Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF77 - giugno 2012
Felici in famiglia? Vivere le beatitudini

1-Lettere alla rivista: Le beatitudini: meravigliose ma difficili
Sono il fine dell’uomo, pienezza di felicità

Le beatitudini sono un invito meraviglioso ma estremamente impegnativo. Mi sento in qualche modo in grado di praticarne alcune ma altre sono estremamente al di fuori della mia portata. Così archivio questo invito e mi accontento di rispettare i dieci comandamenti.
Federico

Risponde don Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona

La vita buona del Vangelo, di cui le beatitudini sono il manifesto programmatico e il compimento dei dieci comandamenti (le dieci parole), appare certamente da un lato meravigliosa e dall'altro impegnativa, quasi irraggiungibile alle nostre possibilità umane.
Ciò è dovuto alla nostra natura umana segnata dalla fragilità e dalla distorsione della nostra volontà a volere il nostro bene.
San Paolo descrive questa distorsione con una lucidità disarmante: "in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo" (Rm 7, 18).
Le beatitudini sono certamente la 'misura alta' della vita cristiana. La loro meditazione è istruttiva almeno su tre precise prospettive.
Esse ci dicono innanzi tutto che la beatitudine è il fine dell'uomo, e la beatitudine dice pienezza di felicità. Le beatitudini, quindi, rispondono al desiderio fondamentale della nostra natura umana, che tende al bene-essere integrale.
Esse inoltre sono rivolte all'uomo storico. Storia indica cammino progressivo. Quindi le beatitudini, pur essendo percepite come una meta che pare irraggiungibile, tengono conto che noi cresciamo verso il bene attraverso tappe progressive.
Il cammino morale che le beatitudini propongono, allora, non può essere percepito come mortificante per l'uomo che per natura è spinto verso il bene. La cima non umilia lo scalatore, ma al contrario lo stimola a superare tutte le difficoltà per raggiungere la meta agognata.
Infine esse, mentre fanno emergere che l'uomo non può salvarsi da solo perché la sua volontà vede il bene ma non ha la forza di compierlo, presuppongono che egli si convinca che senza la grazia di Dio, elargita dai sacramenti, non potrà andare lontano e troverà sempre delle scuse per sottrarsi all'impegno.
L’uomo, in questo caso, si comporta come la volpe della favola di Fedro che, siccome non arriva a raggiungere l'uva, afferma che non é matura.
giancarlo.grandis@tin.it

2-Dialogo tra famiglie: Come si può essere miti con un adolescente?
La mitezza non è debolezza, essere accomodanti

Beati i miti? Come si può essere mite con un figlio adolescente che "una ne pensa e cento ne fa"? Con un marito che lascia correre e, praticamente, gli dà sempre ragione? La mitezza non fa per me!
Adriana

Chi è il mite? Gesù dice di sé di essere "mite e umile di cuore" e ci dice di imparare da Lui.
Imparare da Lui credo significhi innanzi tutto imparare dalla Sua vita: ha preso i suoi discepoli lì dove erano, nel loro percorso concreto di vita, coi loro limiti e i loro entusiasmi, le loro gelosie e la loro "durezza di cuore", i loro dubbi e le loro ribellioni, e che ha fatto?
Li ha "accompagnati" per tre anni, giorno dopo giorno, gratificandoli e rimproverandoli, fino a portarli in un percorso di responsabilità e libertà, a per arrivare a prendere consapevolezza che dovevano fare come Lui: dare la vita per i fratelli.
Non c'è altra ricetta e ogni credente, ogni genitore lo percorrerà in modo diverso… certi che mitezza non è debolezza, non è essere accomodanti.
Si può solo ribadire che la nostra vita di genitori è un percorso fatto assieme ai figli. A noi è chiesto di essere guide, non fantasmi o bancomat, non guidati dai nostri desideri o progetti su di loro: siamo chiamati ad accompagnarli, accettandoli e correggendoli, con mitezza certamente, ma con chiarezza esigente, affermando e testimoniando ciò che è bene e ciò che è male, ciò che fa crescere e ciò che fa deperire e/o morire.
Nello stesso tempo siamo chiamati a sopportare pazientemente le loro stravaganze e prepotenze così come vorremmo che loro sopportassero le nostre "prediche" o le nostre ripicche di fronte ad atteggiamenti che ci offendono. Poi sbaglieremo tante volte e chiederemo misericordia.
Anna Lazzarini

3-Editoriale: VIVERE LE BEATITUDINI IN FAMIGLIA
Un’utopia o via maestra per vivere in pienezza?

di Franco Rosada
Il tema delle Beatitudini è già stato proposto diverse volte nei campi estivi, mai sulla rivista.
È per questo motivo, confortato anche dal gradimento da voi espresso sul tema, che questo numero, eccezionalmente di ventotto pagine, è interamente dedicato a loro. Il mio vuole essere, più che un editoriale, un primo approfondimento di questo brano del Vangelo, che corrisponde al primo punto della Lectio divina: "cosa dice il testo in sé".
Fare una Lectio senza che qualcuno del gruppo si sia prima preparato su questo punto vuol dire rischiare interpretazioni personalistiche e far "dire" al testo cose fuori luogo. Mentre dunque leggevo il testo di Matteo, per preparare questo articolo, la mia attenzione si è focalizzata sulla parola "giustizia".

Vivere la "giustizia"
La giustizia umana, adesso come ai tempi di Gesù, non gode di buona fama: è più facile coglierne i limiti dei pregi. Anche la parola giustizia, applicata a Dio, suscita diffidenza: ci è stata, in passato, proposta per troppo tempo l’immagine di un Dio "giudice" per farla nostra.
Una risposta soddisfacente l’ho trovata nella traduzione in lingua corrente del Vangelo: Beati quelli che desiderano ardentemente quello che Dio vuole: Dio esaudirà i loro desideri.
Per Matteo, e più in generale per la tradizione biblica, praticare la giustizia è fare la volontà di Dio.
Scrive Dupont: "Il discorso della montagna si presenta come un insegnamento sulla "giustizia" che Gesù esige dai suoi discepoli […] La giustizia è definita come compimento della volontà divina".

Uno sguardo d’insieme
Siamo abituati a pensare alle beatitudini seguendo il testo di Matteo, ma anche Luca le riporta, seppure in modo diverso (Lc 6,20 ss).
Le beatitudini, per Luca, hanno come centro la povertà, vista nel suo aspetto sociale, mentre Matteo ne sottolinea l'aspetto religioso. Infatti, il centro delle beatitudini è, per questo evangelista, la giustizia.
Matteo ci presenta otto beatitudini, le prime quattro che riguardano un particolare atteggiamento verso Dio, le seconde quattro che riguardano il nostro modo di farci "prossimo".
L’insieme ha una sua solennità, rilevabile anche dal modo con cui sono riportate nel testo. Si aprono e si chiudono con la stessa affermazione: "Perché di essi è il regno dei cieli" che forma una sorta di inclusione (v. 3.11) in cui è contenuta tutta la pericope.

Le altre beatitudini
Tutto il numero è dedicato a passare in rassegna ad una ad una le singole beatitudini da varie angolature, privilegiando la lettura in chiave di coppia e di famiglia. In questa sede faccio solo un rapido cenno a ciascuna di esse attingendo ad alcuni commenti.
I poveri in spirito. Il motivo della beatitudine - scrive Fausti - non è la povertà ma il perché: al povero Dio dona se stesso. Infatti, Dio è essenzialmente povero, non possiede nulla, perché è tutto dell'altro, è solo amore.
Gli afflitti. Non sono tanto coloro che piangono - sottolinea Dupont - ma coloro che si affliggono davanti a Dio rifiutando di venire a patti con le false gioie di un mondo peccatore.
I miti. Sono le persone che non vogliono dominare. Aggiunge Fausti: chi ama è sempre mite ed avrà in eredità la terra, simbolo dello Spirito. La terra promessa è la promessa dello Spirito.
I misericordiosi. Gesù - ci ricorda Poppi - ci invita ad essere "misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro". Siamo chiamati ad esercitare la misericordia e il perdono in modo illimitato.
I puri di cuore. Un cuore puro - scrive Fausti - è un occhio trasparente che vede Dio, e lo vede in tutte le cose. Chi in tutto cerca solo Dio, lo trova in tutte le cose.
Gli operatori di pace. Portare pace tra gli uomini significa renderli fratelli, questa è opera del Padre e di chi è già figlio (Fausti).
I perseguitati. Chi ama il Padre e i fratelli si scontra con il male; trova ostilità e persecuzione in sé e fuori di sé. Il regno dei cieli promesso - aggiunge Fausti - qui sulla terra rimane sotto il segno della croce.

La via per la felicità
Tutti gli uomini aspirano ad essere felici ma quello che propone il mondo è sempre un surrogato della felicità.
Le beatitudini rappresentano un atteggiamento del cuore, un modo di agire che, se praticato assiduamente, crea nella persona un animo virtuoso.
È proprio nella pratica della virtù che l’uomo ha la possibilità di fare concretamente esperienza di felicità.
Spero che le riflessioni di questo numero possano aiutarci in tal senso.
formazionefamiglia@libero.it

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. (Mt 5,3-12)

4-LA GIOIA CRISTIANA
Beati voi... perché...

Gesù, con le beatitudini, ci fa sapere che Dio vuol darci qualcosa di bello e di buono per noi; qualcosa che serve per farci felici.

Quando diamo ai nostri figli le indicazioni di vita, non dovremmo dare soltanto dei comandi, ma anche fare in modo che essi li capiscano come qualcosa di buono per loro.

della Comunità di Caresto
Il ''genere spirituale'' delle Beatitudini è uno stile caratteristico del Nuovo Testamento, anche se già presente e ben diffuso anche nell'Antico.
Gesù ama presentare il suo messaggio non come una dottrina o come un codice di leggi, ma come un 'Buon annuncio' (in greco eu-anghèlion, in Italiano evangelo o Vangelo), ossia una bella notizia da parte di Dio.
Egli ci fa sapere che Dio vuol darci qualcosa di bello e di buono per noi; qualcosa che serve per farci felici.
Per Gesù, Dio vuole la nostra gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11).
E quando vorrà presentare il suo programma non userà il tono moraleggiante o giuridico, ben conosciuto per esempio anche nei Dieci Comandamenti "Non fare... Non dire..."; ma userà lo stile delle 'Beatitudini': cioè "Beati voi... che siete miti, beati voi che portate la pace; beati voi quando riuscirete a perdonare...".

Beati solo in Paradiso?
La nostra non è che la partecipazione della gioia di Dio il quale fin dal principio ha guardato la sua creazione e se ne è compiaciuto.
Come è diversa la convinzione di quei cristiani che vedono il mondo solo nero o pericoloso; che hanno parole di luce solo fissando l'aldilà; non sanno trovare un consiglio, una via di consolazione se non trovandolo nel Paradiso futuro; che vedono nel Cristianesimo una serie di precetti pesanti da osservare... per andare in Paradiso. Per queste persone, i cristiani sono degli infelici, quasi invidiano gli atei o quelli delle altre religioni: "Loro possono essere disonesti, avere più mogli, essere infedeli; loro sì che si godono la vita; noi invece abbiamo tante limitazioni, tanti sacrifici...".
Ma Dio non vuole la tristezza del suo fedele, perché "Dio ama chi dona con gioia" (2Cor 9,7). Il migliore non è chi fa più sacrifici, ma chi ha capito che donare è un valore grande, perché il dono (agape) è Dio stesso (1Gv 4,8).
S. Alfonso, il maestro dei moralisti, amava ripetere "La gloria di Dio è l'uomo felice".

Testimoniare la vera gioia
Per noi genitori è vitale vivere e testimoniare la vera gioia per educare alla gioia i nostri figli. Talvolta ci viene meglio testimoniare il sacrificio ("Vedi quanti sacrifici faccio per tè?"). Testimoniamo più facilmente il senso del dovere e altri valori, considerati importanti. E lo sono certamente, se non sono disgiunti dal senso della gioia. Ci viene più facile testimoniare il valore del denaro col quale si possono comprare i piaceri.
La gioia cristiana però si sente nell'animo, è differente dai piaceri e agiatezze, che sono legate al corpo; è diversa dalla risata; la gioia è gratis, viene da Dio e ha la dimora nello spirito, non si compra; il piacere invece si paga: o con i soldi o con una moneta analoga.

La gioia è diversa dai piaceri
La gioia sta nella gratuità (fare le cose senza aspettarsi il contraccambio); è nell'amore (fare le cose con amore e per amore); è nella libertà (cioè non fare per obbligo, mugugnando o costretto, ma come atto della mia scelta); è nel servizio (procurare gioia o sollievo ad altri come dice la Bibbia: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere"); è nella condivisione (quando c'è gusto a partecipare ad altri le proprie esperienze, fare insieme, gioire insieme, piangere insieme).
Quando si condivide la gioia, si fa contento l'altro senza impoverire chi dona la sua gioia. La gioia è andare a letto sereni la sera; è avere la pace nel cuore.
La gioia è un dono spirituale di Dio, cioè si sente nell'anima; il piacere invece è collegato al corpo ed è causato da qualche stimolo ed è quindi passeggero, volubile.
Non sempre la gioia cristiana avrà questi sentimenti di pienezza ("Sono pervaso di gioia..." 2Cor 7,4); talvolta può assomigliare a un sentimento di serenità e pace. Altre volte, soprattutto nella sofferenza o difficoltà grande, la gioia cristiana mi si presenta come consolazione, oppure speranza; oppure come forza d'animo che mi aiuta a non entrare nel panico, ma ad affrontare bene e con coraggio le difficoltà che incontro.

Sappiamo vivere la gioia?
Noi sappiamo bene cosa fare per avere i piaceri pur legittimi, come quelli della gola, quelli del benessere fisico (mare, divertimenti, musica, una visita turistica, una casa confortevole...), i consumi così pubblicizzati dalla nostra società opulenta ecc. Dovremmo essere altrettanto capaci di educare alla gioia dell'animo. Facciamo invece fatica a sapere e sperimentare e trasmettere la gioia. Ma questo spesso è una vera tragedia perché condanniamo noi stessi e i nostri figli ad essere perennemente scontenti. Ed è una realtà.
Il danno è duplice. Se non si conosce e non si vive la gioia, si andrà dietro ai piaceri, con l'illusione di trovare la gioia, mentre si trova solo una momentanea soddisfazione. Perciò noi e i nostri figli saremo sempre infelici; cercheremo sempre altro; saremo sempre inquieti e scontenti.
Inoltre, mentre la gioia è gratis (perché appunto viene da Dio ed è nell'anima), i piaceri invece costano, occorre pagarli in qualche modo! Stiamo parlando dei piaceri anche buoni e legittimi.

La festa cristiana
La festa cristiana non è certamente un 'festino' o semplicemente un bagordo; ma nemmeno un pesante e serioso dovere. La festa cristiana suppone che uno abbia capito che cosa è la gioia e vuole riempirsene attingendo alla sorgente della nostra gioia.
Nelle nostre parrocchie si dovrebbe sperimentare la gioia.
Le nostre liturgie dovrebbero essere fonte di gioia. Come mai certe celebrazioni domenicali sono talvolta così tetre o comunque austere? Il bravo fedele appare quello serioso che deve dare a tutti l'impressione che lui ha capito il mistero divino e quindi è serio; non vuoi dare l'impressione di essere un superficiale ...lui!
Quanto è ricco di significato invece quell'invito del celebrante alla fine della Messa "La gioia del Signore sia la nostra forza, andate in pace!".
Forse anche i nostri giovani si allontanano da certe espressioni di Chiesa anche perché sembra che a loro si voglia togliere la gioia.

Una morale di divieti?
La stessa morale è tante volte presentata come insieme di regole o continuo divieto! Sarebbe importante presentare la stessa morale e i relativi doveri, come qualcosa che è necessario e sommamente utile per noi. Dovremmo scoprire che i comandamenti di Dio, prima di essere delle leggi e doveri, sono delle necessità, fanno parte dei nostri bisogni.
La preghiera, il perdono, lo spirito di sacrificio, le virtù, i sacramenti ecc... non sono soltanto dei precetti cui obbedire, ma sono anche dei bisogni per stare bene, cioè per essere nella gioia cristiana. E chiaro comunque che in questa vita, essa non sarà mai completa, ma grazie alla virtù della speranza sappiamo che potremo raggiungerne la pienezza in quella futura.

