interpersonale è profondo, più grande e il desiderio di riconciliazione.
La necessità di chiedere perdono riguarda tutti i rapporti umani. Lo richiedono il rapporto con il coniuge, quello con i figli, il fidanzamento e la vita consacrata.
All'interno dei matrimoni, le tempeste domestiche spesso sono radicate nella mancanza di disponibilità a chiedere perdono.
Il perdono sincero e la riconciliazione sono decisioni tra due persone rese possibili da una richiesta di perdono. In assenza di una richiesta di scuse, l'offesa si erge come una barriera, e la qualità del rapporto interpersonale si impoverisce.
Un buon rapporto, infatti, è sempre contraddistinto dalla disponibilità a chiedere scusa, perdonare e riconciliarsi. Molti rapporti interpersonali sono freddi e distanti perché non siamo riusciti a chiedere perdono.
La bella notizia è che l'arte di chiedere perdono può essere appresa.
Il segreto per un buon rapporto interpersonale consiste nell’imparare il linguaggio del perdono dell'altra persona ed essere disponibili a parlarlo.
Amare spesso significa dire ‘mi spiace’ e il vero amore prevede che chi ha commesso un torto chieda scusa e chi è stato offeso perdoni. Questa è la via da percorrere per recuperare un rapporto interpersonale caratterizzato da amore.

1 Esprimere rammarico
Il primo linguaggio del perdono si manifesta nelle parole ‘mi dispiace’.
Si tratta di esprimere alla persona che è stata offesa il senso di colpa, di vergogna e di dolore che provate perché il vostro comportamento l’ha profondamente ferita.
È importante che il linguaggio del nostro corpo sia in accordo con le parole che diciamo, se vogliamo che la persona offesa percepisca la nostra sincerità.
Il nostro linguaggio del corpo parla più forte del linguaggio della parola. Questo è vero in particolare quando questi due linguaggi si contraddicono.
Una richiesta di scuse ha un impatto più forte quando è specifica. Più dettagli riusciamo a fornire e meglio è.
Il sincero rammarico richiede, inoltre, di rimanere da solo. Non dovrebbe essere seguito da ‘ma…’.
Tutte le volte in cui una richiesta di scuse è seguita da pretesti accampati per l'offesa arrecata, i pretesti cancellano la richiesta di scuse.
Un'espressione di sincero rammarico non dovrebbe essere improntata al tentativo di manovrare l'altro perché faccia altrettanto.
A volte feriamo una persona senza rendersene conto. Sicuramente non ne avevamo intenzione. Un buon rapporto interpersonale migliora ulteriormente se esprimiamo il nostro rammarico anche quando non intendevamo ferire l'altra persona.

2 Assumersi le proprie responsabilità
Perché per alcuni di noi è così difficile dire ‘ho sbagliato’? Spesso la nostra riluttanza ad ammettere che abbiamo sbagliato è legata al senso di autostima.
Ammettere che abbiamo sbagliato è considerato come una debolezza.
Invece, imparare a dire ‘ho sbagliato’ è un passo importante lungo la via per diventare adulti responsabili e realizzati.
Molte persone quando sentono le parole: ‘ho sbagliato’ capiscono che colui che chiede scusa è sincero.
In assenza di queste parole o di altri simboli simili, improntate all'assunzione di responsabilità, queste persone non ritengono che l'altro si sia sinceramente scusato.
Può succedere che nessuno dei due pensi di aver fatto qualcosa di sbagliato, che nessuno dei due intenda ferire l'altro ma entrambi si rendono responsabili di trattarsi a vicenda in modo scortese. Quale strategia va adottata dai coniugi in questo caso?
È quella, da una parte, di non aver paura di sentirsi ferito, adirato, deluso evitando però l'idea che, a causa dei miei sentimenti, abbia il diritto di ferire un'altra persona con il mio comportamento.
Ferire il mio coniuge perché lui mi ha ferito è come dichiarare una guerra civile, una guerra in cui non ci sono vincitori.

3 Cercare di rimediare
L'idea di riparare ai danni compiuti è basata sull'idea innata negli essere umani secondo cui, quando è stato commesso un torto, occorre ‘rimediare’.
I genitori cercano di insegnare questo principio ai figli. Quando una madre vede il suo bambino di quattro anni strappare la bambola dalle mani della sorella di sei anni, esige che suo figlio non si limiti a dire: ‘mi spiace’, ma che restituisca anche la bambola.
Nell'ambito della famiglia, il desiderio di rimediare a un torto è quasi sempre basato sul nostro bisogno d'amore.
Dopo essere stati profondamente feriti, abbiamo bisogno di essere rassicurati del fatto che la persona che ci ha ferito ci ami ancora.
Per alcune persone, il tentativo di rimediare è il linguaggio principale del perdono. In assenza di un impegno per rimediare, la persona metterà in discussione la sincerità della richiesta di scuse e continuerà a non sentirsi amata, anche se le avete detto: ‘mi dispiace, ho sbagliato’.
La domanda, a questo punto, è: ‘come possiamo impegnarci per rimediare nel modo più efficace?’. Proviamo a suggerirvi cinque modalità.
Parole di stima
La prima prevede l'uso di parole che dimostrino la stima che abbiamo nei confronti dell'altra persona.
Le parole usate possono riguardare la sua personalità, il suo comportamento, i suoi abiti, ciò che fa o la sua bellezza. L'importante è che le parole comunichino verbalmente l'affetto e la considerazione che nutrite per quella persona.
Gesti di servizio
La seconda è costituita dai gesti di servizio. Questa modalità si basa sul vecchio detto: ‘le azioni parlano più forte delle parole’.
Passare l'aspirapolvere, lavare i piatti, cambiare i pannolini al bambino, togliere insetti dal parabrezza, portare fuori la spazzatura, fare il bucato, lavare il cane, aiutare i figli a svolgere i compiti sono tutti i gesti di servizio.
Fare dei doni
Offrire e ricevere doni è un'espressione universale d'amore.
Il dono non deve essere necessariamente costoso. La gente non dice sempre: ‘è il pensiero che conta’? Tuttavia non conta solo il pensiero ma soprattutto il dono che è frutto di quel pensiero.
Momenti speciali
La quarta modalità è costituita dai momenti speciali. Se offrite a una persona la vostra attenzione esclusiva, le comunicate: ‘tu sei importante per me’.
I momenti speciali prevedono l’assenza di distrazioni, quindi serve spegnere il cellulare, avere i bambini dai nonni, ecc.
Offrite all'altra persona un'attenzione esclusiva. Se io offro a mia moglie venti minuti di momenti speciali, le do venti minuti della mia vita, e lei fa lo stesso con me. È un modo molto efficace di comunicare amore.
Contatto fisico
La quinta modalità è il contatto fisico. Il potere emozionale del contatto fisico è noto da molto tempo. Per questo motivo prendiamo in braccio i bambini e li culliamo.
Molti mariti e molte mogli hanno visto frustrati i loro sforzi di ‘rimettere le cose a posto’ perché non sono stati capaci di usare la modalità più gradita al loro coniuge.

4 Impegnarsi sinceramente per il futuro
‘Mio marito chiede scusa, promette di non farlo più e poi... lo fa di nuovo’.
Questa signora vuole che suo marito si penta.
Pentirsi significa che la persona comprende che il suo comportamento attuale è distruttivo, si rammarica per il dolore che arreca all'altro e sceglie di modificare il suo comportamento.
L'impegno per il futuro della persona che offende, allora, suscita il perdono di colui che è stato offeso.
Il vero pentimento comincia sempre dal cuore. Non vogliamo continuare ad adottare lo stesso atteggiamento sbagliato e dunque, con l'aiuto di Dio, decidiamo di cambiare.
È vero che cambiare atteggiamento richiede tempo, e che durante il percorso possono verificarsi ulteriori errori, ma questi errori non devono impedirci di compiere effettivi cambiamenti costruttivi.
Non dovete tenere per voi la decisione di cambiare perché la persona che avete offeso non puo leggervi nel pensiero e dunque non sa che nel vostro cuore avete deciso di cambiare. Possono passare settimane o anche mesi, prima che l'altro osservi i cambiamenti, ma anche allora potrebbe non sapere che cosa li abbia motivati.
Il secondo passo lungo la strada del pentimento consiste nell'elaborare un piano per concretizzare il cambiamento. A volte la persona che è stata offesa può aiutarvi a elaborarlo.
La situazione ideale si presenta quando i coniugi riescono ad aiutarsi a vicenda nell'elaborare un piano per correggere un comportamento problematico di uno dei due.
Il terzo passo lungo la strada del pentimento consiste nel perfezionare e concretizzare il piano. Un piano che non sia perfezionato e concretizzato è come un seme che non venga piantato.
Scrivere questi propositi aiuta anche rendere il piano concreto e specifico, invece di lasciare che rimanga generale.
Il fatto che ci impegniamo per raggiungere cambiamenti costruttivi non significa che ci riusciremo immediatamente. Spesso la strada è costellata di insuccessi, anche se nostro impegno è sincero.
Non dobbiamo lasciarci scoraggiare per questo.
La cosa migliore è cercare di individuare rapidamente ogni ricaduta in un errore, anche prima che la persona che avete offeso abbia il tempo di farvelo notare. Una richiesta di scuse tempestive indica che il vostro impegno per cambiare è sincero.

