Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia

GF110 – marzo 2022

È ANCORA DI MODA LA SANTITÀ?

L’esortazione Gaudete et exultate

 

Lettere alla rivista

1-SANTITÀ E BEATITUDINI EVANGELICHE

Le beatitudini sono il codice di santità del battezzato

 

L’esortazione di papa Francesco sulla santità ha, al suo centro, le beatitudini. Come mai se ne parla così poco nella catechesi?

Nicola

 

Prima di entrare nel merito della questione posta da Nicola, mi pare opportuno precisare il significato dei termini santità e beatitudini.

Nell’esortazione di Papa Francesco Gaudete et exultate si descrive la santità come una chiamata del Signore rivolta a tutti i credenti. Non pensiamo, quindi, solo ai quelli già beatificati o canonizzati ma – come dice Francesco – ad un “popolo santo”.

Il secondo termine è beatitudini cioè la via da percorrere per raggiungere la santità.

Si tratta di acquisire la “mentalità di Gesù” che indica come suoi veri discepoli i mansueti perché possederanno la terra; quelli che piangono perché saranno consolati; quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati; i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Le beatitudini non sono solo un semplice insegnamento di Gesù, ma veramente il codice di santità del battezzato: chi è rinato in Cristo, meglio, è reso così beato, felice dallo Spirito.

Gesù è beato non per un privilegio, ma perché è tutto nel Padre, come un figlio portato in braccio. Il santo è il beato e, il beato, non è altro che un figlio. Il cammino della santità inizia dallo scoprirsi figli ed essere felici di esserlo.

Ora ecco la domanda posta da Nicola: “come mai se ne parla poco nella catechesi?”. Credo che possano essere diverse le ragioni; non ultima la sensibilità religiosa e la preparazione del/della catechista.

Un primo motivo può essere il fatto che si tratta di due contenuti molto impegnativi e non facili da tradurre in linguaggi comprensibili senza sminuirne le specifiche connotazioni teologiche. Altro probabile motivo può essere il fatto che l’idea di santità, più che le beatitudini stesse, viene percepita come una connotazione riservata a pochi ed eccelsi eletti.

È necessario dunque attivare percorsi formativi che facciano sperimentare che la santità consiste nella vita quotidiana vissuta con gioia, proprio attraverso la pratica delle beatitudini.

Esse sono “il tracciato” o “la strada” sulla quale mettersi per camminare serenamente verso la santità.

Proviamo ad interrogarci: che cosa è importante per me in questo momento? Che posto occupa Dio nella mia vita? Insomma: che cosa voglio fare della mia esistenza?

Giovanni Villata

 

Dialogo tra famiglie

2-LA SANTITÀ CONIUGALE

Essere compagni uno dell’altro nel cammino verso la santità

 

“Una moglie santa fa il marito santo”. Quanto c’è di vero in questo detto popolare?

Mimma

 

Mah! I proverbi non sempre esprimono saggezza, soprattutto in una materia così delicata. Ciò detto, quello che citi è, a mio avviso, da mettere assieme ad un altro, di segno diverso e molto presente in una pastorale datata, ma le cui conseguenze si vedono ancora oggi: “Tuo marito è la tua croce”.

Il primo: è vero che, nella tradizione cristiana, sono le madri le prime catechiste dei figli, le prime a proporre la preghiera in casa o ad invitare alla Messa domenicale, ecc.

Una santa moglie può essere una testimone, ma sta al marito voler fare il proprio cammino di santità, aiutato, sostenuto, ma non sono ammesse sostituzioni di persona!

Nessuno è salvatore di un altro – perché il Salvatore è Uno solo – ma certamente ogni coniuge è chiamato ad essere un rispettoso compagno di viaggio verso una meta che è e resta dono dello Spirito.

Il secondo: se tuo marito non ti ama “accetta tutto, perdona sempre e prega per la sua anima” era l’imperativo categorico dei confessori, come se sopportare tutto, la mitezza assoluta, fino all’annullamento, fosse il modo per aprire il cuore del marito e non lo confermasse, invece, nel ruolo di ‘padrone’ del corpo e dell’anima della moglie…

La pari dignità di due sposi non può accettare che la sofferenza di uno sia il prezzo da pagare per la conversione dell’altro.

