3° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego a Vallà
20 Gennaio 2002

Vivere in una società pluriculturale, plurietnica, plurireligiosa
Aspetti e manifestazioni attuali

Relatore: don Leone Cecchetto
Ci chiediamo se possa servire riflettere e cercare di approfondire, o semplicemente di fare una panoramica di questa realtà in cui viviamo, di questa società che ci sta attorno e che in qualche modo fa parte anche di noi stessi. Tutti noi abbiamo le nostre idee, le nostre esperienze, una storia alle spalle, non pretendo perciò di dire chissà quale novità; nello stesso tempo però mi sembrava utile fare questa mia proposta e vedere poi, in un secondo momento, fino a che punto ci si ritrova in questa serie di considerazioni.
Nel successivo momento di scambio ci può essere l’occasione per tutti di esprimere qualche cosa altro in più, quegli aspetti che ognuno ha maturato che può essere utili anche agli altri. Un momento di scambio o di verifica di quello che uno ha vissuto o sperimentato è sempre di estrema utilità.
Il primo punto è la presentazione di alcuni aspetti di questa realtà di società nella quale viviamo.
Il secondo punto presenta alcuni problemi emergenti. Dopo aver considerato alcuni di questi aspetti vedremo quali sono i problemi che emergono a partire da questa realtà.
Il terzo punto contiene alcuni spunti per una soluzione dei problemi messi a fuoco nel secondo punto.
Lo schema che avete in mano è abbastanza semplice. Il primo punto è meglio articolato, gli altri sono più accennati che sviluppati.

I. Alcuni aspetti del fenomeno
Mi sembrava che per parlare di una società pluriculturale, plurietnica, plurireligiosa, è interessante prendere in considerazione quel fenomeno che tutti conosciamo, il fenomeno dell’immigrazione, attraverso alcuni dati, perché i dati sono quelli che ci permettono sempre di avere qualche riferimento un po’ più serio e preciso.

