Esame coscienza             Discernimento personale            Discernimento coppia             Direzione spirituale

Crescere nello Spirito
FAMIGLIA E SPIRITUALITÀ: dall'esame di coscienza alla direzione spirituale

L’ESAME DI COSCIENZA
Porre la nostra giornata davanti a Dio illuminati dallo Spirito, chiedendo misericordia e rendendo grazie

a cura di Franco Rosada
Le condizioni preliminari
Per un buon esame di coscienza serve prima creare una condizione del cuore favorevole. Questo vuol dire prendere le distanze dal "mondo" che mi circonda e sentire in me la presenza di Gesù, mio Signore e Salvatore, e il desiderio di aprirmi a Lui.
Mi posso far aiutare da una frase della Scrittura, dalla contemplazione di un’immagine sacra o del crocifisso unita al segno della croce.
Cerco, facendo silenzio interiore, di raccogliermi in me stesso, chiedendo alla Spirito di farmi cogliere il pensiero del cuore, per poter vedere tutta la mia integrità davanti al Signore.
Chiedo la grazia di vedermi come Dio mi vede, cogliendo il grande senso della mia vita. Questo senso è la scelta di fondo che orienta la mia vita verso Cristo: di fronte al suo amore per me, che si è offerto sulla croce per liberarmi dal potere delle tenebre e della morte, ho scelto a mia volta di amarlo e di seguirlo, di vivere come suo discepolo.
Ripercorrere la giornata
Sempre illuminato dallo Spirito provo a ripercorrere tutta la giornata o una sua parte. Posso approfondire le relazioni che ho avuto verso me stesso, le altre persone, Dio, il tempo; posso riandare agli incontri che ho avuto, al lavoro svolto, ai pensieri più significativi o più inquieti, ai sentimenti più intensi ma anche ai desideri, ai progetti, alle aspirazioni che sono sorte nel mio cuore.
Mentre mi guardo in queste situazioni, in questi atteggiamenti domando al Signore se tutto questo corrisponde a come Lui mi vede.
Dove portano questi atti, incontri, pensieri? Mi aiutano a realizzare il grande senso della mia vita, mi fanno crescere nella sequela o cominciano a fuorviarla, ad annebbiarla, creando tensioni, disordini, separazioni?
Tutto ciò che il mio cuore sente non corrispondere a come Lui mi vede nel suo amore e che ho vissuto nella chiusura verso di Lui e verso gli altri, lo riprendo e glielo racconto di nuovo.
Il mio atteggiamento deve essere simile a quello dei discepoli di Emmaus, che si lasciano guidare e illuminare dal Cristo pasquale.
Ciò mi porta al pentimento, alla richiesta di perdono e, se necessario, alla decisione di confessarmi.
Infine, se ho notato qualche pensiero nuovo e significativo lo offro al Signore e vi ritorno anche nei giorni successivi, in modo da capire se corrisponde al senso della mia vita, se è da considerare o rifiutare.
L’esame particolare
Per crescere spiritualmente serve un impegno continuo per migliorarsi.
So di avere dei punti deboli e provo ad affrontarli uno per volta.
Sul punto scelto (p.e. l’irascibilità) provo a ripercorrere la giornata con un’attenzione speciale a questo aspetto e cerco di spiegare al Signore i momenti in cui la mia debolezza si è manifestata, chiedendo il suo aiuto.
Se la debolezza permane per lungo tempo può aiutare il colloquio con il proprio direttore spirituale.
Concludo l’esame di coscienza chiedendo allo Spirito di mantenermi nell’unione con il Signore, perché possa continuare a guardare me e gli altri con l'intelligenza del cuore.
Quando farlo
Appena sveglio è bene orientare il pensiero al Signore, invocando lo Spirito, per riconfermarmi nel grande senso della mia vita e acquisire l’ottica giusta per affrontare la giornata. Il momento più utile per fare l’esame di coscienza resta comunque la sera, prima di coricarsi.
Gli errori da evitare
L’esame di coscienza è l’incontro con Cristo Signore e Salvatore.
Non può quindi essere una specie di test dove passo in rassegna una serie di dati e si sottolineo solo quelli che mi toccano. Può essere anche utile ma corro due rischi. Il primo è quello di illudermi di potermi perfezionare da solo, il secondo è quello di decidere da solo ciò che è buono e ciò che non lo è.
Tratto da: Rupnik M.I.: L’esame di coscienza. Per vivere da redenti. Lipa, Roma 2002, p. 91-98.

