Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF68 - marzo 2010 - L'anno sacerdotale

1-ANNO NUOVO…

Si dice: anno nuovo, vita nuova. È un augurio, un auspicio ma, a prenderlo sul serio, contiene un desiderio di cambiamento e anche di conversione.
Un piccolo-grande cambiamento lo abbiamo fatto anche noi: vi trovate fra le mani un numero a colori di 24 pagine che è stato spedito a duemila famiglie. Speriamo, con il vostro sostegno, di poter continuare.
Non siamo sicuri della qualità della stampa poiché, per ragioni di costo, abbiamo cambiato tipografia. Confidiamo nella vostra comprensione.
La conversione è poi il tema sotteso a questo numero, anche se il titolo di copertina può apparire fuorviante: tutti come credenti, laici e consacrati, singoli e famiglie, siamo chiamati alla conversione per essere testimoni credibili della fede che professiamo.
Grazie alle 24 pagine abbiamo potuto riprendere le rubriche e le lettere che,nello scorso numero avevamo omesso. Il colore, infine, ci ha permesso di distinguere le varie parti del giornale, come avrete modo di vedere.
Vi ricordiamo che la rivista ha anche una versione elettronica, che permette di scaricare in formato testo gli articoli pubblicati. La trovate accedendo al sito www.gruppifamiglia.it.
Questa versione contiene anche i link per accedere direttamente alle fonti citate o richiamate negli articoli. Buona lettura!
La redazione

2-SIAMO TUTTI sacerdoti
Quest’anno pastorale offre l’occasione a tutto il popolo di Dio,
e non solo ai sacerdoti, di riflettere sulla propria vocazione

di Franco Rosada
Dopo il Concilio Vaticano I da molti si riteneva che un nuovo concilio non fosse né possibile, né necessario.
Con queste premesse, il Vaticano II apparve, 50 anni fa, un vero miracolo come anche lo è stata la genesi del suo documento più importante: la costituzione dogmatica Lumen gentium.
Le bozze iniziali furono respinte, il documento venne profondamente rivisto e nacque, tra gli altri, il secondo capitolo sul popolo di Dio.
Il valore di questo capitolo è enorme perché la Chiesa, dopo essersi riconosciuta, per secoli società perfetta, cambia completamente registro.
La metafora del popolo di Dio serve a superare la dualità clero-laici, non per favorire una sorta di populismo laico, ma per far risaltare la dignità di ogni membro della Chiesa.
Questo nuovo popolo non è più fondato sulla “carne” ma sullo Spirito ed è un popolo sacerdotale. Tutti i battezzati sono “consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (LG10). Il sacerdozio ministeriale e quello comune sono su due piani diversi, ma “ordinati l’uno all’altro”.
Scrive Sartori: “il primo è in funzione del secondo, è servizio perché maturi il sacerdozio comune”.
L’esercizio del sacerdozio del popolo di Dio di fonda sui sacramenti e sulle virtù: “senza la virtù i sacramenti resterebbero segni morti”, infruttuosi.
Parlando del sacramento del matrimonio qui, per la prima volta, troviamo valorizzata in chiave ecclesiologica la famiglia come Chiesa domestica (LG11).
A mezzo secolo di distanza, l’indizione dell’anno sacerdotale da parte del Santo Padre è un’occasione per riconsiderare la vocazione sacerdotale del popolo di Dio attraverso i due sacramenti ordinati al servizio nella comunità: l’Ordine e il Matrimonio.
formazionefamiglia@libero.it
Questo articolo è debitore a: Sartori L., La Lumen Gentium, Edizioni Messaggero Padova, 1994.
Per la Lumen gentium vedi: http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html
Per il libro di Sartori vedi: http://www.edizionimessaggero.it/ita/catalogo/scheda.asp?ISBN=978-88-250-1243-9

3-SPONSALITÀ,ORDINE E MATRIMONIO
Assumere una dimensione sponsale nella spiritualità sacerdotale

di Francesco Pilloni*
La tematica della Chiesa sposa - ovvero l'ecclesiologia sponsale - può portare grande frutto nella consapevolezza e nella spiritualità del sacerdote.
All'interno della Chiesa sposa il vescovo e, secundi ordinis, il presbitero sono immagine sacramentale di Cristo sposo. In questa semplice affermazione sta racchiusa la conseguenza per il ministero ordinato di Ef 5,32.
Questo testo rivela il mistero nuziale nascosto nei secoli, venendo ad illuminare non solo la realtà del sacramento del matrimonio, ma anche la realtà dell'ordine sacro. Entrambi dipendono dal mistero nuziale, che in loro si attua come prosecuzione del mistero Cristo - Chiesa, illuminando lo stesso Mistero Trinitario. Mistero che è stato partecipato all'uomo/donna nel sacramento primordiale della creazione.
La sposa è la Chiesa, ma Cristo - lo Sposo divino - ha voluto che al suo interno vi fosse il segno sacramentale della sua presenza.
C’è quindi una relazione tra i diversi stati di vita del cristiano, che acquista per il ministero ordinato una precisa connotazione spirituale in riferimento al sacramento del matrimonio.
L'ordine sacro trova infatti nel sacramento del matrimonio la forma dell'amore caratteristica della sponsalità del ministro in forma sponsi / in persona Christi nei confronti della Chiesa.
E nella forma sponsi del ministero ordinato il sacramento del matrimonio trova il proprio riferimento al mistero di Cristo e della Chiesa.
Per il sacerdote l'incomprensione del mistero sponsale del sacramento del matrimonio sfocia nell'incomprensione della stessa identità sponsale del presbitero. Per il gli sposi l'incomprensione dell'identità sponsale del presbitero sfocia in un impoverimento soggettivistico della specifica comunione nuziale.

Assumere la reciprocità degli stati di vita
La pienezza della Chiesa sta nella triplice forma dell'ordine sacro, del sacramento delle nozze e della verginità. Infatti i tre stati di vita dell'ordine sacro, del matrimonio e della verginità sono in stato di reciprocità, non potendo comprendersi l'uno senza l'altro, ovviamente nell'orizzonte ecclesiologico e sacramentale.
Il sacramento del matrimonio è simbolo reale della sponsalità della persona umana e simbolo reale dell'amore di Cristo e della Chiesa.
La verginità consacrata indica, nello stato di simbolo reale della vita dei vergini, che il Cristo risorto è lo Sposo assoluto verso cui ogni credente cammina. Il ministero ordinato è l'amore stesso di Cristo sacramentalmente presente nella Chiesa, per la salvezza di tutti.
Tutti e tre sono chiamati a compiere la sponsalità della Chiesa e, per tutti, il ministro ordinato realizza l'immagine simbolica dello Sposo della Chiesa. Il presbitero d'altronde, dal canto suo, trova nel sacramento del matrimonio, cioè nella coppia e nella famiglia, l'immagine della sponsalità reale dell'uomo/donna, che gli dice in quale riferimento egli debba comprendere la storicità del suo ministero. Guarderà ancora ai vergini ed alle vergini (cui tra l'altro appartiene) per comprendere come anch'egli sia chiamato a compiere - come battezzato - l'orizzonte della propria sponsalità, che ha la duplice dimensione della sposa e dello sposo (come dice Agostino: "Con voi sono battezzato, per voi sono vescovo"). Egli quindi realizzerà la pienezza dell'una e dell'altra dimensione solo integrandole in unum, attraverso la sua soggettività personale assunta sacramentalmente nel mistero.
Il sacramento del matrimonio guarderà con sguardo di reciprocità alla testimonianza dei vergini, accogliendo l'annuncio che l'unico Sposo assoluto, anche dell'amore storico, è Cristo risorto. Parimenti gli sposi guarderanno pure al ministero ordinato come alla figura sacramentale/simbolica di Cristo sposo, mediante la quale sia la feconda relazione nuziale degli sposi che l'identità sponsale dei vergini sono generate e tessute nell'unità della Chiesa, ricevendo alimento e fecondità spirituale, in chiave sacramentale, per il proprio cammino.

Famiglie e sacerdoti in un'ottica sponsale
È un cambiamento di orizzonte che recupera la verità dell'uomo e la verità simbolica e sacramentale degli stati di vita ad un tempo.
Il riflesso sulla spiritualità dei sacerdoti è evidente. Se essi si pensano come sacramento dello Sposo, troveranno nella famiglia lo specchio stesso del loro essere, e cesserà la paura.
E, viceversa, la famiglia diviene un soggetto attivo, in quanto custode dell'amore pasquale del Cristo, rimanendo nella sua laicità e, senza bisogno di venire clericalizzata, troverà in se stessa la sorgente della propria dimensione più specifica.
I riflessi sulla pastorale e sul concreto della "figura di parroco" sono, come si intuisce, poliedrici e sostanziali. Cambia l'ottica di fondo. Oggi si ha l'impressione che il clero sia indaffarato, e lo è perché dona le energie migliori all'organizzazione e non alle relazioni. E questo è dovuto alla comprensione preconscia che il presbitero ha di essere il vertice organizzativo della piramide ecclesiale.
Così rischia di comprendere, ad esempio, i consigli presbiterali e pastorali come la versione ecclesiale della democrazia moderna, con cui la Chiesa si è adeguata ad essa. Ma se provassimo a pensarli come luoghi in cui si compie il concreto comunionale della Chiesa come sacramento di comunione e coimplicata in tutte le sue componenti come Sposa di Cristo (come suggerisce anche la Tertio millennio ineunte), entreremmo in uno spazio nuovo.
Non si tratta, è logico, di negare il ruolo di presidenza del ministro ordinato, ma di recuperare l'asserto, già di san Tommaso, che la potestas sul corpo mistico (la Chiesa) deriva dalla potestas sul corpo reale (Eucaristia), e non viceversa. Il presbitero presiede perché consacra e non consacra perché presiede!
Inoltre, questa visione, a mio parere, dice in un linguaggio accessibile alle categorie culturali di oggi che il prete è in persona Christi, il che coincide con l'essere in persona Sponsi.
Senza contare che il linguaggio dell'amore nuziale è il linguaggio dell'Unitrino e si offre come comprensibile ad ogni uomo/donna, che per statuto creaturale lo contiene in sé.
Davvero esso è il linguaggio della nuova evangelizzazione! Non per niente Giovanni Paolo II affermava che "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia".
Pensiamo, ai nostri ambienti di Chiesa, ai luoghi nei quali il presbitero esercita in concreto il suo ministero. Sono in grandissima parte luoghi architettonicamente ispirati al modello scuola o al modello collegio.
Se sostituissimo questi col "modello famiglia"? Accoglienza, bellezza, ordine, luoghi di dialogo, di incontro, di distensione... L'esperienza mi insegna che la catechesi più fruttuosa è quella fatta in salotto. E, d'altronde, il linguaggio e l'incisività inconscia di tali fattori sono notevoli.
Va da sé che tale pastorale richiede dei contenuti. È questo il nodo ultimo dei rapporti della pastorale dei fidanzati, della catechesi, della pastorale giovanile e in genere della formazione con la pastorale familiare.
La chiave è sapere che cosa si vuole comunicare per aiutare i fidanzati e le giovani coppie ad assumere la serietà cristiana del loro vissuto e del sacramento del matrimonio. Da qui, dalla consapevolezza teologica, sgorga una spiritualità, che esse non dovranno più cercare altrove, ma dentro la vita stessa di coppia e la loro vita nella Chiesa.
* sacerdote, docente di teologia e responsabile formativo del Master in Scienze del matr. e della famiglia
Questo testo è tratto, in sintesi, dal libro dell’autore: Ecco lo Sposo, uscitegli incontro. Percorsi teologici e pastorali sul sacramento del matrimonio, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2002, p.41-48.
Per ulteriori informazioni: Effatà Editrice, tel. 0121 353 452, info@effata.it, www.effata.it
Per il libro di Pilloni vedi: http://www.effata.it/Libri/Nuzialita/eccolosposo.html

4-“FORMARE” CRISTO NEI FEDELI

"II donarsi di Cristo alla Chiesa, frutto del suo amore, si connota di quella dedizione originale che è propria dello sposo nei riguardi della sposa [...] La Chiesa è sì il corpo, nel quale è presente Cristo capo, ma è anche la sposa, che scaturisce come nuova Eva dal costato aperto del redentore sulla croce: per questo Cristo sta "davanti" alla Chiesa, "la nutre e la cura" (Ef 5,29) con il dono della sua vita per lei.
Il sacerdote è chiamato a essere immagine viva di Gesù Cristo sposo della Chiesa: certamente egli rimane sempre parte della comunità come credente, insieme a tutti gli altri fratelli e sorelle convocati dallo Spirito, ma in forza della sua configurazione a Cristo capo e pastore si trova in tale posizione sponsale di fronte alla comunità [...].
È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere l'amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa. La sua vita dev'essere illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale, che gli chiede di essere [...] capace di amare la gente con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele [...] con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell'affetto materno, capace di farsi carico dei "dolori del parto" finché "Cristo non sia formato" nei fedeli (cfr. Gal 4,19)".
Giovanni Paolo II: Pastores dabo vobis n.22 http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_25031992_pastores-dabo-vobis_it.html