A/1. Gli immigrati in Italia – fine 2000 (dati del Dossier Caritas)
In Italia alla fine del 2000, circa un anno fa, c’erano 1.687.000 immigrati non clandestini e rappresentavano in Italia il 3%. (L’Italia come numero di immigrati all’interno dell’Europa si colloca al quarto posto, prima c’è l’Inghilterra, la Francia, la Germania e dopo viene l’Italia.) I paesi di provenienza o meglio le grandi aree di provenienza sono quelle dell’Europa dell’Est, del Nord Ovest dell’Africa, e poi Asia, Americhe (sopratutto America del Sud), ed anche Oceania. Nella provincia di Treviso gli immigrati, quelli muniti di permesso sono all’incirca 30/33.000. Siamo pressappoco di un punto sopra la media nazionale, e i paesi di provenienza grossomodo sono quelli già accennati. E’ utile sapere anche che in provincia di Treviso ci sono parecchi ragazzi che frequentano le scuole. Accenno a questo fatto perché i ragazzi che frequentano la scuola coinvolgono sicuramente le generazioni di domani ma coinvolgono anche i genitori d’oggi, dunque sono il modo più diretto attraverso in quale si entra in contatto con queste persone. Ci sono anche altri ambiti, come il lavoro, ma quello della scuola non è un’occasione trascurabile. Per inciso una cosa interessante che ho conosciuto poco tempo fa è il fatto che i Cinesi, presenti in provincia di Treviso e che l’anno scorso hanno fatto scalpore sui giornali perché in occasione del capodanno cinese si sono esibiti a Castelfranco, sono 800 in tutta la provincia, mentre sui giornali era venuto fuori che il numero 800 riguardava il solo comune di Altivole. E tutti allora a fare le riflessioni del tipo: "Questi sono tutti nel sommerso, non sai mai dove sono, si spostano, sono ombre, fantasmi, ecc.". Dopo si è saputo che si trattava di un dato sbagliato anche se in realtà il dato va maggiorato di un terzo. Vi do un’altra notizia che riporto senza potervi fornire documentazioni certe, precise, e sarebbe che questi cinesi, quando i bambini piccoli hanno raggiunto il terzo o quarto mese, li portano in Cina perché possano imparare la lingua e la cultura. Per quale motivo? Certamente perché qui i genitori lavorano tutti. Però la cosa è un po’ strana, e cioè portano in Cina questi piccoli, li lasciano ai nonni o a qualcuno forse nella speranza di potervi tornare, in seguito, quando avranno fatto un po’ di soldi, e forse perché non vogliono perdere le loro radici. Qui si sentono al di fuori del loro mondo. Ma provate a pensare per una famiglia rinunciare ad un bambino piccolo!
Questo è un primo dato che ci permette di capire che ci sono delle presenze diverse.
Ma l’aspetto forse più interessante non è il fatto di venire a contatto con altri popoli, con altre etnie, con altre culture, con altre forme religiose. Non perché sappiamo che esistono i Marocchini o quelli che arrivano dallo Skilanka, dalla Cina (anche una volta si sapeva che esistevano i Cinesi, gli Arabi, gli Africani,… e da tanto tempo lo si sapeva) ma la vera novità è il fatto che, mentre una volta si sapeva che c’erano e lo si sapeva perché si andava nei loro paesi, adesso sono loro che vengono qui da noi. Vengono qui e occupano il nostro spazio o quello che consideriamo nostro. Arrivano e finché sono pochi se ne stanno buoni e remissivi, ma quando diventano più numerosi già cambiano le cose, perché cominciano a far gruppo, ritrovano una loro identità, avanzano rivendicazioni. Ecco allora che si è costretti a fare i conti con questa nuova realtà e rimbalzano nella memoria, dietro a queste presenze, dei fatti simili a quello dell’11 settembre. Senza enfatizzare l’11 settembre, questa data però dice qualcosa. Noi non vediamo più dietro a queste presenze un popolo di miserabili, ma quasi una specie di potente minaccia. Allora il rapporto con loro non è proprio così tranquillo e disteso come se nulla fosse accaduto. Allora, ripeto, è determinante il fatto che noi veniamo a conoscere direttamente queste persone, non tanto perché siamo noi che ci spostiamo e andiamo a far turismo in Marocco o chissà dove, ma perché sono loro che vengono nel nostro territorio. Questo fatto determina una situazione completamente diversa perché la loro presenza qui, in modi differenti, chiede di modificare l’assetto sociale sul quale la nostra società, la nostra convivenza aveva imparato a gestirsi.