Uno stile per educare
Il metodo educativo di don Bosco è 'preventivo': cioè aiuta prima, dando giusti e pratici indirizzi e aiuta a realizzare. Evita il metodo repressivo e punitivo, che avviene dopo!
Quando diamo ai nostri figli le indicazioni di vita, non dovremmo dare soltanto dei comandi, ma anche fare in modo che essi li capiscano come qualcosa di buono per loro.
Occorre perciò un buon allenamento perché prima dobbiamo riuscire noi genitori a entrare in questa ottica; poi riusciremo più facilmente a testimoniarla e proporla ai figli.
Anche nelle situazioni difficili, nei momenti di sofferenza in cui sembra che la vita ci blocchi e ci impedisca di realizzare il nostro sogno, anche in quei momenti è possibile non lasciare spegnere la gioia. E necessario, con la fiducia in Dio, ricercare il positivo che anche in quel momento non si è perso, il filo d'oro di Dio che non si è spezzato; perché Dio è sempre fedele anche qualora noi non lo fossimo.
Non a caso Gesù ci parla di beatitudine proprio nelle situazioni di difficoltà e sofferenza (poveri, afflitti, perseguitati...).
Liberamente tratto dal libro: La casa delle otto felicità, Gribaudi, Milano 2008, p. 13-19.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Proviamo a capire meglio la distinzione tra i piaceri e la gioia: proviamo a confrontarci.
• Nel mio modo di educare mi succede di non aver tempo per la 'prevenzione' (dando giusti e pratici indirizzi e aiutando a realizzarli) e di ridurmi spesso soltanto alla repressione 'dopo'?
• Quanto è importante vivere, sperimentare questa gioia cristiana ed educare ad essa noi e la nostra famiglia?

5-L’UNICA VERA RIVOLUZIONE
Guardatevi intorno quanto volete: non troverete nulla di più originale delle Beatitudini

di Italo Alighiero Chiusano*
Gesù è salito sul "monte". Una collinetta, certo. Ma che importa? L'Everest, in confronto, sembra un nano. Perché su quel monte Gesù pronuncia, il suo discorso programmatico, cominciando con le beatitudini. Queste poche frasi sono la più grande rivoluzione mai attuata in terra, anzi l'unica.
Il mondo ha quasi sempre predicato il contrario, dall'uomo della strada a Nietzsche. "Beati i ricchi, beati i forti, beati i duri, beati i ridenti, beati i bellicosi". E così ancor oggi. E sappiamo con quali frutti. Non solo per le vittime, ma per gli stessi prevaricatori. Frutti di infelicità, di rovina, di morte. Ma anche i migliori hanno predicato diverso. "Beati i saggi, beati i distaccati, beati i filosofi".
E già molto meglio, ma è pur sempre un modo di stare al di sopra delle cose e degli uomini, di farsi élite privilegiata. Gesù, invece, ci tuffa nel magma del dolore comune, dell'ingiustizia patita di tutti: uguali tra uguali, perseguitati tra perseguitati. Ma è proprio così, in quel totale identificarsi con la miseria degli altri, che ci regala una beatitudine, una pulizia raggiante e comunicativa quale mai è stata concessa a un satrapo in trono, a un Casanova tra le sue splendide prede, a un genio tra le sue opere immortali.
Il massimo della compassione diventa, grazie a Gesù, il massimo della letizia. Guardatevi intorno quanto volete: non troverete nulla di più originale. Né di più vero. Né di più poeticamente radioso anche nella forma con cui è stato espresso. Che Gesù sia figlio di Dio, mi basterebbero queste poche righe per accertarmene.
*Liberamente tratto da: Breviario familiare, anno A, San Paolo, Milano 1989

6-LO SCANDALO DELLE BEATITUDINI
Siamo, come cristiani, così abituati ad ascoltare le beatitudini che non cogliamo più la loro paradossalità

Solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita trovano anche una ragione per spenderla bene ogni giorno e, di conseguenza, essere felici.

Le beatitudini sono atteggiamenti vissuti radicalmente da Gesù Cristo e, come tali, devono diventare lo stile di vita dei suoi discepoli, i cristiani.

di Enzo Bianchi
Che senso ha oggi leggere le beatitudini? Perché meditare su queste paradossali parole di Gesù?
Innanzi tutto, credo, per una ragione umanissima. Nel contesto socioculturale in cui viviamo, noi cristiani siamo chiamati, oggi più che mai, a mostrare con la nostra vita cammini di umanizzazione e di salvezza percorribili da tutti gli uomini.

Una ricerca di senso
Ora, la maniera più efficace per scoprire e percorrere questi cammini consiste nel praticare la ricerca del senso, esercizio che ai nostri giorni pare sempre più raro: è diventato difficile, soprattutto per le nuove generazioni, dare senso alla vita e alle realtà che la costituiscono, tanto che da più parti si levano voci che denunciano la "crisi del senso".
In questa situazione noi cristiani dovremmo saper mostrare a tutti gli uomini, umilmente ma risolutamente, che la vita cristiana non solo è buona, segnata cioè dai tratti della bontà e dell'amore, ma è anche bella e beata, è via di bellezza e di beatitudine, di felicità.
Chiediamocelo con onestà: il cristianesimo testimonia oggi la possibilità di una vita felice? Noi cristiani ci comportiamo come persone felici oppure sembriamo quelli che, proprio a causa della fede, portano fardelli che li schiacciano e vivono sottomessi a un giogo pesante e oppressivo, non a quello dolce e leggero di Gesù Cristo (cfr. Mt 11,30)?
Certamente la via cristiana è esigente, richiede fatica e sforzo al fine di "entrare attraverso la porta stretta" (Lc 13,24; cfr. Mt 7,13) ed essere conformi alla chiamata ricevuta.
Ma, d'altra parte, secondo l'insegnamento di Gesù e, ancor prima, secondo il suo esempio, la vita di chi si pone alla sua sequela non solo vale la pena di essere abbracciata ma è causa di beatitudine, è fonte di felicità.
Sì, le beatitudini sono una chiamata alla felicità. Sappiamo bene che solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi trovano anche una ragione per spendere quotidianamente la vita e, di conseguenza, sono felici. Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di dare un senso alla vita, anzi conducono al "senso del senso":
Gesù proclama beati uomini e donne i quali vivono alcune precise situazioni in grado di rendere pieno di senso il loro cammino umano sulla terra e, per quanti hanno il dono della fede, in grado di facilitare il loro cammino verso la comunione con Dio.
Ma il primo e più elementare senso delle beatitudini è la felicità, la gioia di scoprire che - grazie all'assunzione consapevole di un atteggiamento, di un comportamento - si può vivere un'esistenza che, pur a caro prezzo, ha i tratti di una vera e propria opera d'arte: la povertà in spirito, il pianto, la mitezza, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l'azione di pace, la persecuzione subita a causa della giustizia, sono situazioni capaci di produrre beatitudine già qui, in questa vita, e poi nel "mondo che verrà", quello in cui Dio regna definitivamente.

Tra passato, presente e futuro
Quanto appena detto ci consente di toccare un altro aspetto cruciale delle beatitudini: esse radicano saldamente nel presente coloro che le ascoltano, aprendoli nel contempo a un futuro di speranza. Le beatitudini vengono cioè indirizzate a persone che sono in condizioni umane di prova, di difficoltà, di contraddizione vissuta.
È in tale stato che essi scoprono di essere destinatari di un'azione di Dio, la quale è già oggi occasione di felicità e poi alla fine dei tempi sarà per loro ricompensa, ristabilimento di giustizia, pienezza di vita, gioia e pace.
La beatitudine non esclude fatica, sofferenza e sacrificio, ma è tale perché nasce dalla consapevolezza della situazione in cui si è.
Nello stesso tempo i "beati" sono felici anche a causa della speranza che li abita.
Detto altrimenti, se essi vivono la loro condizione presente con un'apertura al futuro - ed è questo il movimento intrinseco a ogni comportamento segnato dall'amore e dalla comunione - possono nutrire la speranza che l'ultima parola sulla loro vita sarà quella pronunciata da Dio nel Regno.
Occorre dunque guardarsi dalle interpretazioni delle beatitudini che ne svuotano la dimensione escatologica, oggi per altro fortemente minata da una cultura dominante che sembra aver del tutto dimenticato l'esistenza delle "realtà invisibili, quelle eterne" (cfr. 2Cor 4,18). No, le beatitudini si aprono al futuro, a quel compimento che ci sarà solo nel Regno, come Matteo ha lasciato intendere attraverso l'inclusione da lui stabilita tra prima e ottava beatitudine ("di essi è il regno dei cieli").
E proprio Gesù nella parabola del giudizio finale, quella che in Matteo conclude il suo ultimo grande discorso, ha unito queste dimensioni temporali attraverso parole di una semplicità disarmante e, nello stesso tempo, fonte di immensa sorpresa per i destinatari; parole che, ancora una volta, delineano un orizzonte di beatitudine e di salvezza possibile per ogni uomo (Mt 25,34-37.40).

Lo scandalo delle beatitudini
Siamo, come cristiani, ormai così abituati ad ascoltare le beatitudini che non cogliamo più la loro paradossalità, il loro essere un pungolo che mette in questione la nostra fede, la loro dimensione di "scandalo".
E così dimentichiamo che le beatitudini sono anche "linguaggio della croce" (1Cor 1,18), capace di confondere ogni saggezza umana (cfr. 1Cor 1,19-25)!
In altre parole, a chi scruta con attenzione la realtà quotidiana del nostro mondo, sorge spontaneo chiedersi come sia possibile proclamare beati, felici, veri pellegrini verso un futuro di speranza quanti sono poveri e miti, quanti piangono, quanti sono affamati di giustizia fino a essere perseguitati.
Eppure queste beatitudini sono uscite dalla bocca di Gesù in una cultura e in una società simile alla nostra, dove vigeva la legge della forza, dove ciò che contava era la ricchezza, dove la violenza era a servizio del potere.
Occorre ribadire con forza che, ieri come oggi, le beatitudini sono e restano scandalose; e siccome colui che le ha vissute in pienezza è proprio colui che le ha pronunciate, Gesù, il quale per la sua rivelazione di Dio è finito in croce, allora - lo ripeto - le beatitudini sono linguaggio della croce.
E questo anche il motivo per cui le beatitudini non possono essere lette solo come un testo dall'aura poetica, o solo come un testo dai forti contenuti morali, o ancora solo come un testo sapienziale, fonte di ispirazione per la ricerca umana. Sono anche tutto questo ma, più in profondità, esse sono atteggiamenti vissuti radicalmente da Gesù Cristo e, come tali, devono diventare lo stile di vita dei suoi discepoli, i cristiani.
Insomma, per rendere realtà la buona notizia del Vangelo occorre vivere le beatitudini.
A tale riguardo, lungo i secoli c'è sempre stato chi si è interrogato sull'attuabilità delle beatitudini, se non fossero altro che semplici parole utopiche, prive cioè di un "luogo", di una realizzazione storica, a livello personale o comunitario.
Oggi, come in ogni generazione, siamo chiamati a lasciar risuonare la nuda domanda: è possibile vivere le beatitudini qui e ora? A mio avviso tale interrogativo ha sempre ricevuto e può ancora ricevere una risposta positiva, non però in modo trionfale o sovraesposto, non attraverso forme eclatanti che si impongano agli occhi degli altri uomini, bensì nelle vite quotidiane, sovente nascoste, di tanti uomini e donne: persone che, nonostante le loro contraddizioni e il loro peccato, hanno cercato e cercano di seguire il Signore Gesù vivendo il suo stesso stile di vita, lo stile "scandaloso" delle beatitudini. Sì, è sempre stato e sempre sarà possibile vivere le beatitudini: è in questo orizzonte "pratico" che siamo chiamati a riflettere su di esse.
Liberamente tratto dal libro: Le vie della felicità, Rizzoli, Milano 2010, p. 11-18

7-CHI HA RAGIONE: IL MONDO O DIO?
È difficile vivere il Vangelo, è difficile vivere nella storia il sogno di Dio che è la Chiesa

di Paolo Curtaz
Il Dio che ci svela Gesù è un Dio povero, un Dio misericordioso, un Dio mite, un Dio che ama la pace, un Dio che, per amore, è pronto a soffrire per l’uomo.
Dio non dona a ciascuno il suo, ma a ciascuno secondo quanto ha bisogno, privilegiando chi ha meno: un cuore povero, un cuore affranto riceve molta più attenzione e tenerezza di un cuore sazio che non ha bisogno di nulla. La beatitudine non consiste nel dolore, nella miseria, ma nel fatto che l'intervento di Dio colma il cuore di chi è affranto.
Gesù dice: se, malgrado la sofferenza, la persecuzione, il pianto tu sei sereno, beato, significa che hai riposto in Dio la tua fiducia, è lui il tuo unico sostegno; stai felice: hai trovato Dio, la felicità che non ti è tolta, la risposta grande alla vita.
Le gioie che viviamo sono dono suo, e vanno vissute, Dio ci chiederà conto di tutte le gioie che non avremo vissuto. Ma quanta più gioia c'è nel tuo cuore se, nel dolore, tu resti saldo in lui, l'unico bene che non ti può essere tolto!
Conoscere Dio, sapere che in lui soltanto riposa il tuo cuore, sovverte l'ordine delle cose.
Il mondo è aggressivo, ci vuole grinta per sfondare? Devi sempre dimostrare che vali? Al lavoro sei misurato e pesato continuamente? Tu resta mite, costruisci la pace, vivi nella giustizia, tu stai dalla parte di Dio.
Non c'è santo: o ha ragione il mondo, o ha ragione Dio.
Le Beatitudini sono promessa di un mondo nuovo, diverso, di una logica che siamo chiamati a scrivere nella piccola vita delle nostre piccole comunità radunate intorno al pane di Dio.
È difficile vivere il Vangelo, lo so bene, difficile vivere nella storia il sogno di Dio che è la Chiesa.
Ma la fatica che faccio nel restare tassellato al Vangelo, lo sforzo eroico che compio nella conversione alla logica del Regno, anticipa e realizza le Beatitudini.
E se avesse ragione Dio?
Liberamente tratto dall’omelia del 3 febbraio 2008, www.tiraccontolaparola.it

8-BEATI I POVERI IN SPIRITO perché di essi è il regno dei cieli
Felici sono le famiglie che pongono la loro fiducia in Dio anziché nei propri mezzi e forze, le famiglie che non hanno sicurezze all'infuori di Lui, che sanno di essere radicalmente dipendenti da Dio.

di Letizia e Livio
Bisognosi di Dio: è la condizione in cui ci siamo sentiti nella nostra non lunga esperienza di coppia e di famiglia, di fronte alla sproporzione avvertita tra le nostre capacità umane e la missione a cui siamo chiamati - vivere il sacramento del matrimonio e custodire le vite sbocciate dalla nostra unione. Con la chiara consapevolezza, non solo teorica, ma nella pratica quotidiana, che senza il Suo aiuto non saremmo andati da nessuna parte, non avremmo potuto fare nulla di buono, né come sposi né come genitori. E proprio la fede-certezza in questo sostegno dall'Alto ci ha liberato e ci libera dalle nostre paure e insicurezze e ci ha permesso di superare i momenti di difficoltà.

Affidarsi a Dio e a Maria...
Sin dall'inizio ci ha guidati l'intuizione che affidandoci a Dio sarebbe stato Lui a portare avanti il nostro matrimonio e il nostro compito genitoriale, senza con questo voler sminuire l'importanza del fare la nostra parte con impegno. Abbiamo espresso ciò, consacrando il nostro matrimonio - in un apposito momento nel rito religioso - e successivamente i nostri figli alla Madonna, Regina della pace e della famiglia.
Possiamo testimoniare che grazie a questo atto di fede, da rinnovare e vivere ogni giorno, abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare una particolare premura del Signore, attraverso Maria, nelle vicissitudini della nostra vita di coppia e familiare, nonostante ciò non faccia venire meno le inevitabili fatiche di cui essa è tessuta.
Ci sono stati alcuni momenti importanti del nostro cammino, in cui abbiamo avuto la grazia di vivere in modo particolare questo atteggiamento di fiducia, e ad alcuni di essi volevamo accennare.

... per il matrimonio
Dopo un breve fidanzamento, accompagnato da un percorso di discernimento con il nostro Padre spirituale, abbiamo deciso di sposarci in un periodo in cui non avevamo né casa né lavoro: ma in breve tempo una parrocchia ci ha offerto di vivere in una casa che non veniva utilizzata ed abbiamo così potuto fissare la data del matrimonio. Successivamente è arrivato anche il lavoro, seppur all'inizio precario.