5-“IO,LORO E LARA”: un prete e la sua famiglia

La vita odierna a Roma - specchio dell'intera realtà italiana - ha raggiunto livelli di schizofrenia ormai incontrollabili. È necessario fermarsi un momento e ricominciare da una nuova etica dei rapporti interpersonali. Anzi, proprio dalla famiglia, che è il primo nucleo della società.
Va diretto al cuore del problema Carlo Verdone in questo suo nuovo film.
Tornato a casa dall’Africa per ritrovare affetto e serenità, padre Mascolo si vede assediato in famiglia da una brutta coltre di rancori, avidità, bugie, opportunismi. Senza che qualcuno, per giunta, si prenda la briga di ascoltare le sue difficoltà.
Calandosi in questo personaggio di sacerdote generoso, disponibile, aperto, forse un po' ingenuo, Verdone si crea le premesse per gettare sull'Italia contemporanea uno sguardo amarognolo, fatto di qualche delusione e insieme di molta voglia di riscatto.
La constatazione finale dice che l'Italia è, per motivi opposti all'Africa, scenario di una differente ma non meno necessaria missione di recupero di valori civili condivisi. E in questo scenario il ruolo del sacerdote non è certo secondario.
Verdone è bravo a suscitare divertimento di fronte ad argomenti per i quali in fondo c'è ben poco da ridere.
CEI, Comm. Italiana Valutaz. Film
Per la scheda del film vedi: http://www.db.acec.it/pls/acec/datafilm_cnvf.dati_film?c_doc=5830&origine=0&from_acec=1

6-PARROCCHIA E FAMIGLIA

di Bernardino Giordano*
Il mio primo incontro con la pastorale familiare è avvenuto già ai tempi del seminario a Saluzzo (CN). Per caso ad un convegno a Loreto sulla pastorale del lavoro ho avuto l'occasione di incontrare l'allora direttore nazionale della Pastorale Familiare don Bonetti.
Da qui è nata la proposta di frequentare le prime settimane di studi sulla spiritualità coniugale e familiare che si svolgevano a Rocca di Papa presso Roma promosse dall'ufficio nazionale. Siamo negli anni in cui la Chiesa si preparava a festeggiare il giubileo del 2000. Frequentando questi incontri e i seminari che a livello italiano venivano proposti sempre più è cresciuto in me l'interesse per questo spaccato di Chiesa che è la famiglia.
Così già durante la formazione in seminario e poi successivamente con gli studi di Licenza e Dottorato di Teologia Morale ho approfondito il sacramento del matrimonio come vera risorsa per la chiesa e per la società. Allo studio ho affiancato la conoscenza e il confronto con gruppi coppie; questo ha contribuito a completare la mia formazione sia umana che ministeriale.
In questo percorso sia io che gli sposi siamo giunti alla consapevolezza della luminosità e fecondità dei vissuti sia matrimoniale, sia sacerdotale ed ecclesiale. Così nella misura in cui si scopre la dignità e la grazia sacramentale, si inizia a cercare di viverla e si diventa, inevitabilmente, "soggetti attivi".
Il frutto di questo cammino mi ha permesso di vivere la parrocchia con un maggiore senso di responsabilità perché la sento "propria" e sentendomela propria, con gli sposi, ci si sente parte di essa e quindi sostenuti.
Il vissuto parrocchiale è molto simile a come si vive in famiglia, con le attenzioni, le preoccupazioni, le gioie, il senso di gratuità e la tensione verso il perdono proprie del clima domestico e familiare.
L'amore di coppia - che è specchio di quello di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo - mi ha fatto scoprire più chiaramente che le coppie erano responsabili delle proprie azioni non solo reciprocamente ma anche verso Dio.
Sempre più in me vi è stato nel corso di questi anni un vero e proprio cambiamento di prospettiva nel guardare la famiglia.
Fondamentale, a questo proposito, il passaggio dal considerarla solo nelle sue problematiche, come fenomeno da osservare e problema da affrontare, all'intuirla come risorsa restituendole, di fatto e per intero, la sua dignità (di soggetto e non più di oggetto). Passaggio questo, che ha richiesto il suo tempo e che richiede sempre di stare in guardia perché non prevalga la tentazione di tornare a vecchi discorsi e modelli.
Certamente sono sorte amicizie grandi e intense instaurando uno stile familiare nelle relazioni e nella comprensione reciproca.
Questo rapporto con gli sposi ha fatto scattare una partecipazione più intensa a tutta l'attività pastorale rendendo le famiglie protagoniste non solo là dove di per sé sono già coinvolte (iniziazione cristiana, preparazione dei fidanzati, educazione all'amore, ecc.), ma anche in una creatività pastorale in ordine all'essere stesso della Chiesa.
Vorrei sottolineare, infine, un pensiero condiviso anche con alcuni amici preti: il ministero sacerdotale non è più vissuto come un "lavoro" per gli altri ma come uno "sposalizio" perché continuamente ci si ritrova a rispondere alle persone con il cuore e non solo con la professionalità.
Ringrazio il Signore per questo cammino e lo prego che continui a sostenermi perché questa chiesa sia sempre più "domestica".
* teologo morale, responsabile dell'Ufficio Famiglia di Saluzzo (CN)
Per le attività dell'Ufficio vedi: http://www.saluzzo.chiesacattolica.it/index.php?option=com_content&task=view&Itemid=85&id=110

7-COMUNIONE E COMUNITÀ
Per una Chiesa che viva con autenticità l’insegnamento del Concilio Vaticano II

di Franco Rosada
Parlare di comunione e comunità è un argomento sempre attuale nella Chiesa italiana, legato com’è alla difficoltà di realizzare e vivere queste due realtà che dovrebbero essere a fondamento del nostro essere Chiesa post-conciliare.

Una nuova visione di Chiesa
Scrive il vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, nella sua Lettera ai presbiteri sulla comunione: Quando penso alla Chiesa scaturita dal Concilio “per contrasto mi ritorna davanti agli occhi una pagina del catechismo della mia infanzia: una piramide con su in alto il papa; poi, un gradino sotto, a destra e sinistra, un cardinale e un vescovo; quindi un sacerdote e un frate, e in basso tanti laici. Era l'immagine che aveva prevalso per secoli, quella di una società piramidale sbilanciata sull'aspetto visibile e sociale, a svantaggio della dimensione interiore e carismatica.
Il Vaticano II ha proposto una visione profondamente nuova della Chiesa, o meglio ha riproposto la visione profondamente antica, marcando la fondamentale uguaglianza di tutti i membri del popolo di Dio, in cui la comunione delle persone precede la distinzione dei ruoli e 'mette in rete' le varie funzioni.
Secondo la Lumen Gentium la Chiesa è 'comunione gerarchica', in cui la dimensione istituzionale è inseparabile da quella misterica, ma secondo un rapporto ben chiaro: la struttura è a servizio della comunione, e non viceversa. Pertanto se la comunione senza l'istituzione sarebbe come un'anima senza il corpo, l'istituzione senza la comunione sarebbe come un corpo senza l'anima: un inerte, gelido cadavere”.
La comunione, all’interno della Chiesa, si struttura a vari livelli: il Popolo di Dio nel suo insieme, la comunità parrocchiale, la comunità presbiterale, la comunità episcopale. Proverò a dire qualcosa di più sul presbiterio e la parrocchia, le realtà che ci sono più vicine.

La comunione presbiterale
Enzo Bianchi, nel suo libro: Ai presbiteri afferma: “non si può essere servi della comunione nella comunità cristiana senza esercitarsi continuamente in quest'arte della comunione all'interno del presbiterio”. Quindi è necessario “rifuggire ogni logica individualistica e ogni forma di singolarità ostentata, evitare l'isolamento e, soprattutto, la sufficienza”.
Ma qual è la sorgente della comunione? È necessario “puntare in alto il cuori: bisogna contemplare la santa Trinità, la fonte prima e il modello insuperabile della comunione ecclesiale. Nel Dio Uni-trino vediamo i Tre stretti in un rapporto talmente intenso che è legittimo affermare: ogni persona divina non ha una relazione con le altre, ma è in relazione - anzi è in se stessa relazione - alle altre due. Il Padre non si ripiega morbosamente su di sé (non sarebbe vero 'padre '!), ma esce da sé per aprirsi totalmente al Figlio, e così il Padre e il Figlio si aprono e si incontrano nello Spirito Santo. Possiamo quindi dire che le tre Persone sono ognuna con le altre, per le altre, nelle altre. Ecco le preposizioni trinitarie: con-per-in. L 'esatto contrario delle relazioni anti-trinitarie: gli uni senza-contro-sopra gli altri” (Lambiasi, op. cit.). E questo vale per ogni forma di comunione interpersonale, a partire dalla coppia e dalla famiglia per arrivare fino ai vescovi e al papa.

La comunione parrocchiale
E siamo alla realtà ecclesiale che ci è più vicina come battezzati: la parrocchia.
Scrive mons. Masseroni, nella nota pastorale: Preti oggi per servire la speranza, rivolgendosi ai suoi parroci: “il presbitero non ha ‘l'insieme dei carismi, ma il carisma dell'insieme’. (mons. Del Monte). Il prete non deve fare tutto, ma deve avere gli occhi su tutto. In particolare è chiamato a promuovere un laicato fedele alla propria vocazione, senza fughe ad intra e ad extra”.
Ma, nello stesso tempo, “i laici (a livelli e con modalità differenti) sono chiamati a dare corpo al volto ministeriale della comunità, soprattutto in alcune direzioni: della catechesi, della liturgia e della carità. Ci sono ministeri particolarmente urgenti per il futuro delle nostre comunità: come quello educativo per l'animazione della vita oratoriana; quello coniugale, per un servizio alla pastorale familiare; il ministero accanto agli ammalati e agli anziani; il ministero per la cura delle piccole comunità senza parroco residente”.
Resta il tema della comunità parrocchiale. Per che è nato o da sempre frequenta una parrocchia il problema di solito non si pone. Molte giovani coppie restano legate alla parrocchia di origine al punto di continuare a frequentarla anche se sono andate ad abitare lontano.
La questione è più spinosa per chi deve fare “faccia nuova”. Chi arriva ha le sue idee, le sue esperienze pastorali e trova difficoltà a proporle in un contesto poco incline al cambiamento perché “si è sempre fatto così”.
Serve, per chi arriva, umiltà e impegno concreto e, per chi accoglie, apertura al “nuovo”.
Questo articolo è debitore ai testi citati e ai n.32,33,45/2009 della rivista Settimana, EDB, Bologna.
Per la lettera di mons. Lambiasi vedi: http://www.diocesi.rimini.it/downloads/fratelli.pdf
Per la lettera di mons. Masseroni vedi: http://www.arcidiocesi.vc.it/Documents/Preti oggi.pdf
Per il libro di Bianchi vedi:
http://www.monasterodibose.it/index.php/component/page,shop.product_details/flypage,shop.flypage/product_id,380/category_id,17/manufacturer_id,0/option,com_virtuemart/Itemid,368/lang,it/
Per la rivista Settimana vedi: http://www.dehoniane.it/riviste/riv_ew_page.php?CODE=SET

Brani per la Lectio:
- Gdc 6,25-26 (il sacerdozio del capofamiglia)
- 1 Pt 2,4-5 (un popolo sacerdotale)
Domande per la R.d.V.:
- Sappiamo coltivare, in famiglia e con gli altri, le preposizioni “con-per-in”?
- La comunione non è mai un traguardo scontato. Che difficoltà incontriamo?