A/2. Le diverse religioni degli immigrati:
mussulmani: 60% (in Italia: 33/34%; anche se qualcuno stima che arrivino ad un milione)
cristiani: la maggioranza è di tradizione ortodossa (rumeni, Jugoslavi, macedoni,…)
inoltre: cattolici; …buddisti, induisti;…. altre "religioni"
La seconda considerazione riguarda la presenza di religioni diverse. Gli immigrati mussulmani, nella provincia di Treviso, sono il 60% a differenza di una media nazionale che si aggira sui 30/35%. Sta a significare nella nostra provincia gli immigrati provengono soprattutto da determinate aree geografiche. È pur sempre difficile quantificare la presenza dei mussulmani in Italia. Ci sono stime diverse e qualcuno arriva a dire che i soli mussulmani si aggirano sul milione, è difficile avere delle conferme sicure di questi dati. Tra gli immigrati cristiani, la maggioranza è di tradizione ortodossa postcomunista proprio perchè provengono il più delle volte dall’est europeo: Rumeni, Slavi, Macedoni, ecc. Ci sono però anche dei cattolici, specie quelli che vengono dalla Nigeria, o dalla Polonia. Abbiamo buddisti provenienti dallo dallo Skilanka, almeno così sembra.
Gli induisti arrivano dall’India, dal Malabar, ecc. ma non sono moltissimi. Ultimamente però è cambiata la geografia degli immigrati. Da notare che il peso, la considerazione che hanno le religioni nel nostro ambiente, se ci pensiamo, non dipende soltanto dal numero delle persone indù, buddiste, mussulmane, ecc., invece da qualcos’altro. Mi riferisco al fatto che tante delle cosiddette sette che sono di matrice orientale, e che poi si servono tutte di alcune tecniche tipo yoga e simili, hanno un certo rilievo perché ci arrivano dall’America. Sono passate per l’America e poi fatte trasmigrare da chi in qualche modo sa incantare e incanta anche con i soldi. Incanta con quella modernità propria della società moderna che sente il bisogno di una specie di compenso d’anima in queste forme di religiosità. Sappiamo che da noi, oltre a queste religioni diverse dal cristianesimo, dal cattolicesimo rappresentate dagli immigrati ci sono anche altre presenze, tipo i testimoni di Geova, i mormoni, ecc. Soprattutto i testimoni di Geova hanno una certa visibilità e un certo numero. Se ci chiedessimo per un momento il significato di queste presenze, ossia che cosa cambia per noi la presenza di queste persone, di queste religioni? Qualcuno potrebbe pensare che cambi poco o niente perché noi continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Potrebbe anche essere così, ma non è proprio del tutto così. Dicevo prima che ci sono bambini, ragazzi che frequentano le scuole insieme al altri bambini, ad altri ragazzi. E allora, per fare un esempio, si dice: "Facciamo a meno di fare i canti per il Natale perché non c’è più rispetto per l’altro", oppure: "Facciamo a meno di fare una proposta che sia cristiana per lasciare a tutti la libertà".
Allora cambia qualcosa nel modo di organizzarci come società! Sono cose da poco ma se un gruppo vuol fare una specie di volontariato aperto a tutti non deve avere riferimenti a religioni. Potremmo andare avanti con questo tipo di riflessioni. Per certi aspetti verrebbe da pensare che la presenza di altre forme religiose, di altre tradizioni, dovrebbe provocare un cristiano a capire meglio che cosa vuol dire essere cristiano cattolico, che cosa vuol dire andare in chiesa, ma in realtà è proprio così? Oppure c’e ancora una specie di "attestamento", cioè un fermarsi su questa specie di parola d’ordine che suona: "ognuno la pensa come crede meglio, ognuno ha la sue convinzioni, ognuno ha la sua religione"? La religione può essere ancora qualcosa d’importante ma solo per la sfera personale, limitato soltanto all’ambito mio, privato. Tanto mio che non lo faccio sapere a nessuno e non deve essere mostrato a nessuno, professare pubblicamente non è così importante.

B. Le diverse aree della nostra vita (cultura policentrica)
Un secondo punto che mi sembra importante è che la realtà della nostra vita è cambiata non soltanto perché ci sono cose diverse attorno a noi ma perché ci sono cose diverse dentro di noi, dentro la nostra vita, dentro al nostra storia.
I tratti della società e della cultura "complessa"
Vorrei mettere in luce che ci sono aree della nostra vita che sono come isolate le une dalle altre. Si tratta di fattori che rappresentano i tratti della società e della cultura complessa. Abbiamo sentito parlare tante volte di una società di una cultura che è complessa. Una volta bastava conoscere 10 cose per organizzarsi la vita, oggi che si voglia o no, anche solo il cambio della moneta ci costringe a fare chissà quali calcoli, e così molte altre cose. Occorre sempre aggiornarsi, avere conoscenze nuove.