... per il primo figlio
Dopo un periodo di qualche anno, durante il quale avevamo cercato di posticipare l'arrivo dei figli (usando i metodi naturali), stavamo cercando il primo bambino, nonostante la situazione non fosse particolarmente "stabilizzata" in termini di sicurezze umane. Ci accompagnava un certo timore a diventare genitori, e, avendone già perso uno, un po' di paura aggiuntiva.
Alla fine di un pellegrinaggio, appena prima di lasciare Medjugorje, Livio è entrato in una libreria ed è rimasto colpito da un libro, sentendo quasi un impulso a prenderlo dallo scaffale e aprirlo: dopo una certa titubanza, facendo ciò, è venuto fuori un paragrafo dal titolo Non abbiate paura di avere figli! In esso veniva riportato questo messaggio della Madonna: "Avete pochi figli, fate figli, non abbiate paura di avere figli! Prima di essere i vostri figli sono i miei figli. onsacrateli al mio Cuore immacolato" (agosto 1984).
Siamo rimasti colpiti da questa strana "coincidenza". E da quel momento è venuta meno la paura. E dopo pochi giorni abbiamo saputo che Letizia era di nuovo incinta.
Quella parola ci ha guidato nell'atteggiamento di fondo verso il nostro primo figlio e poi verso il secondo.

... e per la secondogenita
Dopo circa 9 mesi dalla nascita del primogenito, infatti, abbiamo scoperto di aspettare una bambina. La cosa ci ha colto di sorpresa ed era completamente fuori dai nostri programmi. Soprattutto Letizia all'inizio non ha preso molto bene la cosa ma poi è prevalso l'affidamento e la certezza che, se ci veniva fatto un dono così grande come quello della vita, era per il nostro bene e Dio ci avrebbe aiutato. E infatti abbiamo potuto costatare, con stupore, questo aiuto concreto, al di là di quello che potevamo immaginare: gestire i due bambini è stato più facile di quello che ci aspettavamo.
Adesso siamo contenti di averne due, quasi della stessa età, e ci diciamo che se fosse stato per noi, in attesa delle condizioni ottimali, forse non avremmo più fatto il secondo figlio.
Come dicevamo, li abbiamo consacrati sin da subito alla Madonna e a Lei, che è Madre, li affidiamo ogni giorno, certi che se ne farà carico molto più e meglio di quanto possiamo riuscire noi con le sole nostre forze e che compenserà alle nostre mancanze. E questo ci dà tanta pace.

Affidarsi ogni giorno
Per concludere, nel nostro oggi, costellato, accanto a gioie e consolazioni, anche da fatiche, da non molte sicurezze umane, impressioni di fallimenti e cose che non capiamo, cerchiamo, con semplicità, di abbandonarci a Lui, sapendo che "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).
Ci sembra questa la scelta più ragionevole, che richiede un atteggiamento attivo, spesso non facile, sofferto e si costruisce e custodisce ogni giorno con un impegno costante di preghiera. Ma il nostro sforzo è soprattutto quello di non mettere troppi ostacoli alla Sua azione.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo capaci di fidarci ed affidarci a Dio? Cerchiamo il sostegno di Maria in questo affidamento?
• Qual è lo stile della nostra casa riguardo all’uso dei beni? In che cosa Gesù ci interpella oggi?
• Riguardo alle nostre "cose" (denaro, casa, attività, beni...) in che cosa io tengo così più al possesso al punto di esserne geloso se qualcuno invade la mia competenza?
• In questo momento, pur nelle nostre povertà, cosa ci rende beati?

9-FRAMMENTI

Beati voi coniugi, poveri in spirito di tutto ciò che non soddisfa la vostra sete di verità, perché il Signore vi guarda con amore di predilezione. Camminando insieme, sotto lo sguardo di Dio, potete gustare ogni giorno la felicità del suo Regno.
R. Henckes

10-MAGISTERO: Nei poveri la Chiesa serve il suo Maestro

Come Cristo è stato inviato dal Padre " ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito "… così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l'indigenza e in loro cerca di servire il Cristo.
Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium 8

11-RIFLESSIONI

Per poveri in spirito si intendono persone veramente povere, misere anche materialmente (letteralmente, in greco, i "pitocchi").
L'espressione non riguarda solo un atteggiamento dell’animo, semmai il fatto che vivono questa condizione nell’abbandono a Dio, totalmente fiduciosi in lui. Non hanno nulla e per questo possiedono il regno di Dio: di essi è il regno dei cieli.
Nella Bibbia sono i piccoli, coloro che non possono contare sulle proprie forze, ma si affidano ad altri per vivere. Tale debolezza diventa la loro forza, poiché il loro diritto è difeso dal re. Possiedono il Regno, cioè Dio stesso, sino da ora: questo è il motivo della loro beatitudine, ed è sufficiente!
Perciò, se inizialmente l'espressione "poveri in spirito" indica una condizione sociale ed economica, per Gesù diviene espressione della fede, il non contare sulle proprie forze (cfr. Mt 6,26-34). Il discepolo ha fiducia in Cristo e basta: non pone la sua fiducia nelle sicurezze garantite dal successo.
Non è quanto vediamo guardando un neonato addormentato tra le braccia della madre, sereno, roseo in viso, totalmente abbandonato?
Dipende totalmente dagli altri, eppure non si angoscia, si fida. Anzi, si affida.
Non è questa la cifra della fede? O la vera povertà vissuta in spirito?
Francesco Scanziani.
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

Non c'è alcuna contrapposizione tra Matteo, che parla dei poveri in spirito, e Luca, secondo il quale il Signore si rivolge semplicemente ai "poveri".
È stato detto che Matteo ha spiritualizzato il concetto di povertà inteso da Luca all'origine in senso esclusivamente materiale e reale, e che in questo modo lo ha privato della sua radicalità. Chi legge il Vangelo di Luca sa perfettamente che proprio lui ci presenta i "poveri in spirito", che erano per così dire il gruppo sociologico in mezzo al quale poteva avere inizio il cammino terreno di Gesù e del suo messaggio. Ed è chiaro, viceversa, che Matteo rimane totalmente nella tradizione della pietà dei Salmi e quindi nella visione dell'Israele autentico, che in essa aveva trovato espressione.
La povertà di cui lì si parla non è mai un fenomeno puramente materiale [...] ma neanche un atteggiamento puramente spirituale. Certo, la radicalità a noi proposta dalla vita di tanti autentici cristiani [...] non è vocazione di tutti. Ma la Chiesa, per essere comunità dei poveri di Gesù, ha sempre bisogno di persone che sappiano compiere grandi rinunce [...] e mostrino così la verità delle Beatitudini per scuotere tutti affinché intendano il possesso solo come servizio.
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 100-101

12-BEATI GLI AFFLITTI perché saranno consolati
Beate quelle famiglie che sanno mettere la propria spalla sotto la croce di coloro che sono nell'afflizione, senza la pretesa di capovolgere le situazioni di oppressione ma per condividerle assieme.

di Cinzia e Paolo Brugnera
Hai un bel dire caro Gesù: "Beati gli afflitti!" come si fa ad essere beati quando un macigno ti cade sulla testa, stordendoti? Come si fa a pensare che una malattia di un figlio possa essere motivo di gioia?
Come può l'infermità di un genitore diventare motivo di serenità? Come può la perdita del lavoro lasciarti tranquillo?
Come le separazione dal coniuge ti può dare conforto? Come la morte di una persona cara può diventare motivo di consolazione?

Gesù e l’afflizione
Eppure, se ci pensiamo, ci ritorna alla mente la tua compassione per la vedova di Nain (Lc 7,11-17), il pianto per Lazzaro (Gv 11), la sollecitudine con cui ti accostavi a malati nel corpo e nello spirito da Cafarnao (Mc 1,22 ss) a Gerusalemme passando per Gerico (Lc 18,35), il tuo pianto per la città santa Gerusalemme (Lc 19, 41-44), il presentimento per ciò che ti sarebbe capitato (Lc 12, 49), la solitudine angosciante di non essere capito (Mc 8,32-33; 9,32; 10,35-40), o dell'essere abbandonato (Gv 6,67)…
La tua vita pubblica è costellata di incontri con la sofferenza, il pianto, il dolore, la solitudine, l'angoscia, la morte. Anche tu come noi.
Scusa, Gesù, l'impertinenza; perdona la nostra provocazione, ma per noi è veramente difficile entrare nella tua logica, abbiamo difficoltà ad accettare la vita per quello che è: soffio di Dio.
Vorremmo darci noi questo soffio, ancora ci illudiamo di bastare a noi stessi.
Alla tua sequela, tu ci aiuti a comprendere che ci sono due tipi di afflizione: una che può far disperare la persona, la può portare alla morte fisica, morale o spirituale; l'altra è quella di cui parla la Bibbia e che provoca la visita di Dio (Es 4,31; 14,31), del Signore (Gv 2,11) che induce a credere nella sua provvidente bontà.

L’afflizione nella coppia
Anche nella vita a due questo si realizza: c'è l'afflizione che fa perdere alla coppia o ad uno dei coniugi ogni speranza, per cui non ci si fida più dell'amore e della verità; questa afflizione distrugge la persona o la coppia dal di dentro a volte fino a condurre all'annientamento.
Ma c'è anche un'afflizione che deriva dalla scossa provocata dalla verità, dall'aver aperto gli occhi grazie al dolore che si è provato e può portare ad un rinnovamento profondo nella coppia. È un'afflizione che insegna alla giovane famiglia ad amare e sperare di nuovo. Lo sguardo nuovo che la fede ci dona consente di ricominciare da capo e di rinnovarci nel rapporto di coppia e verso i figli.
Anche un momento di sbandamento di uno dei coniugi preso in tempo, guardato con gli occhi di Dio, pur se comporta molta sofferenza, diventa occasione per volersi più bene tra sposi.
Probabilmente il segreto è vivere tutto ciò che accade sia nella vita di ciascuno sia nella vita di coppia, nell'ottica dell'amore irriducibile, quello che Dio riserva per ciascuno di noi, così da sperimentare quella serenità radicale nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia…
Perché tu, Signore Gesù, hai vinto la morte, una volta per tutte e hai dato un senso alla nostra vita, anche se turbata e travagliata.

Sapersi consolare a vicenda
Certo noi saremo consolati. Beati noi se accetteremo di lasciarci consolare.
Anche in coppia, abituamoci a consolare e a lasciarci consolare a vicenda, in modo che l'altro diventi strumento di azione di Dio nella nostra vita.
Consolando e consolati potremmo affrontare le difficoltà e le prove con uno spirito nuovo: non nascondendole né anestetizzandole ma entrandovi dentro, parlandone apertamente con franchezza e coraggio e trasformandole in esperienze di crescita umana e di liberazione.
Le tribolazioni affrontate con uno spirito nuovo diventano doglie di parto e consolano e danno nuova fecondità alla coppia.
E Dio sarà con noi e veglierà sulla nostra vita di singolo e di coppia. La sua presenza farà sì che l'uno per l'altra, e i due per il mondo possano essere balsamo che cicatrizza (Ger 8,22) e che profuma tutt'intorno perché cresce nel loro giardino (cfr. Ct 5,1;6,2).

Essere beati
Allora anche l'afflizione può diventare strumento di con-passione: sono beate quelle famiglie che sanno mettere la propria spalla sotto la croce di altri che sono nell'afflizione, senza la pretesa di capovolgere le situazioni di oppressione ma per condividerle assieme.
È una sorta di sofferenza passiva come quella delle donne sotto la croce di Gesù, un soffrire sotto il potere del male per proclamare che il male, la morte, sarà vinta e l'ultima parola sarà la gioia e la consolazione.
Beata l'afflizione che nasce dal non conformismo, dal guardare il mondo con gli occhi di Dio, promuovendo la fedeltà della coppia, la generosità nell'accogliere i figli, la domenica come giorno del Signore, la difesa della vita sempre e comunque, un senso forte di legalità e di giustizia, la denuncia dell'ingiustizia e dell'oppressione.
Beata l'afflizione che pone un limite al potere del male, che sopporta l'incomprensione o il disprezzo di chi non accoglie la vita, di che rinuncia alla fedeltà, di chi vede solo problemi e mai risorse, di chi non apprezza la sobrietà e l'uso consapevole dei beni.
Beata l'afflizione che dà un senso alla vita, al dolore, alla solitudine, alla morte, all'abbandono.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Avere più beni, un migliore tenore di vita rende più felici?
• In chi, in che cosa poniamo la nostra fiducia?
• I rovesci che capitano nella vita di una famiglia sono solo eventi maligni?
• Quanti malati possiamo andare a trovare, persone sole e di tutte le età: dai nonni a qualche amico...
• Chi riesco a vedere afflitto e quale consolazione posso portargli?
• Quale consolazione possiamo dare noi due insieme?

13-FRAMMENTI

Siete beati come coppia anche quando mille problemi e fatiche vi affliggono e nell'unità vi comunicate i dubbi e li deponete insieme ai piedi del Signore, perché Egli stesso si farà carico dei vostri problemi, impegnandosi a dare ad essi la migliore soluzione e a consolarvi. Nessuno potrà riuscire a soffocare la gioia interiore che vi procura l'amore reciproco e la benedizione del Signore.
R. Henckes

14-RIFLESSIONI

Beati gli afflitti non perché soffrono: non avrebbe senso, sarebbe solo consolatorio o persino offensivo. Piuttosto, anche dentro la sofferenza Gesù osa aprire uno spiraglio. Per questo è una beatitudine "al futuro": perché saranno consolati.
Non è l'esaltazione della sofferenza, semmai della virtù della consolazione. Gesù non chiede il miracolo di togliere il dolore, ma di consolare chi soffre, condividendone le lacrime, facendo sì che non sia più solo. Ne fu l'incarnazione viva Madre Teresa di Calcutta, con quello sguardo asciutto e penetrante con cui accompagnava chiunque, anche fino all'ultimo passo.
Quanti malati possiamo andare a trovare, persone sole e di tutte le età: dai nonni a qualche amico...
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

È bene essere afflitti e chiamare beata l'afflizione? Ci sono due tipi di afflizione: una di chi ha perso la speranza, che non si fida più dell'amore e della verità e quindi insidia e distrugge l'uomo dall'interno; ma c'è anche l'afflizione che deriva dalla scossa provocata dalla verità e porta l'uomo alla conversione, alla resistenza di fronte al male. Questa afflizione risana, perché insegna all'uomo a sperare e ad amare di nuovo.
Un esempio del primo tipo di afflizione è Giuda che - colpito dallo sgomento per la sua caduta - non osa più sperare e si impicca in preda alla disperazione. Al secondo genere appartiene l'afflizione di Pietro che, colpito dallo sguardo del Signore, scoppia in lacrime risanatrici: solcano il terreno della sua anima. Ricomincia da capo e diventa un uomo nuovo. […]
Un’immagine di afflizione risanatrice è quella di Maria che sta sotto la croce con Maria di Magdala e Giovanni. In un mondo pieno di crudeltà e cinismo o di connivenza dettata dalla paura ci troviamo di fronte ad una piccola schiera di persone che restano fedeli; non possono ribaltare la sventura ma nel loro con-patire si schierano dalla parte del condannato, e con il loro con-patire si trovano dalla parte di Dio, che è Amore.
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 89-90

15-MAGISTERO: Cristo ci fa scoprire perché la sofferenza

Per poter percepire la vera risposta al " perché " della sofferenza, dobbiamo volgere il nostro sguardo verso la rivelazione dell'amore divino, fonte ultima del senso di tutto ciò che esiste. L'amore è anche la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell'insufficienza ed inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il " perché " della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità dell'amore divino.
Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Salvifici doloris, 13

16-BEATI I MITI perché erediteranno la terra
La mitezza non è un esercizio d'orientale imperturbabilità, ma è segno di quell’amore, che solo Cristo, il modello dell'Amore, ci può insegnare. Così potremo ereditare la terra.