C’è già Uno che, nella sofferenza della Croce, ha pagato per tutti, non servono altre vittime e altri carnefici.

Anna Lazzarini

 

In questo numero

3-LA SANTITÀ OGGI

Una chiamata rivolta a tutti gli uomini che Dio ama

 

di Franco Rosada

Questo numero, di 36 pagine, è interamente dedicato alla santità.

Il punto di partenza è l’esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et exultate, che presentiamo in apertura. Si tratta di una breve sintesi, perché ritengo utile che i lettori affrontino il documento leggendolo nella sua interezza.

È ciò che come redazione abbiamo fatto e da cui abbiamo ricavato gli altri argomenti proposti in questo numero.

Il primo che vi proponiamo è la storia dalla santità nel cristianesimo occidentale. Scoprirete, leggendo, come il concetto di santità sia cambiato nel corso di due millenni.

Entrando poi nel merito dell’esortazione abbiamo provato a sviluppare alcuni dei temi che la stessa tratta.

Il primo è senz’altro la gioia, la gioia che deriva dall’essere cristiani. Ma è proprio vero? Abbiamo affidato la risposta ad un documento di Paolo VI, citato anche da Bergoglio, che ne spiega le ragioni.

Questa gioia nasce dalla sequela del Cristo, che ci ha invitato a mettere in pratica le beatitudini.

Abbiamo scelto, come commento alle beatitudini, un testo di padre Bruno Maggi, che propone una lettura non convenzionale delle stesse.

La gioia nasce anche dalla capacità di fare discernimento. È un tema che abbiamo già trattato recentemente (vedi GF 105) ma che vi riproponiamo attingendo dal metodo dei gesuiti: il “discernimento degli spiriti”, nella lettura che ne dà padre Silvano Fausti, gesuita.

Ma noi, cose ne pensiamo della santità? Abbiamo proposto ai nostri lettori una serie di domande sul tema. Trovate le loro numerose risposte al centro della rivista.

Portando il discorso sulla famiglia, la Chiesa ci ha proposto come modello di santità la santa famiglia di Nazareth, un esempio che ha molti fa storcere il naso.

Ebbene, Georgette Blaquière prima ci dimostra il contrario e poi ci presenta alcuni aspetti della santità di Maria.

La santità di Giuseppe, nell’anno appena concluso dedicato a questo santo, è presentata invece da don Fabio Rosini.

Ma c’è anche una santità “feriale”, quella di cui ci parlano i nostri lettori raccontandoci di alcune persone da loro conosciute che, nella quotidianità, mostrano comportamenti “eroici”; quella di cui ci parla Gigi De Paolo, con il pretesto di illustrarci il concetto di leadership.

L’ultimo articolo è dedicato ad un grande nemico della santità: Satana. Ne parla ampiamente Bergoglio nella sua esortazione, ne parla sant’Ignazio nei suoi esercizi spirituali.

In questo numero ce ne presenta la storia, nella tradizione ebraico-cristiana, Georges Tavard mentre dal Magistero della Chiesa abbiamo attinto alcune riflessioni per mostrarne l’attualità.

Grazie a tutti coloro che ci hanno aiutato a realizzare questo numero, grazie a tutti i lettori che ci vorranno far avere le loro opinioni.

formazionefamiglia@libero.it

 

4-COME E PERCHÉ SOSTENERCI

Si paga un abbonamento per ricevere questa rivista o la rivista viene inviata a coloro che sostengono l’associazione Formazione e Famiglia?

Sembra un po’ una domanda nello stile di: “è nato prima l’uovo o la gallina?”, ma non è così.

Non siamo degli editori, il nostro scopo non è raccogliere abbonamenti ma quello di promuovere i Gruppi Famiglia nelle realtà parrocchiali. La rivista è risultata nel tempo - ha già trent’anni - lo strumento più adatto a questo scopo, insieme con i campi estivi per famiglie.

Però, senza i vostri contributi, l’associazione non ha i mezzi economici per stamparla e spedirla.