8-UNA SPIRITUALITÀ DI COMUNIONE

Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo.
Che cosa significa questo in concreto? [...]
Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto.
Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come "uno che mi appartiene", per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.
Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un "dono per me", oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto.
Spiritualità della comunione è infine saper " fare spazio " al fratello, portando "i pesi gli uni degli altri" (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.
Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione.
Diventerebbero apparati senz'anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita.
Giovanni Paolo II, Novo millenio ineunte, n. 43
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/apost_letters/documents/hf_jp-ii_apl_20010106_novo-millennio-ineunte_it.html

9-COME DIALOGARE CON I FIDANZATI

Nel servizio di accompagnamento delle coppie al matrimonio capita sovente di porsi un problema: le cose vanno dette, le regole vanno date, i concetti chiariti? Certamente! Senza avere tuttavia la pretesa dell'integralità. L'integralismo non serve a nessuno, né a chi si sente dalla parte della verità né a chi è nel dubbio. Ognuno arriva dove può e come può. Il discorso non si pone evidentemente sul piano dell'ortodossia ma sul piano morale e pedagogico.
Si tratta di una conversione da operare in noi stessi e di uno stile da acquisire nel rapportarsi con gli altri.
Per quanto riguarda la metodica dell'incontro con i fidanzati è opportuno studiare modi confidenziali che favoriscono, oltre all'accoglienza, il coinvolgimento delle persone.
In genere i giovani si presentano a questi appuntamenti con l'atteggiamento dello spettatore, del fruitore di un servizio, ossia con una posizione di negatività. Sempre più raramente invece arrivano con pretese di autosufficienza e contrarietà. La bravura e l'umiltà di chi ha il compito di fare da riferimento in questo ambito è quello di capovolgere la situazione in modo da responsabilizzare il più possibile i partecipanti.
Non rinunciare a lanciare messaggi importanti, purché brevi, semplici, "sorridenti". Il sano umorismo aiuta molto a sdrammatizzare e invita tutti a commentare e completare l'argomento mettendovi della propria esperienza di vita.
Creare infine dei momenti informali per una maggiore familiarità di tutto il gruppo. Sono queste le occasioni in cui si sciolgono dubbi, si manifestano sensazioni,… insomma le persone si sbilanciano sia sui fatti personali che su quelli comuni.
Forse a qualcuno potrebbe sembrare un segno di debolezza e di cedimento di fronte ad una realtà tanto fuorviante e piena di contraddizioni come quella contemporanea.
Non si tratta di recuperare qualcosa a qualsiasi prezzo, non è questo che oggi i giovani cercano. Piuttosto hanno bisogno di riferimenti sicuri, di adulti veri, di persone umanamente e spiritualmente riuscite… che però esprimano serenità ed insieme tolleranza e rispetto.
Tony Piccin
Per la sua attività vedi anche: http://www.paolabinetti.it/Materiali/pag14e15.pdf

10-FORMARE ALLA “FAMIGLIA” I SEMINARISTI
Coltivare l'accoglienza, la comunicazione, l'amicizia, la condivisione, il perdono, l'obbedienza e la responsabilità

di Carlo Maria Zanotti*
Accompagnare i giovani nel loro cammino di discernimento, di scelta e successivamente di consolidamento della loro vita vocazionale, è un evento affascinante. Sì, perché ti trovi accanto ad una persona che cammina, cresce e, maturando, realizza salti di qualità personale che, molte volte, commuovono e ti portano allo stupore.

"Spirito di famiglia"
È questa l'esperienza che vivo nel mio servizio di formatore dei giovani novizi salesiani.
Una esperienza che nella tradizione salesiana è chiamata "familiare", perché don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse a casa sua.
L'impegno di fedeltà al fondatore è quindi quello di instaurare all'interno delle nostre comunità quell'inconfondibile stile di rapporti che, nella nostra tradizione di vita, siamo soliti chiamare "spirito di famiglia".
I salesiani, dovunque vivano, nelle comunità educative - pastorali o in contatto con altri gruppi e in tutti i rapporti, tendono spontaneamente a instaurare una specie di "famiglia", ad animare un modello di vita che fa sentire tutti accolti e insieme responsabili.
Pertanto formare i giovani a vivere in pienezza la loro vocazione religiosa, significa principalmente educarli a valorizzare quelle caratteristiche di vita familiare che favoriscono proprio la piena realizzazione di sé. Quali sono queste caratteristiche? L'affetto e l'accoglienza reciproca, la comunicazione profonda e autentica, l'amicizia sincera, la condivisione materiale e spirituale di ogni cosa, il rispetto e il perdono costante, l'obbedienza e la responsabilità da parte di tutti. Un clima appunto "familiare" dove la vita è regolata dal cuore e dalla fede più che dal ricorso alle leggi. L'obiettivo è quello di formare giovani pienamente realizzati e quindi felici. Lo stile e la metodologia è quella, appunto, dello "spirito di famiglia".
La realtà poi ti porta a operare per consolidare o reintrodurre queste caratteristiche umane e spirituali che favoriscono la crescita e la maturazione.

Dalla parte della famiglia
L'esperienza di questi anni mi ha fatto registrare due movimenti interessanti: da una parte giovani con alle spalle una buona famiglia che ha favorito il processo formativo e, dall'altra, giovani con qualche fatica in più nella loro storia familiare, che ha rallentato, ma non per questo bloccato, lo sviluppo.
Anzi in questi casi sono stato testimone di una maturazione e di un cammino 'insieme', giovane e famiglie, verso una piena maturità. Con questo voglio affermare che, in ogni processo formativo, si cresce sempre insieme ad altri, non si può camminare da soli, isolati o autonomamente. In particolare la scelta per una vita di donazione, non può avvenire senza un coinvolgimento della famiglia di origine, senza una seria conoscenza e una effettiva corresponsabilità.

Se c'è una buona famiglia
Interessanti le dinamiche del primo movimento: partecipazione, sostegno, memoria che diventa forza e incoraggiamento. Viene immediato il confronto con l'esperienza di S. Paolo nei confronti di Timoteo: "Mi ricordo infatti della tua fede". S. Paolo scrive al giovane vescovo di Efeso Timoteo, suo figlio nella fede e fedele compagno nell'impegno missionario, ricordandosi della sua fede solida, schietta che fu prima della nonna Loide e poi appresa dalla madre Eunice (2 Tm 1,5; 3,14).
Contempliamo nella figura di Timoteo l'icona della famiglia che ha saputo trasmettere la fede in Dio Padre misericordioso e in Cristo Gesù suo Figlio. Timoteo ha ricevuto dalla sua famiglia le condizioni essenziali per una scelta così grande come quella di consacrare la propria vita totalmente a servizio di Cristo e della sua Chiesa.
Il Signore ancora oggi chiama tanti giovani e la famiglia è il primo luogo dove i figli imparano ad amare il Signore, ascoltare la sua voce e rispondere con gioia ed entusiasmo alla sua chiamata.

Se la famiglia vive "fatiche"
Per quanto riguarda il secondo movimento, quello che registro nei confronti di famiglie che presentano qualche ferita in più nella loro storia, diventano utili le conoscenze, le comprensioni e le condivisioni di queste fatiche, per rendere più concreto il cammino, lo sviluppo e la maturazione dei candidati alla vita consacrata.
Dicevo che sono stato testimone di tanti miracoli che, nel momento in cui si trova la disponibilità a crescere insieme, si manifestano. Miracoli 'ordinari', 'quotidiani', conquistati grazie al ricupero e al 'governo' degli errori, delle ferite e anche delle 'mediocrità' spirituali.
Un lavoro, quello formativo, che diventa una sinergia capace di creare unità, coinvolgimento, conoscenza vera e autentica, che a sua volta genera forza, capacità di nuovi riferimenti e di nuove esperienze. È questa novità il miracolo e la gioia più grande che permette sviluppo e realizzazione di tanti sogni.
* salesiano, maestro dei novizi
Per la sua attività vedi anche: http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=124586

11-LA SOLITUDINE DEL SACERDOTE
Non si tratta di solitudine "affettiva" ma di un Dono dello Spirito per essere sempre più conformi al nostro Maestro. È una solitudine che si condivide con tante coppie e famiglie

Di Roberto Battistin*
Da ragazzo, sono rimasto colpito da una pagina del famoso libro "Preghiere" di Michel Quoist: "La preghiera del prete la domenica sera". Si parlava di "solitudine", alla fine di una giornata intensa, tutta dedicata al Signore, nel servizio alla Comunità. E confesso che non ho mai capito e condiviso fino in fondo quei sentimenti: come può un prete sperimentare la solitudine, in modo particolare la domenica sera?

La vera solitudine del sacerdote
Molte altre volte sono ritornato su questo pensiero; ed ora, dopo 36 anni di Ministero sacerdotale, credo di averci capito qualcosa in più. Non si tratta davvero di solitudine "affettiva", legata al Dono del celibato: se infatti fosse questo il problema, significherebbe che questo carisma zoppica, è malato e in pericolo serio di sopravvivenza!
Si tratta di ben altre solitudini, che vanno considerate un DONO dello Spirito nel cammino di una sempre più profonda conformazione all'adorabile persona del Signore Gesù e di una sempre più totale condivisione dell'esperienza di tante coppie e famiglie, che percorrono lo stesso cammino.
Penso alla solitudine di Gesù, incompreso perfino dai suoi familiari, parenti ed amici; a Gesù rifiutato dai suoi conpaesani di Nazareth; osteggiato dalle autorità religiose e civili del tempo; tradito e abbandonato dai Suoi - che si era scelto nello Spirito Santo - fino al grido di dolore: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato"?
Penso alla vicenda di tanti santi e sante, passati per la "notte dello Spirito" e incompresi e perseguitati perfino all'interno delle loro comunità e della stessa Chiesa; ricordo l'angoscia di tanti preti che ho conosciuto, definiti "scomodi" e messi al margine, ma splendenti di fedeltà al Vangelo e di "franchezza apostolica"!
Penso alla fatica di far crescere la comunità non attorno a "criteri umani" ma nella sequela di Cristo e dei valori che Egli ha vissuto e testimoniato. E non mi scoraggia esser definito un "illuso", fuori del tempo, contrario al buon senso.... Mi preoccupa invece il fatto di essere un servo credibile e fedele del Vangelo, e nello stesso tempo capace di pazienza, di rispetto dei tempi altrui, delle diversità e delle fatiche delle persone...

La solitudine della famiglia
Proprio quello che sperimentano le coppie e le famiglie, nei rapporti interpersonali ove spesso c'è la fatica della comunicazione, la difficoltà dell'ascolto, talvolta la presunta difficoltà di conciliare le diversità che ci caratterizzano.
A volte anche il servizio ministeriale dei coniugi all'interno della comunità non è sufficientemente riconosciuto, accolto, sostenuto, incrementato: quante coppie si sentono "usate" per una sorta di "manovalanza pastorale pratica", senza che sia dato spazio sufficiente al DONO specifico che lo Spirito ha posto in loro per la crescita dell'intero Corpo di Cristo!
E non di rado succede che, nel momento della prova, quando il dolore picchia forte alla porta di casa, si sia tentati di dire: "Ma che cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo? Dov'è il Signore, al quale ci eravamo affidati? Dove stanno gli amici, che erano sempre con noi e che ora sembrano dileguati come neve al sole?".
L'è dura!... Eppure questi sono momenti di crescita, di purificazione della nostra fede. Forse in questi eventi, abbiamo giudicato secondo la mentalità di questo “mondo”... ci siamo lasciai prendere dalla paura, come gli Apostoli sul lago di Tiberiade. Ed a noi, come a loro, Gesù ripete: "Perché avete paura? Non avete ancora fede? Coraggio, Sono IO, non temete!".
E allora si riparte: Sulla sua parola gettiamo le reti! E il risultato non si farà attendere!
*parroco a Sacile (TV)
Un lavoro di don Roberto per il sito dei GF: http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/Sussidi/parrocchia1.PDF

12-IL “VALORE” DELLA CROCE

Guardando alle crisi nelle coppie e nelle famiglie, anche noi sacerdoti dobbiamo imparare la necessità della sofferenza, della crisi...
Per me ha un valore simbolico il fatto che il Signore porti per l'eternità le stimmate. Espressione dell'atrocità della sofferenza e della morte, esse sono adesso sigilli della vittoria di Cristo, di tutta la bellezza della sua vittoria e del suo amore per noi.
Dobbiamo accettare, sia da sacerdoti sia da sposati, la necessità di sopportare la crisi dell'alterità, dell'altro, la crisi in cui sembra che non si possa più stare insieme.
Gli sposi devono imparare insieme ad andare avanti, anche per amore dei bambini, e così conoscersi di nuovo, amarsi di nuovo, in un amore molto più profondo, molto più vero...
Mi sembra, che noi sacerdoti possiamo anche imparare dagli sposi, proprio dalle loro sofferenze e dai loro sacrifici. Spesso pensiamo che solo il celibato sia un sacrificio.
Ma, conoscendo i sacrifici delle persone sposate - pensiamo ai loro bambini, ai problemi che nascono, alle paure, alle sofferenze, alle malattie, alla ribellione, e anche ai problemi dei primi anni, quando le notti trascorrono quasi sempre insonni a causa dei pianti dei piccoli figli - dobbiamo imparare da loro, dai loro sacrifici, il nostro sacrificio.
E, insieme, imparare che è bello maturare nei sacrifici e così lavorare per la salvezza degli altri.
Il Concilio afferma che il matrimonio è un Sacramento per la salvezza degli altri: lo sposo, la sposa, ma anche dei bambini, dei figli, e infine di tutta la comunità. E, così, anche il sacerdote matura nell'incontrarsi.
Penso allora che dobbiamo coinvolgere le famiglie. Le feste della famiglia mi sembrano molto importanti perché in esse appare la bellezza delle famiglie...
Il matrimonio cristiano nasce nelle nozze divine tra Cristo e la sua Chiesa. È, come dice san Paolo, la concretizzazione sacramentale di quanto succede in questo grande Mistero. Così dobbiamo sempre di nuovo imparare questo legame tra Croce e Risurrezione...
Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad annunciare e vivere bene questo Mistero, ad imparare dagli sposi come lo vivono loro, ad aiutarci a vivere la Croce, così da giungere anche ai momenti della gioia e della Risurrezione.
Benedetto XVI. Tratto da: La Sacra Famiglia, Roma, anno XIX, n.5 settembre-ottobre 2006, p. 4-5
http://www.uspi.it/Trova_periodici/Religione_%96_teologia_%96_periodici_parrocchiali.html