Di Stefania e Joram Gabbio
Come vivere la mitezza nella coppia? Quali i requisiti, quali gli ingredienti? Prima ancora: cos'è la mitezza? E da ultimo: quali i suoi frutti?
Mettiamo ordine. Mitezza è innanzitutto, secondo noi, accoglienza dell'altro.
È mitezza il saper ascoltare, cedere negli scontri, pazientare nelle attese. Insomma: accorgersi che l'altro è importante, e che non posso permettermi di aver la fretta di inondarlo di parole, o di averla vinta in fretta (e furia), o di ottenere tutto (e subito).
E allora lascio spazio, lascio tempo, perché il mio sposo e la mia sposa sono preziosi. Non posso bruciare o agghiacciare chi è di fronte a me, debbo creare il clima mite che gli permetterà di sbocciare non quando lo decido io, ma quando sarà tempo.
Insomma: mitezza è mettere da parte l'orgoglio e l'egocentrismo.
Maturano, i frutti più gustosi, solo con la calma opportuna: il calore eccessivo accorcia i tempi ma li rende di plastica.
E l'estremo opposto? Qual è la gradazione dalla parte inversa del bruciore? Certo la freddezza, cioè la passività, l'arrendevolezza, che comportamento mite non è. Gesù fu un mite, un arrendevole no di certo.
Proviamo a incarnarci nel concreto. Ti accorgi o sei convinta che il tuo parere è migliore per la nostra famiglia, ma io proprio non lo voglio capire.
Sai aspettare: mi stai dicendo, non a parole, che io sono più importante di quel parere. Sei stanca ma ce la metti tutta, e invece di sventolare la tua fatica lavi ancora i piatti, accudisci ancora la nostra bimba.
Sai mettere noi, non te al primo posto. Ascolti per l'ennesima volta quel mio parente noioso, o offensivo.
Grazie: sai oscurare le tue ragioni, peraltro buone, per dar priorità alla mia gioia.

La mitezza è pazienza
Certo, mitezza è pazienza. Solo che il termine pazienza è imparentato con il termine patire. E patire è imparentato con compatire. Bisogna imparare a con-patire l'altro, cioè ad essere capaci di soffrire un po' con lui, dargli una mano a portare la croce. Abbiamo provato a dire cosa è mitezza, e siccome le idee non incarnate sono colorate, ma scoppiano come bolle di sapone, c'è venuto un po' naturale dire e dirci in cosa consiste, nella coppia.
L'ingrediente è l'amore. Non quello entusiasta, non quello euforico, non quello tre metri sopra il cielo.
Quello che sta invece nel cielo con la testa, ma con le radici per terra.
La mitezza che non è potata dalla prova rischia gli abbagli della finzione, o dell'arrendevolezza, appunto.
Poi arrivano le prove, così il galateo va a farsi benedire, nel senso che necessita di un aiuto potente, soprannaturale, qualcosa di anche più che una benedizione. Sì, un sacramento. Con la grazia di Cristo.
La mitezza non è esercizio d'orientale imperturbabilità, ma segno dell'amore, che solo il modello dell'amore ci può insegnare. Solo così erediteremo la terra, ma una terra rigogliosa, quella del paradiso terrestre che Adamo ed Eva, cioè noi, abbiamo perso per orgoglio. Eva ed Adamo non si sono fidati di Dio, ma si sono fidati della loro fretta precipitosa e precipitante. Lasciamo stare la loro, la nostra mela, per parlare di frutti più succulenti allora.

I frutti della mitezza
Al termine delle giornate che viviamo insieme sapremo ripensare alle pretese che l'altro non ha avuto verso di noi, a tutti i tempi e gli spazi in cui lui o lei non è stato protagonista, per amore.
Ci viene in mente la mite ma appassionata trepidazione delle vergini savie che attendono lo sposo: loro non hanno preteso arrivasse subito, e neanche a breve; si sono preparate, ponendo i tempi dello sposo al primo posto, e non la loro pretesa di fretta.
Chiediamo, come marito e moglie, diventare miti. L'agricoltura ci presta un’immagine, quella del terreno arato, smosso, accogliente. Non duro e secco, non impantanato e fangoso. Lì, in un terreno di mitezza, preghiamo che germinino i nostri figli.
Speriamo possano crescere in un terreno accogliente che li riceva avvolgente, ma che offra a questi frutti la solidità indispensabile per radicare radici. Anche così, forse, si può disegnare la mitezza che costruita nella coppia guarda ai figli.

L’esempio di Nazareth
Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, dice il Signore. Lui non ha asfaltato la terra per rifarla.
Forse gli sarebbe stato più conveniente buttare tutto giù e ricostruire da zero; così ragioneremmo noi di fronte ad un edificio fatiscente.
E invece Cristo non ha ragionato così, non ha fatto conti di economia ed ha pazientato trent'anni. Creatore del mondo non l'ha disfatto, ma in punta di piedi se n'è fatto parte. Con dolcezza, mitezza, se n'è incarnato: ha atteso trent'anni per cambiare il mondo con la sua predicazione, e ancora anni per salvarlo con la Sua Pasqua.
Noi reclamiamo di cambiare l'altro subito, di imporre la nostra idea, di avere in tasca la risposta. Se così avesse fatto duemila anni fa un falegname chiamato Giuseppe la storia narrata nei vangeli sarebbe stata un'altra. Invece ecco un mite.
Mite fu Maria, non arrendevole né aggressiva di fronte all'intrusione dell'angelo. Già, Giuseppe e Maria, a Nazareth: uno sposo ed una sposa miti, una famiglia. Se i figli sono i frutti dell'amore il frutto più bello di quella famiglia di miti lo conosciamo.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quale educazione passa nella nostra famiglia? Che cosa insegniamo ai nostri figli? Mitezza evangelica o dominio?
• Nel dialogo-relazione con il coniuge, quando mi succede di avere uno stile 'violento', o uno stile di mitezza evangelica?
• E nella educazione dei figli?
• E per la salvaguardia del creato quali scelte concrete di economia domestica riusciamo a fare (risparmio idrico ed energetico; raccolta differenziata dei rifiuti; uso responsabile dei mezzi privati e pubblici...?)

17-FRAMMENTI

Beati quelli che non sono violenti: Dio darà loro la terra promessa. Beati voi quando avrete abbandonato il linguaggio prepotente dell'offesa, della rivendicazione dei meriti, del giudizio o della spartizione fredda dei compiti, per assumere la veste della mitezza, della tenerezza, dell'attesa umile, del consenso.
R. Henckes

18-RIFLESSIONI

La mitezza è virtù dimenticata, talvolta persino disprezzata. Confusa con debolezza e buonismo, equivocata come fosse sottomissione, arrendevolezza. No! Se non altro perché Gesù non era così.
I miti sono coloro che assomigliano a Gesù: non ricorrono alla malizia, anche nelle situazioni disperate, perché affidano la loro difesa a Dio; credono nella verità e nella giustizia. Più che deboli, sono coraggiosi.
Essi lottano - e duramente - contro il male, ma non con le sue stesse armi (propagandolo), ma con le sole che lo sconfiggono: il bene!
Questa è la vera risposta al male. Per questo avranno in eredità la terra: è la sola forza che vince il mondo (cfr. Mt 5,23-24).
Gesù non esonera dal "reagire" al male, semmai dice "come" è possibile farlo.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

Gli umili, i semplici sono, anche dal punto di vista puramente storico, più durevoli dei violenti. Ma vi è di più.
La graduale universalizzazione del concetto di terra a partire dai fondamenti teologici della speranza corrisponde anche all'orizzonte universale che abbiamo trovato nella promessa di Zaccaria: la terra del Re della pace non è uno Stato nazionale: si estende "da mare a mare".
La pace mira al superamento dei confini e a un mondo rinnovato mediante la pace proveniente da Dio. Il mondo appartiene alla fine ai "mansueti", ai pacifici, ci dice il Signore. Dovrà diventare la "terra del Re della pace".
La terza Beatitudine ci invita a vivere in questa prospettiva.
Per noi cristiani, ogni assemblea eucaristica è il luogo in cui il Re della pace esercita la sua signoria.
La comunità universale della Chiesa di Gesù Cristo è così un progetto anticipatore della "terra" di domani, che dovrà diventare una terra della pace di Gesù Cristo.
Anche in questo punto la terza Beatitudine è in grande consonanza con la prima: nella sua prospettiva diviene fino a un certo punto evidente che cosa significhi "regno di Dio", anche se questa espressione ha una portata che va al di là della promessa della terra.
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 108-109

19-MAGISTERO: Chiesa e mondo: nel segno della mitezza

Il colloquio [tra Chiesa e mondo] è un modo d'esercitare la missione apostolica; è un'arte di spirituale comunicazione… [Suo] carattere è la mitezza, quella che Cristo ci propose d'imparare da Lui stesso: Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore; il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo.
La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l'esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso.
Paolo VI, enciclica Ecclesiam suam, n.83

20-BEATI QUELLI CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA perché saranno saziati
Se non diamo per scontato che è inevitabile che le cose vadano in un certo modo e ci mettiamo in ricerca, scopriremo realtà che ci erano nascoste e saremo in grado di condividerle con i nostri figli.

di Nicoletta e Davide Oreglia
Si potrebbe forse dire, leggendo questa beatitudine, che ci siano delle persone al mondo che non hanno fame e sete di giustizia?
Non si tratta di un desiderio presente nel cuore di tutte le persone?
Di un piatto ricco di nutrimento, indispensabile per la crescita personale e per quella di tutti?
Sarà che a qualcuno risulta indigesto? E a chi? Ai furfanti?

Tra dire e fare
Nelle intenzioni, ognuno di noi dice di avere fame e sete di giustizia per sé e per gli altri, ma nelle azioni quotidiane non è così scontato comportarsi di conseguenza. La giustizia ci fa paura quando la viviamo come una realtà che può sottrarci sentimenti, affetti, cose.
C'è un'idea di giustizia ingiusta e crudele che alberga nei nostri cuori e nasce quando pensiamo di esserci fatti da soli, di avere conquistato noi nostra moglie/marito, di avere "fatto" solo noi i nostri figli… allora nasce la ha paura di Dio, il desiderio di stargli lontano e con esso la voglia di tenere gli altri distanti tenendo chiuse le proprie mani.
Ci sentiamo padroni di noi stessi ed anche di coloro che amiamo e, dopo aver sperimentato con stupore di non poter comandare ad un solo capello del nostro capo di cadere o spuntare, iniziamo a guardarci attorno con timore.
Emerge il bisogno di tutelare se stessi, i figli, il coniuge e lo si fa nell'unico modo che si conosce quando ci si ritiene artefici di noi stessi: la difesa ad oltranza da tutto, buono e brutto che sia.
C'è un solo modo per uscire da questa trappola asfissiante, ed è quello di riconoscere che tutto ciò che siamo e abbiamo dipende solo in parte da noi, ma molto di più da Lui.

Nostro o di Dio?
Abbiamo ricevuto tantissimo e, se ci poniamo da questo punto di osservazione, allora diventiamo esperti nello scovare i doni ricevuti da Dio, che è un generoso e discreto benefattore.
La vita, la salute, la fede, coloro che amiamo ci sono stati donati (consegnati e affidati) ed il Signore è il primo a desiderare e a fare di tutto perché nulla e nessuno vada perso ("Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli" Mt 18,14).
Da questo monte delle beatitudini potremo allora scorgere un'umanità che non è fatta di super eroi che abbattono i sistemi del male con i loro super poteri, ma uomini e donne mossi innanzitutto dalla riconoscenza per ciò che hanno avuto da Dio. Quindi desiderosi di essere canali perché la forza, la grazia, la tenerezza di Dio possano raggiungere il maggior numero di fratelli.
Diventare canali e non sorgente perché si scopre presto la presenza del limite in noi e negli altri, ma non in Dio che ci sostiene.

La giustizia secondo Dio
Rivestiti di questa armatura il passo successivo sarà quello di aprire ulteriormente gli occhi e guardarsi attorno per vedere e sentire cose nuove e chiedersi "Cosa si può fare? Cosa posso fare io con la mia famiglia?".
Il modo di Dio di andare incontro ai fratelli è proprio questo, mettere dei semi di amore nel cuore degli uomini. E se inizi a farti delle domande del tipo: "Ma perché capitano certe cose nel mondo del lavoro? E nelle famiglie? E nelle scuole?" allora, oltre al cuore, si apre anche la mente e inizi a diventare uno che cerca le risposte e non si accontenta più di quello che gli viene raccontato.
Inizi a diffidare di quei TG che parlano solo di cronaca nera, perché esiste anche la cronaca bianca e noi la vediamo dal vivo, possibile che non si possa mai raccontare? Basta servizi sui saldi, i cenoni di Natale o Pasqua… quando a pochi km da noi si muore ancora per le carestie, la carenza di acqua, le condizioni igieniche primitive…

Servono testimoni
Poi si cercano testimoni credibili che ci sappiano raccontare il mondo vicino e lontano e si inizia a serbare queste relazioni che abbiamo scoperto nel cuore.
Ci vuole un po' di tempo per rendersi conto che le cose non stanno come le credevamo. Poco alla volta poi si raccontano; prima di tutto ai nostri figli perché anche loro possano stare sul monte delle beatitudini con noi!
Da lì potranno vedere l'amore di Dio che avvolge tutti, scoprire il mistero della sofferenza e della consolazione, della morte e della Risurrezione, sapere che nulla e nessuno va perduto.
Così scopriranno di avere mani che sanno aiutare e piedi che possono camminare con, verso e per i fratelli senza piedi o senza energie.
Capiranno che molto può dipendere da loro ma che tutto dipende da Dio. Ecco, giustizia è stata fatta, abbiamo ridato al Dio della vita la vita di tutti, anche la nostra!

Solo Lui misurerà
Da Lui ora possiamo accogliere le fatiche e le povertà di chi vive vicino o lontano da noi. Fame e sete di giustizia viene a chi non si sente sazio di se stesso ma pieno dei doni di Dio.
Per tenere nel cuore ben impresso il testo delle beatitudini bisogna notare che i beati sono coloro che cercano, non si fermano e non si arrendono, ma non si specifica mai se i loro sforzi saranno appagati da frutti che l'uomo può misurare con le sue categorie.
Allora camminiamo ancora più leggeri perché possiamo lasciare i metri e le tabelle di verifica a casa… Qualcuno misurerà ma non saremo noi.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Noi quanto desideriamo la giustizia?
• Ci capita di scendere a compromessi, di praticare silenzi e omertà che finiscono per danneggiare qualcuno, spesso i più indifesi?
• Il nostro parlare è sempre: Sì, si, No, no?
• In che misura, nel nostro ragionare, ci adeguiamo al pensiero comune e non sosteniamo i valori cristiani?

21-FRAMMMENTI

Beati voi tutte le volte che voltate le spalle alla superficialità, ai pettegolezzi, alla ricerca spasmodica del denaro e della carriera e sentite sorgere in voi, potente, la fame e la sete delle realtà essenziali e giuste, perché è lo stesso Signore, il Giusto, che vi ha messo quella fame e che viene a voi per saziarvi abbondantemente. Riceverete il centuplo sin da questa terra e il cielo in eredità.
R. Henckes

22-RIFLESSIONI

Giustizia è una parola troppo di moda, oggi. Abusata, rivendicata. Ma non è più intesa come virtù. Quella di cui parla Matteo non è altro che "la volontà di Dio", la sintesi del vangelo, non tanto una categoria giuridica!
Questa beatitudine esprime il desiderio che il Regno venga (come preghiamo nel Padre nostro), che si viva il vangelo, attendendolo come si desiderano il cibo e l'acqua. Che forza ha questa sintesi di Gesù, che evoca i bisogni elementari, vitali, per dire di Dio. La giustizia di Dio è la vita dell'uomo.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

Questi beati sono persone che non si accontentano della realtà esistente e non soffocano l'inquietudine del cuore, quell'inquietudine che rimanda l'uomo a qualcosa di più grande e lo spinge a intraprendere un cammino interiore - come i Magi dall'Oriente che cercano Gesù. Sono persone dotate di una sensibilità interiore, che le rende capaci di udire e vedere i deboli segnali che Dio manda nel mondo e che in questo modo rompono la dittatura della consuetudine.
Chi non penserebbe qui agli umili santi con i quali l'Antica Alleanza si dischiude alla Nuova e si trasforma in essa?
A Zaccaria ed Elisabetta, a Maria e Giuseppe, a Simeone e Anna i quali, ognuno a suo modo, attendono con animo vigile la salvezza di Israele e con la loro umile pietà, con la pazienza della loro attesa e del loro desiderio "preparano le vie" al Signore?
Ma come non pensare anche ai dodici Apostoli - a uomini di origini spirituali e sociali molto diverse, che però, nel mezzo del loro lavoro, della loro quotidianità, avevano conservato il cuore aperto, che li predispose alla chiamata di Colui che è più grande?
O anche allo zelo appassionato di san Paolo per la giustizia, uno zelo male indirizzato, ma che lo prepara a essere gettato a terra da Dio e così condotto a una nuova perspicacia?
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 116

23-MAGISTERO: Dio vuole un mondo di giustizia

[Il Signore] ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili.
Queste parole [Lc1, 51-53] dicono che il mondo voluto da Dio è un mondo di giustizia. Che l'ordine che deve reggere i rapporti tra gli uomini si fonda sulla giustizia.
Che quest'ordine deve essere continuamente realizzato nel mondo ed anche che deve ogni giorno essere realizzato di nuovo, in rapporto alla crescita e allo sviluppo delle situazioni e dei sistemi sociali, in rapporto alle nuove condizioni e alle possibilità economiche, alle nuove possibilità della tecnica e della produzione e nel contempo alle nuove possibilità e necessità di distribuzione dei beni.
Giovanni Paolo II, Omelia del 31 maggio 1980 a Parigi

24-BEATI I MISERICORDIOSI perché troveranno misericordia
Riconciliandosi con se stesso, con il/la proprio/a amato/a, con il prossimo, con Dio costituiscono un unico atteggiamento possibile se ci lasciamo toccare dall’amore di Dio.