Quindi, vi invitiamo ad evitare di scrivere sul bollettino di CCP “abbonamento anno XX”, perché sono informazioni che già conosciamo, lasciate l’indicazione prestampata: “contributo liberale”, che è la vera natura del vostro versamento, ma non fateci mancare il vostro sostegno.

 

5-IL CAMMINO SINODALE DEI GRUPPI FAMIGLIA

In quest’anno in cui tutta la Chiesa italiana è impegnata nella prima fase del cammino sinodale anche noi, come direttivo del Collegamento tra Gruppi Famiglia, ne proponiamo uno, invitando tutte le coppie che vorranno partecipare.

Non occorre una particolare preparazione o lo svolgimento di un particolare servizio, siamo tutti “popolo di Dio” e quindi siamo tutti convocati.

Ecco le prossime tappe:

12 febbraio: Dall’attivismo pastorale alla formazione teologica.

2 aprile: Dall’autoreferenzialità ecclesiale al dialogo socio-culturale.

21 maggio: Conclusioni. Per un nuovo inizio.

Tutti gli incontri inizieranno alle ore 21 e si terranno su Zoom.

Se siete nella nostra mailing list riceverete per tempo il link dell’incontro, altrimenti lo potere richiedere a:

formazionefamiglia@libero.it

 

6-GAUDETE ET EXSULTATE

Non c’è che una tristezza al mondo, quella di non essere santi

 

di Ivan Salvadori*

Oggi occorre domandarsi in tutta onestà: la via della santità è ancora la proposta di una vita piena e realizzante, capace di soddisfare i desideri e le aspirazioni più profonde?

Oppure - come pensano in molti – è l’espressione di una vita non vissuta in pieno, mortificata e perfino umiliata nelle sue aspirazioni più profonde alla felicità, tanto che chi la desidera deve rivolgersi altrove?

La terza esortazione di papa Francesco è dedicata proprio al tema della santità e già dal titolo emerge anche la chiave di lettura fondamentale per intendere il tema della santità nel Magistero di papa Francesco: la gioia.

Il papa - che qui dà eco a una costante di tutto il cristianesimo - percepisce la gioia come l'esito più immediato dell'incontro con Cristo. La gioia di cui parla è la “consolazione spirituale” di cui scrive Sant'Ignazio nel libro degli esercizi: è “la gioia interiore che stimola e attrae alle realtà celesti e alla salvezza dell'anima, dandole tranquillità e pace nel suo Creatore e Signore”.

Da una parte, infatti, la gioia spinge Il discepolo ad aderire sempre più profondamente a Cristo; dall'altra è anche la forza che lo invita ad uscire da sé per comunicare a tutti che l'enigma della vita ha finalmente trovato una soluzione proprio nell'incontro con il Signore.

La riforma che il papa si auspica dalla Chiesa non è quella che tocca il piano dell'organizzazione e delle “strategie”, ma quella - ben più profonda - che si può realizzare solo rimettendo Dio al centro e cercandolo e trovandolo in tutte le cose, secondo il celebre motto di Sant'Ignazio di Loyola “curet primo Deum” (che potremmo rendere In questo modo: si faccia in modo di avere dinanzi agli occhi, sempre, prima di ogni altra cosa, Dio).

In particolare vorrei provare a rispondere a queste domande: in che cosa consiste la santità cristiana? Quali ne sono i tratti inconfondibili? Come cresce nel popolo di Dio e quali sono i nemici che la ostacolano?

 

Il cuore della santità

Da una attenta lettura del testo mi pare di poter dire che per Papa Francesco sono soprattutto quattro le coordinate che, nel loro insieme, offrono un contorno molto nitido della Santità Cristiana.

Il primo elemento che colpisce, nel discorso del Papa, è che la santità alla quale pensa è soprattutto una “santità quotidiana”, quella del popolo di Dio che, nell'ordinarietà della vita, si sforza di andare avanti, giorno per giorno.

Scrive il papa: “Mi piace vedere la santità del popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti ogni giorno vedo la santità della Chiesa militante”.

La seconda coordinata potremmo tradurla così: una santità di popolo o comunitaria. Infatti, nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana.