13-UN FIORETTO DI DON MAZZOLARI
Essere schietti e, nello stesso tempo, obbedienti

Durante l'anno scolastico 1948/49 gli studenti di teologia di un Seminario ligure ebbero modo, per una serie di fortuite occasioni, di mettersi in contatto con i loro colleghi di altri Seminari, non solo d'Italia, ma anche della vicina Francia e della Svizzera. La fruttuosità di questi contatti portò alla decisione di incontrarsi a fine anno scolastico.
Qualcuno fece il nome di Don Mazzolari come animatore dell'incontro. I Superiori furono d'accordo.
Quando l'anno finì si ritrovarono nel Seminario ligure varie decine di giovani che avevano in comune un impegno con Cristo. Vennero anche alcuni Superiori di Seminario e qualche Vescovo. Furono giornate esaltanti.
Ma soprattutto furono incontri appassionati con Don Mazzolari. Gli avevano preparato una cattedra su di un'alta pedana. Lui già grande, appariva gigantesco. In prima fila fra lui e i ragazzi, c'erano i Superiori e i Vescovi.
Il fatto che vi voglio narrare accadde l'ultimo giorno.
Nell'intervento di chiusura Don Mazzolari più o meno sviluppò questi pensieri. - Tra qualche anno uscirete dai Seminari. - Fuori vi aspetta la vita. - Qui vi hanno insegnato l'alfabeto. - Fuori dovrete imparare una lingua nuova. Sarà dura per voi e per gli altri. Qui vi hanno riempito la testa di carta. - Carta dotta, carta santa. - Di più non potevano darvi. - Fuori saranno sangue e lacrime, vostre, ma soprattutto degli altri.
Un uragano di applausi coronò le sue parole. Nessuno aveva parlato a quei ragazzi con tanta lealtà dell'oggi e del domani. Dalla prima fila si alzò una mano ornata da un anello a chiedere silenzio.
Ottenutolo un Vescovo disse che stessero tranquilli: quando fossero usciti dal Seminario, avrebbero saputo tutto quello che c'era da sapere per essere buoni preti. Terminò dicendo che l'oratore era un poeta un po' pessimista.
Don Mazzolari aveva ascoltato in piedi sulla pedana, a testa bassa.
Quando il Vescovo terminò, qualche ragazzo iniziò a scalpicciare. Don Mazzolari alzò di scatto la testa e con gli occhi impose il silenzio. Poi scese dalla pedana, si inginocchiò davanti al Vescovo e baciò l'anello. Quindi si alzò e si avviò all'uscita.
Fu un attimo. I ragazzi con un grido gli si strinsero attorno. Braccia, mani lo avvilupparono in un abbraccio convulso. C'era chi piangeva. Anche lui aveva gli occhi lucidi.
Qualcuno di quei ragazzi diventato uomo, in momenti difficili della sua vita di prete, è riuscito a stare in piedi ricordandosi quel gigante in ginocchio.
Sac. Alberto Cavarero
Sintesi da: San Vincenzo - Piemonte e Valle d'Aosta-, febbraio 1985, p.1
Il sito della Società di San Vincenzo De Paoli: http://torino.sanvincenzoitalia.it/

14-I CONSIGLI EVANGELICI:
le “misure” del nostro amore

Di Nicoletta e Davide Oreglia*
Viviamo in un periodo che tende a misurare, a dare voti a tante manifestazioni dell'amore umano. Ci siamo chiesti se questo può valere anche per la coppia di sposi.
E ci siamo risposti che c'è una sorta di sistema metrico dell'amore che permette di misurare l'altezza, la profondità e la larghezza della nostra camera nuziale… sono i Consigli Evangelici di povertà, castità e obbedienza.
Certo sono temi che con i tempi attuali risultano un po' stridenti. È come se a questi vocaboli e al loro significato più profondo qualcuno avesse fatto una brutta propaganda. Eppure non ci può essere abbraccio avvolgente e intimo che non sia in primis casto, non ci può essere gestione serena e generosa dei nostri beni che non sia anche povera e non esiste relazione nuziale che non viva nella più intima obbedienza al Sacramento delle Nozze.

La castità
Per amarsi nella verità dei corpi occorre essere casti. Cioè per ritrovarsi uniti nell'incontro intimo è necessario che tutti e due abbiamo ben chiaro nel cuore che c'è in palio per noi non solo un momento di piacere, ma che nell'amplesso ci viene donato un mattoncino per costruire la nostra comunione profonda.
Intanto è fondamentale che i coniugi si ricordino che la gioia dell'unione fra gli sposi è un dono che Dio ha fatto alla coppia. Sì, è proprio un regalo, che permette ai due di vivere nella loro quotidianità momenti di intima unione e di creare una complicità capace di uscire dalla camera da letto per inondare tutta la loro casa.
Non stiamo pensando alla "sessualità da manuale" quella che riesce sempre bene e non porta mai con sé dubbi o sofferenze. Noi parliamo della carnalità di ogni coppia che ha nel suo cammino di conoscenza erotica una scuola di dialogo intenso e profondo, vera e autenticamente incarnata nel vissuto di entrambi.
In quanto dialogo, l'incontro intimo contiene tutti i termini di una nuova lingua che va imparata continuamente. Perché il nostro sposo, la nostra sposa sono in continuo cambiamento. E hanno il grande desiderio di dirci tutto questo, se sappiamo creare spazi perché ciò accada.
Frequente è il disorientamento delle coppie quando si rendono conto che l'erotismo è una realtà cangiante e complessa, che non ha nulla a che vedere con le nozioni di sexi-soft-pornografia che un po' tutti abbiamo imparato dalla cultura "voyeurista" e volgarmente ammiccante in cui viviamo.
La grandezza dell'amplesso non è dato da parametri esterni ai due, ma proprio dall'intimità della comunione che riesce a creare. E pazienza se non è sempre tutto facile, pazienza se non tutto fila sempre liscio.
A volte ci sono abbracci scambiati dopo un amplesso deludente che avvicinano i cuori più di un orgasmo comune. Ma dobbiamo avere il coraggio di fare l'amore castamente, cioè di mettere al centro la nostra relazione, facendo attenzione ai desideri di entrambi.
Abbracciare e baciare godendo di ciò e non prendendo per sé e basta. Ascoltare il corpo nostro e del coniuge, magari facendo il primo passo per andargli incontro. Mettere nelle sue mani i desideri e i sogni che abbiamo.
Tutto questo lascia ai due la possibilità attingere dall'amplesso il gusto di cui abbiamo bisogno in quel momento: la gioia dell'incontro, il desiderio di un figlio, la vicinanza in un momento difficile e molto altro ancora.

La povertà
A volte abbiamo l'idea che il cammino di santità cristiano consista nell'imparare a privarsi di molte cose senza sentirne troppo il peso. Non è così, è piuttosto godere della Pienezza e lasciare che questa ci riempia e ci orienti.
Povertà è un termine che sentiamo di frequente in questo periodo. La crisi economica che ci avvolge ha messo molte famiglie in una situazione economica instabile, con un futuro molto più incerto di qualche anno fa. Ma era proprio così? Avevamo davvero così tante certezze da rendere il nostro vivere più sereno? Non lo sappiamo e non vogliamo entrare in questo ambito.
Ci piace però mettere al centro di questo tema non solo i soldi, i pochi o i tanti che possediamo, ma piuttosto chi ha il potere su di essi.
Noi controlliamo i nostri soldi o loro controllano noi?
Non sono poveri coloro che hanno pochi soldi, ce lo conferma il contatto con chi se la passa peggio di noi: raramente sono persone che vivono bene il loro rapporto con le cose.
Il Signore non ci vuole "straccioni"! La miseria abbruttisce, rende la vita pesante!
Eppure Gesù ci invita ad essere poveri. Cosa ci vuol dire?
Abbiamo soldi e cose, alcune di queste necessarie per noi e per la nostra famiglia, ma abbiamo anche beni superflui. Dire se sono tanti o pochi non ci è di aiuto, è certo che quello che abbiamo in più lo possiamo usare per toglierci uno sfizio o per dare a un nostro fratello bisognoso un aiuto indispensabile per la sua vita… è una scelta che dobbiamo tenere a mente.
Bene è anche ricordarci che Gesù ha speso parole molto chiare in merito a questo, siamo chiamati a farci carico di coloro che vivono situazioni di povertà. Senza mai smettere di ricordarci che l'avidità risiede in tutti i cuori e donare qualcosa di nostro è il solo modo per ridimensionarla. Anche si tratta di un cammino in salita, in cui si trovano molti ostacoli davanti!
I nostri beni non sono solo nostri.
Anche se ci sono costati sudore e fatica dobbiamo riconoscere che abbiamo sempre molti grazie da dire.
Il fatto che ci siano persone meno intraprendenti e volenterose di noi dal punto di vista economico-gestionale non ci deve far dimenticare la Carità.
Nel nostro bilancio dovrebbe esserci sempre la questa voce per poter essere, con un nostro gesto, Provvidenza viva per un fratello nel bisogno.

L'obbedienza
Castità e povertà sono possibili solo se siamo liberi? Forti? No, è possibile solo se siamo nell'obbedienza profonda alla voce del Signore.
In questo anno sacerdotale la figura del Santo Curato di Ars ci da l'occasione di conoscere la figura di un uomo che viveva costantemente a contatto con Dio, con se stesso e con i parrocchiani. Egli non sapeva quanto avrebbe giovato alla sua comunità, anzi aveva sempre davanti a sé i propri limiti.
Il suo sentirsi inadeguato è anche molto presente nel nostro vivere di sposi e genitori. Non sappiamo tutto e soprattutto oggi non sappiamo se saremo all'altezza di tutti i compiti che ci sono chiesti, ma a noi è chiesto di essere fedeli alla nostra vocazione, di non fuggire e di non lasciare ad altri ciò che il Signore chiede a noi.
Restare fermi sostenuti da Lui, con le preoccupazioni vive, ma con la certezza che il Signore non ci lascerà mai da soli. Dobbiamo essere appassionati della nostra famiglia, del nostro ruolo di genitori e di sposi.
Ubbidire alla nostra chiamata, è questa l'obbedienza che ci viene chiesta.