La misericordia tiene aperta la porta di casa al mondo, ai bisogni di quanti soffrono e per i quali il nostro aiuto può risultare davvero prezioso.

di Valeria e Mauro Bellini*
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3, 16-17).
Con queste parole Gesù ci rivela ad un tempo la sua missione, il disegno di salvezza per l'umanità voluto dal Padre, e l'essenza stessa di Dio: la Misericordia. Ce le riferisce l'apostolo Giovanni (il cui nome vuol dire proprio "Dio è Misericordia").
"Misericordia" in ebraico è tradotta con un termine che evoca le viscere materne, a richiamare l'atteggiamento materno, uterino, di compassione e attenzione verso l'altro: il cuore e le viscere si commuovono per prendersi cura dell'altro. Misericordia è avere a cuore i miseri, muoversi a pietà verso le miserie del nostro stesso essere, ciò che ci accomuna gli uni gli altri.
È da qui che discende la compassione, il cum-patire, il vivere assieme lo stesso pathos, il portare assieme la stessa Croce…

Atteggiamenti di misericordia
Nella celebrazione dei riti pasquali di quest'anno, le meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo per la prima volta sono state affidate ad una famiglia, i coniugi Danilo e Anna Maria Zanzucchi, iniziatori del movimento "Famiglie Nuove", nell'ambito del più ampio movimento dei Focolari.
Essi hanno sottolineato, assieme a papa Benedetto XVI, il cammino faticoso e difficile, specie in questi tempi di crisi economica e precariato a tutti i livelli, che le famiglie si ritrovano a vivere; le "incomprensioni, divisioni, preoccupazioni per il futuro dei figli, malattie e disagi di vario genere". In esse si riflette la Croce di Cristo. Se prendiamo consapevolezza di questa presenza, se viviamo in essa la compassione gli uni verso gli altri, allora realizziamo atteggiamenti di misericordia.

Camminare con speranza
Essere misericordiosi in famiglia, vivere il perdono tra coniugi, tra genitori e figli, è dunque possibile se si assume la Croce di Cristo: "lì troviamo il coraggio per continuare a camminare (…) Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci quando gli sbandamenti umani e le difficoltà rischiano di ferire l'unità della nostra vita e della nostra famiglia. Il mistero della Passione, morte e Risurrezione di Cristo incoraggia a camminare con speranza: la stagione del dolore e della prova, se vissuta con Cristo, con fede in Lui, racchiude già la luce della risurrezione, la vita nuova del mondo risorto, la pasqua di ogni uomo che crede alla sua Parola", afferma il pontefice.

Sentieri di misericordia
Non si tratta di impegnarci in uno sforzo volontaristico, psicologico, in funzione di una serenità di medio-lungo termine, all'interno della coppia, della famiglia, ma di un programma di vita che parte da noi e va oltre. Per quanti sono cristiani è il cammino e la missione stessa inaugurata da Gesù.
Ciascuno, in prima persona e assieme all'altro, deve impegnarsi a costruire sentieri di misericordia.
Riconciliandosi con se stesso, con il/la proprio/a amato/a, con il prossimo, con Dio. Non sono momenti separati da realizzarsi uno alla volta, per poi tirare le somme alla fine… no, si tratta di un unico atteggiamento possibile se apriamo il cuore alla Misericordia, se ci lasciamo toccare dall'amore di Dio.

Saper perdonare
Solo se facciamo esperienza della Misericordia di Dio, possiamo annunciarla agli altri. Perdonare, vuol dire donare al massimo di se stessi: un dono che si rinnova e si moltiplica. La gioia del perdono è indescrivibile, specie se a prezzo di un duro braccio di ferro con se stessi.
È gioia che riflette la vittoria del Risorto. La misericordia ci fa creature nuove, ci risorge a vita nuova!
Per questo occorre guardare a Cristo, alla sua Passione, unirci alla sua offerta d'amore. Se amiamo solo quelli che ci amano, dice il Signore, quale merito ne abbiamo?
Dobbiamo essere come il sole che sorge sui buoni e sui cattivi, perfetti come il Padre Celeste (cfr. Mt 5, 43-48). Essere cioè capaci di allargare il cuore, anche se questo ci costa, per comprendere la realtà. La compassione si fa comprensione, conoscenza profonda della vita. Non si conosce bene, se non con il cuore.
Del resto, senza il perdono, non è possibile una vita di comunione piena. La vita comune è la continua rivelazione dei nostri limiti, dei nostri difetti, e solo con un grande perdono è possibile ricominciare dopo ogni conflitto.

Aperti alla Misericordia
La misericordia vissuta tra gli sposi si fa luce, non solo per chi la vive. Si diventa testimoni di un Amore che salva. Si diviene fratelli con quanti incontriamo sulla nostra strada.
La posta in gioco è sempre la stessa: una vita autentica nell'amore, nella conoscenza del nostro essere comune, per cui il destino di ognuno ci riguarda.
La misericordia tiene aperta la porta di casa al mondo, ai bisogni di quanti soffrono e per i quali il nostro aiuto può risultare davvero prezioso.
Una famiglia che sa vivere della Misericordia, sa entrare in contatto con le proprie dinamiche, le conosce e sa che siamo tutti come vasi di creta che sfiorandosi si fanno male, ma soprattutto che Dio è più grande del nostro cuore, e che a Lui possiamo affidarci per accoglierci, riconciliarci e vivere ogni giorno la nostra pasqua, il nostro passaggio dalla morte alla vita...
Coppie di sposi che vivono così, alla fine contribuiscono a costruire la pace. Una beatitudine chiama l'altra. In fondo i costruttori di pace, i poveri in spirito, i puri di cuore, non sono forse donne e uomini di misericordia?
* Mauro Bellini è collaboratore di Missio Famiglie, un’iniziativa della Pontificia Opera Propagazione della Fede: www.famiglie.missioitalia.it

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Quando io do il mio perdono, lo faccio davvero 'gratis' come un dono, oppure pretendo, chiedo garanzie? Quali sono le mie difficoltà al momento di perdonare?
• Perché mi succede di dire 'scusami' invece che 'perdonami'? Che effetto fa in me quando l'altro/a cerca di scusarsi invece che riconoscere il proprio errore e chiedere perdono?
• Tra noi c'è chi solitamente prende l'iniziativa di riconciliarsi? Perché questo, avviene? Si crea qualche inconveniente da questa situazione?
• Quando è il momento di perdonarti, quanto pesano i sentimenti di rabbia che ho con te? Mi succede di restare intrappolato dentro il mio dolore?

25-FRAMMENTI

Beati voi che avete appreso da Lui l'arte della misericordia, perché avete trovato il segreto della felicità e della freschezza del vostro amore.
R. Henckes

26-RIFLESSIONI

È la virtù di Dio, di cui anche gli uomini devono rivestirsi (Mt 5,23-24.38-48). Il passaggio introduce la seconda parte delle beatitudini, prevalentemente rivolta verso gli altri e caratterizzata dall'aspetto più attivo: la carità.
Ecco l'unica arma che fa sparire il male dalla storia: il perdono.
Possibile a coloro che il male lo hanno ricevuto davvero, sulla propria pelle. Essi hanno la forza di cancellare la violenza e la cattiveria dalla terra, perché non la restituiscono, ma la annullano in sé.
Costoro hanno il potere stesso del Padre!
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

Ed ecco ora apparire il samaritano. Che cosa farà? Egli non chiede fin dove arrivino i suoi doveri di solidarietà e nemmeno quali siano i meriti necessari per la vita eterna.
Accade qualcos'altro: gli si spezza il cuore; il Vangelo usa la parola che in ebraico indicava in origine il grembo materno e la dedizione materna.
Vedere l'uomo in quelle condizioni lo prende "nelle viscere", nel profondo dell'anima.
"Ne ebbe compassione", traduciamo oggi indebolendo l'originaria vivacità del testo.
In virtù del lampo di misericordia che colpisce la sua anima diviene lui stesso il prossimo, andando oltre ogni interrogativo e ogni pericolo.
Pertanto qui la domanda è mutata: non si tratta più di stabilire chi tra gli altri sia il mio prossimo o chi non lo sia. Si tratta di me stesso.
Io devo diventare il prossimo, così l'altro conta per me come "me stesso".
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 234

27-MAGISTERO: Nei poveri la Chiesa serve il suo Maestro

La misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza.
È impossibile ottenere questo vincolo tra gli uomini se si vogliono regolare i mutui rapporti unicamente con la misura della giustizia.
Questa, in ogni sfera dei rapporti inter-umani, deve subire, per così dire, una notevole "correzione" da parte di quell'amore il quale - come proclama san Paolo - "è paziente" e "benigno" o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo.
Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n.14

28-BEATI I PURI DI CUORE perché vedranno Dio
Come famiglia e come sposi ci auguriamo e auguriamo a tutti di essere almeno sufficientemente puri di cuore: desideriamo davvero vedere Dio, anche se magari non proprio dalla prima fila…

di Elisabetta e Mauro Lucchi
Cosa può significare questa beatitudine per una coppia del terzo millennio, o meglio, è possibile essere in qualche misura puri di cuore senza vivere fuori dal mondo, isolati da ciò che ci circonda?

Coerenti nelle scelte
A noi sembra che questa beatitudine sia una sorta di richiamo alla limpida coerenza delle proprie scelte con la fede, col Vangelo. Dio conosce il nostro cuore, apprezza il disinteresse, la sincerità, la generosità, il rifiuto delle apparenze nel nome dell'autenticità.
Essere puri di cuore non riguarda quindi solo la purezza intesa come castità, che è data per scontata, ma anche un atteggiamento interiore a tutto campo, che comprende l'impegno a non mentire, non scendere a compromessi, vivere e educare alla verità, anche quando sarebbe più comodo cedere.

Vivere la castità
In merito alla castità la morale della Chiesa è assai prodiga di consigli e indicazioni, in tempi passati si insisteva molto su questo aspetto della vita della coppia, anche in maniera fin troppo tecnica e fastidiosa.
Da fidanzati eravamo sospettosi e diffidenti, soprattutto sull'argomento della contraccezione: pazienza la castità prima del matrimonio, ma almeno dopo, che nessuno mettesse il naso nella nostra camera da letto!
Abbiamo imparato il metodo Billings solo per curiosità e grazie alla pazienza di una nostra cara amica, che lo insegna in consultorio; abbiamo iniziato ad usarlo quasi per scommessa, per dimostrare che non avrebbe funzionato…
Dopo vent'anni di matrimonio possiamo garantire che il metodo funziona benissimo sul piano tecnico e, incredibile a dirsi, l'alternanza di giorno fecondi e infecondi ci ha regalato un corteggiamento reciproco perenne, un ritmo naturale di attesa e appagamento che ancora oggi ci coinvolge e ci salva dalla routine e dalla noia.

Affidarsi all’altro
Come si diceva, però, la purezza del cuore non può ridursi alla fedeltà e alla castità coniugali in senso stretto. Nella coppia non può mancare la trasparenza, l'affidarsi totalmente all'altro, senza riserve.
Il mio cuore per te è un libro aperto, ed io, a mia volta, posso leggere nel tuo, perché fra noi non ci sono barriere, infingimenti, trucchi o bugie. Se qualche volta, o in certi periodi anche spesso, c'è la necessità di discutere, di chiarirsi, magari litigare, pazienza.
Essere limpidi significa anche questo: non sempre la famiglia può assomigliare a quella della pubblicità del Mulino Bianco.
Noi siamo cinque, con tre figli adolescenti, i nostri caratteri sono forti e combattivi, nessuno cede con facilità; sicuramente i nostri vicini hanno sentito più di una volta alzare la voce in casa nostra, ma pazienza.
Non ci importa tanto preservare la facciata, quanto affrontare alla radice e con coraggio i problemi con la scuola, col rientro del sabato sera, con l'uso del denaro, eccetera.

Evitare l’ipocrisia
Un po' più complicato è confrontarsi col mondo esterno. È difficile a volte non essere ipocriti senza apparire troppo duri, o addirittura scostanti e maleducati. Coltivare rapporti autentici, soprattutto fra adulti, non è sempre facile.
Spesso più che l'ipocrisia nuda e cruda si incontra la vuota formalità, il rifiuto di mettersi in gioco, di affrontare percorsi di amicizia e condivisione.
È più divertente il pettegolezzo superficiale fatto alle spalle dei diretti interessati, piuttosto che parlare di sé e rispettare la sfera privata del nostro collega, vicino di casa, amico vero o presunto. La purezza del cuore, però, comporta anche questo, il rifiuto di rapporti superficiali, banali, di comodo; il presentarsi agli altri nella propria interezza, con un atteggiamento aperto, generoso, sincero; essere persone su cui si può contare, e non solo per le quattro chiacchiere al bar.

Essere "fratelli"
Noi siamo convinti che qualsiasi azione, parola, contatto con l'altro debba sempre venire dal cuore.
Non significa essere persone melense, né facilone né buoniste ad oltranza: significa piuttosto essere onesti prima con se stessi e poi con gli altri, misurare il rapporto con l'altro non il base alle convenzioni o, peggio, alla convenienza, ma in base ad un sentimento profondo di fratellanza e di comprensione. Questo atteggiamento espone talvolta a delusioni anche abbastanza cocenti, pazienza.
Se essere, o almeno sforzarsi di essere puri di cuore, fosse sempre facile e ben ripagato, Gesù non l'avrebbe inserito nelle Beatitudini.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Beati i puri di cuore: qual è il desiderio che mi guida ora? Come è il mio "cuore"?
• Come viviamo, nella nostra coppia, la castità evangelica?
• In quale misura siamo aperti alla vita? Come la manifestiamo?
• Ci capita di dire bugie a "fin di bene" al coniuge ai figli? Ci rendiamo conto che così giustifichiamo il mentire?
• Riusciamo a pensar bene degli altri fino a prova contraria o siamo portati a giudicare secondo i limiti del nostro cuore?