La santità di popolo non annulla il fatto che la santità debba essere anche personale. La santità è sempre legata anche alla singola persona. Non ci sono modelli astratti o ideali che possano valere per tutti. La santità quotidiana è semplice, fatta di piccole cose, ma ciascuno deve poter individuare, nel mondo, la missione che Dio gli ha affidato.

Infine, l'ultima coordinata fondamentale della Santità può essere individuata nella sua gradualità.

La santità, dunque, emerge dall'insieme della vita, non dall'analisi puntigliosa di tutti i particolari e di tutte le azioni di una persona. E dall’insieme della vita, - fatta anche di limiti e di errori - emerge il mistero di una persona in grado di riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi.

 

Due sottili nemici della santità

Nel II capitolo il papa richiama l’attenzione su due errori striscianti che seducono molti. Si tratta di due atteggiamenti che riecheggiano due antiche eresie, condannate nei primi secoli: lo gnosticismo e il pelagianesimo. “In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente”: soltanto la nostra conoscenza o il nostro sforzo personale.

Il primo rischio che insidia la santità è quello dello gnosticismo. Lo gnosticismo riduce la fede a una forma di conoscenza, nella quale a contare sarebbero, ultimamente, soltanto la dottrina, le nostre idee e i nostri ragionamenti.

In breve: lo gnosticismo è tanto più pericoloso quanto più induce a credere che a renderci migliori sia la conoscenza e che in fondo sia sufficiente, nella fede, avere un sistema di idee che permetta di dominare la realtà. Il punto debole di questo sistema è però nel fatto che si rivela incapace di interrogare la storia concreta delle persone, addomesticando “sia il mistero di Dio e della sua grazia, sia il mistero della vita degli altri”.

Il secondo rischio è quello del pelagianesimo. In questo caso, si crede che a renderci migliori, non siano tanto le idee (la conoscenza, la dottrina), quando il fare derivato dallo sforzo personale. Pelagiani erano coloro che, nella Chiesa antica, assolutizzavano a tal punto il potere dello sforzo personale e della volontà, da dimenticare che la santità è anzitutto opera della grazia, frutto della docilità allo Spirito. Non c’è nessun atto umano che non sia sostenuto previamente dalla grazia di Dio. I nuovi pelagiano sono quei cristiani che credono di diventare migliori con le proprie forze, adorando così, non più il Signore, sorgente di ogni grazia, ma se stessi.

Ne deriva un cristianesimo fatto perlopiù di norme e di precetti, privo, però, della sua affascinante semplicità.

 

Nello spirito delle Beatitudini

Come è possibile diventare santi? La risposta - semplice nella sua formulazione - è questa: occorre mettere in pratica in pratica le Beatitudini.

La strada della santità passa anzitutto dalla contemplazione dei Misteri della vita di Cristo e da qui trae le norme da mettere in pratica.

In questo modo, la spiritualità che ne deriva ha perlomeno due caratteristiche. Anzitutto, evita il rischio di separare la preghiera dall'azione. In secondo luogo, offre ai cristiani una via alternativa alla logica mondana per il fatto che le beatitudini contraddicono, nel loro complesso, proprio ciò in cui crede il mondo: esse sono parole controcorrente rispetto a ciò che è abituale.

Basti un solo esempio: se il mondo proclama beati coloro che possono vantare ricchezze e si sentono soddisfatti in se stessi, le beatitudini ribadiscono - al contrario - che la povertà è un bene ancora più stimabile perché apre le porte del cuore all’ingresso di Dio. Un discorso analogo può essere fatto per tutte le singole beatitudini, che il papa passa in rassegna, commentandole con estrema schiettezza.

 

Essere santi nel mondo attuale

Originale è anche il capitolo IV. Qui il papa delinea cinque caratteristiche della santità che hanno oggi una particolare attualità e che egli presenta come “cinque grandi manifestazioni dell’amore per Dio e per il prossimo”. Le enumero brevemente.

Fermezza interiore. Significa rimanere saldi in Dio, sopportando e sostenendo le contrarietà e le vicissitudini della vita, perfino le aggressioni degli altri.