IL DISCERNIMENTO PERSONALE
Sono chiamato a valutare se la scelta che ho fatto mi fa sentire più "vicino" o più "lontano" dal Signore
La scelta che ho fatto mi dona pace, gioia, fiducia, speranza... (cioè consolazione), oppure mi crea agitazione, tristezza, dubbio, calo di fede... (cioè desolazione)?

di padre Lino Tieppo s.j.*
L'esame di coscienza, visto nello scorso numero, dovrebbe essere un esercizio quotidiano, per migliorarsi, giorno dopo giorno.
Ma vi sono delle situazioni di una certa importanza nella vita che mi vedono dubbioso, non riesco a cogliere con chiarezza dove si colloca per me la volontà di Dio. In questi casi serve "fare discernimento", incominciando con riflettere con calma sul problema.
Le fasi iniziali
Prima di arrivare al discernimento vero e proprio serve raccogliere tutti i dati che possono essere utili, cercare di ridurre le alternative a due sole, ben definite, ma evitando che la seconda sia una semplice negazione della prima (p.e. mi sposo o non mi sposo).
È infine molto importante capire quanto interiormente sono "libero", cioè quanto le mie passioni (emotività/istintualità) mi condizionano in modo stringente nella scelta.
Se non mi sento "libero" devo riflettere e pregare per rendermi il più possibile disponibile ad accogliere la volontà di Dio. Solo a questo punto posso fare un vero discernimento.
Il discernimento personale
Servono anche qui delle condizioni preliminari, che sono le stesse che abbiamo già visto per l'esame di coscienza.
In particolare richiamo alla memoria chi sono davanti al Signore: la mia identità spirituale personale, la mia storia, le chiamate del Signore, la mia "vocazione" e la mia missione specifica nell'ambito della chiesa, il mio stato di vita, le mie responsabilità, i valori che hanno guidato e guidano la mia vita... Il tutto solo a grandi linee per poter riconoscere qual è il senso della mia vita in relazione al Signore.
Mettendomi di fronte a Lui scelgo una delle due alternative, la offro al Signore, e ascolto quali stati d'animo, a livello spirituale, provoca in me questa scelta.
Questa scelta fa crescere la mia fede? Fa crescere lo "stile" di Cristo in me? Mi dona pace, gioia, fiducia, speranza... (cioè consolazione), oppure mi crea agitazione, tristezza, dubbio, calo di fede... (cioè desolazione)? Mi fa sentire più "vicino" o più "lontano" dal Signore?
Attenzione: è necessario prendere nota scritta di tutto ciò che si prova!
A questo punto prendo in considerazione l'altra alternativa e anche per essa ascolto quali stati d'animo provoca in me.
Ora, in base a ciò che ho annotato, posso valutare quale delle due alternative mi fa crescere di più come figlio/a di Dio.
Tre possibili scenari
A fronte della scelta fatta si possono presentare tre possibili scenari.
Nel primo caso vedo chiaramente che una alternativa mi fa crescere come figlio/a di Dio e l'altra non mi fa crescere, oppure mi fa crescere meno: ho già trovato la volontà di Dio: quella che fa crescere la mia relazione con Dio, anche se è quella che ha più costi e quella che la mia emotività o istintualità rifiuterebbe.
Nel secondo caso ambedue le alternative mi fanno crescere come figlio/a di Dio in uguale misura (caso piuttosto raro!). Allora posso scegliere o l'una o l'altra con libertà: ambedue sono volontà di Dio.
Nel terzo caso la mia relazione di figlio/a di Dio non cresce e non diminuisce in alcuna della due alternative (non vedo cioè chiaramente né un più né un meno), allora vuol dire che, al momento, non sono in grado di scegliere.
Sono quindi chiamato a rifare il processo di discernimento con più diligenza partendo dalle fasi iniziali. Può darsi che abbia dimenticato qualche elemento, che non abbia ascoltato sufficientemente il mio mondo interiore delle mozioni attraverso le quali il Signore mi parla, può darsi che esista una terza alternativa che non ho considerato.
Conviene in ogni caso lasciar passare qualche giorno, e poi ricominciare il processo di discernimento.
In questo caso la prudenza consiglia di farsi aiutare da una guida esperta nel campo specifico del discernimento spirituale.
* Tratto dal sito: www.donboscoland.it (MGS - Movimento Giovanile Salesiano triveneto). Sintesi a cura della redazione.