autoreferenzialità dei diversi settori della vita:
economia, politica, vita familiare à come conseguenza: favorisce la logica della specializzazione e il dominio del sapere scientifico, marginalizzando tutto il resto.
C’è una complessità tale che bisogna ricorrere agli esperti, oggi ci sono tante specializzazioni, ma quello che vorrei mettere in luce è che all’interno della vita di ognuno ci sono come tanti strati separati l’uno rispetto all’altro, ci sono degli ambiti, aree che, in termini tecnici, si dicono autoreferenziali, ossia vuol dire che ognuno fa centro a se stesso, ognuno si muove con le proprie regole, ognuno fa riferimento a se stesso. È come un mondo chiuso che non ha bisogno di comunicare con gli altri mondi. La stessa cosa si potrebbe dire dell’economia che va avanti secondo leggi proprie.
Che fa uno quando è a casa? Fa il possibile perché ci sia anche un.momento di serenità, oppure si dà da fare perché la propria casa sia pulita, pulito anche il giardino, ecc. Dopo di che mette insieme tutta la spazzatura e la smaltisce in fretta non importa dove, perché tanto tutto il resto è "il pubblico", l’altra area. Il privato, quello della famiglia, è una cosa, il resto tutt’altra cosa. Per esempio ai figli si dice: "non dire bugie" "non dar le botte a tua sorella" e cose di questo genere, però nel lavoro ci sono altre regole per cui le bugie o il cercare in qualche modo di sopravvivere difendendosi e a volte anche dando qualche gomitatina è necessario.
C’è un mondo dell’economia che ha le sue leggi che vanno per conto suo senza badare a ciò che è utile per la società.
I mangimi generatori del morbo della mucca pazza ne sono un chiaro esempio, oppure gli allevamenti con l’impiego d’ormoni.
Eppure si dice che, se non si fa così, il mercato diventa insostenibile. Ci sono delle leggi all’interno dell’economia e del mercato che sembrano andare per conto loro e sono totalmente diverse da quello che uno ritiene giusto all’interno della famiglia. Se uno, dentro la sua famiglia dicesse: "Io faccio solo le cose che servono a me e gli altri si arrangino", la famiglia non esisterebbe più, non potrebbe andare avanti. Nell’economia c’è tutto un sistema di riferimenti, nella famiglia un altro modo di pensare e di organizzarsi, nella politica un altro ancora. La conseguenza di questo modo di pensare favorisce la logica della specializzazione e il dominio del sapere scientifico marginalizzando tutto il resto.
Dovrei spendere un po’ di parole per spiegare meglio questa realtà, ma mi limito a dire che, se per curarmi un dente ho bisogno dello specialista tale e invece per curarmi un orecchio di un altro specialista, voi avvertite che questo tipo di specializzazione fa parte di cose certe, è il campo della scienza è ciò che si chiama scientifico. Invece quello che fa parte delle convinzioni personali, delle idee radicate è qualcosa che ognuno oggi tende a gestire a modo suo, però è anche vero che questo campo, quest’area delle convinzioni ideali, delle convinzioni più personali, che comunque sente come importante perché senza di queste non potrebbe andare avanti, ebbene questo campo è come confinato, confinato al di fuori delle cose certe. Ognuno la pensa a modo suo riguardo a queste realtà.

aumento della possibilità di scelta. à come conseguenza: un desiderio mai sazio e incapace di decidersi.
Tutti sappiamo che le possibilità di scelta di un prodotto sono aumentate a dismisura, e nello stesso tempo non si può essere esperti in tutto, perciò per scegliere si perde un sacco di tempo per non prendersi una fregatura. Si fa il giro di parecchi negozi altrimenti non ci si sente tranquilli. Le scelte aumentano però non è che ti aiutino a scegliere. Può succedere che alla fine, dopo aver fatto un acquisto, ti senti dire: "Hai preso quello? Potevi prendere l’altro!". E subito la cosa acquistata ti piace meno, ti distacchi dalla cosa che hai comperato e ti convinci che poi non è "chissà che cosa". Non ti identifichi, non sei convinto, non ti piace più come quando ne avevi il desiderio, non è la cosa che davvero hai apprezzato come la migliore. Dico questo perché il meccanismo dell’ampliarsi, dell’aumentare le possibilità di scelta e della difficoltà a scegliere, della difficoltà a capire che cosa di fatto ti piace, di che cosa sei convinto non ti aiuta a maturare in una capacità di scelta. L’esempio che può diventare rilevante è la scelta di un partner, di un ragazzo, di una ragazza. La possibilità di conoscere persone oggi è molto ampliata rispetto al passato ma non è detto che l’aumentare delle possibilità D’incontro aumenti la possibilità dello scegliere veramente.