Gioia e senso dell’umorismo. Anche se nella vita cristiana ci possono essere momenti duri e tempi di croce, “niente può distruggere la gioia soprannaturale”. Il malumore non è un segno di santità. Il Signore “ci vuole positivi, grati e non troppo complicati”.

Audacia. È quell’atteggiamento pieno di coraggio che spingeva gli apostoli ad annunciare Gesù Cristo anche in mezzo alle avversità. Evangelizzatori tristi e scoraggiati non evangelizzano nessuno.

Comunità. Riflette il desiderio di Gesù - espresso nel vangelo di Giovanni - che “tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21).

La preghiera costante. Solo nel silenzio - ricorda il papa - è possibile il discernere le vie di santità che il Signore ci propone.

 

La vita cristiana come lotta

L'ultimo capitolo della Gaudete et exultate è dedicato al tema della lotta spirituale, come lasciano intendere, non solo il titolo, ma anche le parole iniziali con le quali si apre: “la vita cristiana è un combattimento permanente”.

Pur essendo questo un tema classico della spiritualità cristiana, è andato incontro, in questi ultimi decenni, a un inesorabile oblio, al punto da essere oggi praticamente dimenticato.

Raramente si sente parlare della vita spirituale, di quella relazione fondamentale che lega Dio all'uomo e che diventa, quindi, il vero punto di unificazione della vita.

E, ancora più raramente - è la mia modesta impressione - ci educa alla lotta spirituale: a questa disciplina dura e ed esigente - ma, per altri versi, persino affascinante - che richiede di dire dei “sì” e dei “no”; e che tuttavia umanizza e rende liberi, aprendo l'orizzonte ad una vita piena.

Questa dimenticanza del tema è ancora più sorprendente se si pensa al fatto che lo stare con il Signore - il fatto di seguirlo sulla strada del discepolato - accade sempre nella forma drammatica della lotta e mai in quella del semplice possesso pacifico. L'ingresso nella fede - in altre parole - non introduce in una condizione pacifica e riposante, ma spalanca le porte alla lotta: una lotta ardua e permanente, che permette però di vagliare un uomo, mettendo in luce a chi egli appartenga realmente. La lotta spirituale - precisa il papa - la si combatte contro tre nemici.

Il primo nemico è costituito dalla nostra fragilità, dalle nostre inclinazioni, come, ad esempio, la pigrizia, la lussuria, l'invidia, le gelosie, e così via. La lotta è, dunque, anzitutto contro noi stessi.

Il campo di battaglia - questo è il punto - non è esterno a noi, ma è il cuore umano, inteso come la sede delle decisioni, dei pensieri, degli affetti, della volontà.

La lotta del credente è anche lotta “contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce, e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia”.

Il fatto di vivere in un mondo che è ormai diventato un villaggio globale e nel quale siamo sempre informati di tutto ciò che accade è indubbiamente un valore incontestabile però tutto ciò nasconde delle insidie, come le sue logiche non sempre evangeliche e con i suoi stili di vita non sempre liberanti.

Infine, non possiamo dimenticare che la lotta cristiana è anche una lotta contro “il diavolo, che è il principe del male”. E qui il discorso merita un breve approfondimento.

 

L’esistenza del diavolo

Se ci limitiamo a osservare la realtà solo da un punto di vista umano, con criteri empirici, allora siamo tentati - come molti (anche teologi) - di negare l'esistenza del diavolo, di dire che è unicamente un mito, una rappresentazione, un simbolo del male che è in noi. Ma così facendo, non riusciremo comunque a spiegarci perché il male abbia in sé una tale forza distruttiva.

Se invece ascoltiamo la rivelazione e osserviamo la realtà da una prospettiva soprannaturale - scrive il papa - allora ci accorgiamo che la sua presenza è attestata dalla prima pagina della Scrittura, Scrittura che termina - appunto - con la vittoria di Dio su di lui.