Povertà, castità, obbedienza sono consigli evangelici, ci portano cioè sempre di più sulle orme di Gesù Cristo, ma per viverli occorre chiederli.
Dobbiamo chiedere al Signore ogni giorno luce per la nostra castità, per il rapporto con i beni, per obbedire alla verità della nostra vocazione. E metterci in ascolto della Sua Parola che magari giunge a noi anche dalla lettura di una bella e piccola rivista come questa. Chi lo sa?
* corresponsabili dell'Ufficio Famiglia di Mondovì (CN)
Per le attività dell'Ufficio vedi: http://www.diocesi.mondovi.cn.it/index.php?id=188&id2=92#188

15-L’esempio di san Giovanni Maria Vianney

Il Curato d'Ars seppe vivere i "consigli evangelici" nelle modalità adatte alla sua condizione di presbitero.
La sua povertà, infatti, non fu quella di un religioso o di un monaco, ma quella richiesta ad un prete: pur maneggiando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi non mancavano di interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donato alla sua chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua "Providence", alle sue famiglie più disagiate. Perciò egli "era ricco per dare agli altri ed era molto povero per se stesso". Spiegava: "Il mio segreto è semplice: dare tutto e non conservare niente". Quando si trovava con le mani vuote, ai poveri che si rivolgevano a lui diceva contento: "Oggi sono povero come voi, sono uno dei vostri". Così, alla fine della vita, poté affermare con assoluta serenità: "Non ho più niente. Il buon Dio ora può chiamarmi quando vuole!".
Anche la sua castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero. Si può dire che era la castità conveniente a chi deve toccare abitualmente l'Eucaristia e abitualmente la guarda con tutto il trasporto del cuore e con lo stesso trasporto la dona ai suoi fedeli. Dicevano di lui che "la castità brillava nel suo sguardo", e i fedeli se ne accorgevano quando egli si volgeva a guardare il tabernacolo con gli occhi di un innamorato.
Anche l'obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incarnata nella sofferta adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. È noto quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire "a piangere la sua povera vita, in solitudine". Solo l'obbedienza e la passione per le anime riuscivano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai suoi fedeli spiegava: "Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n'è una sola: servirlo come lui vuole essere servito". La regola d'oro per una vita obbediente gli sembrava questa: "Fare solo ciò che può essere offerto al buon Dio".
Benedetto XVI, Dalla lettera di indizione dell’anno sacerdotale
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/letters/2009/documents/hf_ben-xvi_let_20090616_anno-sacerdotale_it.html

16-Il lamento di Elia e il disegno di Dio (1Re 17-19)
SIAMO SOLO SERVI INUTILI

di Franco Rosada
Elia, secondo la Tradizione, è il più grande profeta dell'AT: nell'episodio della Trasfigurazione, riportato dai Vangeli sinottici, lo ritroviamo con Mosè al fianco di Gesù.
Siamo circa un secolo e mezzo dopo Davide, la Palestina ormai da un secolo è divisa in due regni: Israele, a Nord, e Giuda, a Sud. In Israele regna Acab che ha sposato Gezabele, la quale ha introdotto nel regno il culto di Baal.
Questo provoca l'ira di Dio che manda Elia ad annunciare ad Acab la carestia (1Re 17,1). Ma il profeta ci aggiunge qualcosa di suo: fino a "quando lo dirò io". IO, questa benedetta parola che impariamo a dire subito dopo MAMMA!

L’esperienza di Zarepta
Alla presunzione del profeta risponde subito Dio: "Vattene di qui".
JHWH spegne le velleità del profeta: Baal non va combattuto con le sue stesse armi ma in modo diverso. Questa diversità può essere manifestata solo attraverso la diversità dell'azione profetica.
Così Elia è inviato da Dio a Zarepta per abitare presso una povera vedova. ll profeta viene affidato alle cure di una donna, vedova con un bambino, intenta a preparare il suo ultimo pasto prima di morire!
Elia è chiamato a passare dai suoi disegni di potenza - JHWH contro Baal - al servizio dei più piccoli e deboli. In questo contesto si inserisce la moltiplicazione dell'olio e della farina della vedova e, soprattutto, la rianimazione del figlioletto morto. Qui finalmente Elia si dimostra servitore del Dio della vita ottenendo la conversione della vedova: "Ora so che sei uomo di Dio!" (17,24).

La sfida del Carmelo
Dopo due anni il profeta viene rinviato da Acab per annunciare la fine della carestia. E, di nuovo, Elia fa di testa sua. Incontra il re e, invece di dargli la buona notizia, gli propone una sfida sul monte Carmelo. Si tratta di una specie di giudizio di Dio: andranno preparati due giovenchi da offrire in sacrificio, uno a Baal e l'altro a JHWH, con la clausola che sarà riconosciuto vero Dio quello dei due che manderà dal cielo il fuoco sulla vittima. Elia è solo contro 450 profeti di Baal. La posta in gioco è la conquista del popolo di Israele.
Quanto è lontana Zarepta! Quanto il cuore del profeta è appesantito da una logica di dominio! Eppure, alla fine vince, il popolo passa dalla parte del profeta e del suo Dio - sono i più forti!, prende i profeti di Baal perché Elia li possa scannare tutti. Ma JHWH non aveva ordinato al suo servo di annunciare la fine della siccità? Quando mai aveva parlato di sfida e dello sterminio dei nemici?
Elia si gode il successo, diventa affabile con Acab, gli annuncia la pioggia, corre davanti al suo carro… si sente trionfatore! Tutto questo dura pochissimo: appena la regina Gezabele apprende di quanto avvenuto al Carmelo minaccia di morte Elia e questi deve fuggire nel deserto.

La teofania del’Oreb
A questo punto il profeta ha perso ogni illusione e superbia: "non sono migliore dei miei padri"! È soltanto un uomo spogliato di tutte le sicurezze del potere ed ora è in grado di accogliere la verità di Dio. Dopo quaranta giorni di cammino nel deserto, sostenuto da Dio - come Israele al tempo dell'esodo - con un pane e un'acqua miracolosi, giunge al monte di Dio, l'Oreb.
Qui Dio si manifesta al suo servo, non nella forza, non nella potenza, ma nella "voce di un sottile silenzio". È un Dio diverso, che non ha niente in comune con il Baal del fuoco sul monte Carmelo.
Se Dio è diverso, anche tutto il resto deve essere diverso. Il profetismo di Elia e il concetto di popolo devono essere diversi.
Viene eliminata l'ambiguità di Elia: il suo posto è in mezzo agli uomini e qui dovrà fare ciò che chiede il Signore e non utilizzarLo per le sue ambizioni di potere.

Un nuovo popolo
Viene eliminata l'ambiguità che riguarda il popolo di Dio; per Elia Israele non esisteva più: "Sono rimasto solo". Il popolo sta dalla parte del più forte e il profeta ora è debole, ha perso ogni potere. Ma se Dio è diverso, è anche diverso il suo modo di radunare i suoi. Il popolo di Dio non è una massa compatta, ordinata e potente, che ubbidisce al re e al profeta, ma è un "resto", nascosto, anonimo, che lotta nella debolezza contro un potere fondato su Baal.Questo "resto" non va inteso come un residuo, una realtà in via di estinzione, ma un nucleo "germinale", un virgulto.
In questa quaresima, come Elia, siamo tutti chiamati a rifare il cammino dell’esodo per stare, in famiglia, nella comunità ecclesiale, nella società, con spirito di servizio e non di dominio.
Questo articolo è debitore a: Varone F., Se pensi che Dio ami la sofferenza, EDB Bologna, 1995, p.29-43; Sacchi A., I libri storici, Paoline Milano, 2000, p.336-339.
Per il libro di Varone vedi: http://www.dehoniane.it/edb/cat_dettaglio.php?ISBN=40929
Per il libro di Sacchi vedi: http://www.paoline.it/SchedaProdottoEC.aspx?IdP=9788831533324

17-Scontri, sinergie e collaborazioni tra i due ministeri
FAMIGLIE E SACERDOTE

i Nicoletta e Corrado Demarchi*
La presenza attiva dei laici e delle famiglie all'interno della Chiesa si è sviluppata e concretizzata soprattutto negli ultimi anni.
È solo dopo il Concilio Vaticano II che si sono elaborati documenti in cui la famiglia viene riconosciuta come "chiesa domestica", perché in essa convivono le tre dimensioni fondamentali della Chiesa stessa: l'annuncio, la celebrazione e la testimonianza.
Sempre più famiglie hanno così raggiunto la consapevolezza di essere loro stesse Chiesa e dunque, si sono aperte alle responsabilità che ne derivano: il matrimonio viene vissuto, allora, come vocazione all'amore, all'interno delle comunità ecclesiali.
Da qui sono nate e cresciute esperienze e realtà in cui i sacerdoti, con le famiglie, hanno concretamente camminato insieme come le prime comunità che “ascoltavano con assiduità l'insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme" (At 2,42).
Infatti le famiglie ed i sacerdoti hanno estremamente bisogno gli uni degli altri. Entrambi i Sacramenti sono per la costruzione della comunità cristiana e sono complementari, perché, insieme, contribuiscono alla realizzazione di una autentica esperienza di Chiesa. Cosa ne sarebbe della Chiesa senza i Sacerdoti che alimentano la fede del popolo di Dio e ne curano la loro vita spirituale? E senza il dono dei figli e la testimonianza e l'amore dei coniugi?
Il sacerdote è il primo testimone dell'amore di Gesù: aiuta i peccatori a convertirsi, sostiene gli sfiduciati incoraggiandoli, perdona i peccati, porta la pace dove c'è odio e vendetta. La famiglia invece accoglie la vita, dona l'esempio educando all'amore della giustizia e della carità, scopre i talenti di ogni membro, imparando ad apprezzarli ed a condividerli e comprende pienamente il dono della sessualità, vivendolo. Inoltre ha il compito ecclesiale di essere missionaria nella Chiesa, perché è nella famiglia che cresce e si sviluppa la fede e pertanto anche le vocazioni sacerdotali e religiose.
Questa essenziale collaborazione ha però bisogno di pazienza, di perseveranza e di premura. La carità deve sempre avere la meglio sul giudizio affinché non ci si fermi solo di fronte all'apparenza, ma si guardi più profondamente l'altro, con gli occhi del cuore.

Coltivare nuove relazioni
È necessario trovare nuovi equilibri nelle relazioni tra preti e sposi perché, senza nascondercelo, sono nate in passato incomprensioni e scontri. I due Sacramenti erano vissuti come dimensioni troppo distanti tra loro. Quello familiare è uno stile dove la relazione e l'accoglienza sono alla base ed ognuno viene amato per quello che è.
Quello sacerdotale è invece uno stile di raccoglimento più interiore e di maggiore solitudine.
I laici devono, quindi, imparare ora a rivolgersi ai presbiteri con più rispetto e meno superficialità, cogliendo la testimonianza che quotidianamente prestano nella comunità e tenendo sempre ben presente che, al di là del carattere personale, lì c'è sempre lo Spirito Santo in azione.
I sacerdoti debbono, d'altro canto, coinvolgere sempre più i laici, responsabilizzandoli nella loro vocazione, che scaturisce dal Battesimo, impegnarsi a frequentare di più le famiglie, farsi vicini ai problemi reali della quotidianità, spendere del tempo insieme a loro, perché questo confronto tra adulti è sano, positivo ed arricchente per loro stessi e per l'intera comunità.
Diventa perciò urgente adoperarsi al massimo per realizzare la comunione, perché è solo l'amore che tiene perfettamente uniti.
Quando si riesce ad abbattere la porta che li divide, i frutti della collaborazione sono immensi: gli sposi comunicano la bellezza del loro matrimonio e la gioia dell'amore e della speranza e i sacerdoti aiutano le coppie a coltivare la bellezza della preghiera e della spiritualità.
Anzi, è proprio questo aspetto della preghiera che li deve unire sempre più, aiutandoli a crescere nell'amore e nel rispetto reciproco.
Non dobbiamo poi dimenticarci che, nel modo in cui ci poniamo, diamo l'immagine della Chiesa di Cristo ed ognuno di noi ha quindi all'interno di essa una grande responsabilità. La Chiesa odierna ha quanto mai bisogno di testimoni credibili. È compito di tutti dare il buon esempio attraverso il perdono, la carità fraterna, l'umiltà, la gioia e l'entusiasmo, ricordandoci però che siamo uomini, con i nostri difetti, le nostre fragilità e le nostre manchevolezze; senza scoraggiarci di fronte alle difficoltà ed alle incomprensioni, ma affidarci ed abbandonarci a Dio, nella fede.