5 Chiedere perdono
Alla domanda: ‘che cosa si aspetta da una richiesta di scuse?’, una persona su cinque (il 21% del totale) ha risposto: mi aspetto che la persona che mi ha offeso mi chieda perdono. Per loro, queste sono le parole magiche che indicano sincerità.
Perché chiedere perdono è così importante?
Innanzitutto, chi chiede perdono fa comprendere che desidera il rapporto interpersonale sia pienamente recuperato. Quando viene fatto un torto immediatamente si crea una barriera emozionale tra due persone. Finché la barriera non viene rimossa, il rapporto interpersonale non può procedere. Una richiesta di scuse è un tentativo di rimuovere la barriera.
Se scoprite che il linguaggio principale dell'altro consiste nella richiesta di perdono, tenete presente che questo è il modo più sicuro per rimuovere la barriera che c’è fra di voi.
Un secondo motivo per cui chiedere perdono è importante sta nel fatto che in questo modo manifestate di aver compreso di aver sbagliato, di aver offeso l'altra persona, in modo intenzionale o inavvertitamente. Chiedere perdono è un'ammissione di colpa. Mostra che sapete di meritare il biasimo o una punizione.
In terzo luogo, chiedere perdono mostra che siete disponibili a mettere il futuro del vostro rapporto nelle mani della persona che avete offeso.
Avete ammesso di aver sbagliato, avete espresso rammarico, forse avete cercato di rimediare. Ora però domandate: ‘puoi perdonarmi?’.
Sapete che non potete rispondere a questa domanda per l'altra persona. Perdonarvi o non perdonarvi è una scelta che deve compiere l'altro. E il futuro del vostro rapporto è legato a questa decisione.
Questa realtà toglie da voi la possibilità di controllo e, per alcune persone, questo è estremamente difficile.
Chiedere perdono è difficile in particolare per le persone che hanno una personalità che tende a voler controllare.
Queste persone devono chiedere aiuto a un'altra persona: a Dio, a un consulente, a un sacerdote, a un amico disposto a essere sincero con lui.
Molti di noi hanno paura del rifiuto, e questo è un altro motivo per cui è difficile chiedere perdono.
Le persone mature riconoscono le loro paure, ma rifiutano di esserne schiavi. Se un rapporto interpersonale sta loro a cuore, sono disponibili a superare le loro paure e a compiere i passi necessari per recuperare il perdono.
Un altro ostacolo che a volte impedisce alle persone di chiedere perdono è il timore di non riuscirci. Le persone che nutrono questo timore generalmente hanno una stortura psicologica. Per loro, ‘agire bene’ equivale a essere buoni o a riuscire nel proprio intento.
Per queste persone, ammettere un errore equivale a confermare: ‘io sono un fallimento’.
Se è l'unico modo per ristabilire un rapporto passa attraverso la mia richiesta di scuse, allora devo imparare a farlo malgrado le mie paure e i miei timori.
A volte per chi ha offeso un'altra persona può risultare altrettanto difficile riscontrare che l'altro non è immediatamente disponibile a perdonarlo.
Non pretendete il perdono. Quando pretendiamo il perdono, è perché non riusciamo a comprendere la sua natura. Il perdono è essenzialmente la scelta di ‘sospendere la pena’ e permettere alla persona di entrare di nuovo a far parte della nostra vita. Si tratta di perdonare l'offesa in modo che possiamo recuperare la fiducia.
Il perdono è fondamentalmente un dono. Un dono che venga preteso non è più un dono.
Cercate di comprendere che, quando chiedete di essere perdonati, formulate una richiesta di altissima portata, che costa molto alla persona che avete offeso.
* Tratto da: I 5 linguaggi del perdono, Elledici, Leumann (TO) 2008.
Sintesi della redazione.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Ci capita di giustificarci dicendo: ’mi spiace, ma...’?
• Nella nostra relazione, quanto pesano le ripicche?
• Quando feriamo l’altro, sappiamo andare oltre le scuse e praticare gesti concreti di affetto?
• Siamo disposti a cambiare il nostro comportamento per evitare di infliggere all’altro nuove ferite?
• Siamo consapevoli che il perdono è un dono che l’altro ci fa?

9-IL CAMMINO PER PERDONARE
Per passare dalla rabbia dell’offesa alla grazia del perdono

Chi è stato offeso ha la sensazione di essere il solo al mondo a sopportare questo peso.
Molte persone hanno visto la loro vita prendere una nuova direzione in seguito a una grande prova.
Soltanto da un cuore libero e raggiunto dalla Grazia può emergere il potere di perdonare.
Dopo una grave offesa non si può più riprendere il rapporto passato per il semplice fatto che esso non esiste più e non può più esistere.

di Jean Monbourquette*
Il cammino verso il perdono richiede una serie di passi né facili né immediati.

La voglia di vendicarsi
Chi è stato offeso si trova pieno di rabbia e di collera.
È vero: la collera è uno dei sette peccati capitali. Ma non si può accordare il perdono se si reprime la propria collera e il proprio desiderio di vendetta.
Naturalmente bisogna non confondere l'emozione spontanea della collera con il risentimento.
La collera, pur essendo un impulso violento dell'anima contiene, nonostante le apparenze, elementi positivi.
Il risentimento, invece, si insedia nel cuore umano allo stesso modo di un cancro. Maschera una collera sorda e tenace che non viene appagata fino a quando il responsabile dell'offesa viene punito o umiliato (cfr GF94, p. 14: ira bianca e ira nera).
Reprimere la propria collera equivale ad affondare in una palude senza avere la speranza di uscirne.
Quando un'emozione viene repressa ci si può aspettare che rispunti presto o tardi sotto forma di deviazione. Infatti non si può reprimere l'energia emozionale.
La collera repressa può spostare il suo obiettivo e aggredire esseri innocenti.
Uno degli effetti più comuni della repressione della collera è la tendenza ad attribuire agli altri il proprio senso di irritazione.
Un'altra deviazione della collera consiste nel rivolgerla contro se stessi con autoaccuse, autopunizioni, fino a diventare vittime di depressione nervosa.
La collera, se ben utilizzata, serve al buon funzionamento dei rapporti umani tra coniugi, amici, genitori e figli, datori di lavoro e dipendenti.
In tutti questi casi è importante difendere le proprie frontiere e i propri valori, e farlo con vigore e indignazione.
Purtroppo certe persone ferite rifiutano di abbandonare il loro risentimento.
Temono che, se accettano di trasformare il loro risentimento, finiranno col tradire se stessi. Credono, a torto, che mantenere ben vivo il risentimento potrà salvaguardare la loro dignità umana ed eviterà loro di esporsi ad altre umiliazioni.
Altri invece ritengono che il risentimento e l'odio possano servire a motivare se stessi, per provare a sé e agli altri il proprio valore e le proprie capacità. Ma il risentimento, al pari di un missile, all'inizio dà origine a una spinta forte ma di breve durata.