D'altro canto, anche la preghiera che Gesù ci ha lasciato, il “Padre nostro”, si conclude proprio con questa invocazione: “liberaci dal male”, che andrebbe tradotta, più correttamente, in questo modo: “liberaci dal Maligno”. Essa indica, dunque, un essere personale che ci tormenta ed al quale Gesù ci ha insegnato a chiedere la liberazione.

Non è naturalmente sufficiente indicare i nemici contro i quali dobbiamo combattere se non si indicano subito anche gli strumenti che la Chiesa ci offre in ordine alla lotta spirituale.

Per questa lotta “abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione della Messa, l'adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l'impegno missionario”.

 

È questo - in sintesi - il cammino spirituale che il papa propone alla Chiesa, ma anche a ciascuno di noi, in ordine al raggiungimento della felicità.

 

* vicario generale della diocesi di Como

Sintesi della Redazione

Fonte: http://www.azionecattolicacomo.it/wp-content/uploads/2019/05/Gaudete-ed-Exsultate.pdf

 

La santità, per Francesco, è soprattutto una “santità quotidiana”, quella del popolo di Dio che, nell'ordinarietà della vita, si sforza di andare avanti, giorno per giorno.

 

Per il credente l'enigma della vita trova soluzione nell'incontro con il Signore, nel mettere Dio al centro della vita.

 

Non dimentichiamoci mai che la vita cristiana è un combattimento permanente: contro noi stessi, contro il mondo e contro il diavolo.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          La santità, non quella eroica ma quella quotidiana, è una grazia che chiediamo al Signore?

•          Come si consegue la santità? Seguendo le norme e i precetti; confidando nella nostra forza di volontà o nella grazia di Dio?

•          Nella nostra vita ci impegniamo per tante cose: il lavoro, la salute, l’armonia familiare, il benessere dei figli. Quanto ci impegniamo per diventare santi?

 

7-LA STORIA DELLA SANTITÀ

Dai primi martiri alle beatificazioni contemporanee

 

a cura della Redazione

Come molte altre realtà cristiane il concetto di santità si è evoluto - e a volte involuto - nel corso dei secoli. Di seguito una breve carrellata su questo tema.

 

Anche se il fenomeno della santità è sconosciuto presso le prime comunità cristiane - perché “la santità riguarda tutti i credenti e non comporta forme di culto” - già agli inizi del II secolo, in concomitanza con le prime persecuzioni anticristiane, Ignazio, vescovo e martire, “individua nell’estremo sacrificio della vita, come testimonianza della propria fede, la realizzazione dell’ideale dell’imitazione di Cristo”.

 

I primi secoli

Nella concezione delle prime generazioni cristiana le persecuzioni, anziché una sconfitta, sono considerate una partecipazione alla morte di Gesù.

L’ideale del martirio fu considerato un secondo battesimo capace di annullare i peccati. I martiri avevano il privilegio di non dover attendere la resurrezione finale, ma di poter giungere immediatamente presso Dio.

Il riconoscimento dei martiri come “santi” risale alla metà del II sec., mentre nel III sec. essi diventano intercessori presso Dio.

I confessori. Dal IV secolo, con la fine delle persecuzioni, inizia a svilupparsi il culto di figure diverse dai martiri, ma i cui meriti li assimilano ad essi: sono asceti, monaci e vescovi che vengono a costituire nel cristianesimo tardo antico i principali modelli di vita cristiana.

All’asceta e al monaco vengono riconosciuti poteri straordinari. L’elemento miracolistico, marginale nella letteratura sui martiri, è invece presente nelle biografie monastiche.

Il culto dei santi non martiri venne condizionato dalla mentalità dell’epoca, per cui il santo era vissuto come una sorta di patrono celeste, più potente rispetto al patronus del mondo classico.

Il culto delle reliquie. È a partire da questo periodo che inizia anche la venerazione dei resti fisici dei martiri, con il loro disseppellimento, trasferimento, frammentazione delle loro ossa.

Poiché la legislazione di Roma vietava lo spostamento e la manipolazione dei cadaveri, nella capitale dell’Impero si usava, per soddisfare la richiesta di reliquie, utilizzare reliquie di contatto, stoffe od oggetti che avevano toccato la tomba dei martiri.