29-FRAMMENTI

Beati voi se vi amerete nel rispetto reciproco, se sconfiggerete ogni giorno l'egoismo, divenendo sempre più trasparenti, se sarete l'uno verso l'altro come bimbi, capaci di giocare e abbracciarvi con tenerezza, se come tali vi consegnerete a Dio, se glorificherete nei vostri corpi il tempio dello Spirito, perché niente e nessuno potrà impedirvi di entrare in contatto con Dio.
R. Henckes

30-RIFLESSIONI

Una beatitudine che parla non tanto di purezza nel senso di castità - non perché la escluda -, quanto piuttosto del cuore che, secondo la Bibbia, indica la sintesi della persona: tutte le facoltà dell'uomo, mente, volontà e affetti, si unificano nel cuore.
È il motore della vita, il luogo delle decisioni. Che sia puro, indica che è libero, significa che la capacità di decidere è rettamente orientata.
È la condizione per una buona scelta. In definitiva, il "cuore puro" è un cuore unificato, è l'integrazione di tutte le facoltà dell'uomo, del mondo interiore, desideri, emozioni e affetti attorno a Dio (cfr. Mt 5,27-30).
Per questo ha come meta il "vedere" Dio: non annuncia un'astratta visione divina, bensì la comunione col Padre.
Si può comprendere facilmente pensando il suo opposto (che non è un cuore "impuro" nel senso comune del termine!): è una persona doppia, che all'esterno appare in un modo, ma all'interno è in un altro. È il rischio terribile dell'ipocrisia.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

Come diventa puro l'occhio interiore dell'uomo? Come può sciogliere la cataratta che annebbia il suo sguardo o alla fine lo acceca del tutto?
[...] Leggendo le Beatitudini nel contesto biblico, lì incontriamo il tema soprattutto nel Salmo 24, espressione di un'antica liturgia di ingresso al santuario: "Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo" (v. 3s). [...] Il Salmo spiega in modi molteplici il contenuto di questa condizione per l'accesso alla dimora di Dio.
Una premessa indispensabile è che gli uomini che vogliono entrare nella casa di Dio devono chiedere di Lui, cercare il suo volto (v. 6): appare quindi come condizione di fondo lo stesso atteggiamento che prima abbiamo visto descritto dalle parole "fame e sete della giustizia". Chiedere di Dio, cercare il suo volto - è questo il presupposto basilare per l'ascesa che conduce all'incontro con Dio. Ma già prima, come contenuto del concetto di mani innocenti e cuore puro, viene indicata l'esigenza che l'uomo non pronunzi menzogna e non giuri a danno del suo prossimo: quindi l'onestà, la sincerità, la giustizia nei confronti del prossimo e della società - quello che noi potremmo definire ethos sociale, ma che in realtà arriva a toccare il fondo del cuore.
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 118-119

31-MAGISTERO: Essere casti per difendere l’amore

...Tra le condizioni necessarie rientra anche la conoscenza della corporeità e dei suoi ritmi di fertilità.
In tal senso bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa accessibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un'informazione ed un'educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti. La conoscenza poi deve sfociare nell'educazione all'autocontrollo: di qui l'assoluta necessità della virtù della castità e della permanente educazione ad essa. Secondo la visione cristiana, la castità non significa affatto né rifiuto né disistima della sessualità umana: significa piuttosto energia spirituale, che sa difendere l'amore dai pericoli dell'egoismo e dell'aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione.
Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.33

32-BEATI GLI OPERATORI DI PACE perché saranno chiamati figli di Dio
Se non ho un collegamento diretto con Dio, posso anche sperare in una riconciliazione ma non la so cercare e trovare, perché prima devo portare la Pace nel mio cuore.

di Maria Rosa e Franco Fauda
Quando nasce una nuova famiglia i due sposi sono pieni del loro amore e capiscono che l'amore di Dio che li accoglie in Chiesa è così immenso che straripano di gioia e di Grazia.
Da quel momento siamo noi sposi a testimoniare il suo Amore per l'umanità, è la nostra relazione che si rende visibile, che incarna il nostro matrimonio. Quindi il vivere nella Pace del Signore e creare la Pace in famiglia e nel nostro microcosmo dipende solo da noi.

Vivere il Vangelo
Ai cristiani non mancano le prove, le "defaillance" personali o di coppia, i dubbi o le difficoltà: tutti sperimentiamo, in questa epoca di crisi, di fatica e di disillusioni, un crescente pessimismo che dobbiamo combattere ad ogni costo.
Se vogliamo vivere come tali dobbiamo vivere il vangelo: Gesù non si è mai tirato indietro davanti agli ostacoli, né di fronte all'incomprensione, il nostro punto fermo è Lui.
Non per niente in Matteo 4,5 si legge: "beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio!".
Quindi noi possiamo diventare Suoi Figli se sapremo rinunciare alle critiche, più o meno fondate, più o meno feroci, oppure sapremo trovare la forza per ricucire strappi magari decennali con i parenti, anche i più stretti.
Abbiamo una vita da passare insieme e ce la giochiamo su delle futilità che a volte non hanno senso; gli interessi economici o sgarbi inveterati producono i muri d'incomprensione che a volte è proprio difficile abbattere.

Cercare la pace
Forse quando capita un fatto imprevisto, sia esso triste o luttuoso oppure felice: come una nascita o un matrimonio, possiamo sperare di modificare il terreno emotivo che circonda la nostra famiglia e con l'aiuto di Gesù trovare la forza per fare il primo passo.
Ogni famiglia ha il suo fardello di tristezza, legato a divisioni tra genitori e figli, o tra fratelli o tra coniugi.
Non si possono divulgare le proprie personali sofferenze, primo perché ogni persona reagisce alla stessa provocazione in modo differente, secondo perché ciò che per me è risolvibile in un modo semplice non lo è affatto per altri.
Ma l'invito che ci fa il Signore è comunque chiaro per tutti: prevede un ruolo attivo, la Pace va ricercata, non ci piove addosso!

Amare i nemici
Non possiamo sentirci salvati solo perché non facciamo del male a nessuno, Gesù non ci invita ad offendere i nemici ma ad amarli, a porgere l'altra guancia, a trovare in ogni persona il buono che il Padre Suo vi ha messo.
Certo che dalla teoria alla pratica c'è una bella differenza. Proviamo ad immaginare la nostra famiglia in certe giornate no: la nostra stanchezza, forse accompagnata da una bella delusione lavorativa, e qualche figlio che, in piena crisi adolescenziale, sbatte la porta, uscendo come un fulmine ed urlandoci contro qualche frase ad effetto. Anche il genitore più pio ha un momento di rabbia, se non di sconforto.
Dove ho sbagliato con mio figlio? Se non riesco a creare la Pace nella mia famiglia come posso sperare che ce ne sia al di fuori?
O.K. può succedere e succede, iniziamo col calmarci, facciamo qualcosa che ci rilassi: leggiamo un libro, facciamo le parole crociate, andiamo a farci una passeggiata, preghiamo...

Imparare a pregare
Quando vissi un'esperienza analoga e la raccontai a mia madre, allora novantenne e da 13 anni affetta da Alzheimer, quindi assolutamente devastata dalla malattia, che da oltre un anno ormai non parlava più, ricordo che mi afferrò il braccio, mi fece voltare per guardarla e mi disse: "Allora prega!"
Santa donna! Così malata eppure m'insegnò che se non avevo un collegamento diretto con Dio, potevo anche sperare in una riconciliazione ma non la sapevo cercare e trovare, perché prima non avevo portato la Pace nel mio cuore.
In fondo a ben pensare e meditando la Parola è proprio vero che anche Gesù, nel momento in cui assunse la sua natura umana, dovette cercare il modo di riunirsi al Padre, quante volte si ritirò a pregare!
In disparte, sul monte, coi suoi discepoli o da solo, dall'inizio della sua predicazione alla fine nell'orto degli ulivi: Lui pregava. E noi?
Ci permettiamo di suggerirvi una breve preghiera:
Signore Gesù Cristo,
tu che conosci la profondità del nostro cuore,
la capacità di bene e di male che è in ogni uomo,
insegnaci a perdonare e a chiedere perdono,
ad avere pietà di noi stessi e degli altri.
Ricordati delle nostre famiglie, benedette dal tuo amore,
ma spesso segnate dalle divisioni, dai risentimenti e dall'odio.
Signore Gesù Cristo,
dona alle nostre case pace e risurrezione,
custodiscile nel tuo Cuore,
e mantienile unite con la forza del tuo amore.
Amen.
Per tutti un augurio fraterno di Pace personale, di coppia ed in famiglia!

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• La famiglia deve essere scuola di pace. Ne siamo consapevoli?
• La competizione è qualcosa di cui si parla in casa, a cui vengono spinti i figli?
• Il fine giustifica i mezzi? Per uno scopo buono posso (a fin di bene) fare il male?
• Rimproveriamo i figli sono quando siamo stanchi e arrabbiati oppure tutte le volte che se lo meritano? Diamo ragione del nostro rimprovero?
• Siamo capaci a chiedere perdono? Siamo capaci a dare il perdono?

33-FRAMMENTI

Beati voi tutte le volte che sarete capaci di portare la pace nella vostra famiglia, nel condominio, tra i parenti, nei luoghi del vostro lavoro. Lo potrete fare se grazie al vostro matrimonio, nel cammino di apprendimento delle vie dell'amore, sarete diventati degli esperti dell'arte della riconciliazione. Sarà manifesto a tutti che siete figli di Dio e i vostri passi saranno sacri.
R. Henckes

34-RIFLESSIONI

Si tratta di un agire concreto, attivo, anche scomodo. Per l'AT la pace è lo shalom, sintesi delle promesse messianiche, l'aspirazione dei membri dell'alleanza: la realizzazione di quel rapporto di piena comunione che Dio vuole con gli uomini.
Dunque, la pace è ancora una volta un tema anzitutto teologico, non politico. Per questo ha come risvolto il venir chiamati figli di Dio, non è solo una "metafora", ma semplicemente l'agire dei figli di Dio.
È da lui che la pace si diffonde nel mondo, come in un benefico effetto a catena che plasma le relazioni tra gli uomini. Essere riconosciuti suoi figli è essere nel giusto rapporto con lui, vivere effettivamente a sua immagine.
Per questo l'essere operatori di pace non allude a un passivo "stare in panciolle", bensì indica un concreto "fare la pace".
E un agire concreto, attivo, anche scomodo: chi si dà da fare per attuare la pace, non può "stare in pace" finché questa non sia realmente attuata.
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

La discordia con Dio è il punto di partenza di tutti gli avvelenamenti dell'uomo; il suo superamento costituisce il presupposto fondamentale della pace nel mondo.
Solo l'uomo riconciliato con Dio può essere riconciliato e in armonia anche con se stesso e solo l'uomo riconciliato con Dio e con se stesso può portare la pace intorno a sé e in tutto il mondo.
L'eco del contesto politico che si percepisce sia nel racconto lucano dell'infanzia di Gesù sia qui, nelle Beatitudini di Matteo, mostra però l'intera portata di questa parola.
Che vi sia pace sulla terra (cfr. Lc 2,14) è volontà di Dio e così è anche un compito affidato all'uomo. Il cristiano sa che il perdurare della pace è legato al fatto che l'uomo si trovi nell'eudokía di Dio, nel suo "beneplacito".
L'impegno per stare in pace con Dio è una parte imprescindibile dell'impegno per la "pace sulla terra"; di lì derivano i criteri e le forze necessari per questo impegno.
Laddove l'uomo perde di vista Dio, anche la pace decade e la violenza prende il sopravvento con forme di crudeltà prima inimmaginabili: lo vediamo oggi in modo fin troppo chiaro.
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 110

35-MAGISTERO: Non c'è pace senza giustizia

Molte volte mi sono soffermato a riflettere sulla domanda: qual è la via che porta al pieno ristabilimento dell'ordine morale e sociale così barbaramente violato?
La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l'ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono.
I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell'amore che è il perdono.
Giovanni Paolo II, messaggio per la XXXV Giornata mondiale della pace, n.2

36-BEATI I PERSEGUITATI PER LA GIUSTIZIA perché di essi è il regno dei cieli
Anche in famiglia è facile strattonare i diritti dalla propria parte in nome di una pseudo giustizia che giusta non è!

La giustizia di Dio è fatta di cuore ed ha il colore e il profumo dell'amore: si chiama misericordia.

di Valeria e Tony Piccin
I Vangeli di Matteo e Luca riportano, seppure in modo diverso uno dall'altro, le "Beatitudini".
Conoscendo la difficile situazione che stavano vivendo le comunità degli scrittori di questi due Vangeli è facile immaginare come le Beatitudini siano state per loro la magna carta su cui si basa tutto il messaggio evangelico.

Una comunità perseguitata
In esse vi troviamo elencate le gravi difficoltà che vivono a causa della fede in Cristo Signore: la povertà, la tristezza, la violenza,… tutte situazioni dovute all'emarginazione - persecuzione contro le prime comunità. Ma troviamo anche per ognuna la spinta redentiva che le proietta in una dimensione tutta nuova di salvezza.
Si tratta di veri e propri paradossi, inconcepibili alla mentalità terrena, ma che entrano in un progetto nuovo, annunciato da Cristo Gesù, dove il cambiamento del mondo non è affidato alla forza, al potere, alla scaltrezza ma alla povertà, mitezza, sofferenza…
Molti sono i riferimenti nei Vangeli a questo nuovo, originale progetto:
- la missione come agnelli in mezzo ai lupi (Mt 10,16),
- l'offerta della tunica oltre al mantello (Mt 5,40),
- il perdono dei nemici (Mt 5,44).
E, più di ogni altra raccomandazione, l'offerta che Gesù fa di sé stesso sulla croce che rappresenta il massimo dell'impotenza, ma che diventa l’unico "strumento" di salvezza.
In questo ottavo enunciato della nuova legge dell'amore ci imbattiamo in due termini che si confrontano l'uno con l'altro: persecuzione - giustizia.

Verità e giustizia
Poiché applicare la giustizia può essere scomodo conviene addomesticarla con qualsiasi mezzo lecito o meno lecito; dall'altro lato si tratta di una persecuzione ben mirata contro qualcuno ma soprattutto contro qualcosa che può risvegliare la verità.
Viene spontaneo l'accostamento con le parole che Pilato pronuncia in modo altero e dispregiativo: "Che cos'è la verità?!". La verità era per lui la legge del più forte, del più astuto, è la ragione della spada.
Potremmo riproporre la stessa ambigua affermazione circa la giustizia: "Che cos'è la giustizia?!".
Oggi circolano molte battute sulla giustizia: non serve avere ragione o torto, basta un buon avvocato.

La giustizia in famiglia
Guardando all’orizzonte familiare, vediamo testamenti manomessi o fatti sparire, di beni mobili e immobili arbitrariamente posseduti da qualcuno al posto di qualcun altro. A chi appartiene la casa dei due coniugi? A chi appartenevano i soldi messi insieme per comperarla?
Gli esempi potrebbero continuare all'infinito, ma possiamo parlare anche di ingiustizie morali, di omissioni, di tradimento di impegni assunti. Restando in famiglia, a che punto siamo con la parità di diritti e doveri tra uomo e donna, con la fedeltà matrimoniale, con l'impegno educativo dei figli e la relativa testimonianza? Solo come battuta, se è giusto dire che i figli hanno diritto ad avere un padre ed una madre ma non viceversa, questi benedetti genitori ci "sono" o non ci "sono"?
È troppo facile strattonare i diritti dalla propria parte e sbandierare una pseudo giustizia che giusta non è!
Gesù stesso dice al servo del Sommo Sacerdote: "Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male, ma se ho detto il vero, perché mi percuoti?" (Gv 18,23).

Giuseppe: uomo giusto
Nei Vangeli troviamo un uomo definito "giusto": Giuseppe, sposo di Maria. Un uomo che in tutti i racconti del Vangelo non dice una sola parola, eppure è giusto, quasi a dirci che la giustizia non ha bisogno di tante arringhe quando è saldamente insediata nel profondo del cuore.
Non ha nemmeno bisogno di tante legge e decreti, perché proprio questi corrono il rischio di snaturarla. È la giustizia di Dio, Lui solo è il Giusto.
Confrontare la nostra povera e imperfetta giustizia - che spesso fa soffrire e ci fa soffrire - con la sua è la cosa più saggia.

La giustizia di Dio
Come è fatta la giustizia di Dio? Che colore, che "profumo" ha? È fatta di cuore ed ha il colore e il profumo dell'amore: si chiama misericordia.
Non è certo quella pretesa da Giuda: "Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri" (Mc 14,4-5). Non si poteva vendere quel profumo per ristabilire un po' di eguaglianza - giustizia con i poveri?
Se a noi interessa veramente il povero, colui che soffre, che sta male, che ha bisogno di attenzione, che chiede il perdono, dobbiamo ascoltare imparare di Gesù:
- il figlio che ritorna pentito alla casa del padre (Lc. 15,11-32),
- la pecora smarrita che non rientra a sera all'ovile (Mt.18,12-14),
- l'operaio che lavora una sola ora ma ha la stessa fame e sete di tutti gli altri (Mt.20,1-16)?

I martiri di oggi
"Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la volontà di Dio: Dio darà loro il suo regno" (Mt.5,10).
In questi ultimi decenni, un po' in tutto il mondo, abbiamo avuto un consistente numero di cristiani che hanno testimoniato la carità fino al martirio.
Essi dovrebbero scuotere la nostra fede stanca, dovrebbero ricolorare la tinta smarrita del nostro abito battesimale per un cristianesimo nuovo, più autentico e credibile.

Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Ci adoperiamo per avere i complimenti, le lodi in famiglia, sul lavoro, nella società? Agendo così, siamo sicuri di fare la volontà di Dio?
• Fare la volontà di Dio: quanto ci impegniamo a seguirla? Quanto siamo disposti a sopportare per esserle fedeli?
• Tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra suocera e nuora quanti conflitti possono nascere! Come li gestiamo?
• Il regno dei cieli è per noi qualcosa di astratto o una realtà che si realizza già ora? In che modo?

37-FRAMMENTI

Beati voi quando sarete perseguitati a causa della giustizia. Non lasciatevi abbattere e scoraggiare perché quella è la mia stessa strada, segnata sì dalla Croce, ma anche dalla gloria della Risurrezione. Rallegratevi, perché è il segno che siete riusciti ad incidere, che siete stati "sale" per quanti ora vi combattono.
R. Henckes

38-MAGISTERO: Essere segno di contraddizione

A coloro che lo seguono, Cristo non promette una vita facile. Annunzia piuttosto che, vivendo il Vangelo, dovranno diventare segno di contraddizione.
Se egli stesso soffrì persecuzione, essa si compirà anche per i suoi discepoli: "Guardatevi dagli uomini - egli annunzia - perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe" (Mt 10, 17).
Giovanni Paolo II, Omelia del 7 giugno 1999 a Bydgoszcz (Polonia)

39-RIFLESSIONI

Il cammino si chiude tornando alla giustizia, ossia alla volontà del Padre. Talmente desiderata che è l'unica beatitudine tra tutte che Gesù ripete per ben due volte.
Va ricercata con tutte le forze, fino a prepararsi a soffrire e a subire le conseguenze delle scelte fatte secondo la giustizia di Dio, ossia secondo la sua volontà!
Di qui la conclusione, con l'ultima beatitudine, l'unica diretta, espressa con quel forte "voi": Beati voi, perseguitati per causa mia. Per causa di Gesù! Seguire Gesù, costi quel che costi, con tutte le conseguenze connesse, è la virtù ultima per il cristiano. Il compendio di tutte le beatitudini sta qui: un nome, un volto, quello di Gesù!
Francesco Scanziani
Dal libro: Il fare del cuore, EDB 2010

L'afflizione di cui parla il Signore è il non-conformismo col male, è un modo di opporsi a quello che fanno tutti e che s'impone al singolo come modello di comportamento. Il mondo non sopporta questo tipo di resistenza, esige che si partecipi. [...] Per questo gli afflitti diventano dei perseguitati a causa della giustizia.
Agli afflitti viene promessa consolazione, ai perseguitati il regno di Dio; è la stessa promessa fatta ai poveri in spirito. Le due promesse sono molto vicine: il regno di Dio - stare nella protezione della potenza di Dio ed essere sicuri nel suo amore - questa è la vera consolazione.
E dall'altra parte: solo allora la persona che soffre verrà davvero consolata, solo allora le sue lacrime si esauriranno completamente, quando nessuna violenza omicida potrà più minacciare lei e le persone impotenti di questo mondo.
Solo allora vi è piena consolazione, quando anche le sofferenze incomprese del passato saranno elevate nella luce di Dio e portate dalla sua bontà a un significato di riconciliazione; la vera consolazione si manifesterà solo quando sarà privato del potere "l'ultimo nemico", la morte (cfr. 1Cor 15,26) con tutti i suoi complici.
Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, p. 112-113

40-Uomini e donne nella Bibbia: MARIA, LA DONNA DELLE BEATITUDINI
Beata perché ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto (Lc 1,45)

Accettare la consolazione è la sintesi di tutte le beatitudini.

di Vincenzo Salemi IMC
Vorrei ripercorrere le otto beatitudini riportate da Matteo ispirandomi a Maria, che mi piace vedere come icona delle Beatitudini.

Beata perché povera
Il Magnificat recita: "perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,48). Il termine greco usato per umiltà è taipenosune, che significa povertà. Quando Gesù parla di "poveri di Spirito" pensa a quelli che non hanno altro bene che Dio. Gli anawin, il popolo che ha fiducia incondizionata in Dio.
Maria ha rinunciato a tutti i suoi progetti, ma lo ha fatto volentieri, perché l'angelo le ha detto "rallegrati".
Tapeinosis è umiltà e povertà, ma anche semplicità e sobrietà: virtù altamente considerate dai profeti.
Oggi si parla di sobrietà perché siamo costretti dalla crisi, ma la sobrietà è sempre stata un valore. La sobrietà è stata apprezzata da santi e filosofi di tutti i tempi e di tutte le religioni. È il primo passo verso la felicità, la beatitudine.

... perché ha pianto
Già Simeone aveva predetto a Maria che una spada le avrebbe trafitto il cuore, e ai piedi della Croce Maria ha pianto. Ecco perché è stata consolata. A Torino Maria viene chiamata "consolata" perché ha accolto la seconda beatitudine. Ha pianto.
Bisogna saper piangere per essere consolati. Il pianto serio non è il piagnisteo di chi sceglie di essere infelice, non è il pianto degli annoiati, dei malinconici, dei masochisti, di quelli non cercano consolazione e si crogiolano nella loro infelicità.
Il pianto serio è quello di Gesù sull'amico Lazzaro, su Gerusalemme.....
È il pianto di chi ha fiducia che Dio ci consola. Maria è Beata e Consolata. Questi per me sono i titoli più belli.

... perché mite
La mitezza è non violenza. Maria con mitezza a ha accolto il messaggio, ha chiesto spiegazioni, ma non si è ribellata, ha accettato con serenità, fiducia e forza d'animo tutte traversie della vita.
Quanto è facile essere violenti. Quanto è facile volersi vendicare. Quanto è più serio e consolante imparare ad essere miti.

... perché desiderosa di giustizia
Maria ha le idee chiare. La giustizia innanzi tutto (Lc 1,51-53). Non c'è carità, se prima non c'è giustizia.
La prepotenza, l'arroganza, la tirannia non meritano rispetto, saranno gli affamati a ricevere a mani piene, i ricchi andranno a mani vuote.
Giustizia è innanzitutto mettersi in sintonia con Dio. Vedere con gli occhi di Dio tutti i suoi figli, e volere equità e benessere per tutti, "bene"-dire tutti.

... perché misericordiosa
Vedo Maria come donna misericordiosa (Lc 1,54-55). A Cana ha implorato un miracolo forse assurdo, ma ha capito una necessità umana e reale. Il vino è simbolo di allegrezza, guai se mancasse alle nozze. Certo avrà agito così tante volte, ma la bellezza del vangelo è che non ci racconta più del necessario, con una pennellata dà il tono del quadro e dell'insieme.
E poi la parola "Misericordia" in Ebraico ha come radice rhm e queste tre consonanti si riferiscono al grembo materno.
Perché la misericordia è amare gratis senza aspettarsi niente, come la madre nutre il figlio nel suo grembo per nove mesi, gratis, senza fagli pagare l'affitto e l'IMU. Dà di se stessa il meglio e non si aspetta niente in cambio. Mi piace vedere Maria Donna di misericordia.

... perché pura di cuore
I puri di cuore katharoi tes kardias sono quelli che hanno veramente capito il nocciolo della rivelazione. La purezza di cuore è innanzitutto: onestà, sincerità e, come dice S. Paolo a Tito, fede sincera (non ipocrita) (1Tim 1,5).
Gesù si arrabbiava poco e perdonava, ma non sopportava gli ipocriti.
Ecco, i "puri di cuore" sono trasparenti e profondamente sinceri.
La parola sincero in greco suona anypokritos = non ipocrita.

... perché ha agito per la pace
Non vediamo mai Maria reagire, arrabbiarsi, rivendicare diritti. Ha scoperto pian piano il ruolo di suo figlio e ha cooperato in questa grande impresa per pace.
La sua fame e sete giustizia non ne ha fatto una rivoluzionaria, anche se le parole del magnificat sono forti e chiare. Maria ha accettato in pieno il messaggio non-violento del Figlio e con la sua vita ha cooperato al progetto di pace e giustizia.

... perché perseguitata
Certo, l'ottava beatitudine non è mancata bella vita di Maria e nella vita della Chiesa.
Ha condiviso in pieno col suo figlio la passione e la persecuzione, ma, come poi dopo tanti secoli San Francesco, ha capito che "ivi è perfetta letizia".
La persecuzione è parte integrale del nostro vivere cristiano perché ognuna delle sette beatitudini su indicate sono contro corrente e il Giusto sarà preso in giro, e perseguitato proprio perché fa il bene (Sap 2,12).
vincenzo.salemi@consolata.net

41-PER APPROFONDIRE IL TEMA
Alcuni libri usati per realizzare questo numero

Enzo Bianchi, Le vie della felicità, Gesù e le beatitudini, Rizzoli, Milano 2010.

Per chi ama la Scrittura questo libro è un ottimo strumento per approfondire il significato delle Beatitudini.
Dopo la presentazione iniziale (da cui abbiamo tratto l’articolo di pag. 6-7). l’autore affronta ogni singola beatitudine trattando i vari modi con cui la beatitudine si può intendere.
Ogni punto è approfondito anche alla luce delle Scritture (Antico e Nuovo Testamento), a come Gesù lo vive, a come noi cristiani siamo chiamati a viverlo.
"Vivendo le beatitudini, ciascuno di noi può sperimentare, pur con tutti i suoi limiti e peccati, già qui ed ora la felicità che consiste nel vivere come Gesù e con lui. È Gesù la nostra beatitudine, è Lui che apre tutti i giorni davanti a noi le vie della felicità a cui anela ogni essere umano" (dalla quarta di copertina).

Comunità di Caresto, La casa delle otto felicità, Le beatitudini evangeliche vissute in famiglia, Gribaudi, Milano 2008.

I libri della Comunità di Caresto hanno la caratteristica di essere libri "pratici", centrati per la riflessione di coppia e di famiglia.
Anche questo testo sulle beatitudini non smentisce questa caratteristica: accanto alla presentazione sintetica del testo di Matteo, ciascuna beatitudine viene ampiamente approfondita in modo molto concreto, mai dimenticando quali sono i destinatari del volume.
Si tratta di un libro fatto a più mani, frutto della riflessione, nel corso degli anni, di numerose famiglie che sono passate per Caresto.
Il testo risulta così uno strumento base per il lavoro dei gruppi su questo tema.
Dal libro abbiamo attinto l’articolo di p.4-5 e gran parte delle domande per il lavoro di coppia e di gruppo.

J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaterh, Rizzoli, Milano 2007.

Benedetto XVI affronta, in questo primo volume, la vita di Gesù dal battesimo nel Giordano alla trasfigurazione. Uno dei primi capitoli del libro è dedicato al discorso della montagna e la sua prima parte affronta le beatitudini.
Il tema è esaminato sotto diverse angolature: biblica, teologica, ecclesiologica, culturale.
Proprio per queste sue caratteristiche abbiamo scelto di attingere ad un frammento di questo testo per commentare ogni singola beatitudine.
"Dietro il Discorso della montagna c’è la figura di Cristo, di quell’uomo che è Dio, ma che proprio per questo discende, si spoglia, fino alla morte sulla croce. I santi, da Francesco d’Assisi fino a madre Teresa, hanno vissuto questa opzione mostrandoci così la giusta immagine dell’uomo e della sua felicità. In una parola: la vera morale del cristianesimo è l’amore" (p.124).

Francesco Scanziani, Il fare del cuore, Lectio bibliche per coppie e gruppi di spiritualità familiare, Anno A, EDB, Bologna 2010.

Questo libro ci è stato segnalato dagli amici dei gruppi famiglia di Bra (CN).
L’autore, docente presso il seminario di Venegono (VA), opera nella comunità pastorale della Madonna alla Rovinata (LC). È in questo contesto che nascono le riflessioni contenute nel libro, riflessioni rivolte alle coppie e alle famiglie della sua comunità. Si tratta quindi di materiale sperimentato "sul campo" di cui viene proposto anche un metodo per il suo utilizzo.
Il testo viene presentato come commento alle letture dell’anno liturgica A (Matteo) ma in realtà contiene solo il commento ai brani più importanti del Discorso della montagna.
Di questo libro abbiamo ripreso i singoli passi del capitolo dedicato alle beatitudini e li abbiamo proposti come spunti di riflessione.

Segnaliamo inoltre:

L. Guglielmoni - F. Negri, Beatitudini in famiglia, Elledici, Leumann (TO) 2011.
Si tratta di un agile libretto i cui decaloghi e preghiere possono essere preziosi per gli incontri con le famiglie.

G.P. Di Nicola - A. Danese, Amore e pane, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2000.
Il libro riporta un interessante adattamento delle beatitudini alla famiglia di R. Henckes, testo che abbiamo utilizzato.

V. Solazzi, Le beatitudini per le giovani famiglie, nel sito: www.santafamiglia.info
Un grazie a don Vincenzo, parroco della comunità Santa Famiglia di Fano, le cui riflessioni sono state fonte di ispirazione per questo numero.

42-SAPERSI ASSUMERE LE PROPRIE RESPONSABILITÀ
Il Gruppo Famiglia ha bisogno di un periodico ricambio dei ruoli per non esaurirsi e smarrire il cammino fatto

di Nicoletta e Corrado Demarchi
Quante volte, tornando da un incontro, da un campo estivo, da una giornata per le famiglie, ci siamo detti: "che bella esperienza, che bravi i relatori e gli organizzatori!".

Un aiuto per crescere
Ciascuno ha avuto, infatti, nel suo percorso formativo, la fortuna di incontrare uomini e donne che, con grande disponibilità e buona volontà, lo hanno fatto crescere e maturare nella fede.
Anche noi come singoli, dapprima, e come coppia, ora, dobbiamo ringraziare moltissime persone che ci hanno seguito, custodito ed amato.
Da parecchio, ormai, ci sentiamo "figli" dei Gruppi Famiglia, perché è attraverso questa esperienza che abbiamo compreso sempre meglio il vero significato del Sacramento del nostro matrimonio, oltre che l'importanza della preghiera e del continuo confrontarci con la Parola del Signore.
Inevitabilmente, però, il ciclo della vita ci ha sospinti dall'essere "figli" al divenire "genitori", pur senza avere la stessa preparazione e competenza dei nostri predecessori; il tutto nell'ottica che il bene ricevuto deve essere anche restituito e condiviso in continuità.

L’assunzione di responsabilità
Quello dell'assunzione di responsabilità è un segno di maturità e di consapevolezza e come cristiani dobbiamo sentirci chiamati a ciò, ogni giorno: siamo infatti esortati, evangelicamente, nel nostro quotidiano, a divenire lievito e luce per i fratelli.
Per questo motivo rimaniamo rammaricati nel constatare che, talvolta, non vengano condivisi, a turno, tali doveri ed incombenze, nei gruppi e nelle realtà parrocchiali che visitiamo.
Una coppia oppure un sacerdote animano, organizzano e trainano tutte le iniziative per le famiglie e le altre partecipano, pur con viva presenza, ma niente più.
Conosciamo le motivazioni e le scusanti: "Loro sono molto bravi… Fanno tutto così per bene!.
Ne siamo certi, ma tutti hanno bisogno di ricaricarsi ed essere sostenuti e l'alternanza contribuisce in positivo al percorso del gruppo, portando giovamento, novità e freschezza.
Questa ritrosia di fronte all’assunzione di impegni può, spesso, mettere a repentaglio la vita stessa del gruppo.
Per esempio, nel caso in cui gli organizzatori siano impossibilitati, per qualsiasi motivo, a continuare la loro missione e nessun'altro si faccia carico di sostituirli, si sprecano e vanificano anni di cammino.
Non vogliamo nel modo più assoluto colpevolizzare nessuno, ma portare a riflettere su questo rischio sia i responsabili dei gruppi, che dovrebbero educare alla restituzione, sia i componenti del gruppo.