Perdonare a se stessi
Il perdono a se stessi è la svolta fondamentale nel percorso del perdono.
Il perdono rivolto a Dio e agli altri dovrà innanzitutto passare attraverso il perdono che accorderai a te stesso.
Il perdono a se stessi resta una delle grandi pratiche psico-spirituali di guarigione.
Quando sei ferito nel profondo, non puoi esitare a perdonarti. In ogni caso, vi sei costretto. Il duro colpo che hai ricevuto, soprattutto se proviene da una persona cara, avrà fatto a pezzi la tua armonia interiore.
Si scateneranno allora in te forze antagoniste. Soltanto l'umile perdono che ti accorderai riuscirà a stabilire in te la pace e l'armonia e ad aprirti alla possibilità di perdonare all'altro.
Quando si è impegolati con se stessi, si diventa incapaci di perdonare all'altro.
Le persone colpite da una grande delusione sono portate a prendersela con se stessi: non si perdonano di essersi esposte a queste sventure, mentre l'offesa subita spande alla luce del sole le loro deficienze e le loro debolezze.
Si possono individuare tre fonti principali della disistima di se stessi.
La prima fonte di ostilità verso se stessi deriva dalla ricerca di una felicità e di una perfezione assoluta, come se si dovesse essere tutti principi e principesse.
Una seconda fonte di colpevolizzazione e di disprezzo di sé deriva dai messaggi negativi di quelle persone che si considerano importanti per la propria vita. Questi messaggi possono essere di ordine verbale o non verbale.
La somma di questi messaggi sfavorevoli può causare la formazione di complessi di inferiorità che condizioneranno la persona.
La terza fonte possibile del senso di colpa e di malessere verso se stessi emana dall'ombra della personalità (Carl Gustav Jung).
L'ombra si compone di tutti gli aspetti del proprio io che non si è potuto o non si è saputo sviluppare, perché ritenuti inaccettabili dal proprio ambiente sociale.
Il prezzo che si deve pagare per la mancanza di accettazione e di stima di sé è molto elevato.
Bisogna ammettere che dobbiamo tutti perdonarci a più di un titolo, e cioè: di esserci creduti onnipotenti, di esserci esposti alle ferite degli altri, di esserci lasciati denigrare dai messaggi negativi dei nostri genitori, educatori e amici e infine di essere stati conniventi con chi ci ha offeso al punto di perpetuare in noi i suoi gesti offensivi.
Per far fronte a sfide così grandi probabilmente non ce la faremmo se contassimo unicamente sulla nostra iniziativa e sulle nostre forze e non ci aprissimo alla pietà di Dio.

Capire chi ci ha offeso
Al contrario di quelli che ti consigliano di perdonare a occhi chiusi, ti invito a perdonare con gli occhi ben aperti, per vedere chiaramente e per scoprire in chi ti ha offeso degli aspetti che fino a quel momento non ti erano noti.
Capire chi ci ha offeso implica cessare di biasimarlo.
Infatti, siamo portati a considerare chi ci ha offeso come un essere esecrabile, inaffidabile, aggressivo, infedele, pericoloso, minaccioso, odioso, irresponsabile, ecc.
Di qui nasce la tendenza a lasciarsi trasportare dall'indignazione, dimenticando le parole del Vangelo: ‘non giudicate, così non sarete giudicati’ (Mt 7,1).
Teniamo presente che l'espressione ‘non giudicare’ non significa ‘non servirsi del proprio giudizio’, ma non servirsene per ‘condannare’ gli altri.
Questa ingiunzione evangelica non si ispira a un puro e secco obbligo morale, ma mira prima di tutto al perseguimento del proprio bene.
Infatti, se non evito di condannare gli altri, non potrò evitare di essere eventualmente condannato a mia volta.
Se invece mi astengo dal condannare gli altri, avrò maggior probabilità di avere una visione più oggettiva di me stesso e, di conseguenza, anche di colui che mi ha offeso.
Però non posso capire chi mi ha offeso se, prima, non mi sono appropriato delle debolezze e dei difetti che gli attribuisco.
Capire significa conoscere meglio i precedenti dell'altro perché quando conosco il patrimonio ereditario e la storia di una persona, mi è più facile mettermi nei suoi panni e capire i suoi sbalzi di condotta.
Capire significa cercare l’intenzione positiva di chi ci ha offeso.
Alcune persone fanno dei torti con buone intenzioni, altre li fanno senza volerlo. Pensiamo ai genitori che stanno divorziando e che, senza volerlo, scompigliano la vita dei loro figli; pensiamo al capofamiglia che, a causa di affari arrischiati, mette in pericolo il benessere della moglie e dei figli.
Sapere che i responsabili di questi torti hanno agito senza volerlo non può eliminare le sofferenze subite, ma può perlomeno attenuare la ripugnanza a voler perdonare.
Capire significa scoprire il valore e la dignità di chi ci ha offeso. Infatti, nonostante le sue colpe, la persona che ci ha offeso resta capace di cambiare e di migliorarsi.
Capire significa accettare di non capire tutto perché, anche se si volesse sapere tutto su chi ci ha offeso, non si potrebbe mai penetrare totalmente il segreto della sua persona e neppure scoprire tutti i motivi del suo gesto, che spesso sono sconosciuti anche a lui.

Trovare un senso all’offesa
Che cosa imparerai da questo insulto, da questa offesa, da questo tradimento, da questa infedeltà? Come riuscirai a volgere questo insuccesso a tuo vantaggio?
Trovare il senso positivo dell'insuccesso consiste nello scoprirne la fecondità nascosta. Quante persone hanno visto la loro vita prendere una nuova direzione in seguito a una grande prova!
Il primo aspetto positivo consiste nel capire che sovente esprimiamo sugli avvenimenti giudizi stereotipati, filtrati dalle lenti deformanti dei pregiudizi personali e culturali.
Se non cambiamo ‘occhiali’ ci troveremo spesso delusi e frustrati dalle persone e dagli avvenimenti.
Il secondo aspetto consiste nel conoscere meglio se stessi.
Una grave ingiustizia o un’offesa profonda possono segnare il punto di partenza di un'avventura umana preziosa che si sviluppa in tre tempi.
In un primo momento si tratterà di rinunciare alla propria situazione precedente.
Il secondo momento sarà consacrato a una migliore conoscenza di se stessi e dei propri progetti futuri. Questo momento è fondamentale.
Ci si deve dedicare in profondità, prima di impegnarsi nel terzo momento, quello della riorganizzazione della propria vita in vista di una nuova partenza.
Il grande pericolo, a questo punto, è quello di trascurare il secondo momento: si potrebbe essere tentati di ritornare indietro per rintanarsi oppure di passare immediatamente alla fase della nuova partenza. In entrambi i casi, ci si condanna a un fallimento (p.e. un nuovo matrimonio).
Questo momento è importante perché, con l'incrinatura provocata dall'offesa, si diventa sempre più capaci di abbandonare certe illusioni e attese impossibili che si alimentavano su se stessi e sugli altri.
Più che mai ci si ritrova faccia a faccia con se stessi e si è portati a porci la domanda fondamentale: ‘chi sono?’.
Questo interrogativo sulla propria identità profonda provocherà senz'altro momenti di solitudine e di paura di sbagliarsi
Ma se si persevera si vedrà come questo momento possa trasformarsi in una nuova e feconda conoscenza di sé.
Sorgerà anche una ulteriore domanda: ‘che cosa voglio fare della mia vita?’. Ancora una volta le risposte si trovano solo all'interno di noi stessi. Bisogna soltanto avere il coraggio e la pazienza di lasciarle affiorare e di accoglierle.

Non perdonare a tutti i costi
È arrivato il momento di staccarsi dall'orgoglio sottile e dall'istinto di dominio che sarai tentato di ricercare nell'atto del perdono.
Sei chiamato a rinunciare a ogni desiderio di sufficienza, che è incompatibile con la sublimità del perdono.
A partire dal momento in cui hai deciso di perdonare, hai preteso da te stesso una buona dose di ascesi personale. Ma il perdono oltrepassa l’ascesi praticata a colpi di volontà, perché appartiene a un altro ordine, quello dei rapporti della persona con Dio.
Sei chiamato ad imitare Gesù che, sulla croce non ha voluto accordare di persona il perdono ai suoi carnefici, ma ha chiesto a Dio di farlo per lui: ‘Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno’ (Lc 23,34).
Ma il perdono non può essere l'oggetto di un comandamento o di un precetto morale.
È facile scivolare in questo errore, privando il perdono del suo lato spontaneo e gratuito.
Di fronte alla domanda di Pietro, che gli chiedeva quante volte doveva perdonare, Gesù risponde che non c'è limite al perdono (cfr Mt 18, 21-22).
La risposta di Gesù lascia chiaramente intendere che il perdono non fa parte di una morale dell'obbligo, ma di una mistica basata sui rapporti intimi tra Dio e la persona umana.
È quindi soltanto da un cuore libero e raggiunto dalla Grazia che può emergere il potere di perdonare.