Si giunge ad attribuire ad essi poteri miracolosi, e questa pratica viene incoraggiata anche dai vescovi.

 

La santità fra VI e VIII secolo

Nelle terre soggette ai nuovi poteri romano barbarici i “vescovi e abati si propongono come protagonisti del cristianesimo, per il loro prestigio spirituale e sociale, le loro virtù e la loro attività caritativa”.

Sono le stesse funzioni che essi svolgono, in virtù della loro attività di supplenza di fronte al progressivo venir meno del potere politico, a favorire il riconoscimento di eccezionalità.

Le reliquie. Le reliquie del santo diventano il fondamento dell’istituzione, garanzia della persistente sacralità del luogo, del suo potere di mediazione fra cielo e terra.

Il potere delle reliquie dei santi è testimoniato dalle contese per il loro possesso fra luoghi diversi legati alla memoria dello stesso santo.

I pellegrinaggi. Se i luoghi segnano il percorso di santità, la santità contribuisce alla sacralizzazione dello spazio. Luogo sacro per eccellenza è la Terra Santa, santificata dalla nascita, vita e morte di Gesù.

Meta di pellegrinaggi dall’Occidente, è oggetto nell’alto Medioevo di appassionate descrizioni alimentando il desiderio di recarvisi in devoto pellegrinaggio e dal XI sec, di riconquistarla.

 

La santità fra X e XI secolo

L’ideologia del Sacro Romano Impero, dall’età degli Ottoni, porta alla promozione di culti di re e imperatori, trovando radici nella concezione sacrale del potere di origine germanica.

“La Chiesa favorì il culto di sovrani che non solo avevano contribuito all’ampliamento dei confini della cristianità, ma avevano posto i loro stati sotto l’autorità della Chiesa di Roma”.

La guerra santa. “Le connessioni tra espansione territoriale del Sacro Romano Impero e cristianizzazione producono una cultura e una pratica della guerra generalizzata”.

L’ideale della conquista cristiana del mondo porta alla crociata, pratica militare che viene sacralizzata e volta alla distruzione degli infedeli e alla riconquista della Terra Santa.

Questa ideologia comporta un mutamento radicale nella concezione antica del martirio con “una santificazione generalizzata per tutti coloro che prendono le armi e la croce”, perché “i soldati di Cristo non temono di peccare quando uccidono i nemici”.

 

La santità dal XII al XV secolo

Le città comunali prima e le signorie poi rappresentano il fenomeno più interessante di questo periodo. In questo contesto Il restauro della chiesa cattedrale “costituì frequentemente l’occasione per il prodigioso rinvenimento di reliquie eccellenti, con cui si rinnovò il culto” e i santi divennero garanti della grandezza municipale.

Le religiose. Tra XII e XIII secolo si ha una crescente sviluppo di esperienze religiose femminili grazie alla crescente fortuna delle istituzioni ospedaliere.

Maestre spirituali, carismatiche, conquistarono il diritto alla storia avendo suscitato l’ammirazione di uomini.

Queste sante, spose di Cristo, “sarebbero divenute contraltare delle amanti del diavolo e loro temibili concorrenti”.

Le procedure di riconoscimento. Si andò allargando la forbice tra santità percepita dal basso e santità canonizzata dall’alto, attraverso la centralizzazione romana delle procedure per il riconoscimento della santità.

Da quest’epoca iniziò la diversificazione tra i due termini “santi e beati”. “Col primo si indicarono i canonizzati, col secondo i personaggi che, pur oggetto di un culto da parte dei fedeli, non avevano ricevuto un’esplicita autorizzazione da parte della curia romana”.

 

La santità nel Rinascimento

La riaffermazione della potestà pontificia a livello teologico e la costruzione della “Monarchia papale” nel Quattrocento fu impresa che condizionò la Chiesa e la cristianità.

Nello stesso tempo l’Italia fu la culla dell’umanesimo, un umanesimo che, quando non anticlericale, fu alieno dal coltivare l’aspetto religioso.

In questo periodo ha origine il concetto di santità eroica in età umanistica.