Operai nella sua Vigna
Siamo tutti operai della Sua vigna, ognuno con i propri limiti e pregi, ma a ciascuno, personalmente, viene richiesto di fare fruttare i talenti e non nasconderli, per paura di perderli, come ci ricorda la nota Parabola dell'Evangelista Matteo.
Non importa se non siamo bravi come i nostri responsabili, ciò che conta è che ci mettiamo a servizio degli altri: la passione e la fiducia nella Provvidenza compenseranno, poi, ampiamente, tutte le nostre inadeguatezze e le nostre inesperienze.
Vi invitiamo quindi, con affetto e benevolenza, a fare vostre le intenzioni della preghiera di San Francesco, per divenire voi stessi strumenti della sua pace e comprendere così, pienamente, che è solo dando che si riceve.
curra@email.it

43-PER CONCLUDERE

Beata la famiglia il cui Dio è il Signore, e che cammina alla sua presenza.
Beata la famiglia fondata sull'amore e che dall'amore fa scaturire atteggiamenti, parole, gesti e decisioni.
Beata la famiglia aperta alla vita. che accoglie i figli come un dono, valorizza la presenza degli anziani, è sensibile ai poveri e ai sofferenti.
Beata la famiglia che prega insieme per lodare il Signore, per affidargli preoccupazioni e speranze.
Beata la famiglia che vive i propri legami nella libertà, preoccupandosi della crescita dei figli, ma rispettando la loro personalità.
Beata la famiglia che trova tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.
Beata la famiglia che non è schiava della televisione e sa scegliere programmi costruttivi.
Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma una palestra per crescere nel rispetto, nella benevolenza e nel perdono vicendevole.
Beata la famiglia dove regna la pace al suo interno e con tutti: in lei mette radice la pace del mondo.
Beata la famiglia che è aperta agli altri e s'impegna per la costruzione di un mondo più umano.
Beata, la famiglia che, pur non ritrovandosi in queste beatitudini, decide che è possibile percorrerne almeno qualcuna.
http://www.madonnaceleste.com/le-beatitudini-della-famiglia.html

GF77 Extra

A-BEATITUDINI DELLA FAMIGLIA

Beata la famiglia il cui Dio è il Signore e che cammina alla sua presenza.
Beata la famiglia fondata sull’amore e che dall’amore scaturisce atteggiamenti, gesti e decisioni.
Beata la famiglia aperta alla vita che accoglie i figli come dono, valorizza la presenza degli anziani, è sensibile ai poveri ed ai sofferenti.
Beata la famiglia che prega insieme per lodare il Signore, per affidargli preoccupazioni e speranze.
Beata la famiglia che trova il tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.
Beata la famiglia che non è schiava della televisione e sa scegliere insieme programmi costruttivi.
Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma palestra per crescere insieme nel rispetto, nella benevolenza, nell’allegria e nel perdono vicendevole.
Beata la famiglia dove regna la pace: in lei mette le radici la pace del mondo.
Beata la famiglia che vive in sintonia nell’universo e si impegna per la costruzione di un mondo più umano.
Beata la famiglia che nella Santa Famiglia di Nazareth, trova il suo modello di vita e di comportamento.
Beata la famiglia cristiana che è santa come la Famiglia di Nazareth.
http://www.qumran2.net/indice.pax?parole=beatitudini&pag=2

Beata la famiglia dove si prega, perché in essa abita il Signore.
Beata la famiglia dove si tenta ogni giorno di volersi bene, perché in essa ci sarà un’eterna primavera.
Beata la famiglia dove i genitori fanno i genitori e i figli imparano ad essere figli, perché in essa risplenderà la pace.
Beata la famiglia dove si rispetta e si accoglie l’altro nella sua diversità, perché in essa inizierà il mondo nuovo.
Beata la famiglia dove i genitori fanno crescere il tesoro che c’è nei loro figli, e non li costruiscono ad immagine di se stessi, perché la ricchezza di questo tesoro si moltiplicherà in felicità.
Beata la famiglia dove i figli onorano il padre e la madre, perché in essa potrà rivelarsi la bellezza della vita umana, sociale e cristiana.
Beata la famiglia dove la sofferenza e il dolore diventano occasione per maturare e amare di più, perché in essa non cesserà mai il canto della vita.
Beata la famiglia dove la festa è vissuta e santificata insieme, perché in essa è incominciato il Regno dei cieli!
http://www.piamarta.org/missioni.c/beatitudin.html

Beata la famiglia aperta alla vita che accoglie i figli come un dono, valorizza la presenza degli anziani, è sensibile ai problemi di chi è povero e sofferente.
Beata la famiglia che trova il tempo per dialogare, svagarsi e fare festa insieme.
Beata la famiglia che prega insieme e affida a Dio preoccupazioni e speranze
Beata la famiglia in cui i contrasti non sono un dramma, ma una palestra per crescere nel rispetto, nella benevolenza e nel perdono vicendevole
Beata la famiglia dove regna la pace al suo interno e con tutti: in essa mette radici la pace del mondo
Beata la famiglia che non è schiava della televisione e seleziona programmi intelligenti e costruttivi.
Beata la famiglia che vive in sintonia con l'universo e si impegna per la costruzione di un mondo più umano.
http://letiziaschmit.forumcommunity.net/?t=38805933

Beata la coppia che ha scoperto la tenerezza e ne ha fatto il cuore del suo itinerario di vita: sarà beata perché vive in Dio. Il cuore di Dio infatti è tenerezza e non esiste felicità più grande che sentirsi dentro quel cuore, accolti e portati da esso come su ali d'aquila.
Beata la coppia che è fiera di avere scelto la tenerezza come opzione fondamentale essa porta al centro del suo viaggio quale progetto condiviso, bene superiore e prezioso: trasformerà lo stesso litigio in un'occasione di crescita e in un accadimento di maturazione nell'accoglienza e nel dono reciproco.
Beata la coppia che mette al primo posto la Divina Tenerezza: vivrà nella bellezza e nell'armonia, perché Dio-tenerezza è armonia e bellezza, e niente potrà mai metterla in crisi. La tenerezza di Dio infatti è forte come la morte; le sue vampe sono vampe di fuoco (Ct 8,6).
Beata la coppia dove non domina la logica di chi vince o perde, ma la forza dell'umile amore: i coniugi si sosterranno a vicenda, perdonandosi, ascoltandosi, comprendendosi, con l'unico scopo di far trionfare la tenerezza, rifiutando ogni atteggiamento di prevaricazione. Vivrà la sua esistenza nuziale come una "carezza", non come un "possesso"; il linguaggio della tenerezza avrà sempre il primato su quello del rifiuto o della violenza.
Beata la coppia che possiede la percezione di essere stata resa partecipe, nel sacramento nuziale, della benevolenza amante di Cristo-sposo per la Chiesa-sposa: si lascerà plasmare da essa, rinnovandosi ogni giorno in una dimensione di amorevolezza ove regna la pazienza, il dialogo sereno e costruttivo, la lealtà, la positività.
Beata la coppia che trasforma il suo cammino in confidenza e purezza di cuore: saprà difendere la propria intimità da ogni forma di volgarità, avarizia, gelosia, egoismo e consumismo, rendendosi ospitale e segno trasparente della tenerezza di Dio per l'umanità.
Beata la coppia che ama la vita e l'accoglie con gioia quando sboccia: saprà riceverla come un dono e la seguirà con trepidazione quando viene alla luce, mettendosi a suo servizio, nella consapevolezza che ogni bambino che nasce porta al mondo il lieto messaggio che Dio - tenerezza infinita - ama il mondo ed è vicino a ogni creatura.
Beata la coppia che vive una forte esperienza di spiritualità ascoltando la parola di Dio e facendo dell'invocazione del Nome di Gesù l'anima del suo pellegrinaggio: si rinnoverà ogni giorno nell'amore e nessun conflitto la potrà mai dividere.
Beata la coppia che crede nella forza della riconciliazione e vive l'Eucaristia come fonte e culmine della propria vita: si sentirà accompagnata dal Signore risorto e nulla le sarà impossibile, perché la forza dello Spirito sarà con lei e la renderà nuova ogni mattina.
Carlo Rocchetta, Tratto da: Guglielmoni - Negri: Beatitudini in famiglia, Elledici, Leumann (TO) 2011, p. 8-9

Oh felicità, quando siete l'uno verso l'altra poveri in spirito, cioè vi affidate l'uno all'altra senza difese e senza protervia; già da ora realizzate il Regno.
Oh felicità, quando saprete essere forti nella fede e perseveranti nel momento della sofferenza, della ferita, dell'intoppo; quando il dolore viene a bussare alla vostra porta, sappiatelo prendere come dalla mano di Dio: perché da Lui sarete consolati.
Oh felicità, quando voi vi accoglierete con mitezza e fate della misericordia il luogo dove poter sostare; a voi sarà data la terra promessa.
Oh felicità, quando non vi accontenterete di mangiare il vostro pane, ma aprirete le vostre porte e il vostro cuore alla fame altrui; Dio stesso si incaricherà di saziarvi, perché lo avete sfamato nei piccoli e nei poveri.
Oh felicità, quando, pur concedendovi la correzione fraterna, vi guardate con occhio di misericordia; sperimenterete la grande gioia che viene dal perdono.
Oh felicità, quando non consegnate il vostro amore agli idoli del mondo, ma vi amate con purezza di cuore; nel vostro amore voi vedrete Dio.
Oh felicità, quando fate la pace, non solo perché deponete il litigio, ma perché operate per costruirla; in quel momento sentitevi figli di Dio.
Oh felicità, quando il mondo non vi capirà, quando deriderà la vostra fedeltà; quando i furbi vi considereranno 'fuori del mondo'; già ora il Regno dei cicli, affidato alle vostre mani è vostro; già ora per voi e per il mondo seminate i semi di eternità.
(cfr. Diocesi di Bolzano)
Tratto da: Comunità di Caresto, La casa delle otto felicità, Le beatitudini evangeliche vissute in famiglia, Gribaudi, Milano 2008, p. 12

Beata la casa in cui si prega insieme, genitori e figli, perché in essa vi sarà il Signore.
Beata la casa dove la festa è santificata, perché i suoi abitanti si troveranno alla festa del cielo.
Beata la casa in cui non si esce per frequentare divertimenti cattivi, perché in essa regnerà la cristiana letizia.
Beata la casa in cui non entrano le bestemmie, il discorso osceno, la stampa pericolosa, l'intemperanza, perché sarà colmata di benedizioni e di pace.
Beata la casa dove i bambini ricevono subito la grazia del battesimo, perché in essa cresceranno cittadini del cielo.
Beata la casa dove si chiama per tempo il sacerdote di Dio accanto agli infermi, perché in essa l'infermità sarà alleviata e la morte sarà benedetta.
Beata la casa dove si ama e s'impara la dottrina cristiana, perché in essa la fede è sempre lucente e viva.
Beata la casa dove i genitori sono consolati dai figliuoli amorosi ed ubbidienti e dove i figliuoli trovano nei genitori l'esempio del timor di Dio; essa sarà nido di pace, asilo di virtù, tabernacolo di salvezza.
Comunità di Caresto, La casa delle otto felicità, Le beatitudini evangeliche vissute in famiglia, Gribaudi, Milano 2008, p. 134

Beati gli sposi che sanno farsi poveri per amore, perché diventano liberi nel servizio vicendevole
Beati gli sposi che sanno vivere da poveri per amore sperimentando la libertà dall’avere
Beata la coppia che, anche nella fatica di amarsi, sa che erediterà una terra di pace
Beata la coppia che non cerca di far valere il proprio diritto e sa cedere per amore piuttosto che adirarsi.
Beati quei giovani sposi che sono capaci di un vero perdono scambievole
Beati quegli sposi capaci di misericordia verso quelli che incontrano sulla loro strada
Beata la giovane famiglia che sa tessere al suo interno gesti di pace
Beate le giovani famiglie che diventano tra loro costruttrici di pace
Beata la coppia che è capace di trasformare i motivi di tribolazione in consolazione
Beata la coppia che non segue il branco e non si conforma al male dicendo così fan tutti
Beate quelle giovani famiglie che non soffocano l’inquietudine del loro cuore
Beate quelle famiglie che si lasciano inquietare dai bimbi che ancora muoiono di fame
Beati i giovani sposi che si dicono con le labbra ciò che hanno nel cuore
Purezza di cuore è cercare di liberarci come coppia da ogni specie di ipocrisia e da ogni preoccupazione legale o moralistica che impedisce di amare con responsabilità
Beate quelle giovani famiglie cristiane che sanno soffrire qualcosa per il Vangelo
Beate quelle giovani famiglie che non esasperano le persecuzioni che incontrano sulla loro strada
http://www.santafamiglia.info/2008/04/le-beatitudini-per-le-giovani-famiglie/

B- LA BEATITUDINE DEI CUORI
Quando si è giovani, le beatitudini ci conquistano come un programma di vita; man mano, però, che gli anni si aggiungono agli anni, la distanza tra le nostre fragilità e la parola di Gesù aumenta.

di Marcella e Alfio Briguglia
Chi è sceso più in profondità nel cuore dell'uomo? Chi ha rivelato all'uomo la sua natura profonda?
Di fronte alla proclamazione delle beatitudini i discepoli devono essere rimasti stupiti, consolati dal primato concesso nel regno dei cieli a povertà di spirito, umiltà, misericordia... ma, allo stesso tempo, avranno provato un senso di impotenza nell'udire le beatitudini riservate ad una purezza di cuore irraggiungibile.
Così, ogni volta che ascoltiamo la legge di Mosè reinterpretata e ricondotta dentro il cuore, siamo presi da sentimenti di gratitudine ma anche di timore. Anche noi ci chiediamo: "Chi potrà mai entrare a far parte del regno dei cieli?". Come a Pietro ci viene risposto: "Impossibile agli uomini, ma non a Dio".
Quando si è giovani, le beatitudini ci conquistano come un programma di vita, una sfida alla quale la poca conoscenza di noi stessi ci porta a rispondere come risposero Giacomo e Giovanni a Gesù che chiedeva loro di bere il calice che lui avrebbe bevuto: "Lo possiamo!". Man mano, però, che gli anni si aggiungono agli anni, la distanza tra le nostre fragilità e la parola di Gesù aumenta.
L'esperienza di tale distanza ha fatto dire ad alcuni che qui Gesù sta parlando della fine dei tempi o che vuole mettere l'uomo di fronte alla sua strutturale impotenza rispetto alle esigenze del regno.
Ma Gesù parla ai suoi discepoli di condizioni reali e non ideali. Si rivolge a dei poveracci come noi sempre alle prese con le urgenze quotidiane, che magari si commuovono di fronte alle grandi prospettive aperte da Gesù, ma che poi hanno campi, casa, famiglia, professione...
Il messaggio delle beatitudini ci sembra profondamente umano; ci parla di quello che abbiamo sempre desiderato dal profondo del cuore. Sì, Gesù che parla sul monte è l'Uomo, l'uomo riportato all'intenzione creatrice del principio. Ma, per riscoprire in noi la forza esaltante di questo principio, dobbiamo fare un lungo cammino di conversione e prendere sul serio le esigenze della vita spirituale, dei gemiti dello Spirito in noi, che ci conduce giorno dopo giorno verso la povertà, la mitezza, la misericordia, la passione per la giustizia e per la pace, la purezza di cuore.
Allora le beatitudini possono diventare veramente quasi la trama della vita quotidiana orientando scelte e comportamenti familiari.
Quando ci siamo sposati, abbiamo progettato la nostra vita scegliendo un lavoro meno redditizio (l'insegnamento nelle superiori), ma più "a servizio degli altri" (allora era ancora possibile scegliere il lavoro da svolgere); abbiamo desiderato, fin dall'inizio, di avere una famiglia numerosa e i nostri quattro figli oggi si domandano come abbiamo fatto. Era per noi il modo di non cercare la ricchezza e ci è stato donato "cento volte tanto".
Dedicare spazio e tempo alle esigenze degli altri con attività di volontariato sociale o con l'impegno nella comunità ecclesiale, aprire la mente e il cuore ai problemi di chi ci sta vicino può incarnare il modo di vivere la fame e la sete di giustizia che Gesù chiede ai suoi discepoli; ma si tratta anche di piccoli gesti quotidiani con i quali possiamo farci carico del futuro del mondo intero: anche un'attenta - ma a volte faticosa - raccolta differenziata dei rifiuti può divenire, per una famiglia, il modo di vivere la giustizia.
Così, la mitezza può essere quel clima che si può respirare in una famiglia dove ci sia accoglienza reciproca, gentilezza, armonia, mansuetudine e si sia capaci di vivere le differenze e le diversità senza aggressività reciproca.
"Beati coloro che piangono perché saranno consolati". Un pianto misterioso, non solo quello legato alla sofferenza e alle persecuzioni, un pianto che nasce dal cuore liberato è testimone della sua trasformazione e arreca consolazione.
Tratto da: Supplemento a Settimana n.1 del 9/01/2011, IV domenica tempo ordinario anno A