Aprirsi alla grazia di perdonare
Il vuoto interiore che sei riuscito a creare rinunciando a essere l'unico autore del tuo perdono ti permette di accogliere l'amore divino.
Ti prepari a perdonare sotto l'influsso divino. In questo modo rispondi all'invito di Gesù: ‘siate misericordiosi come Dio, vostro padre, è misericordioso’ (Lc 6,36).
Non vuoi imitare Dio contando sulle tue forze, ma soltanto renderti disponibile ad accogliere la sua vita, fonte di amore e di perdono.
Ammettere in teoria che Dio è un Dio d'amore e di misericordia è cosa abbastanza facile. Arrivare a vivere ciò come una realtà della propria vita comporta un lungo lavoro.
Identificare il Dio giustiziere nel proprio immaginario religioso, per distinguerlo meglio dal Dio d'amore e di misericordia, non è faccenda da poco.
La riuscita del perdono richiede che ci si trovi in rapporto con il vero Dio; al contrario, il proprio progetto di perdono è votato al fallimento.
A volte abbiamo in mente l'immagine di un Dio il cui perdono sarebbe condizionato dai perdoni umani: Dio mi perdonerebbe solo a condizione che io abbia perdonato agli altri.
I suoi sostenitori credono di poterlo giustificare appellandosi alle parole del Padre Nostro: ‘rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori’.
Una certa tradizione cristiana ha perduto il messaggio originale del Vangelo: dal concetto del perdono gratuito di Dio si è a poco a poco scivolati verso quello di un perdono-ricompensa dei propri perdoni.
In questo modo, il perdono avrebbe la forma di un sottile mercanteggiamento tra Dio e gli uomini.
L'idea di un Dio che non dà niente per niente si combina male con la sua misericordia infinita.
Per uscire da questa strada senza uscita va tenuto ben presente che Dio mantiene in ogni momento l'iniziativa del perdono, così come è l'unico a poter prendere l'iniziativa dell'amore.
Poi va ricordato che il perdono è prima di tutto il frutto di una conversione del cuore, che può essere spontanea e immediata in certi casi, ma normalmente nasce, matura e si evolve durante un periodo di tempo più o meno lungo.
Per capire bene chi è il vero Dio del Perdono, si guardi a come Gesù si è comportato con i ‘peccatori’.
Egli non ostenta nei loro confronti un atteggiamento altero, moralistico o sprezzante, ma si fa semplice, umile e comprensivo.
Prende l'iniziativa di andare a trovare le persone che sono prigioniere delle proprie colpe.
Poi le valorizza mettendosi in condizione di poter ricevere qualcosa da loro, come per la samaritana, Zaccheo, Maria Maddalena.
Scrive Jean-Marie Pohier: “Il Dio della Bibbia ci rivela che è vulnerabile - è il padre del figliol prodigo o colui che parte alla ricerca della pecorella smarrita - e nello stesso tempo che rinuncia a farsi pagare.
Si tratta di un paradosso insostenibile per noi.
Per questo penso che non si possa imitare il perdono di Dio se non da molto lontano. Bisogna sperare che, a forza di frequentarlo, Dio finisca con l’influire un pochino su di noi”.

Niente è come prima
Non bisogna confondere perdono e riconciliazione.
Per certi autori, il perdono è spesso sinonimo di riconciliazione.
Il perdono non equivale a dimenticare tutto, a fare come se niente fosse successo e a riprendere il rapporto com’era prima dell'offesa. Questo modo di vedere fa più parte del pensiero magico che della sana psicologia umana.
È evidente che la conseguenza normale e auspicabile del perdono rimane la riconciliazione, soprattutto per persone unite da legami molto stretti.
Ma, anche quando la riconciliazione è possibile, non bisognerebbe immaginarsi che essa implichi il ritrovarsi come prima della colpa.
Dopo una grave offesa non si può più riprendere il rapporto passato per il semplice fatto che esso non esiste più e non può più esistere. Tutt'al più, si può pensare ad approfondirlo o a dargli un'altra forma.
* Tratto da: L’arte di perdonare, Edizioni Paoline, Milano 2015.
Sintesi della redazione.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Arrabbiarsi fa bene, mantenere il risentimento no. Condividiamo’?
• Abbiamo provato a capire perché l’altro ci ha offeso?
• Il perdono è un precetto morale o è un dono di Grazia?
• Siamo consapevoli che, dopo un’offesa grave, il nostro rapporto non può essere più lo stesso?

10-RICONCILIARSI
Ma non sempre è possibile

Perdonare e conciliarsi non significa far finta che le cose siano diverse da quelle che sono. Una vera riconciliazione può avvenire soltanto mettendo allo scoperto i propri sentimenti: la meschinità, la violenza, il dolore, la degradazione... la verità.
Desmond Tutù
Il perdono comporta la volontà di creare o, per essere più precisi, di ricreare. Perdonare non è un gesto di routine. È piuttosto un fiore nascosto, originale, che fiorisce ogni volta su una base di dolore e di vittoria su di sé.
Miguel Rubio

a cura della Redazione
La riconciliazione dovrebbe essere lo sbocco naturale del cammino intrapreso con il perdono. Ma l'esperienza ci insegna che non sempre è così.
Prendiamo alcuni casi estremi: il tradimento continuato, la violenza fisica o psicologica, l'abuso sui figli. Ci può essere riconciliazione?

La fine del rapporto
“Ci sono circostanze in cui gli sforzi di riconciliazione, per quanto generosi, possono risultare imprudenti, se non pericolosi”, scrive Monbourquette. E continua: “Non credo che, nel nome di un perdono integrale che includerebbe la riconciliazione, si debba spingere l'eroismo fino a esporsi a subire nuovamente delle sevizie”.
Però non sempre è possibile troncare definitivamente un rapporto.
“Ho in mente il caso delle persone separate divorziate che, per il bene dei figli, devono mantenere fra loro rapporti come genitori” continua Monbourquette. “In questo caso una coppia di sposi si deve trasformare in una coppia di genitori. Solo se ci si perdona reciprocamente questo diventerà possibile”, altrimenti sarà una guerra continua e le prime vittime saranno i figli.

La ridefinizione del rapporto
Più in generale, scrive Testa, “quando si tratta di risolvere i conflitti, se ci fermiamo alle posizioni di ognuno è quasi impossibile aggiungere a una soluzione. È allora necessario fare leva sulle necessità e sugli interessi, per aprire vie d'uscita”.
E continua: “È importante che le persone facciano lo sforzo di immaginare molte soluzioni o alternative possibili. Così si sciolgono le posizioni dogmatiche. Se si presenta una sola via d'uscita e questa non è accettata, tutto finisce lì. Varie opportunità ci permettono di costruirne una, che potrebbe essere la sintesi tra di esse.
Concluso l'accordo, si apre la fase dell'esecuzione dello stesso, quando si richiede un comportamento coerente con gl'impegni assunti. È chiaro che chi conclude un patto mette in gioco il ‘capitale’ di fiducia di cui dispone.
L'accordo porta in sé una certa carica di rispetto per se stessi e di speranza nell'onestà dell'altro.
L'accordo non è uguale alla riconciliazione. Due persone, che hanno preso le distanze, non è scontato che vogliano tornare a vivere insieme ma preferiscano il mutuo rispetto”.
“Vi sono perciò vari tipi di accordo possibile”, conclude Testa. “Nel primo livello due persone arrivano all'accordo di mantenere una relazione, senza una speciale cooperazione.
In questa relazione spariscono l'aggressività e il maltrattamento per dare spazio a un accordo di non aggressione, che si potrebbe esprimere così: tu di là e io di qua, senza aggredirci.
Nel secondo livello due persone arrivano a un accordo per il quale decidono di sostenere una relazione di cooperazione basica, senza che questo comporti un maggiore scambio di tipo sociale o affettivo. Sarebbe come dire: siamo uniti riguardo alle cose necessarie, ma niente di più.
Il terzo livello è un accordo mediante il quale due persone decidono di costruire o ricostruire delle relazioni affettive, di solidarietà e cooperazione costruendo in modo solidale delle proposte di scambio e aiuto vicendevole in fraternità”.