mobilità à come conseguenza: rende più deboli i punti di riferimento.
NB. L’accento cade sulle attese e sulle esigenze del singolo in corrispondenza ad una perdita di autorevolezza delle istituzioni.
Anche perché subito dopo si instaura come una specie di mobilità, cioè un passare con rapidità da un’esperienza all’altra. Fin da bambini si passa con estrema facilità da un’esperienza ad un’altra: musica, danza, pallacanestro, tennis, ecc. senza veramente sostare in nessuna di queste attività intraprese. Possiamo dire la stessa cosa circa l’espetto religioso: oggi come oggi se non mi piace una parrocchia o un parroco cambio vado in un'altra parrocchia se proprio voglio andare in chiesa. Questo di per se dice che abbiamo più possibilità, ma dice anche, come logica conseguenza, che sono resi più deboli i punti di riferimento, cioè noi non ci misuriamo e non ci confrontiamo veramente con nessuno.
Se ad esempio mi trovo con un gruppo di amici e c’è qualcuno che mi è antipatico cambio gruppo. Non mi misuro e non mi lascio misurare, non sono capace di fare i conti con me stesso e con gli altri. Ne deriva che se non ho riferimenti stabili, non solo sfuggo gli altri, ma sfuggo anche me stesso. Questa mobilità e labilità di rapporti la abbiamo anche nei momenti liberi e di distensione. Ormai si usa far visita ai parenti, mezz’ora da uno, mezz’ora da un altro e via, e non è che si porti avanti un discorso con sufficiente spazio, tempo, approfondimento. La mobilità, lo spostarsi dovrebbe aiutare ad allargare i rapporti, in realtà li rende più superficiali e rende gli interlocutori grossomodo tutti uguali, per il fatto che tu gli accosti tutti velocemente. C‘è il processo detto di omologazione; pressappoco c’è una somiglianza tra tutti e quello che è importante sono solo le mie esigenze non tanto quelle degli altri o quello che gli altri si aspettano da me. In questo mondo posso avere grandissime possibilità, posso muovermi in tanti spazi ma alla fin fine non ho interlocutori seri, non credo e non ho fiducia sufficiente negli altri, specie nelle istituzioni.
Dobbiamo dunque prendere atto che:
ci sono realtà diverse da quelle che di solito 20 anni fa eravamo abituati ad accostare e sperimentare.
il mondo in cui viviamo, il nostro mondo che pensiamo di conoscere bene da vicino è un mondo che si diversifica.
diversi centri di interesse (ho fatto riferimento all’economia, alla famiglia, al lavoro, alla politica) rendono fragili le stesse persone.