IL DISCERNIMENTO DI COPPIA
Arrivare a comprendere e a condividere ciò che è davvero essenziale per la coppia
Il discernimento è una pratica di conoscenza che ha come oggetto la volontà di Dio per me e per noi e come luogo i nostri sentimenti, i nostri moti interiori.

Di Maria Grazia e Umberto Bovani*
Perché una coppia deve saper discernere durante il proprio percorso? Perché il rapporto di coppia va custodito, coccolato, coltivato.
Il discernimento non deve essere inteso come una pratica macchinosa; non è scegliere tra ciò che è secondo la morale e ciò che non lo è; non è neanche scegliere tra carne e spirito… Di-scernere è intraprendere la via della vita e imparare a rimanerci dentro perché Dio vuole che noi coppia viviamo una vita "bella, buona e felice".
Una vita bella, buona e felice
Per raggiungere questo traguardo il discernimento può essere d'aiuto per almeno tre motivi.
Il primo è che la coppia è chiamata ad essere fino in fondo se stessa.
Questo è possibile solo fermandosi, ponendosi alla giusta distanza da ciò che si prova, vedendo le cose nel loro contesto, per capire da dove scaturiscono le nostre emozioni. Solo così sapremo dare un nome ai sentimenti, imparando a conoscerli e a gestirli.
Il secondo perché aiuta ad arrivare a ciò che è veramente essenziale per la coppia, in un cammino di spoliazione e non di aggiunte.
Il terzo perché ci insegna a percepirci come esseri distinti da Dio, ad andare oltre un semplice elenco di richieste e buoni propositi.
La coppia nel rapporto con Dio sperimenta anche dei NO. Il discernimento non deve renderci capaci di interpretarli, cosa spesso impossibile, ma a percepire Dio come Altro da noi, come colui che ci vuole far crescere, svezzare, perché diventiamo uomini e donne capaci di relazione.
Per capire il discernimento
Il discernimento è una pratica di conoscenza che richiede esercizio e un investimento totale della persona, mente e cuore. Questa pratica pone al centro Dio e la Persona nell'atto della relazione con l'altro e con Dio. Una relazione che può essere solo basata sulla reciprocità.
Questa pratica ha un oggetto: la volontà di Dio per me, per noi ed un luogo: i moti interiori.
L'oggetto è conoscere la volontà di Dio su di noi, sulla nostra vita. Quindi al centro del discernimento non ci siamo noi… ma neanche Dio, perché il cuore del discernimento è la relazione che parte da Dio e ci raggiunge. Dio si muove verso l'uomo come un innamorato verso l'amante, la sua è una relazione d’amore.
È questo che fonda la relazione e motiva l'affidamento. Perché ci dà ragione di credere che la volontà di Dio per noi è cosa buona e positiva… altrimenti chi ce lo farebbe fare di dare credibilità e fidarci di quella volontà?
Quindi praticare il discernimento è esperienza di fede nel senso che viviamo l'affidamento ad un Amore che ci precede e al quale non possiamo fare a meno di rispondere.
Il luogo nel quale facciamo questa esperienza è dentro di noi… cioè siamo chiamati con il discernimento a distinguere e valutare i nostri sentimenti, i nostri moti interiori, perché è attraverso questi che Dio ci parla e ci manifesta la sua volontà.
Per fare questo è fondamentale essere in contatto con i proprio sentimenti.
Infatti il primo ostacolo che di solito si pone in una pratica di discernimento nei suoi avvii non è: "come faccio a pormi in rapporto con un Dio che non vedo", ma piuttosto quello della ritrosia, presente un po' in tutti noi, a conoscerci fino in fondo… a lasciarci conoscere fino in fondo.
Da dove iniziare
Il primo passo sarà allora quello di rieducarci a sentire, a percepire quello che siamo (partendo dalla nostra corporeità) e quello che si anima intorno a noi (la natura… cioè la vita).
Un secondo passo fondamentale sarà quello di radicarsi fortemente nel presente, su ciò che oggi c'è nella nostra vita, cercando di capire quali desideri ci animano (p.e. quali motivazioni ci spingono oggi a ricercare la volontà di Dio).
Il discernimento, infatti, è una pratica di conoscenza che non dà risposte a priori ma valuta la situazione concreta per decidere che fare qui e ora, coscienti anche che ciò che era "male" ieri può essere bene oggi (si pensi ai cambiamenti avvenuti nella storia).
Si può iniziare ad allenarsi alla percezione di sé e del proprio presente attraverso l'esame particolare e l'esame di coscienza.
Ovviamente, non va dimenticato che il discernimento non è opera solo delle nostre forze, tutto è da considerare in una relazione con Dio che trova nella preghiera il suo fondamento. È dalla preghiera che il discernimento prende impulso per portare nell'azione di vita la relazione con Dio.
* Responsabili del centro di spiritualità domestica, santuario di Sant'Antonio, Boves (CN), cvx.agape@libero.it
Tratto da: Progetto Mentore, Airasca (TO), incontro del 25.11.2001, sintesi della redazione.