Riconciliazione e fiducia
In quest'ultimo caso il perdono sfocia nella riconciliazione.
“Riconciliazione significa”, scrive Chapman, “che entrambi vi siete lasciati il contrasto alle spalle e che intendete affrontare il futuro insieme.
Questo non significa che la fiducia venga immediatamente recuperata.
Il perdono e la fiducia non devono essere equiparati. Dato che il perdono è una decisione, può essere offerto immediatamente. La fiducia, invece, non è una decisione ma un'emozione. La fiducia consiste nel credere che una persona farà ciò che dice.
Se però la fiducia risulta mal riposta o viene ferita o tradita, non torna immediatamente dopo una richiesta di scuse e dopo che è stato accordato il perdono”.
“La fiducia di chi è stato offeso”, continua Chapman, “si recupera dando prova di essere affidabili un giorno dopo l'altro.
Come consulente familiare, ho appreso che la fiducia viene recuperata meglio quando la persona che ha commesso il torto sceglie di rivelare la sua vita privata al coniuge offeso.
Se l'offesa riguarda l'ambito dell'infedeltà sessuale, potreste offrire al vostro coniuge pieno accesso al vostro cellulare, al computer e a ogni altro mezzo di comunicazione. Inoltre, è importante che rendiate conto del modo in cui trascorrete il tempo e diate al vostro coniuge la possibilità di telefonarvi, per provare che siete dove avete detto che vi sareste recati.
Quando la persona che ha commesso un torto manifesta per un certo periodo un cambiamento nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento, l'altro comincia a essere più positivo e ottimista nei suoi confronti e, se il cambiamento perdura, alla fine si ristabilirà una piena fiducia”.

Riconciliazione e memoria
“Se un uomo è solito avere esplosioni d’ira e picchia sua moglie, la schiaffeggia e le lesiona un occhio, lui può ammettere sinceramente il suo torto e lei potrebbe perdonarlo, ma l'occhio rimane danneggiato.
Questa è una delle realtà fondamentali della vita”, annota Chapman, “quando compiamo azioni o pronunciamo parole deleterie per qualcuno, le conseguenze di quelle parole e di quelle azioni non vengono mai completamente rimosse, anche a seguito del perdono sincero.
La seconda realtà è che il perdono non elimina tutte le emozioni dolorose. Una moglie può perdonare suo marito che in uno scatto d’ira l’ha picchiata, ma quando ripensa a ciò che lui ha fatto potrebbe sentirsi ancora ferita”.
“Il perdono non è un sentimento”; conclude Chapman, “è un impegno ad accettare la persona malgrado ciò che ha fatto. È la decisione di non pretendere giustizia, ma di manifestare misericordia. Se abbiamo deciso di perdonare, scegliamo di concentrarci sul futuro e di non permettere che la nostra mente sia ossessionata da errori passati che ora sono stati perdonati”.
Per la bibliografia vedi pag. 26.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo capaci di perdonare anche se abbiamo deciso di separarci?
• Siamo sicuri di averle provate tutte o ci siamo subito arresi?
• Quanto è importante per noi godere della fiducia dell’altro?
• Siamo consapevoli che la ferita che abbiamo inflitto resterà nella memoria dell’altro?

11-CHI CE L’HA FATTA

Questo libro vuole aiutare le coppie a recuperare un dialogo autentico che permetta loro di affrontare i problemi che le hanno portate alla situazione di crisi o di separazione e da qui avviare un'autentica riconciliazione.
Le storie e le esperienze condivise desiderano solo testimoniare che è possibile ricominciare una vita a due, che non sempre tutto è perduto, che la speranza collabora con la volontà di fare nuovi passi verso il coniuge che, come noi, è deluso o ferito.
Retrouvaille, Scelgo ancora te, Edizioni San Paolo, Milano 2016.

12-CHIEDERE PERDONO AL SIGNORE
Praticare il sacramento della riconciliazione

Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno!
papa Francesco
Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo perdono a Gesù.
papa Francesco
Accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, anche la vergogna è salutare: la vergogna fa bene, perché ci fa più umili.
papa Francesco
Tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza.
papa Francesco

di Anselm Grün*
Da secoli la Chiesa offre un rituale che trasmette agli uomini l'esperienza del perdono e della riconciliazione.
È il sacramento della confessione.
Con questo sacramento voglio fare ammenda per qualcosa, ripristinare qualcosa. Voglio ristabilire il mio rapporto con Dio e porre rimedio alla mia colpa.
Per comprendere che cosa possa significare la confessione per noi oggi, dobbiamo osservare il comportamento di Gesù. Come Gesù nella sua vita ha perdonato agli uomini i loro peccati, così oggi Egli ci concede il perdono.
Nel sacramento della confessione la Chiesa è chiamata a comunicare anche a noi l’esperienza di coloro che sono stati guariti da Gesù attraverso il perdono dei loro peccati (p.e. Mt 9,2ss).
Solo se, come cristiani, viviamo come uomini nuovi e con uno spirito riconciliato possiamo favorire la riconciliazione in questo mondo.

Colpa e senso di colpa
Per poter comprendere e praticare correttamente la confessione, dobbiamo innanzitutto chiarire che cosa siano effettivamente il peccato e la colpa.
Oggi certamente l'uomo moderno, nei confronti di certe colpe non si sente più colpevole, eppure il suo cuore è pieno di sensi di colpa.
Gli psicologi sottolineano che, oggi, da una parte vi è la mancanza di consapevolezza di essere in colpa e dall'altra l’eccesso di sensi di colpa. Il compito di un bravo padre spirituale consiste nel distinguere tra sensi di colpa e vera colpa.
Poiché i sensi di colpa sono sempre poco piacevoli, l'uomo ha sviluppato numerosi meccanismi per evitarli, il più diffuso è quello di proiettarli sugli altri.
Però i sensi di colpa rimossi si esprimono in manifestazioni di rabbia, timore, nervosismo e caparbietà.
Alla fine la perdita della sensibilità nei confronti della vera colpa equivale a una perdita di umanità.
Se si perde la consapevolezza della colpa il male dell'uomo si esprime non più come coscienza sporca, bensì come paura di fallire o depressione.
Tuttavia, la psicologia non si occupa soltanto dei sensi di colpa, ma anche della vera colpa.
L’uomo vorrebbe sempre sfuggire dalla propria verità. Alcuni sfuggono alla propria realtà minimizzando la loro colpa mentre altri esagerano il loro rimorso. Invece di affrontare la colpa si assapora il rimorso come qualcosa in cui crogiolarsi.
Invece, la colpa è un'opportunità per scoprire la propria verità, guardare nel profondo del proprio cuore e lì, in tale profondità, trovare Dio stesso.

Il male
La psicologia ci impedisce di interpretare il peccato solo come una violazione oggettiva dei comandamenti.
Pertanto non è sempre possibile analizzare con precisione quale sia la parte di colpa in un comportamento in sé malvagio.
La psicologia prevede tuttavia anche l'eventualità che si possa essere colpevoli se facciamo spazio al male dentro di noi, se rifiutiamo di elaborare il nostro passato e se ci lasciamo semplicemente dominare dal male senza opporre resistenza.
La psicologia ci protegge dalle condanne unilaterali nei confronti di quanti compiono del male, ma allo stesso tempo ci mostra che anche per lo sviluppo psicologico dell'uomo il perdono è un presupposto decisivo.
Soltanto se riesco a perdonare le persone che mi hanno offeso e tormentato può sciogliersi il blocco di ghiaccio dei sentimenti congelati di odio e una parte del male può essere trasformata e affrontata con successo.

Non incolpare né discolpare
Dobbiamo stare attenti a due tendenze: quella che spinge a incolpare e quella invece che induce a discolpare.
Se ci incolpiamo, ci tormentiamo con sensi di colpa, ci lasciamo controllare dalla colpa e tirare verso il basso.
Spesso questa autoaccusa è solo l'altra faccia dell'orgoglio. In sostanza si vorrebbe essere migliori degli altri ed elevarsi sopra di essi. Poi però si fa sentire la voce del proprio super-io che lo vieta. E così si punisce la propria tentazione di autoelevazione.
Queste persone si considerano di frequente i peggiori peccatori in assoluto. Poiché non possono essere i migliori, devono essere i peggiori.
L'altro pericolo consiste nella tendenza a discolparsi. Anche questo è un modo di sfuggire alla colpa. Cerco migliaia di motivi per non essere in colpa e tento di giustificarmi adducendo tutte le scuse possibili.

