LA DIFFERENZA CRISTIANA
Mai dimenticare che per i cristiani ogni terra straniera è patria e ogni patria terra straniera

A cura di Paolo Albert
È ancora possibile una chiesa presidio di autentico umanesimo, spazio di dialogo e di recupero di principi condivisi, luogo di confronto tra etiche ed atteggiamenti individuali e sociali diversi?
La laicità dello stato sa essere l'ambito in cui tutti, anche gli stranieri, si possono sentire accolti, capiti, rispettati nelle loro diversità culturali e religiose?
Questi due interrogativi sono forse il motivo di fondo di questo agile, stimolante, rapido libretto di Enzo Bianchi, priore di Bose.
Esso da voce al disagio di molti verso una chiesa forse troppo presenzialista nella società italiana, che tende a privilegiare tematiche e linguaggi di scontro.

Chiesa e Stato
"Date a Cesare quel che è di Cesare, ed a Dio quel che è di Dio". Sono parole pesanti, la cui interpretazione va rinnovata in ogni situazione storica, in ogni spazio politico, anche tenendo conto degli errori del passato.
Una giusta laicità evita che la religione possa essere usata in modo strumentale da parte di chi vorrebbe le istituzioni religiose piegate alla mediazione, integrate nel sistema politico senza mantenere la forza profetica, la forza eversiva del Vangelo.
Se la chiesa accettasse di svolgere questo ruolo di religione civile rinuncerebbe a far risuonare il Vangelo come buona novella.
In una società pluralista i cristiani devono imparare ad esprimersi in un linguaggio comprensibile anche agli altri, e capaci di spiegare le ragioni umane che sostengono le loro posizioni e scelte; senza trincerarsi dietro ai dogmi.
Hanno diritto di esprimere con forte determinazione le loro convinzioni, ma anche con umiltà, senza dimenticare che le leggi si costruiscono con gli altri e sovente il legislatore può solo stabilire il male minore.

"Devoti" interessati
Ci sono poi altri che si dicono atei che oggi si presentano come nuovi alleati e difensori dei nostri valori e tradizioni. Paiono divenuti i partners del dialogo che i cattolici dovrebbero tenere con i non credenti, quasi fossero più affidabili di quelli che con fedele perseveranza cercano di tradurre il Vangelo nella vita quotidiana e nella compagnia degli uomini.
Si costringe la Chiesa ad assumere nei criteri di intervento e nei metodi la logica della lobby. Su questa strada il dialogo con i non cristiani diventa una debole possibilità, di fatto si costruiscono nuovi muri e nuove contrapposizioni.

Le attese della gente
Gli increduli, ma soprattutto gli indifferenti, sembrano attendere una chiesa che ascolti prima di giudicare, che ami il mondo prima di difendersene, che si nutra di creatività non di paura, che sappia annunciare profeticamente piuttosto che accusare.
Sappiano i cristiani presentare il loro messaggio in modo che gli altri possano percepire la volontà ed il progetto di un servizio reso all'uomo, senza dimenticare che l'esistenza umana trova il suo valore proprio nella relazione con gli altri uomini e che l'etica è elaborata anche a partire dalla storia. Essa è esperienza e dono, fatica di elaborazione comune, con tutti i rischi e le difficoltà del dialogo.

Verso una "religione civile"?
Come vivere questa volontà di incontro senza cedere al relativismo ed abdicare alla propria storia e tradizione?
Va evitata la tentazione di declinarsi come "religione civile", cercando di mantenersi liberi di rispondere in ultima istanza solo al Vangelo, affermando sempre il primato della relazione e della persona, sapendo che solo il ritorno di Cristo porterà alla instaurazione della sua giustizia.
La comunità cristiana è chiamata a vivere una differenza nella qualità delle relazioni gratuite, forti, durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco.
Il cristianesimo non può essere confinato nella sola sfera privata, ma è anche consapevole di non poter essere imposto come etica in una società plurale, né può rivendicare un posto centrale nella stessa. "La Chiesa non pone le sue speranze nei privilegi offertigli dalla società civile…" (GS, n.76).

