1° Incontro dei GRUPPI FAMIGLIA a Vallà (TV)
03 Ottobre 1999

DIO CREÒ IL MONDO BELLO, MA NON "BELL’E FATTO"
Si vive del lavoro ed il lavoro fa vivere

Pierangelo Comi

Un aquilotto fu rinchiuso, ancor piccolo, in un pollaio con le galline. Crebbe nutrendosi del becchime delle galline. Un giorno passò di là un esperto d’animali e si meravigliò di vedere un’aquila in un pollaio. Quel tale pensò che l’aquila, pur condizionata dall’ambiente di vita del pollaio, potesse mantenere dentro di se ancora un cuore di aquila. Decise di portare l’aquilotto in alta montagna, nel suo ambiente, per vedere se l’istinto dell’aquila gli si fosse risvegliato. Piano piano, nel suo ambiente naturale, l’aquilotto spiccò il volo verso il sole nell’aria pura delle vette.
Dentro ognuno di noi c’è un cuore di aquila. Siamo stati spesso costretti in un ambiente povero come un pollaio. Siamo stati condizionati a vivere in un certo ambiente, secondo un certo tipo di vita, in un certo modo, ma dentro di noi l’aquila cerca di prendere il volo, di uscire verso orizzonti liberi e grandi.
Partiamo dal primo capitolo della Genesi (Gn. 1, 1-27) per cercare di risvegliare dentro di noi il cuore d’aquila. Nel racconto della creazione c’è un inizio e c’è una fine: "Nel primo giorno Dio creò…[…]. Nel settimo giorno si riposò." Ci sono stati sei giorni di lavoro, ma questi giorni acquistano il loro valore guardando al primo e all’ultimo giorno. Dio disse nel primo giorno, nel secondo, nel terzo,… E’ una parola che non è stata detta una volta sola ma continua ad essere pronunciata fino al settimo giorno che indica la perfezione.
Tutta la nostra attività è rappresentata dai sei giorni, ma se noi non guardiamo l’inizio quando Dio ha cominciato a dire qualcosa e la fine che conclude i sei giorni, non riusciamo a capire il perché di questi sei giorni. Occorre dare un senso alla nostra vita, a quello che facciamo guardando l’inizio quando la vita è incominciata ("in principio") ma anche la fine, verso il suo sviluppo ulteriore perché la vita non finisce, resta in eterno. Essa è fatta per durare sempre. Tutto il senso dunque della nostra vita è realizzare quella parola che ha iniziato ad essere pronunciata. È bello scoprire che la nostra vita diventa attiva dentro la creazione perché Dio dice attraverso di noi. Noi stiamo costruendo questa nostra vita assieme a Dio ed essa va verso l’eternità. La morte non può stroncare questa vite perché Gesù la ha vinta ed ha condotto ogni vita verso il suo pieno compimento.
Celebrare non significa tanto andare a messa. È invece importante fermarsi alla domenica per guardare al senso della nostra attività e cantare ciò che è incominciato ad essere e ciò che sta andando avanti col nostro contributo, ed anche nonostante noi, verso un pieno compimento. Occorre mettere qualcosa dentro di noi (il cuore di aquila) che ci permette di vivere e celebrare il nostro lavoro.
Ad ogni giorno del racconto biblico che narreremo con il canto porteremo un cero acceso come ad illuminare l’esistenza. Il settimo poi è un giorno speciale, è il giorno che deborda verso l’ottavo giorno. È quello che noi non sappiamo, è quello che ci aspetta nella perfezione e nella gloria dell’incontro con Dio.

CANTO
In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta,
e le tenebre coprivano gli abissi. Ma lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque.
E Dio disse: "Sia la luce!".
Ed essa fu tra il giorno e la notte principio e fine nel primo giorno.
E poi fu sera e poi fu mattina e Dio vide che tutto era buono.
E Dio disse: "Sia il firmamento!".
Ed esso fu tra le acque divise in cielo ed in terra nel secondo giorno.
E poi fu sera e poi fu mattina e Dio vide che tutto era buono.
E Dio disse: "Sia fatta la terra!".
Ed essa fu l’asciutto del mare con semi e germogli nel terzo giorno.
E poi fu sera e poi fu mattina e Dio vide che tutto era buono.
E Dio disse: "Sian fatte le luci!".
Ed esse furono il sole e la luna, le stelle del cielo nel quarto giorno.
E poi fu sera e poi fu mattina e Dio vide che tutto era buono.
E Dio disse: "Siano gli animali!".
Ed essi furono in cielo, in terra, in mare fecondi e vari nel quinto giorno.
E poi fu sera e poi fu mattina e Dio vide che tutto era buono.
Poi Dio disse: "Facciamo l’uomo".
Ed egli fu a somiglianza sua, maschio e femmina, nel sesto giorno.
E poi fu sera e poi fu mattina e Dio vide che tutto era buono.
E così Dio creò il cielo e la terra. In sei giorni li creò.
Ma il settimo giorno si riposò. Ed il settimo giorno benedisse e consacrò:
giorno di gioia e di riposo, di azione di grazie e di ogni lode.
È Gesù Cristo il settimo giorno, in lui ogni cosa trova compimento.
E non c’è più la sera e non c’è più il mattino in Gesù Cristo, il nuovo giorno.