II Alcuni problemi emergenti

A. Incertezza e tensione tra pluralismo e affermazione della propria identità.

1. Pluralismo e tolleranza: vantaggi e limiti.

Fino a poco tempo fa, quando facevo un discorso di questo genere, insistevo soltanto sul fatto del pluralismo, negli ultimi anni onestamente le cose sono cambiate e per questo dico che c’è come un’incertezza tra un aprirsi agli altri, un atteggiamento di tolleranza, e però anche una specie di timore degli altri e pertanto anche la tentazione di chiudersi nel proprio cantuccio.
Uno dei fondamenti, una delle affermazioni che ritornano più spesso e che riguardano alla nostra società è il fatto che la democrazia è tollerante, la democrazia rispetta tutti, la democrazia fa posto a tutte le diversità perché ognuno deve avere gli stessi diritti. Questo modo di pensare è alla base anche delle democrazie moderne, è anche quel principio per cui i diritti di ognuno devono essere rispettati. Però quando si parla di "diritti di ognuno che devono essere rispettati" di fatto nella prassi quotidiana c’è anche qualcos’altro e il qualcos’altro è: guai intromettersi in quello che uno pensa, in quelle che sono le convinzioni personali.
Ognuno ha il diritto di avere le sue convinzioni e guai a chi si intromette come a dire, in altre parole: ci sono delle cose che facciamo insieme, c’è la necessità di non danneggiarsi gli uni gli altri, ma riguardo alle convinzioni personali, riguardo alle convinzioni ideali qui non si discute! Perché? Perché non c’è niente che possa portare a capire che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Arrivo a dire in maniera più diretta per quanto riguarda la società abbiamo criteri per capire la funzionalità di determinate cose da fare mentre non abbiamo più criteri per valutare che cosa è bene che cosa è male. Non abbiamo più criteri per stabilire insieme che cosa è bene e che cosa è sbagliato.
Questo si riflette anche nel modo nel quale noi educhiamo, nel modo in cui ci si rapporta con le nuove generazioni. Cadiamo nella situazione di dire: "Fa così perché va bene così!", e cioè non siamo stati capaci di organizzare dei motivi per spiegare le cose, oppure ci troviamo nella situazione di dover dire: "Fa quello che vuoi!", ovvero lasciamo la massima libertà. La terza alternativa è dire: "Vediamo che cosa fanno gli altri!", e ci organizziamo proprio guardando come fanno gli altri. Non è del tutto sbagliato orientarsi in base al comportamento degli altri, gli altri sono sempre un metro utile di confronto ma non è un metro sufficiente. Oggi noi viviamo in una specie di lacerazione, di tensione, d’incapacità di capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, noi stessi abbiamo bisogno di approfondire queste cose perché:
o siamo divisi da un atteggiamento di tolleranza, di apertura, di riconoscimento che anche gli altri hanno dei valori,
o il timore che riconoscere che, se anche gli altri hanno dei valori e siccome sono diversi da noi, non sappiamo più se i nostri sono valori o no.
Incerti tra riconoscimento di una positività del pluralismo e timorosi che la diversità degli altri minacci la nostra infelicità. Questo è frutto di un situazione che si protrae da tanto tempo, non da adesso, però l’interrogativo di fondo è se cerchiamo di motivare delle scelte o se stiamo soltanto cercando di sopravvivere guardando quello che fanno gli altri senza convinzioni personali.

2. La fede emarginata nel "privato"
Ho già accennato al fatto che, se quello che è decisivo nella società è quello che serve ad organizzare le cose allora per quanto riguarda l’organizzazione pubblica ci si riferisce più che altro alle certezze. Ossia ci si riferisce a quello che può essere detto a tutti lasciando da parte il credo di ognuno; caso mai se nella società ci sono delle sacche di malessere, o perché ci sono ragazzi che non sanno come cavarsi dalla droga, o ci sono prostitute e nessuno ci bada, ben venga anche l’aiuto della chiesa, del volontariato che in qualche modo arriva dove lo stato, la società non può arrivare.

3. La "reazione" del "fondamentalismo"
C’è un fondamentalismo islamico ma c’è anche un fontamentalismo della nostra società che, incapace di aprirsi a presenze diverse e a culture diverse, incapace di fare i conti con la diversità, è come arroccata su se stessa. Per questo si dice: guai, via gli immigrati o cose di questo genere. Ma questo non è un fare i conti, questa non è capacità di confronto effettivo. Tutti ricordiamo che siamo una terra di emigrazione, ricordiamo le pene sofferte da chi è andato in Canada, in Australia, ecc. e l’ingiustizia che a quel tempo si avvertiva, l’ingiustizia che vi poteva andare soltanto chi aveva un lavoro oppure chi aveva carte già fatte, parenti,…

B. La difficile maturazione di un’identità personale
(L’adolescenza prolungata all’infinito)
Dicevamo che la nostra situazione è frammentata, è come se avesse centri diversi isolati uno dall’altro. Questo fatto impedisce alle presone, specie ai ragazzi e agli adolescenti, di maturare perché maturare vuol dire trovare una unità. Vuol dire avere una capacità di riportare a una sintesi le cose. Non a caso è tipico degli adolescenti volere una cosa oggi e un’altra domani oppure non sapere quello che vogliono. Proprio in questa nostra società si parla di una adolescenza prolungata, qualcuno dice fino a 32 anni, secondo gli ultimi dati, ma qualcuno la definisce un’età infinita. Quest’età diventa infinita perché la mobilità di cui si parlava prima, la frammentazione, la mancanza di riferimenti autorevoli non aiuta di fatto a far crescere le persone.
Perciò credo sia questo l’elemento più significativo: la difficoltà a maturare un’identità personale. Si potrebbe quasi dire che è il simbolo di una difficoltà come società a maturare una propria identità.