Il dialogo che rende liberi
Affrontare la propria colpa fa parte della dignità dell'uomo. La colpa, infatti, è sempre espressione della mia libertà. Se giustifico o minimizzo la colpa, mi viene tolta la mia libertà. Se mi assumo la responsabilità della mia colpa, rinuncio a tutti i tentativi di giustificazione o di addossare la colpa ad altri.
L’ammissione della colpa verso una persona comporta spesso l'esperienza di una maggiore vicinanza e di una comprensione reciproca più profonda. Quindi il dialogo con un'altra persona è il metodo adatto per affrontare la colpa. Nel dialogo ammetto la mia colpa ma al contempo me ne distanzio.
L'interlocutore deve considerare seriamente i miei sensi di colpa. Anche quando il senso di colpa sembra essere decisamente astruso, la guida spirituale lo deve prendere sul serio e considerarlo motivato.
Se una donna che ha abortito viene a confessarsi e mi confida di sentirsi in colpa, non l'aiuto dicendole che quanto è successo non è grave. Devo prendere i suoi sensi di colpa così come sono, non importa se alla colpa reale si uniscono anche sensi di colpa derivanti da una rigida educazione.
I sensi di colpa sono sempre giustificati, hanno sempre una loro causa. L'incarico del padre spirituale sarebbe quello di ricercare insieme a chi si confessa le vere origini dei sensi di colpa, condurlo ai veri focolai che generano conflitti e mostrargli la colpa originaria che forse non ha ancora chiamato per nome.

Porgere a Dio la mia verità
Talvolta i cristiani usano la confessione per fuggire alla loro colpa. Desiderano liberarsene il più rapidamente possibile tramite la confessione, senza affrontare la colpa. Questo però non è un modo maturo di affrontare le colpe. La confessione mi libererà dalla colpa solo se considero quest'ultima apertamente.
In caso contrario, la confessione non sarà una vera conversione ma solo il consolidamento del mio atteggiamento colpevole. La conversione richiede anche un lavoro specifico, come ci insegna la psicologia.
E anche se il metodo religioso con cui viene affrontata la colpa consiste nel porgerla a Dio misericordioso e credere nel perdono che mi libera dalla colpa, questo tuttavia non mi esenta dal lavorare su me stesso.
Posso porgere a Dio soltanto la colpa che guardo consapevolmente e in cui mi imbatto nella mia verità.
Il perdono è un dono di Dio, non lo si merita e non lo si conquista. Tuttavia io posso accettare questo dono soltanto se porgo a Dio le mie mani vuote e in esse la mia verità.

Il significato della confessione
Oggi molti si domandano per quale motivo debbano confessarsi.
Ovviamente Dio non è legato alla confessione, Egli perdona sempre. La questione non riguarda come Dio perdona, ma in quale modo noi possiamo credere al suo perdono.
Il rito della confessione desidera soprattutto aiutarci a saper credere nel perdono.
Infatti esiste dentro di noi una voce interiore che ci impedisce di accettare il perdono di Dio. È necessario il rito che si spinge nelle profondità dell'inconscio ed elimina le barriere che trattengono dal credere nel perdono.
Noi parliamo con gli amici di molte cose ma raramente parliamo delle nostre colpe. Il dialogo sulla nostra colpa avrà successo soltanto se disponiamo di una cornice che ci protegge, di un luogo in cui non veniamo condannati e dove invece veniamo accettati incondizionatamente.
Oggi questi luoghi sono soprattutto la terapia e la confessione. Il rito contrappone ai sensi di colpa radicati in profondità qualcosa di sovra personale. Esso pone chi si confessa a contatto con la potenza di Gesù Cristo, che lo libera dalla sua colpa e dai suoi sensi di colpa.

Il rituale della confessione
La confessione richiede preparazione. Ascolto dentro di me per sentire dove sono i miei problemi, dove mi sono allontanato dalla mia vera impronta, dove ho ferito me stesso e dove ho fatto del male agli altri. Guardo il mio rapporto con Dio e rifletto su che cosa voglio dire nella confessione.
Quando ci si prepara alla confessione è bene aver chiaro in mente che il sacramento della confessione è la festa della riconciliazione.
Mi reco da Dio, mio Padre, che mi accoglie e celebra insieme a me una festa della gioia perché io, che mi ero allontanato da me stesso, sono stato ritrovato, perché io, che ero morto, irrigidito negli obblighi e in modelli sorpassati, ho ritrovato la vita.

L’accusa dei peccati
La seconda fase è la confessione. Non sono tenuto ad elencare completamente tutti gli errori che ho commesso, occorre invece raccontare l'essenziale: dove mi sento colpevole? Dove provo dispiacere? Che cosa mi pesa? Dov'è il punto in cui divento colpevole, in cui fuggo da me stesso e da Dio e che io vorrei portare coscientemente di fronte a Dio?
Il sacerdote si concentrerà su questa confessione e nel dialogo chiarirà alcuni punti affinché chi si confessa possa comprendere ancora meglio se stesso e propri problemi.
Nel dialogo occorre comprendere e chiarire ma anche domandarsi come ci si dovrà comportare in futuro.

La penitenza e oltre
In passato il sacerdote assegnava a chi si confessava una penitenza che spesso aveva un carattere principalmente esteriore e consisteva nel recitare determinate preghiere.
Mi sembra che sia più interessante cercare insieme a chi si confessa quello che potrebbe aiutarlo a progredire interiormente e ad abbandonare un determinato errore o un modello di comportamento che non fa altro che ferirlo.
Invece di assumere determinati propositi, sarebbe più utile cercare esercizi concreti che possano aiutarlo lungo il suo cammino.
Si potrebbe dire che il rito della confessione è sufficiente per superare i sensi di colpa.
Talvolta però il rito sacramentale richiede anche il rito personale per penetrare attraverso tutti gli strati della propria anima e far giungere nel profondo del cuore il perdono e la liberazione che trovano espressione nella confessione
La confessione si conclude con l'assoluzione, con la liberazione dai peccati in nome e per volontà di Gesù Cristo.
È questo l'obiettivo della confessione: poter credere non solo con la testa ma anche con il cuore e con il corpo che la mia colpa mia è stata perdonata e che ora posso anche perdonare me stesso con tutto il cuore. Allora vivo veramente la liberazione. Allora smetterò di continuare a tormentarmi, autoaccusandomi. Nello stesso modo con cui la confessione richiede una preparazione, ha bisogno anche di una rielaborazione.
Questa consiste principalmente nel riflettere sul modo in cui sia possibile tradurre concretamente nella mia vita il perdono ricevuto e rispondere all'amore di Dio che perdona. A questo proposito è importante non ripromettersi di fare troppo: e più opportuno prendere in considerazione concretamente un esercizio che mi ricordi sempre il Dio che perdona e la mia risposta al Suo amore.
* Tratto da: L’arte di perdonare, Edizioni Messaggero, Padova 2013.
Sintesi della redazione.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
Colpa, sensi di colpa, rimorso: ci sono chiare le differenze e le conseguenze?
• Usiamo la confessione per fuggire alle nostre colpe o per affrontarle e superarle?
• Abbiamo una guida spirituale?
• Come gestiamo la penitenza che il sacerdote ci assegna?

13-IL SACRAMENTO DELLA MISERICORDIA

di Walter Kasper*
Attualmente dobbiamo parlare di una grave crisi di questo sacramento.
Nella maggior parte delle parrocchie non viene più praticato e molti cristiani, anche quelli che partecipano regolarmente all'Eucaristia domenicale, fanno la comunione senza prima confessarsi.
Questo fatto costituisce una delle ferite più profonde della chiesa attuale e deve indurci a interrogarci seriamente sia sul piano personale, sia su quello pastorale. Per il futuro della Chiesa sarà di importanza essenziale arrivare a un nuovo ordinamento penitenziale e a un rinnovamento del sacramento della penitenza.
I motivi della crisi attuale sono molteplici. Ad alcuni più anziani il sacramento della Penitenza richiama talvolta alla mente esperienze addirittura traumatiche. A ciò si aggiunge, nel caso di molti nostri contemporanei, un'illusione addirittura patologica in fatto di innocenza.
La colpa è solo e sempre degli altri o del ‘sistema’. È all'opera un grandioso meccanismo di decolpevolizzazione, che mette in discussione la responsabilità personale e, quindi, la dignità umana.
Il sacramento della Penitenza è il vero luogo di rifugio per i peccatori quali tutti noi siamo. In esso ci vengono tolti di dosso i pesi che ci trasciniamo dietro.
Certo, a nessuno riesce facile confessare umilmente i propri peccati e abbastanza spesso sempre gli stessi; ma chi lo fa e poi si sente dire, non in modo generico e anonimo, ma in modo concreto e personale, l' ‘absolvo te’, conosce la liberazione interiore, la pace interiore e la gioia, che questo sacramento gli dona.
Dobbiamo perciò riscoprire questo sacramento. Ciò vale in modo particolare per i sacerdoti. Il compito di rimettere i peccati è infatti il compito affidato dal Signore risorto agli apostoli. È perciò un dovere per ogni sacerdote e un'opera di misericordia essere pronti ad amministrare questo sacramento.
Esistono ovviamente molte forme di penitenza che non possono sostituire il sacramento vero e proprio ma solo prepararlo e accompagnarlo.
Consulenti psicologi possono aiutarci a comprendere meglio noi stessi e la nostra situazione incancrenita, a elaborare le cose sbagliate, ad accettare noi stessi e gli altri e darci per questo dei buoni consigli. E, come pastori d'anime, dovremmo spesso avvalerci della loro competenza specialistica e della loro esperienza umana. Ma dire ‘ti sono rimessi i tuoi peccati’, non lo può dire nessun psicologo e nessun consulente.
* Tratto da: Misericordia, Queriniana, Brescia 2013.
Sintesi della redazione.