Al capitolo secondo della Genesi (Gn. 2, 8-15) c’è un’altra bella immagine che ci serve per capire il senso della nostra vita e del nostro lavoro. Al versetto 15 leggiamo: "Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e custodisse". Questo prendere però significa nel senso etimologico profondo: Dio prende l’uomo per se, lo sceglie, se lo accaparra e lo depone con cura in modo che sia sicuro e felice in un posto magnifico, nel posto ideale per l’uomo. E lo mette a coltivare e custodire. Coltivare significa far produrre, custodire vuol dire fare la guardia perché non venga rovinato.
Coltivare e custodire non sono semplicemente verbi che riguardano il mondo agricolo, ma vennero usati per indicare il servizio nel tempio di Gerusalemme, ossia acquistano un significato liturgico. Questo lavorare perciò rappresenta qualcosa di sacro. Siamo chiamati a far divenire quella parola iniziale: disse. Il giardino rappresenta il desiderio di una vita bella, armoniosa, fiorita che ognuno di noi possiede dentro. Il compito dunque è fare che la vita sia un giardino per se e per gli altri. Così comincia ad uscire l’aquila che sta dentro di noi. Andare a lavorare non è semplicemente andare a lavorare ma custodire e coltivare.
L’ideale è questo: far venire fuori dalla nostra vita, da quella che viviamo tutti i giorni questa liturgia, questa vocazione: siamo chiamati nella nostra attività a coltivare e custodire il giardino che ci è stato affidato perché continui a fiorire e non venga rovinato.
Mentre cantiamo poniamo un altro segno: il fiore che simboleggia il giardino che è questo nostro mondo.

CANTO
Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e custodisse. Amen….

Siamo al capitolo terzo della Genesi (Gn. 3, 16-23). Questo sogno da aquila di cui abbiamo parlato c’è o non c’è? Questo lavorare che deve essere una cosa bella, che completa la costruzione del creato, che vuole portare avanti la creazione di Dio,…c’è o non c’è?
Nel terzo capitolo Adamo ed Eva vengono buttati fuori dal giardino: per loro non c’è più. Devono lavorare, sudare e far fatica. Questa aspirazione che noi abbiamo dentro fa a botte con la realtà. Nella Genesi si parla di peccato. Per comprendere meglio vediamo il primo capitolo dell’Esodo (Es. 1, 8-14) dove viene raccontata la storia d’inizio del popolo d’Israele. "Mio padre era un Arameo errante". Si trattava di una tribù di nomadi in giro a cercare pascoli per il loro bestiame e per la loro sussistenza. Questi nomadi potevano vivere solo dove c’erano i pascoli. Nel loro girovagare arrivarono in Egitto dove c’è abbondanza di acqua e quindi erba. La sì ci poteva essere il giardino e vi si stabilirono, diventarono un popolo. Ma questo star bene dura poco perché il Faraone assoggetta questo popolo, lo fa lavorare, lo fa diventare schiavo, gli rende la vita molto amara.
C’è questa realtà, questo impedimento alla nostra sete di giardino, di felicità. Se noi guardiamo anche al nostro lavoro che a volte non c’è (e questo è un grosso impedimento), a volte ce n’è troppo (diventiamo schiavi del nostro lavoro). Abbiamo costruito una società che doveva essere il giardino, il benessere, invece non è proprio così. Ci sono delle cose stridenti perché c’è chi ha troppo (e sta male ugualmente) e chi non ha niente (a volte sta forse meglio di chi ha troppo). Questo giardino allora non c’è e si cerca un intervento di Dio per aiutare l’umanità a trovare la giusta dimensione.

CANTO
Mio padre era un Arameo errante. Egli scese laggiù in Egitto e in Egitto vi dimorò come straniero.
Ma il Signore, il Dio d’Israele si è preso cura del nostro popolo.
Ma ben presto questo divenne una grande nazione
e per questo il Faraone ci maltrattò imponendoci una dura schiavitù.
Tanto più il nostro popolo cresceva e si moltiplicava tanto più era odiato da tutti gli Egiziani
ed essi lo costringevano a lavorare con ogni sorta di duro lavoro rendendo la loro vita molto amara.
Allora noi gridammo al Signore, al Signore il Dio dei nostri padri
e il nostro grido dalla schiavitù salì a Dio.