III Vie di soluzione. (alcuni spunti)
1. Il "sostare" come momento necessario per una crescita personale.
Faccio un esempio come provocazione. Uno degli elementi significativi di questa difficoltà a maturare un’identità è il problema dell’omosessualità. Tutti noi veniamo da una cultura dove chi era diverso, come si dice oggi, era già inquadrato secondo determinate regole. Oggi invece la televisione insegna: guai a te se ti rivolgi con determinazione a tuo figlio o a chi per lui, guai a te se lo rimproveri. E noi avvertiamo in questo modo di pensare qualcosa che non porta da nessuna parte. Come si fa ad aiutare un bambino, una bambina, a trovare la propria identità? Evidentemente attraverso dei "si" e dei "no", anche dei "no" perché le pretese di un bambino, non soltanto di un bambino grande, ma del bambino piccolissimo nei confronti dei genitori sono infinite. C’è subito come una specie di apertura all’infinito. Viene quasi da dire, vuole tutto per se ed evidentemente i "no" servono a dirgli che lui è limitato, servono a dirgli che il papà e la mamma sono persone limitate. Servono a fargli trovare l’identità, e a fargli capire che c’è un limite tra lui e le altre persone e che anche le altre persone hanno diritto al rispetto, esattamente come lui. Per tornare al problema già accennato mi sembra significativo avere il coraggio di dire: "è sbagliato". Ci possono essere dei casi dei casi che effettivamente non rientrano nella regola, perché ovunque esistono casi anomali, però oggi ci troviamo spesso nella situazione di dichiarare naturale quello che invece è frutto di una società che non ha saputo distinguere ciò che è bene e ciò che è male, non ha saputo distinguere l’identità maschile da quella femminile. Non a caso il problema dell’omosessualità è legato al problema dell’identità uomo e donna, all’identità della donna all’interno della famiglia che tante volte assume un ruolo competitivo e non diverso rispetto a quello dell’uomo. Sono problemi non di facile soluzione, connessi tra loro e complessi ma che è importante che siano affrontati.
Brevemente, siccome si passa velocemente da un’esperienza all’altra, da un canale all’altro, da un’amicizia all’altra, la cosa fondamentale è quella di trovare momenti di riflessione, di silenzio e sostare. Ci sono ragazzi, adolescenti in particolare, che non riescono a capire le loro emozioni, i loro sentimenti, i loro pensieri, non riescono a trovare un’unità, sono sempre fuori con la mente, mai dentro. Imparare, anche attraverso la fatica, attraverso le abitudini buone ad avere una continuità nell’impegno, una capacità di silenzio e di riflessione mi sembra che sia fondamentale. Vale per i ragazzi ma anche per i grandi, perché anche per i grandi ci potrebbe essere una vita dissipata, distratta da tantissime cose. Il problema di ritrovare l’unità non è solo un problema attuale, anche una volta, in modi differenti, le persone più mature erano persone capaci di ritrovare un’unità nella loro vita, capaci di darsi un perché, di capire il senso delle cose, delle vicende della vita. Forse per alcuni aspetti una volta era più facile sostare, ma avevano meno strumenti di noi. Oggi è fondamentale che si ritrovi quest’unità della propria vita, e per farlo non basta solo il silenzio esteriore, occorre anche capire meglio come si fa a decidersi, come si fa a fare delle scelte, come si fa a prendere posizioni di fronte ai fatti, di fronte alle persone.
Tante persone invece vanno avanti così perché bisogna, come capita, perché oggi mi va bene così, senza la capacità di decidersi e di assumere delle responsabilità.