LA DIREZIONE SPIRITUALE
Avere un maestro nello Spirito è una grazia da chiedere
Il direttore spirituale non è l’oracolo, non ha il dono di leggere dentro il cuore, ma è colui che aiuta a fare discernimento.

di Lucio Casto*
La scelta del direttore spirituale deve essere fatta nello Spirito santo. Come tutti i doni di Dio, anche questo va chiesto con la preghiera.
La grazia di un maestro e padre nello Spirito va chiesta con insistenza.
È lui la guida giusta?
Grazie allo Spirito possiamo anche capire se la persona che abbiamo scelto è davvero attendibile. Nelle circostanze che ci hanno portato ad incontrarlo abbiamo ravvisato l’azione dello Spirito? Questa guida è veramente un uomo spirituale?
Se ci sono queste condizioni siamo chiamati a credere che, attraverso quella persona, è Cristo stesso che svolge la sua missione di maestro e pastore. Il padre spirituale non comunica una dottrina sua, ma quella di Cristo, anzi, non dice mai nulla che lo Spirito non abbia già incominciato a maturare nel cuore del discepolo.
Non è l’oracolo
Il direttore spirituale non è l’oracolo, non ha il dono di leggere dentro il cuore, ma è colui che aiuta a fare discernimento. Per questo è necessario che gli apriamo il nostro cuore con sincerità e fiducia, dicendo ciò che sentiamo dentro di noi.
C’è in questo una regola naturale psicologica e un principio teologico.
L’aspetto psicologico
Dal punto di vista naturale, il padre spirituale vede e capisce nella misura in cui il discepolo si apre a lui. Ma non è raro che capisca prima dell’interessato quali sono i suoi veri problemi, anche se deve avere pazienza e non precedere troppo la persona da lui guidata.
Il padre spirituale è allora chiamato a fare le opportune domande, senza mai eccedere e senza disorientare l’interlocutore.
Non ci può essere spazio per la fretta: serve una paziente pedagogia in positivo per portare il discepolo a scoprire da solo quelle verità morali a cui non era ancora arrivato. Lo Spirito santo sa fare bene il suo lavoro?
Il principio teologico
Quanto più ci apriamo al nostro padre spirituale, tanto più questi sarà in grado di discernere e di soccorrerci con giusti giudizi.
La reticenza non è mai buona. Se nella confessione sacramentale è sufficiente indicare specie e numero delle colpe gravi commesse, nella direzione spirituale non ci si può limitare ai vizi e alle cadute gravi ma è necessario manifestare anche quelle situazioni di peccato meno gravi che però si ripetono spesso e possono essere di pregiudizio alla crescita spirituale.
La direzione spirituale non verte solo su virtù e vizi, ma anche su tutto ciò che riguarda la vita di preghiera, la risposta da dare a Dio nel proprio stato di vita, in un crescendo di generosità.
Aspetti pratici
Come rispondere ai consigli e alle raccomandazioni del padre spirituale? È consigliabile docilità e obbedienza, anche se la sua autorità non è di natura giuridica ma morale.
Normalmente non si cambia direttore spirituale salvo gravi motivi o per l’impossibilità di continuare con lui il cammino.
Infine, ma forse è il primo punto, siamo chiamati ad avere amore e rispetto per chi ci guida. Dopo Dio, infatti, bisogna amare prima di tutto coloro che ci conducono a Dio.
*docente di Teologia Spirituale presso la Facoltà Teologica di Torino.
Testo tratto dal libro dell’autore: La direzione spirituale come paternità. Effatà Editrice 2003, p. 140-147. Info editore: 0121 353 452, info@effata.it . Sintesi della redazione, non rivisto dall’autore.

Pubblicato il 30 aprile 2009