C’è dentro di noi questo desiderio di aquila, quasi creatori insieme a Dio, c’è questo desiderio del giardino, della bellezza della creazione e invece ci troviamo a vivere nel pollaio. L’aquila condizionata, costretta a vivere come gallina…
Poi è arrivato qualcuno che ha detto: risvegliamo quest’aquila. Abbiamo cantato che il Signore si è preso cura! In che modo? Venendo lui stesso, con Gesù Cristo, per indicarci la strada, per risvegliare dentro di noi questi desideri di aquila, di attesa, di sole, di aria pura. Il Vangelo ci riporta un racconto di un giovane ricco che si presenta a Gesù e gli chiede che cosa debba fare per avere la vita eterna, per avere quel giardino perché non gli bastava quello che aveva. Voleva di più. Gesù gli dice di osservare i comandamenti e quel giovane era quasi contento perché quello lo faceva già e pensava di essere quasi arrivato. Gesù gli dice: ti manca una cosa sola. Per quei tempi una cosa sola significava mancanza di tutto. Era come togliere la cifra 1 dal numero 10 = 0. Quello che aveva cento pecore e gliene viene a mancare una… proprio quell’1 davanti a due zeri faceva 100. Era suo compito cercare perché tutto ritornasse nella sua completezza. Se manca una cosa manca tutto, non si ha più il senso della propria vita.

- Che cosa devo fare? Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi! (Troverai il giardino che cerchi!)

La ricetta c’è ma fa male. Ciascuno di noi cerca di costruirsi il proprio giardino più o meno grande, e grande o piccolo non fa differenza. Il guaio sta qui. Gesù dice: imparate a condividere la vostra vita, il vostro giardino, il vostro lavoro, anche se a volte manca. L’uomo cerca di avere sempre di più se non sappiamo proporre qualcosa di diverso: condividere il profitto, fare un giardino unico per tutti, forse saremmo tutti più felici. Il Vangelo di Luca ci ricorda: "Siete chiamati a libertà". Non cercate di rubarvi i chicchi di grano dentro un povero pollaio, siete chiamati a cose più grandi, a costruire il mondo, a costruire l’umanità. Siamo chiamati a volare più in alto. Il segno della condivisione è il pane.

CANTO
Non datevi pensiero per la vostra vita, non datevi pensiero per il vostro corpo;
la vita vale più del cibo, il corpo più del vestito.
Guardate gli uccelli non seminano, non mietono, non hanno ripostiglio,
non hanno granaio ma è Dio stesso che li nutre.
Guardate i gigli, non filano, non tessono eppure crescono e sono belli, perché è Dio stesso che li veste.
Quanto più degli uccelli e dei gigli voi valete! Per questo non vi affannate per il cibo e per il vestito!
Per queste cose si affanna la gente del mondo.
Cercate piuttosto il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in più perché voi siete chiamati a libertà.
Alleluja….
Siamo chiamati a libertà. Allelujia…
Se offri una cena non invitare amici, nemmeno i fratelli e i tuoi vicini
perché anch’essi a sua volta ti diano il contraccambio.
Se offri una cena invita i poveri, invita i ciechi, gli zoppi e storpi
e sarai beato perché essi non avranno da ricambiarti.
Riceverai ricompensa nel regno sull’altra vita.
Per questo se tu vuoi costruire una torre siedi prima a calcolare la spesa,
se hai mezzi sufficienti per portarla a compimento.
Così è per te. Se non rinunci a tutto non puoi essere mio discepolo,
se non rinunci a tutti i tuoi averi, perché ora tu sei chiamato a libertà. Alleluja….

Ma chi comincia a condividere la propria realtà, la propria vita? Posso anche cominciare ma poi che me ne viene? Il nostro è sempre un calcolo di investimento. Gesù non parla di investimento ma di dono. Donare senza sperare di ricevere: è la gratuità. Devo imparare la condivisione e questo ce lo ha mostrato Gesù. Con la sua morte: il dono per amore assoluto.
Noi come cristiani dobbiamo portare dentro la nostra civiltà questo nuovo modo di essere: il dono gratuito. Così si costruisce una umanità diversa. La nostra è una vita a perdere e la cosa ci spaventa, però questa è la strada per salvare il creato. Nel Vangelo di Giovanni leggiamo che il granello che cade in terra se non muore non porta frutto. Il compito del chicco è morire. Il nostro dono a perdere è una vita che fiorisce perché Gesù è risorto. Se c’è il momento della sofferenza rappresentato dal calice, c’è anche il segno della croce (senza crocefisso). La croce non è il segno della morte ma della morte per amore. L’amore è la realtà che salva e che da vita.
Se ognuno di noi mette nella terra del creato la sua vita come segno, certamente rifiorirà. La vita non rifiorirà subito dopo, bisogna attendere quell’ottavo giorno (i cieli nuovi e la terra nuova che l’aquila ha scoperto imparando a volare). Sarà molto di più, di più bello e di più grande. L’ottavo giorno, sorpresa finale, sarà molto di più, sarà la sorpresa di Dio. Portiamo come segno la croce.