Un grazie di cuore
Nella nostra esperienza di famiglia e di coppia ringraziamo i sacerdoti che con il loro esempio, la loro testimonianza e la loro preghiera, ci hanno aiutato a superare momenti personali di difficoltà e smarrimento, portandoci nel cuore e, a volte, nel breviario, e ci hanno fatto maturare nel nostro cammino di fede attraverso incoraggiamenti ed ammonimenti.
Nella nostra esperienza pastorale abbiamo conosciuto sacerdoti e Vescovi veramente "innamorati" delle famiglie. Preti disponibili nell'ascoltare i problemi, pazienti e comprensivi, premurosi, attenti e preoccupati per la crescita spirituale degli sposi.
Nell'esperienza, poi, dei Gruppi Famiglia abbiamo incontrato presbiteri che avevano una vera e propria vocazione (per le famiglie) nella vocazione (sacerdotale). La loro presenza durante la preghiera e la Lectio divina, con interventi mirati ed illuminati, da padri e fratelli nella fede e, soprattutto, la dedizione durante i campi estivi dove la condivisione ed il confronto sono totali e continuati, favoriti dal maggior tempo a disposizione, ci ha incoraggiato e rincuorato nel guardare al futuro con maggiore ottimismo.
A tutti loro va la nostra riconoscenza ed il nostro grazie per il bene che hanno fatto e che continuano a fare, per la loro testimonianza che è l'esempio più vero di una Chiesa ad immagine di Cristo.
Siamo sicuri che queste positive esperienze e collaborazioni, autentici segni di speranza per la Chiesa e la società, sono e saranno contagiose per altre famiglie ed altri confratelli, aiutandoli a non perdere la fiducia di fronte ai primi ostacoli.
Con occhi nuovi auguriamo, quindi, a tutte le famiglie di trovare sacerdoti santi che siano per loro il "buon pastore" che porta Dio e che porta a Dio ed ai sacerdoti di trovare famiglie sante consapevoli della loro vocazione e missione, che sappiano testimoniare l'amore del Vangelo.
* coppia responsabile del Collegamento tra GF
Per contattarli: http://www.gruppifamiglia.it/contatti.htm

18-AVERE UN FIGLIO PRETE
Un bambino vivace con una vocazione precoce

Pochi giorni prima che nascesse mio figlio Mario, andai a confessarmi.
Il sacerdote, che mi conosceva, mi disse: “Oggi lei porta la comunione a suo figlio. Chissà! In un domani lui gliela porterà a lei”. Sul momento non ci pensai ma oggi devo confessare che quelle parole furono profetiche.
Siamo una famiglia che ha sempre frequentato la Chiesa, ma non pensavamo proprio che nostro figlio, vivace e birbante com’era, coltivasse la vocazione al sacerdozio.
Mario a otto anni fece la Prima Comunione. Nonostante il parere di molti, l’avevo vestito con il saio, anche se non si usava ancora.
Alla festa, dopo la cerimonia, avevo invitato, tra gli altri, anche una bambina sua coetanea e compagna di classe.
Mentre giocavano nel corridoio, questa ragazzina si fermò e gli disse: “Mario, sei proprio bello! Ti voglio sposare”. E lui, di rimando: “Ma cosa dici! Sei matta? Io da grande farò il sacerdote!”.
Non ci facemmo caso ma, in prima media, ci chiese per Natale un regalo “speciale”.
Mio marito ed io non sapevamo cosa aspettarci da quel birichino ma lui venne fuori dicendo: “Regalatemi una settimana di esercizi spirituali!”.
Andò a farli presso il seminario minore dell’Ordine religioso che già frequentava in città.
Quando andammo a prenderlo non voleva più venire via. Neanche il Superiore della casa riusciva a convincerlo. Alla fine ci accordammo: avrebbe finito la prima media in città e poi avrebbe continuato lì. In quel momento avemmo la conferma che la vocazione di nostro figlio era quella sacerdotale.
Così egli proseguì gli studi presso quell’Ordine e divenne sacerdote. E, felicemente, lo è ancora. E anche noi siamo stati, e siamo, felici della sua scelta
una mamma

19-LA CHIESA HA BISOGNO DEGLI SPOSI
Per una comunità parrocchiale che valorizzi la nuzialità, cioè la fraternità e la comunione

di Battista Borsato*
Il Vaticano II, riprendendo un'intuizione dei Padri, definisce il matrimonio "piccola Chiesa, Chiesa domestica" (LG 11). Questa intuizione si rifà alla Bibbia, dove il rapporto uomo donna è l'immagine di Dio: "Maschio e femmina li creò, a sua immagine lo creò" (Gen 1). Dio crea la coppia come essere comunitario, cioè ecclesiale.

L’Alleanza nuziale
Se la storia dell'Antico Testamento incomincia con l'amore coniugale, la storia del Nuovo si apre con il racconto delle nozze di Cana (Gv 2, 1): la coincidenza non è certo casuale.
Del resto, ogni volta che la Bibbia parla della natura dei rapporti tra Dio e l'umanità, lo fa in termini nuziali; l'alleanza è di natura nettamente nuziale. Questo vuol dire che tra coppia e Chiesa vi è un intrinseco legame e sono così associate che l'una si esprime attraverso i simboli dell'altra.

Per una Chiesa comunità
Se la coppia è all'origine di ogni vita comunitaria, anche la Chiesa dovrà guardare alla coppia per imparare come essere Chiesa, comunità.
Se la Chiesa pensa di diventare comunità imparando solo le regole dello stare insieme, le regole dell'associazionismo, le regole dell'organizzazione, non saprà mai cosa vuol dire essere comunità.
Dovrà osservare, invece, come cresce una comunità sponsale e familiare e imparerà ad essere comunità.
La Chiesa, dunque, è Chiesa se è segno dì comunione. Quali cambiamenti dovranno avvenire perché essa diventi questo "segno"?
Tutti notiamo dei rischi presenti nella vita della Chiesa, rischi che si ritrovano pure anche in altre istituzioni. C'è il rischio dell'organizzazione, cioè la tendenza a fare "cose" per gli altri, ma non con gli altri. Di conseguenza i rapporti non possono che essere funzionali ai compiti da svolgere e non personali.
C'è il rischio della prevalenza dei ruoli: l'autorità, di cui il prete è l'espressione più visibile e quotidiana, è vista e vissuta più come ruolo che come un fatto personale.
C'è in essa ancora il rischio di guardare al nuovo con paura. Il "nuovo" scompiglia gli schemi e l'organizzazione. Eppure se la Chiesa non sa vivere nel cambiamento, non cresce verso il "non ancora", verso il Regno.

La famiglia luogo “profetico”
Una coppia, una famiglia, dove si vive il sacramento del matrimonio, è un luogo "profetico", perché si dà il primato alle persone sui ruoli.
I genitori, per capirci, prima di essere genitori sono sposi, i figli prima di essere figli sono persone.
La logica dei ruoli, invece, è funzionale. Bisogna sbloccare questa logica che nasconde le persone. E questo può avvenire a partire da dentro il matrimonio.
Nel matrimonio e nella famiglia si vive l'apertura al futuro. L'amore che i due coniugi vivono è un amore che tende sempre verso il "non ancora" che "si fa strada facendo".
Il matrimonio riveste la categoria del futuro e quindi della speranza.
La Chiesa nasce dal ricordo, per cui il far memoria di Cristo è importante, essenziale; ma la Chiesa è anche presenza viva mediante lo Spirito e questa presenza sarà completa alla fine, nel futuro. Quindi il tempo più vero della fede, della Chiesa è il futuro.

Per una fede incarnata
Da sottolineare, inoltre, che dentro la comunità cristiana è alto il rischio di una fede disincarnata che passa sopra l'uomo.
Le coppie riducono realmente questo rischio perché hanno una vita molto concreta e vivono nel quotidiano.
La coppia provoca la comunità a camminare dentro i problemi degli uomini e ad assumere la concretezza della vita.
Riscoprendo così il matrimonio la comunità parrocchiale saprà valorizzare non tanto l'autorità, ma la nuzialità, cioè la fraternità, la comunione; non privilegerà il passato, ma il futuro e proclamerà una fede non evasiva, ma inserita quale "lievito" dentro ai problemi e prospettive dell'uomo.
Il prete è chiamato, quindi, a guardare con simpatia alla vita della coppia per lasciarvisi investire e dare così ai suo ministero densità di concretezza e di umanità.
Se manca il ministero presbiterale, la comunità non vive, ma neppure se è assente il ministero coniugale.
* direttore dell'Ufficio di pastorale familiare della diocesi di Vicenza. Sintesi non rivista dall'autore.
Per le attività dell'Ufficio vedi: http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/s2magazine/index1.jsp?idPagina=7423

20-IL SACERDOTE E I GRUPPI DI SPOSI

In molte parrocchie i gruppi sposi sono una realtà promettente, comunque sempre da incoraggiare e da rafforzare.
Qui gli sposi riscoprono la loro vocazione, tengono vivo il loro amore, fanno esperienza di Chiesa e si rapportano ai problemi del territorio.
Come tutte le realtà pastorali essi hanno bisogno della convinzione e della passione del presbitero, che non deve trasformarsi, però, se non momentaneamente, in guida del gruppo. Egli solleciterà, invece, la crescita della soggettività del gruppo in modo che esso progressivamente si dia un progetto e una metodologia.
Però, quando il prete è libero, è consigliabile che egli partecipi à qualche incontro del gruppo sposi (ritmando la sua presenza in base al numero dei gruppi), non sentendosi però il maestro che da risposte (spesso sono i gruppi stessi che richiedono questa modalità di presenza), ma come il "compagno" che tenta di conoscere la vocazione al matrimonio per assumere una mentalità sponsale nel modo di vivere i rapporti con la comunità.
Battista Borsato

21-IL GRUPPO FAMIGLIA E IL SACERDOTE
L’importanza del sacerdote per la nascita e la crescita dei GF parrocchiali

di Paolo Albert
Nelle vita ordinaria delle parrocchie, quasi sempre il parroco è determinante per promuovere un Gruppo Famiglia, anche se, sempre di più, è una famiglia che prende l'iniziativa e si dichiara disponibile all'impegno.

Il parroco è importante per...
Il parroco ne è il promotore soprattutto nell'aspetto di trovare e motivare le famiglie a farne parte.
Sovente questo obbiettivo richiede anni di impegno; una missione parrocchiale, il catechismo, gli incontri di preparazione al matrimonio sono alcune delle tante occasioni da cui iniziare, per proporre la formazione di un GF.

...convocare le famiglie
Non deve mancare nel parroco la convinzione che un GF non è un di più nel piano pastorale della parrocchia, ma, come minimo, un importante investimento per il futuro.
La presenza di una coppia più preparata od una chiamata da fuori parrocchia, sono un elemento decisivo per poter iniziare, ma il gruppo prende forma, inizia il suo cammino, solo con il consenso attivo del parroco; le famiglie sentono come una chiamata ad essere più comunità, ad essere in comunione con la loro Chiesa, e questa si incarna nella figura del parroco.
La chiamata è come una autorevolezza affettuosa che il parroco esprime verso alcune famiglie della comunità parrocchiale.
L'invito è aperto, non esclude nessuno, ma sappiamo che trova ascolto in una piccola minoranza che, per formazione, condizioni di vita, ha maggiori possibilità di accoglierlo. Il parroco e la coppia promotrice, che poi si assume il compito del pilotaggio del gruppo, hanno assieme questa funzione delicata e determinante di motivare, creare un'atmosfera di accoglienza e di promozione di un incontro.
I locali, il servizio di intrattenimento dei bimbi che la parrocchia può dare con degli animatori sono certo importanti, ma ancora di più conta la capacità del parroco di far sentire alle famiglie che sono le benvenute, desiderate, stimate, in un certo modo scelte.

...sostenerle nel cammino
Deve anche far sentire alla coppia/famiglia che in concreto si assume la guida del nuovo GF che è apprezzata, stimata, che sta facendo qualcosa di importante per la comunità parrocchiale.
Infatti, mentre è abbastanza acquisito che la parrocchia "deve" prendersi cura dei ragazzi, non è altrettanto scontata l'attenzione alle famiglie in quanto tali. Nonostante l'insistenza dalla CEI prevale ancora una mentalità di azione pastorale per categorie e l'unità della famiglia come soggetto pastorale tante volte resta in secondo piano.

...far vivere loro la parrocchia
Non è sempre facile ed automatico passare dalla promozione e formazione di un GF al suo sviluppo come parte integrante della comunità parrocchiale. Il GF può certo avere una sua vita anche bella e positiva, ma il parroco ha un ruolo determinante nel farlo integrare, interagire, almeno con quella parte delle famiglie più vicine al campanile.
Il GF deve sentire che la sua esistenza ha un senso non solo di per sé, o come potenzialità di servizio per le varie attività parrocchiali.
Il GF ha come il ruolo di rappresentare nel cuore e nella mente del parroco tutte le famiglie; forse è una pretesa non sempre realizzabile, ma l'atteggiamento ed i discorsi del parroco possono costruirsi in modo più vicino ad una esperienza sponsale, ad una visione più incarnata di fede.
Il parroco può fare nel gruppo una migliore esperienza della vita, dei problemi reali delle famiglie, vissuti nello sforzo di esser cristiani nella vita di ogni giorno.

...donar loro Cristo
Nella realtà di oggi, con parrocchie con un solo sacerdote o un sacerdote part-time, la presenza del parroco agli incontri delle famiglie è di norma del tutto eccezionale. Si concretizza una/due volte l'anno, in occasione di una giornata, di un week-end, di un campo estivo, ma non per questo è di minor importanza.
Non solo è la dimostrazione che la comunità parrocchiale apprezza ed incoraggia, ma è una reale occasione di indirizzo e di scambio.
Il sacerdote veramente, nella sua donazione di vita a Cristo ed alla Chiesa, porta nel GF una presenza dello Spirito che parla al cuore delle famiglie. Abbiamo bisogno, ogni tanto, di staccarci dai problemi quotidiani, dai figli, e vedere meglio le nostre vicende ad una luce più evangelica.
Il sacerdote ha proprio questo compito, di aiutarci come un fratello maggiore a ritrovare un senso più profondo di fede nelle vicende di vita. Non è quindi il "capo", ma colui che rispetta l'autonomia del gruppo, non è l'organizzatore, quello che fa e disfa.
Il sacerdote dona alle famiglie la presenza di Cristo perché questa è la sua vocazione, scelta di vita, quello che lui vive ogni giorno nell'Eucaristia e nel contatto con la Parola. E di ciò noi famiglie abbiamo bisogno, e di cui non possiamo fare a meno.