Lo scisma "sommerso"
Oggi anche il dibattito interno alla chiesa è quasi spento, le voci sembrano uniformi, la diversità e pluralità di opinioni non è più considerata una ricchezza.
Come non notare il farsi silente di chi constata l'impraticabilità di un dissenso leale, di chi teme che ogni opinione diversa venga bollata come contestazione, mancanza di amore o addirittura connivenza col nemico.
Alla stagione del post concilio, segnata anche da conflittualità, ma anche dal coraggio, dalla volontà di esercitare la propria responsabilità nella vita ecclesiale, è subentrata una stanchezza che a volte lascia spazio alla tentazione di non partecipare più al cammino ecclesiale.
Esiste ciò che qualcuno ha definito uno "scisma sommerso", cristiani che se ne vanno per la loro strada. Una chiesa che si mostra incapace di dialogo al proprio interno non è credibile nel dialogo con i non cattolici.

La vocazione del cristiano
Il cristianesimo è chiamato a presentarsi come interpretazione vivente - nella diversità dei tempi e dei luoghi, delle etnie, delle culture - della vita, morte e resurrezione del Cristo, interpretazione che è il compito storico della comunità cristiana.
Cristo è sempre il Cristo "creduto", connesso inscindibilmente alla comunità di credenti che gli danno un volto e lo narrano ai contemporanei.
Questo fa sì che il cristianesimo abbia in sé gli anticorpi a due tentazioni di ogni religione rivelata: il fondamentalismo e l'integralismo. La stessa varietà degli scritti del NT è un appello a vivere la propria fede non contro gli altri , ma in costante ricerca di comunione e di accoglienza del dono offerto dalla diversità dell'altro.
Immaginare la pace allora significa dare spazio e possibilità di espressione all'altro, alla sua identità, alla sua verità; Solo così si può concepire, volere, sperare la pace.
Tratto da: Enzo Bianchi, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006, 8 euro.

UN PASSO NEL FUTURO

di Luigi Bobba*
Lascio in anticipo la presidenza delle ACLI per intraprendere una nuova avventura, quella della politica attiva nel Parlamento italiano.
Faccio questo passo perché credo che vi sia lo spazio per vivere, anche sul versante istituzionale, scelte di futuro per il paese.
Chi sente l’eredità del cattolicesimo sociale e popolare non può voltarsi indietro, alla ricerca di una perduta unità politica dei cattolici. Deve guardare avanti ancorato a quelle radici, ma deciso ad assumere le sfide di questo tempo.
È il tempo per formulare risposte alle paure, alle insicurezze, al disorientamento di tanti nostri cittadini di fronte ad un mondo che è cambiato e che non può più essere letto con gli occhiali del passato.
Se la politica rinuncia a questo compito, si riduce a pura conquista del potere.
Ho scelto di candidarmi non pensando certo di aver qualche buona ricetta in tasca, ma perché sono convinto che per i cattolici sia tempo di non sottrarsi ad un confronto.
Di provare a dire quale Italia vogliamo, quale futuro aprire per il nostro Paese. Se decidiamo di vivere solo per noi stessi, siamo già morti. Solo aprendo le porte del futuro, possiamo trovare le ragioni per mettere in gioco il talento dei cattolici che di questo Paese hanno segnato la storia, il costume e le istituzioni.
Un orizzonte europeo, una politica per le famiglie, per i bambini, un investimento sulla creatività e sui talenti delle persone per rimettere in moto la creazione della ricchezza. E poi l'immigrazione e un ruolo serio per il Paese in politica estera.
Quello che ho compiuto non è un passo facile. Mi fa però da guida l'Enciclica Deus caritas est. La chiesa non fa politica, ma i cristiani non possono sottrarsi all'impegno per la giustizia, "perché la giustizia è il banco di prova della democrazia" (Benedetto XVI alle Acli, 27/1/06).
Vivere l'impegno politico come "carità sociale": questa la stella polare che cercherò di non smarrire, sapendo che la responsabilità di questa scelta è soltanto mia e non coinvolge le Acli o tanto meno la Chiesa, ma proprio nelle Acli e nella comunità cristiana troverò sempre un punto di orientamento e verifica del mio autonomo operare.
* senatore della Repubblica, già presidente nazionale delle ACLI