CANTO
Se il chicco di grano caduto per terra non muore rimane solo.
Se il chicco di grano caduto per terra muore porterà frutto a suo tempo in abbondanza.

I segni che abbiamo messo sopra il tavolo, se ci avete fatto caso, sono i segni che noi usiamo per la liturgia eucaristica. C’è il pane, il calice per il vino, i lumi per la luce, i fiori segno della bellezza del creato.
Manca ancora la Parola di Dio e il Sacerdote.
Siamo noi i sacerdoti che stiamo imparando ad offrire noi stessi, la nostra vita, la realtà che ci circonda. Siamo noi che offriamo tutto questo perché diventi il corpo ed il sangue, quella realtà che porta salvezza.: Gesù Cristo.
La Parola di Dio siamo noi. Abbiamo detto che Dio disse attraverso di noi. Siamo noi che ci dobbiamo impegnare nella vita perché questa parola si faccia carne e diventi parola che crea. Noi la portiamo nella liturgia e non è altro che quello che noi abbiamo imparato o impariamo a vivere ogni giorno. Occorre sentirci sacerdoti. Anche il prete fa parte della nostra famiglia, è sacerdote come noi; messo a capo della nostra comunità per dirci che questo cammino che stiamo facendo di dono di noi stessi non ce lo inventiamo. Non ne saremmo capaci se non avessimo l’aiuto di Dio. Per questo ci sono i sacramenti che ci vengono donati per sostenerci nel cammino. Così si forma la comunità del popolo di sacerdoti che insieme celebra l’eucarestia, ossia quello che si sta vivendo nel mondo. Portatori di gioia, di bellezza, di armonia, di dono, di amore ma anche portatori del peso del peccato che c’è nel mondo perché diventi salvezza. Anche questo venga trasformato come il pane e il vino, segno della fame del mondo e della sofferenza, vengono trasformati in corpo e sangue, in ciò che da vita.
Termino con il Salmo 8 che è il salmo dove l’uomo viene chiamato ad essere sacerdote. Certo tutti noi non viviamo bene la nostra realtà, non c’è unità dentro la nostra vita, stiamo tutti imparando a vivere. Però una cosa è certa: siamo in cammino e ci dobbiamo aiutare l’un l’altro come comunità cristiana, consapevoli di essere sacerdoti. Siamo coloro che tentano di vivere il dono dell’amore e ne hanno la coscienza. Ciò che ha salvato il Popolo d’Israele non è stato il fatto di aver ucciso il Faraone ma la coscienza di essere divenuti e di essersi liberati. Hanno dovuto passare il mare ed il deserto ma la coscienza che si è creata è stata la realtà veramente importante. Noi abbiamo bisogno di maturare questa coscienza che siamo sacerdoti.

CANTO
Come è grande, Signore, il tuo nome, come è grande su tutta la terra,
come è grande, Signore, il tuo nome su tutta la terra. Alleluja….su tutta la terra.
Io voglio cantare la tua grandezza al di sopra dei cieli.
Io voglio cantare meglio degli astri appena creati quando al caos ponesti il firmamento:
armonia, luce e calore che fece tacere il vendicatore.
Se vedo il cielo, opera tua, il sole, la luna e le stelle
che cos’è quest’uomo, questo piccolo uomo figlio di Adamo
che sempre tu guardi. Che cos’è quest’uomo, questo piccolo uomo.
L’hai fatto poco meno di un Dio. Di gloria e splendore lo hai coronato.
Nelle sue mani hai messo il creato.
Animali piccoli e grandi, uccelli del cielo, pesci del mare.
Tutto, tutto il creato, immenso concerto, nelle sue mani
che offrono al loro creatore
le creature ormai rinnovate che acclamano insieme gioiose.

Domanda per la riflessione di gruppo.
Riconoscere dentro di noi le grandi aspirazioni proprie dell’uomo creato da Dio e per Dio. (Scoprire in noi il cuore d’aquila).

Per i riferimenti biblici si consiglia di utilizzare i brani già citati nel testo dell’annuncio.