...farle crescere nella fraternità
Il GF ha una sua programmazione annuale, si da un programma di attività. Penso che sarebbe molto costruttiva la presenza del parroco nel momento in cui le famiglie si incontrano per la valutazione dell'attività dell'anno e programmare il successivo.
Le scelte pastorali, in concreto, come dar vita ad un nuovo gruppo oppure continuare con quelli esistenti, come coordinare le attività dei GF, il loro rapporto con la parrocchia e la diocesi, devono essere il frutto di un confronto fatto con pazienza, umiltà e tanta fraternità tra famiglie e sacerdote. La condivisione ed il confronto sincero è ricchezza nella diversità dei compiti e di vocazioni, è ciò che costruisce e da frutto.
palbert@silvagroup.com
Per approfondire l’argomento vedi: I GRUPPI FAMIGLIA. Una realtà da vivere e scoprire.
Per leggere il sussidio: http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/Sussidi/opuscolo dieci.pdf

22-Essere servi della Parola

Quale spazio occupa la Parola di Dio nella nostra vita di cristiani?
Nella nota pastorale: "La Bibbia nella vita della Chiesa" (1995) i vescovi italiani scrivevano: "I fedeli sono ancora poco stimolati ad incontrare la Bibbia, ma spesso non c'è chi spezza loro il pane della Parola".
Nei Gruppi Famiglia alla Parola dovrebbe essere riservato uno spazio importante.
I due metodi principali di lavoro che vengono proposti sono la Lectio divina e Revisione di Vita, ed entrambi si basano sulla Bibbia.
Nel primo caso la Parola è al centro dell'incontro; è una Parola che va capita, fatta propria, ruminata e che ci chiama ad una risposta di fede.
Nel secondo caso la Parola segna il secondo momento: "giudicare" che è il punto di svolta dell'incontro; dopo aver visto la realtà nostra e del "mondo" su un certo tema siamo chiamati dal Vangelo alla conversione, per riorientare la nostra vita alla luce dell'insegnamento di Gesù e agire di conseguenza.
Ma nei nuovi gruppi, soprattutto di giovani, questa proposta incontra difficoltà: sembra troppo "alta", fuori portata, si preferisce misurarsi con temi concreti. Si riscontra, infatti, una scarsa preparazione a misurarsi con la Parola di Dio, come se non se ne fosse mai fatta una seria esperienza.
E in fondo, quanto si prega con la Parola? Quanto si insegna a pregare con la Parola?
Su questo punto siamo tutti interpellati, genitori, animatori, sacerdoti.
Penso che, su questo tema, valga la pena rileggere ciò che scriveva Enzo Bianchi nel suo libro: Ai presbiteri (2004), e che vale per tutti i cristiani adulti.
"Non può annunciare la Parola chi non l'ha prima ascoltata con assiduità e col cuore, chi non l'ha pregata così da suscitare nell'uditore il desiderio di pregare, chi non si è lasciato portare dalla Parola, chi non l'ha custodita per assimilare il pensiero di Cristo. Il rischio non è semplicemente l'improvvisazione nell'evangelizzare, ma la consegna di una Parola senza energia rispetto alla forza del demonio che si oppone alla predicazione; una Parola che non giunge al cuore dei fedeli o che di fatto si svuota subito".
Ed ancora: "senza la Parola, voi non siete nulla nella chiesa, non avete nulla da dire nella chiesa, tutto il vostro impegno non gioverebbe a nulla".
Se il nostro quotidiano non è segnato dall’incontro orante con la Parola possiamo dire tante belle parole ma il nostro agire non riuscirà a mostrare il volto di Cristo
Franco Rosada
Per la nota CEI vedi: http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2010-01/11-54/BIBBIA_VITA_CHIESA.pdf
Per il libro di Bianchi vedi:
http://www.monasterodibose.it/index.php/component/page,shop.product_details/flypage,shop.flypage/product_id,380/category_id,17/manufacturer_id,0/option,com_virtuemart/Itemid,368/lang,it/

23-IL DON AL CAMPO ESTIVO
Un’esperienza molto bella e festosa

di Egidio Dal Magro*
Sono trascorsi quasi sette mesi da allora, dalla mia ultima settimana estiva per famiglie di San Giovanni di Spello. La memoria fatica a ricordare e, guardando indietro vedo molta nebbia per cui i contorni sono sbiaditi e i personaggi si muovono come dietro ad un lenzuolo a mo' di ombre cinesi.
Però il cuore ricorda bene e distingue quelle ombre che, piano, piano prendono forma, prendono volto: sono loro! Sono quel bel gruppo di famiglie… di San Giovanni di Spello. Ombre, figure, volti di coppie, di famiglie, di bambini e di giovani che si muovono come ad una festa.
Un'esperienza di festa, quando è genuina e semplice, non può uscire dal cuore; la memoria può perdere colpi, il cuore no.
Ho vissuto, negli anni, prima una settimana estiva a Castel Tesino, poi altre tre settimane a San Giovanni di Spello: è bello! Lo dico al presente perché tale lo è ancora, almeno per il cuore; lo dico con un semplice aggettivo perché è quello che più risponde alla realtà.
Ma proprio tutto bello? No, no. Ma siccome di cose brutte, mediocri e cattive ne abbiamo piene le tasche e lo stomaco, allora quando ci si incontra o scontra con qualcosa di bello, è giusto fermarsi e dire: che bello!
La strada o l'esperienza - come si vuol dire - delle settimane estive per famiglie è positiva, è una pista da seguire, almeno fino a quando si svolgono in quel modo. Vita semplice, un po' spartana, sobria, vita insieme, silenzio dai rumori extra famiglia, relazioni, preghiera e la Santa Messa al centro, giochi e scherzi: cosa si vuole di più?
Giovani disponibili all'accompagnamento dei piccolini, papà e mamme pronti a farsi piccoli e servi.
La mia esperienza di don? Una vera scuola di cose che fanno bene, che ti ricaricano e rimotivano. Qualche sacrificio c'è e va bene, ma vale la pena.
Quello che più di tutto mi ha impressionato è stata la pazienza dei genitori e dei giovani anche nell'accogliere i bambini. I bambini sono sempre bambini anche in una settimana estiva a San Giovanni di Spello: gridano, urlano, piangono, fanno capricci come tutti i bambini… eppure ho visto tanta pazienza, non quella passiva e remissiva che assomiglia tanto alla debolezza.
Buoni anche i rapporti nella coppia e tra le coppie: ho "visto" persone mettersi veramente in discussione per capire l'altro, persone che si impegnavano a imparare ad amare.
Del resto il matrimonio non è forse un'officina dove si impara, ogni giorno, ad amare?
La giornata dello spirito, del perdono è il pilastro di tutta la settimana. Si sente, quasi fisicamente, la presenza di Dio. Il Dio del perdono, il Dio della sorpresa e della meraviglia è lì; e il suo passaggio lascia il segno.
* Parroco di Farrà di Soligo, diocesi di Vittorio Veneto
Per contattarlo: http://www.diocesivittorioveneto.it/presbiterio/singolo.asp?pers=76

24-CAMPI ESTIVI PER FAMIGLIE 2010
Il calendario provvisorio

23 luglio - 1° agosto S. Giacomo di Entraque (CN)
Relatore: Angelo Fracchia, biblista.
Possibilità di partecipare al solo WE iniziale (23-25 luglio).
Info: Angela e Tommy Reinero, 347 5319786, tommy.angela@libero.it

7-14 agosto Col Perer (BL)
Tema e relatori da definire.
Info: Laura e Valerio Agnolin, 0423 476184, vaagnolin@libero.it

8-15 agosto San Giovanni di Spello (PG)
Relatori vari di alcune comunità umbre.
Info: Ernesta e Gianprimo Brambilla, 039 6079037, ernesta.gianprimo@
virgilio.it

8-15 agosto Voltago Agordino (BL)
Tema e relatori da definire.
Info: Antonella e Renato Durante, 0423 670886, ren-anto@libero.it

15-21 agosto Casteltesino (TN)
Tema e relatori da definire.
Info: Cinzia e Paolo Brugnera, 0438 898032, brugnerapaolo@tele2.it

16-20 agosto Chiappera (CN)
Tema e relatori da definire.
Info: Isabella e Stefano Tomatis, 0174 329404, costacalda@libero.it

18-23 agosto Sauze di Cesana (TO)
Tema e relatori da definire.
Info: Chiara e Elio Grosso, 0121 352265, eliogrosso@libero.it.

Per consultare il calendario aggiornato: http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/campi53.htm

25-5x1000: GRAZIE PER LE VOSTRE FIRME!
Il bilancio consuntivo dell'associazione per l’anno 2009

Il bilancio dell’associazione Formazione e Famiglia Onlus, editrice di questa rivista, quest’anno riporta un attivo significativo.
Questo è merito di voi lettori, che ci avere sostenuti anche lo scorso anno con i vostri contributi liberali, sovente superiori alla quota minima, e con le vostre firme per il 5 x 1000 nella dichiarazione dei redditi.
A fine anno abbiamo ricevuto dall’Agenzia delle Entrate la quota del 5x1000 relativa all’anno fiscale 2007. Si è trattato di una cifra superiore al 40% del nostro bilancio ordinario.
Poiché lo scopo dell’associazione non è quello di avere bilanci in attivo ma di promuovere l’aggregazione tra famiglie attraverso l’esperienza dei Gruppi Famiglia a livello di giunta sono state prese le seguenti decisioni:
•    una parte contenuta dell’attivo verrà utilizzata per continuare a pubblicare i prossimi numeri della rivista di collegamento a colori;
•    la parte più significativa verrà invece utilizzata per sostenere le attività dei campi estivi.
Le modalità con cui si realizzerà concretamente questo sostegno saranno concordate tra la giunta e gli organizzatori dei campi.

I contributi liberali
Da marzo in poi torna d’attualità la dichiarazione dei redditi.
Vi ricordo che quanto avete versato lo scorso anno attraverso il CCP intestato all’associazione come “contributo liberale” lo potete portare in detrazione quest’anno (p.e. nel modello 730/2010 l’importo va riportato al quadro E, rigo E19-21 specificando il codice 20: Onlus).

Una firma per il 5 x 1000
Sempre nella dichiarazione dei redditi,speriamo che ci sia anche quest’anno la possibiltà di devolvere il 5x1000 dell’imposta Irpef pagata alla nostra associazione.
La firma va posta nella prima casella il alto a sinistra (sostegno del volontariato...) riportando, subito sotto, il codice fiscale 97571710017.
Noris Bottin, presidente ass. Formazione e Famiglia ONLUS

26-I TEMI DI QUEST'ANNO DELLA RIVISTA

Seppure in ritardo, come redazione abbiamo definito i temi che, in linea di massima, svilupperemo nell’anno corrente. Contiamo di uscire con quattro numeri di ventiquattro pagine, rispettando, se possibile, la cadenza trimestrale.
I temi dei prossimi tre numeri sono:
•    La famiglia nella Chiesa e nel mondo: il ruolo della famiglia nella società ecclesiale e civile.
•    I vent’anni della rivista: testimonianze dai gruppi vecchi e nuovi.
•    Pace e guerra: siamo divisi, a livello globale, nazionale, locale e anche familiare. Come essere operatori di pace?
La redazione

27-LEGGERE LA BIBBIA: Lotta con Dio, e ti benedirà

a cura di Franco Rosada
Credere è un atto di fiducia, è rischiare su una persona per molti versi misteriosa come Dio.
Abramo è nostro padre nella fede perché per primo si è fidato di Dio. Ma non è stato facile e la sua fede è stata messa più volte alla prova, toccando il culmine con il sacrificio di Isacco. Qui siamo di frante al tema della fede “nuda”, che ha come unico appiglio la Parola di Dio.
Il cammino di tre giorni affrontato da Abramo verso la prova è il simbolo di ogni itinerario di fede (Gn 22,1-18).
Un secondo personaggio che si misura con Dio è Giacobbe.
Ritornando, dopo anni di lontananza, alla sua terra, egli vive di notte, lungo le rive dello Jabbok, un’esperienza di lotta e di prova (Gn 32,25-30).
È una lotta contro un essere misterioso, che termina con Giacobbe sciancato ma con un nome nuovo: Israele.
Il grembo di quella notte genera un uomo nuovo, non più quello della lite tribale con Esaù ma il protagonista della contesa divina. Il nuovo nome indica l’intero popolo ebraico in lui incarnato.
Il terzo personaggio è Giobbe.
Sinonimo della pazienza è diventato nel tempo simbolo della consolazione che segue la prova. Ma, in realtà, Giobbe è un credente tutt’altro che paziente, diviso tra fede e ribellione. Perché il dolore?
È Dio il vero protagonista del libro di Giobbe. Egli si presenta all’uomo nella sua miseria come il Nemico per eccellenza e Giobbe non esita a precipitare nella bestemmia che, a volte, è più gradita a Dio della lode dei benpensanti.
Dio accetta di rispondere all’uomo ma la sua risposta è più legata alla dimensione della contemplazione: “ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5).
Giobbe è quindi un libro sull’avventura tragica ed esaltante del credere.
Un ultimo personaggio che ingaggia la lotta con Dio è il profeta Geremia.
Nella più celebre delle sue Confessioni (Ger 20,7) il profeta esclama “mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre”. Non si tratta di seduzione amorosa ma di circonvenzione di incapace. Di fronte agli insuccessi e alle persecuzioni Geremia accusa Dio di vigliaccheria e di truffa ma la parola divina lo tormenta (20,9). Da qui il grido di disperazione: “Perché mai sono uscito dal grembo [di mia madre]... per finire i miei giorni nell’infamia?” (20,18). Sorprendentemente, Dio non condanna la bestemmia del disperato e il profeta riprende con veemenza la sua missione.
Sintesi da: Ravasi G., Il racconto del cielo. Le storie, le idee, i personaggi dell'AT, Mondadori, Milano 1995, p. 64-92.