UOMINI E DONNE NELLA BIBBIA
14-PERFETTI COME IL PADRE
L’insegnamento di Gesù sul perdono e la riconciliazione

di Anselm Grün*
Nel discorso della montagna Gesù ci indica alcuni modi per poter superare le divisioni presenti nella società umana, mostrandoci concretamente come trasformare la riconciliazione tra gli uomini in una possibilità reale.

L’ira contro il fratello
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. (Mt 5,21-24)
Non è sufficiente non uccidere fisicamente l'altro. Gesù ci invita a stare attenti a non ucciderlo con i nostri pensieri e con le nostre parole, a non uccidere la sua reputazione, a non rifiutarlo così da non permettergli più di vivere con dignità (Mt 5,21-22).
E poi Gesù pronuncia delle parole che per molti sono come una spina che non li abbandona nei loro pensieri e sentimenti aggressivi: “prima di pregare Dio occorre riconciliarsi con il fratello” (Mt 5,23-24). Non posso presentarmi a Dio senza mostrargli come vivo con gli altri. Devo distanziarmi almeno nel mio cuore dal rancore che serbo dentro di me.
Senza riconciliazione non possiamo nemmeno pregare veramente perché dovremmo tenere chiusa di fronte a Dio una parte del nostro cuore. E questa non sarebbe una vera preghiera.

Riconciliarsi
Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo! (Mt 5,25-26)
Gesù poi prosegue dandoci un suggerimento che sembra riguardare solo un contesto giudiziario (Mt 5,25-26). Qui si parla anche della riconciliazione con l'avversario interiore, cioè i miei errori e le mie debolezze, i miei istinti repressi e i miei bisogni, con cui mi devo riconciliare finché sono in cammino.
Altrimenti prima o poi verrò consegnato al giudice, alla voce del mio super-io, che mi condannerà senza pietà e mi consegnerà alla guardia, all'aguzzino interiore. Mi tormenterò accusandomi e facendomi sentire in colpa. Finirò così nella prigione della mia paura personale, della mia oscurità personale che avevo rimosso.

Non opporsi al malvagio
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. (Mt 5,38-42)
Alla tesi della vendetta: “occhio per occhio, dente per dente” (Mt 5,38), Gesù contrappone il principio del non opporsi al malvagio, riferendosi al male in generale. Non si tratta però di una resistenza passiva ma piuttosto di superare il male con la fantasia e con l'amore e di spodestarlo integrandolo nel nostro progetto di vita. Per Gesù l'importante è che noi superiamo il male con la fantasia dell'amore e troviamo in questo modo nuove possibilità di convivere in un clima di pace e riconciliazione.
Qui Gesù elenca quattro modelli di comportamento con i quali possiamo reagire al male in modo nuovo. Non sono comandamenti, ma piuttosto proposte per un nuovo comportamento che possa ricucire lo strappo che lacera la comunità umana.
“Se uno ti percuote la guancia destra tu porgigli anche l'altra” (Mt 5,39). Colpire qualcuno sulla guancia è un gesto di disonore, chi lo fa mi vuole umiliare per potersi innalzare. Se accetto questo gioco, si crea tra noi una frattura, seguita poi da una lotta. Offrendo l'altra guancia offro all'altro la possibilità di cercare il proprio onore dentro di sé invece di crearselo sottraendolo agli altri.
“Se qualcuno ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lasciagli anche il mantello” (Mt 5,40).
Nella giurisprudenza ebraica il mantello era l'unico bene escluso dal pignoramento, perché serviva come coperta per proteggersi dal freddo durante la notte. Ora Gesù ci invita a rinunciare anche a questo diritto e a fare affidamento su Dio che provvederà a noi.
L'esempio delle due miglia che dobbiamo percorrere insieme a chi ci costringe a farne uno, trae spunto dalla realtà dell'occupazione romana (Mt 5,41).
Ogni romano aveva diritto di costringere un ebreo a percorrere un miglio con lui per farsi mostrare la strada oppure per trasportare un carico. Gesù ci invita ora a spezzare il vecchio rapporto amico-nemico: “percorri due miglia con il romano, così puoi fartelo amico”. E allora anche tu starai meglio perché avrai conquistato una persona.
Nel quarto modello di comportamento descritto da Gesù egli ci invita a non voltare le spalle a chi desidera un prestito da noi.
Se diamo a chi ci domanda ciò di cui ha bisogno, lo accogliamo nella nostra comunità e superiamo in questo modo il fossato che divide chi ha da chi non ha (Mt 5,42).

L’amore per il nemico
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? (Mt 5,43-47)
Questi quattro modelli di comportamento favoriscono la riconciliazione ed in ultima analisi aprono all'amore verso il nemico (Mt 5,43).
Amare il nemico non significa però lasciare che uno psicopatico faccia ciò che vuole, consiste invece nel non accettare l'ostilità che viene mostrata nei miei confronti e nel comprenderla nel profondo.
Certo, io posso e devo proteggermi da persone che sono malate dentro e che quindi si sentono costrette a ferire gli altri. Però non vedo l'altro come nemico, ma come persona che ha bisogno di aiuto per essere di nuovo in armonia con se stessa.

Perfetti come il Padre
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. (Mt 5,48)
Queste parole di Gesù hanno suscitato molti malintesi.
Come possiamo essere perfetti come il Padre celeste? Molti hanno interpretato questo invito come il dover essere privi di difetti. Ma così hanno rimosso tutto quello che era imperfetto dentro di loro e lo hanno proiettato sugli altri.
In questo modo hanno reso sempre più profonda la lacerazione tra gli uomini. Infatti, proiettare i nostri problemi sugli altri crea conflitti e divisioni. Ma il termine originale greco, poi tradotto in latino con ‘perfetto’, significa invece “fine, completamento, compimento, maturazione, dignità” e può anche significare santa consacrazione.
Se adottiamo questo significato, le parole di Gesù potrebbero suonare così: “se agite come vi ho mostrato, verrete sempre più introdotti nel mistero di Dio e quindi parteciperete alla sua perfezione, al suo amore divino, allora capirete chi è Dio veramente”.
Il nuovo comportamento conduce quindi ad un’esperienza più profonda di Dio, all'esperienza del suo amore perfetto, così come esso ci è apparso in Gesù. Grazie al nuovo comportamento che il discorso della montagna vuole insegnarci, trasformeremo sempre più in realtà ciò che siamo già è ciò che abbiamo già vissuto nella preghiera: noi siamo figli e figlie di Dio, siamo in grado di donarci a vicenda lo stesso amore che Dio ha mostrato verso di noi in Gesù Cristo.
Tratto da: L’arte di perdonare, Edizioni Messaggero, Padova 2013.
Sintesi della redazione.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quando vado a Messa riesco a lasciarmi alle spalle il rancore che ho in me?
• Abbiamo abbastanza fantasia positiva in noi per superare il male con l’amore?
• Sappiamo vedere in chi ci è ostile una persona che ha bisogno di aiuto?
• Per noi l’amore è una strada per comprendere il mistero di Dio?