2. Il dialogo
Accennavo prima all’esempio del bambino che, fin da piccolo, impara a rapportarsi anche attraverso i "no". È nella relazione con gli altri che riesci a capire chiesi tu. Lo sappiamo tutti: attraverso lo sguardo di una persona che ti ama intuisci quanto vali, quanto importante sei. Soprattutto attraverso gli occhi di una persona che ti vuole bene riesci a capire il tuo valore, nel confronto con l’altro, nel rapporto con l’altro, nel dialogo con l’altro. Non c’è altro modo per riuscire a trovare se stessi se non nella forma di un autentico dialogo. Non a caso si dice: o dialogare o morire.. Morire nel senso che ci si isola in se stessi e non si bada a nessuno, come se si fosse già morti prima di morire. La mia vita non interessa più a nessuno, non serve a nessuno.

3. La collaborazione
Il dialogo tra generazioni diverse. Questo dialogo non è mai finito.
Quando ero giovane davo del "voi" ai miei genitori, e a quel tempo si pensava che riuscire a dialogare con i genitori sarebbe stata veramente la meta ideale per realizzare una vera famiglia. Allora lo slogan del dialogo riempì la bocca di tutti ma poi ci siamo accorti che il dialogo, pur importante, non era tutto, occorreva essere più vicini ai figli. È la qualità del dialogo quella che serve ad avvicinare le persone. Non certo quello di genitori stressati dal lavoro che, quando ritornano a casa, non hanno più fiato da spendere. Occorre realizzare lo spazio mentale e la voglia di dire: "Io non vivo per me stesso ma dedico le ultime energie della mia vita per far posto alla mia famiglia e per far posto dentro di me alla mia famiglia." Far posto significa non chiudere la porta, assumersi nuove responsabilità, capacità di accoglienza, assumere il ruolo di chi deve educare. Chi vuole educare sa che deve avere occhi che sanno vedere più lontano del ragazzo e nello stesso tempo lasciarlo fare un passo dopo l’altro verso l’autonomia. Prendersi insieme delle responsabilità per accompagnarli nella vita. È sicuramente più facile abdicare, rinunciare a questo dialogo dove ci si deve assumere delle responsabilità.
Penso che il dialogo sia importante anche con persone diverse all’interno di gruppi, piccoli o grandi, perché tutti tendiamo ad isolarci, perché tutti siamo portati a darci ragione, tutti siamo portati a dire: quello non capisce niente. È attraverso questo incontro di persone che riusciamo a capire meglio le cose e il mondo.

Conclusione: troppo impegnativo?
Analogamente al dialogo all’interno di un qualsiasi gruppo e comunità, anche per quello che riguarda la società l’invito è di tenere aperte le porte.
Abbiamo bisogno di confrontarci con altre situazioni, culture, realtà però confronto non significa partire da zero. Si parte dalla propria realtà, dalla propria storia, dalla propria esperienza, dai propri valori, dalla propria identità e da qui riuscire anche a rispettare, conoscere, apprezzare l’identità dell’altro per quanto riusciamo a riconoscervi di valido e di vero.
Tuttavia il dialogo non è fatto solo di parole, ma di fatti e di collaborazione. Si dice che "nei fatti si vedono le cose". È vero, non solo chiacchierando, ma è altrettanto vero che i soli fatti senza parole, senza parlarsi non rappresentano un vivere umano.
Occorre allora essere meno estranei gli uni agli altri ed allora si creeranno occasioni eccezionali che permetteranno addirittura di superare le barriere che sembravano invalicabili.

Qual è la realtà di immigrazione nel mio paese?
Da che cosa nasce il timore di una destabilizzazione sociale e religiosa che gli immigrati, in quanto diversi, possono crearci?
È possibile un dialogo rispettoso e una collaborazione costruttiva con persone di altre culture e religioni?
La parrocchia mette in atto qualche iniziativa per avvicinare e inserire nel nostro tessuto socio-religioso gli immigrati?