28-La preoccupazione di una mamma
Un figlio missionario e lontano

Sono la mamma di un giovane sacerdote missionario e sono preoccupata per lui. Si dà tutto per la missione, non si tira mai indietro, dice sempre sì.
Così ha accettato di andare a prestare servizio dall'altra parte del globo e quando va bene lo vedo una volta l'anno. Mio marito mi dice: "non preoccuparti", mai io non ci riesco.
Mi può dire qualche parola di consolazione?
Giovanna

Risponde don Gianfranco Grandis, dottore in Teologia Morale, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona

Ci sono due passi del vangelo, gentilissima Giovanna, che possono essere di consolazione alla sua preoccupazione per il figlio missionario che vive lontano dagli affetti familiari, così come il Figlio di Dio, incarnandosi, ha svolto la sua missione a favore degli uomini lontano dalla relazione con il Padre che egli viveva fin dalla eternità.
Il primo passo, certamente a lei assai noto, riguarda la permanenza di Gesù a Gerusalemme mentre i suoi genitori stavano ritornando a Nazareth, i quali, una volta accortisi che Gesù non era con loro, angosciati lo cercavano. Trovatolo al tempio fra i dottori, Gesù si rivolge a loro con le note parole: “Non sapevate che io devo preoccuparmi delle cose del Padre mio?”. Credo che sapere che il figlio sacerdote sta svolgendo la sua missione a nome di Gesù per obbedire al Padre che lo ha inviato ad annunciare ai fratelli lontani il Vangelo possa essere di grande consolazione. La sofferenza affettiva rimane, ma la gioia per avere un figlio missionario dovrebbe prendere il sopravvento.
Il secondo passo riguarda la ricerca di Gesù che una volta fecero la madre e i suoi parenti. Gesù prende l'occasione per dire che i suoi famigliari sono tutti quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
Il suo figlio, che penso amatissimo, a corrisposto all'amore di Dio che lo ha chiamato alla missione; che cosa di più bello per una madre del condividere con il figlio questa chiamata, anche se costa in termini affettivi?
Le parole di suo marito forse contengono una profonda saggezza: "non preoccuparti", vale a dire: "getta le tue preoccupazioni in Dio, e Dio ti consolerà".
Sia fiera, gentile Giovanna, di avere un figlio missionario, e faccia che la sua sofferenza sia il suo modo di partecipare a questo anno sacerdotale col quale il papa ha voluto coinvolgere tutta la Chiesa a sostenere e a pregare per i sacerdoti, chiamati ad agire nella persona stessa di Cristo.
gianfrancograndis@tin.it

29-SONO PROPRIO DELUSO!
Solo lavori precari e sottopagati per un giovane laureato

Mi sono laureato con il massimo dei voti ma non riesco a trovare lavoro, solo lavoretti precari. Ora mi hanno offerto un tirocinio di 4 mesi a 350 euro al mese: 10 ore al giorno con spese di viaggio a mio carico.
La signora che accudisce mio nonno prende molto di più! Se penso a tutti i sacrifici che hanno fatto i miei genitori...
Luca

Il lavoro è un mezzo privilegiato per soddisfare il proprio bisogno di affermazione, un'esperienza gratificante e significativa. Per il lavoratore impegnato in attività non coerenti col proprio titolo di studio, che accetta tale occupazione perché non trova altro, la costruzione dell'identità sociale e personale diventa un problema difficile, però anche un lavoro precario, pur se sottopagato, può offrire un'esperienza utile perché il mondo del lavoro è molto diverso dal mondo della scuola e può servire ad ampliare il proprio campo di coscienza. Le valutazioni che ti pervengono dai colleghi e dai capi sono un'importante fonte di informazioni che ti possono aiutare ad autovalutarti, non fosse altro che nella capacità di relazione.
Resta comunque reale la frustrazione che ti trovi a vivere perché certamente sei consapevole che l'esperienza lavorativa è un fattore di stabilizzazione della persona: integrazione e autorealizzazione influiscono sul modello di vita che si intende realizzare.
Se il lavoro non soddisfa è problematico trovare adeguate esperienze sostitutive, capaci di fornire senso alla vita ed appagare il bisogno di successo e gratificazione. Ogni persona è portatrice di bisogni che esprimono carenze che devono essere soddisfatte e la motivazione costituisce la forza che permette di soddisfare tali bisogni: la motivazione che ti ha retto nel portare avanti gli studi va conservata, anche in condizioni che sembrano cancellarla.
Sebbene la situazione, a livello mondiale, sia pesante non si può pensare che sia irreversibile: i tuoi genitori, pur delusi, sanno per esperienza che c'è sempre, nella vita, un'altra chance! Auguri!
Guido Lazzarini

30-UNA CHIESA CHE PARLI DI PIÙ AI GIOVANI...
...del matrimonio, della vita di coppia, della convivenza

Qualche giorno prima di Natale sono stato invitato da un gruppo di giovani, una dozzina tra i 20 e i 30 anni, per una serata di fraternità, preghiera e riflessione; dopo una gustosa cenetta ci siamo seduti nel salotto della casa che ci ospitava.
Un giovane, studente universitario, dopo aver dichiarato di essersi allontanato dalla chiesa e dalla S. Messa domenicale nel periodo dell'adolescenza, ha espresso una domanda che mi ha profondamente toccato: mi ha chiesto come mai in parrocchia, nei tanti gruppi giovanili da lui frequentati, nessuno gli avesse mai presentato una visione positiva della sessualità; diceva: "perché nessuno mi ha mai spiegato il significato della castità?".
Nel suo intervento spiegò che solo ultimamente, aveva sentito dire che la castità è libertà e sincerità, che genera gioia, novità e stupore, che esiste una castità "prima e dopo" il matrimonio.
Dopo il suo intervento, ha preso la parola una giovane di circa 24 anni, con i capelli lunghi e neri, anch'essa lamentando che la Chiesa parla poco ai giovani del matrimonio, della vita di coppia, della convivenza.
Dopo questi interventi tutti i ragazzi, uno dopo l'altro, mi hanno manifestato il desiderio di ascoltare dai sacerdoti l'insegnamento di Gesù e della Chiesa sulle grandi questioni della vita dei giovani: lo studio, l'università, il lavoro, gli affetti, l'uso dei soldi, le fragilità, la vocazione, le ferite psicologiche, il perdono, la sessualità, il rapporto con il proprio corpo, la malattia, la giustizia sociale, temi che sono il pane quotidiano della vita di un giovane.
Una ragazza lamentava che talvolta non viene fatta una proposta di Fede capace di dare speranza alla vita; l'affermazione della stessa presenza di Gesù in mezzo a noi, la più grande ricchezza che possediamo, è oscurata da discussioni astratte.
Fra le grandi questioni del mondo giovanile voglio ricordare la difficoltà di tanti ottimi giovani a trovare un compagno o una compagna con cui creare una famiglia ed avere dei bambini; i ritmi della nostra vita, l'individualismo dilagante spesso rendono difficile il semplice incontro con altri coetanei.
All'inizio di questo nuovo anno vorrei chiedere a tutti una grande preghiera per i giovani che cercano la loro strada; vorrei chiedere, in particolare, a tutti i giovani fidanzati ed alle giovani coppie a non chiudersi in se stesse; nella persona che sta al loro fianco hanno ricevuto un grande dono da Dio ed è giusto che aiutino i propri amici ad incontrarsi. Dio ama chi dona con gioia, chi non pensa solo a se stesso ed è attento alle situazioni difficili della vita degli altri.
Nicolò Anselmi
direttore del Servizio Nazionale della Pastorale Giovanile della CEI, mail: don.nico@libero.it
Per leggere altre riflessioni dell'autore: http://www.oratoriodiferno.it/_Blog/archives/716

31-UNA “S” CHE FISCHIA E UNA “C” CHE NON ESCE
Che problema trovare queste due lettere!

Tutti sanno che i bambini perdono i denti che qualcuno chiama "denti da latte" quando sotto crescono quelli veri.
I denti sono parecchi e con tutti in fila si possono fare tante cose: mangiare, sciogliere il nodo dello spago, sorridere, ecc., ecc., ma servono anche per parlare.
Un bel mattino Carletto si svegliò e la lingua gli usciva fuori davanti, gli erano caduti due denti in una sola volta.
Ecco perché la maestra gli dice sempre: "Tieni la lingua dentro ai denti!", quando gli scappano le parolacce.
Ma non era questo il problema. Disperato si mise a cercarli per tutto il letto. Li trovò accanto al cuscino, provò a rimetterli al loro posto ma non ci volevano proprio stare.
Gli disse la baby sitter: - Li metterai sul davanzale, la formica se li porterà via e ti lascerà qualche soldino!
Il bambino li mise sul davanzale.
I giorni passavano e i due dentini erano sempre lì; poi un giorno sparirono ma la formica non aveva lasciato proprio niente.
Intanto Carletto, quando parlava, la "S" gli usciva come una "theta" greca e la "C" non gli veniva per niente.
Gli amici ridevano e lui cominciò a non aprire più bocca. Da quel giorno si mise cercare disperatamente tante "S" e "C" perché pensava: "Se le metto in mezzo alle mie parole, nel posto giusto, nessuno più ride!".
Trovò un albero di salice ma la sua "S" e la sua "C" quello non gliela volle dare:
- Se le do a te mi resta solo "alie" e nessuno poi sa che sono quell'albero piangente in riva al ruscello.
Così fecero tante altre cose che contenevano la "S" e la "C" come "salsiccia", "sciocco", "scarafaggio".
Il bambino era sconsolato.
Un pomodoro lo vide e voleva dargli le sue "P", "M", "O", "D", tanto diceva: - A me rimane sempre l' "ORO".
Ma non servivano neppure a Carletto.
Un giorno, mentre gironzolava senza ben sapere dove andare, entrò in una piccola chiesa e vide un uomo con un lungo vestito nero che aveva una altrettanto lunga fila di bottoni.
- Come ti chiami?, chiese Carletto.
- Sono un sacerdote.
- Mi dai la tua "S"?
- Volentieri! Ti posso dare anche quella di "sagrato" dove si trova tutta la gente a parlare, di "sagrestia" dove i chierichetti litigano per portare le candele, quella di "sogno" perché vivere insieme è bello, quella di "stupendo" perché le cose belle creano gioia, quella di "sincero" perché qui non ci si racconta frottole, e tutte quelle altre che vuoi.
- Adesso, disse il bambino, mi manca solo la "C".
- Ma tu i genitori non ce li hai?
- Li vedo qualche volta, poco, sto sempre con la baby.
- Quando li vedi devi chiedere loro di darti la "C" di "coppia", "carezza", "coccole",…ed anche la "C" di "carattere".
Chissà se la "C" di Carletto, ora che i denti nuovi sono cresciuti, schiocca bene, se la sua "S" non fischia più e se c'è un bel sorrisone sulle sue labbra!
Tony Piccin

32-Il sacerdozio comune dei fedeli

Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo.
Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta dell'Eucaristia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e la carità operosa.
da: Lumen gentium 10
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html