15-PER APPROFONDIRE IL TEMA
I libri usati per realizzare questo numero

Anselm Grün, L’arte di perdonare, Edizioni Messaggero, Padova 2013
Abbiamo già fatto ricorso a questo autore nel numero 80 della rivista e, ora come allora, ne avevamo apprezzato la serietà e la scorrevolezza.
Tra i testi usati in questo numero questo è quello che affronta di più la tematica del perdono dal punto di vista spirituale.
Un’altra sua caratteristica è quello di trattare il tema in modo ampio, non limitandosi alle relazioni interpersonali, ma anche a quelle sociali e al ruolo della Chiese nei cammini di riconciliazione collettivi.
Scrive infatti l’autore: “Una società può convivere e prosperare soltanto se i gruppi in lotta tra loro sono disposti a riconciliarsi”, e questo vale anche per le relazioni tra l’Islam e l’Occidente cristiano.
Dal libro abbiamo tratto, in particolare, la presentazione del sacramento della riconciliazione e la riflessione sul discorso della montagna.

Gary Chapman - Jennifer Thomas, I 5 linguaggi del perdono, Elledici, Leumann (TO) 2008.
Si tratta di un gran bel libro, che vede come co-editore Incontro Matrimoniale, associazione di Apostolato per la famiglia.
Il libro segue lo schema di un altro testo di successo degli stessi autori: I 5 linguaggi dell’amore.
Il testo, di cui noi abbiamo sintetizzato al massimo il contenuto, è in realtà molto ricco di spunti, esempi di vita pratica e ogni capitolo si chiude con una scheda di riflessione.
Non possiamo quindi che suggerirlo per le attività dei gruppi famiglia parrocchiali che fossero interessati a lavorare su questo tema.
Vale fare qui un’osservazione: quasi tutti gli autori da cui abbiamo attinto per questo numero sono persone che hanno ‘le mani in pasta’; sono competenti tanto in campo religioso quanto in quello delle scienze umane, sono psicologi e psicoterapeuti ed esercitano la professione.

Jean Monbourquette, L’arte di perdonare, Edizioni Paoline, Milano 1994.
Ecco un altro bel libro che parla di perdono e di riconciliazione.
Pur essendo canadese, lo stile con cui l’autore affronta l’argomento è meno ‘americano’ di Chapman, quindi più riflessivo.
Il cammino che Monbourquette ci propone si articola in dodici tappe, che partono dall’accettare la propria situazione di vittima per terminare con la riconciliazione. L’autore ci tiene a sottolineare che il perdono non comporta automaticamente la ripresa della relazione, che può anche interrompersi.
Anche questo testo è ricco di spunti, esempi di vita pratica, e ogni capitolo termina con una scheda di riflessione.
Rispetto a Chapman, queste schede non interpellano la coppia ma il singolo. In certe situazioni anche questo può essere molto utile.

Comunità di Caresto, Il perdono come guarigione della coppia, Gribaudi Editore, Milano 2005.
I libri di Caresto non hanno bisogno di presentazioni. Sono scritti da sposi per gli sposi e vanno diritti al punto. Si tratta in questo caso di un piccolo libro (80 pagine) costituito da 14 schede di lavoro pensate per la coppia.
Se un gruppo è agli inizi questo testo, per la sua essenzialità e concretezza, è lo strumento giusto per lavorare su questo tema.
Le schede trattano di tematiche quotidiane, delle difficoltà che ogni coppia, più o meno, deve affrontare per crescere nella relazione.
Scrivono gli autori: “Nel perdono ci sono due momenti che devono funzionare bene: l'animo di colui che chiede perdono e quello che dovrebbe avere chi perdona. Se ognuno si intestardisce nella propria posizione, resta solo! E poi, siamo proprio sicuri che la ragione sia completamente da una parte?”.

Gianfranco Testa, Il perdono è un bel guadagno, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2015.
Questo libro sembra costituire un ‘di più’ tra altri testi più specificamente orientati alla relazione di coppia. La scelta è dovuta a diversi motivi.
Il primo è il concetto che contrassegna il libro: perdonare, prima di essere un dono per l’altro, è un dono che facciamo a noi stessi.
Il secondo riguarda l’ottica sociale da cui è scaturito il testo: il perdono è l’unico strumento in grado di fermare nella società la spirale dell’odio e della vendetta, generatrice di infinite sofferenze.
La terza è l’ambito in cui è scaturito il testo: quello carcerario. La prima versione di questo libro è infatti stata: “Il perdono. un itinerario pedagogico e formativo” edito dell’associazione Università del perdono.
La quarta è che padre Testa è molto disponibile a parlare della sua esperienza; lo potete contattare attraverso il sito: www.universitadelperdono.org.

16-GIOVANI COPPIE
Il gruppo coppie giovani di Fanzolo - Vedelago (TV)

Ciao, siamo il Gruppo Coppie Giovani di Fanzolo di Vedelago.
La nostra storia è semplice, ci troviamo insieme da qualche anno, dopo avere fatto il corso fidanzati; ci sembrava una buona idea continuare a trovarci.
L'aspetto più bello e arricchente dei gruppi famiglia è la possibilità di confrontarsi e dialogare con altre coppie su tutte le paure, le gioie, le fatiche, le emozioni e le tematiche che l'essere famiglia ti porta a vivere.
Altra cosa per noi bella: vivere questa esperienza con i figli è in qualche modo testimoniare loro che per noi la famiglia è importante, che anche noi genitori siamo in crescita e in cammino e che mettersi insieme ad altri, condividere è sempre positivo!!
(Elisa e Roberto)
Qualcuno di noi arriva da altre esperienze di aggregazione, dall'esperienza scout Agesci, qualcuno da qualche anno di più di gruppo, come nel caso di Cinzia e Roberto che sono i nostri “animatori”, i nostri facilitatori si direbbe ora.
Abbiamo fatto anche delle esperienze di campi famiglia invernali a Sappada, 3-4 giorni di 'full immersion' comunitaria. Un'esperienza forte.
Per noi è stata l’occasione di un cammino assieme ad altre famiglie, con le quali condividere valori cristiani, percorsi educativi e stile di vita. È bello condividere momenti "per" la famiglia e "con" la famiglia.
(Chiara e Luca)
Ci rifacciamo all'esperienza dei Gruppi Famiglia di Castelfranco: annuncio, approfondimento, discussione in gruppo, confronto col Vangelo.
Riteniamo che i Gruppi Famiglia siano fondamentalmente un'occasione di incontro, condivisione e confronto - oltre che sulle tematiche proposte - su aspetti di vita quotidiana che fanno parte della nostra realtà di giovani coppie. Inoltre ci piace l'aspetto di condivisione e dialogo con gli altri gruppi Castellani. Infine, sentirsi parte di un gruppo conferisce un'identità e un valore aggiunto alla nostra famiglia.
(Martina e Armando)
Ma cosa abbiamo sperimentato di nuovo? Il lavoro si articola in due momenti: la settimana precedente alla riunione Cinzia e Roberto, al momento di preparare la riflessione per il gruppo, coinvolgono a turno una delle nostre famiglie, cercando e pensando modalità di proposta e di approfondimento il più possibile applicati alla nostra realtà. Ci impegniamo a trovare stili alternativi, nuovi, che stimolino la riflessione personale e di coppia, come disegni, giochi di ruolo, lavoro di riflessione a coppie, coinvolgendo anche i bambini dove possibile.
Poi ci troviamo in gruppo e presentiamo la riflessione. In questo modo arriviamo alla riunione del sabato già preparati, insieme a Cinzia e Roberto conduciamo a turno la riunione e si parte!
Il gruppo ci ha dato l'opportunità di affrontare tematiche riguardanti la vita familiare e di coppia, permettendo un confronto tra famiglie. Il confronto ci fa sentire meno soli, ci fa vedere le cose da punti di vista diversi rispetto al nostro e ci fa, il più delle volte, crescere.
Grazie ai gruppi!
(Emanuela e Sebastiano)
È un modo alternativo ma proficuo, ci porta a riflettere in anticipo sul tema, a pensare a come proporre il tema e a come svilupparlo. Provare per credere!!! Ciao.
Riflessioni raccolte da Cinzia e Roberto Vescovo

17-PER CONCLUDERE

Voglio perdonarmi:
di inseguire la stella inaccessibile,
di essere fragile,
di aver vergogna del mio dolore,
di accusarmi nella mia sventura,
di mantenere il desiderio di una perfezione irraggiungibile,
di essermi reso complice del mio persecutore,
di essermi messo fuori del mio cuore,
di aver rimuginato accuse offensive nei miei confronti,
di non essere stato capace di prevedere tutto,
di odiarmi senza compassione,
di sentirmi impotente ad accordare il perdono agli altri.
In breve, voglio perdonarmi di essere umano.
Jean Monbourquette