Il concetto classico di “uomo o donna illustre” viene arricchito dal cristianesimo del concetto di santità e si giunge alla codificazione di un più ampio spettro di categorie di persone degne di memoria e di imitazione.

Il culto mariano. Il XV sec è un periodo che privilegia apparizioni, rinvenimenti di immagini o eventi straordinari legati alla Madonna. Il culto mariano si esplica nella promozione di nuove feste liturgiche e nell’elaborazione teologica del tema della Immacolata Concezione: la credenza è diffusa, ma non ancora proclamata dogma.

Le contestazioni. Di fronte all’eccessivo culto delle immagini gli uomini della Riforma danno vita a un vero e proprio processo di iconoclastia spogliando le chiese di dipinti e statue. Il culto dei Santi viene considerato una superstizione che ha sovvertito la purezza della predicazione evangelica.

Le reazioni. “Il Papato accoglie le critiche dei Riformatori e percepisce l’importanza di una riforma del culto dei santi, delle indulgenze e delle reliquie” e, dal 1523 al 1588, il papa sospende ogni canonizzazione; questo per cautela: non si vuole inasprire il conflitto con i contestatori.

Solo dopo Concilio di Trento si ripresero le canonizzazioni demandando a un organismo apposito, la Congregazione dei Riti, il compito di istruire i processi di canonizzazione.

 

La santità e la Controriforma

Dalla fine del XVI sec, il culto dei santi arrivò a esprimersi nelle comunità a un livello mai raggiunto prima.

Questo culto, oltre a costituire la classica risposta ai flagelli della guerra, della carestia e delle epidemie, si manifestò soprattutto in occasione della celebrazione della festività del santo in questione. Attraverso fastose processioni, divenne un’esperienza multimediale “in cui arte, architettura, scultura, parola, musica e stampa venivano dispiegate per stimolare il cuore e l’anima attraverso l’occhio e l’orecchio”.

La via crucis. “Lo spazio sacro debordava dall’interno delle chiese nelle strade, nelle case e nei campi dei fedeli. Un esempio fu la devozione della via crucis: la più famosa, fu quella che venne consacrata da Benedetto XIV a Roma nel Colosseo, alla chiusura dell’Anno Santo del 1750”.

In questo periodo, dal punto di vista dei “consumatori della santità”, l’efficacia di un santo era misurata sulla base della sua capacità di dispensare cure miracolose.

 

La santità nella modernità

Con la Rivoluzione francese finì in frantumi un intero sistema di relazioni di alleanza tra il trono e l’altare riconducibili all’antico regime.

Per reazione, nel periodo immediatamente successivo, il modello di santità riconosciuto dalla gerarchia ecclesiastica privilegia un modello clericale e la proclamazione dei santi e dei beati viene a rappresentare una manifestazione diretta del potere del papa.

Il processo di canonizzazione. A papa Pio XII si deve la costituzione di un collegio di medici, con il compito di vagliare, con metodi rigorosamente scientifici, le manifestazioni miracolose allegate agli atti dei processi, a carattere sia fisico sia psicologico.

Nel corso del Concilio Vaticano II (1962-1965) per la prima volta il culto dei santi è oggetto di una deliberazione attraverso la quale si indicavano i lineamenti di una “santità per tutti”, ponendo le premesse di un potenziale superamento di quell’ideale tridentino delle virtù eroiche.

Santi laici oppure laici santi? I primi lineamenti di questo processo si può comunque far risalire già con Pio XI e poi con Pio XII.

“Questa spinta a una santità universale e al suo riconoscimento ha comportato una potenziale frammentazione di un modello della santità, praticata e riconosciuta, che viene portata a coincidere con le diverse forme di un’esistenza cristianamente vissuta.”

 

Da parte della suprema gerarchia ecclesiastica oggi si vuole inculcare nella devozione dei fedeli il ruolo del santo come modello esemplare di vita cristiana da imitare, e non come intercessore da invocare.

 

Tutte le informazioni e le frasi tra parentesi sono tratte dal libro: AA. VV. Storia della santità nel cristianesimo occidentale, Viella, Roma 2005.

 

Oggi i santi vengono proposti come modelli esemplari di vita cristiana da imitare, e non tanto come intercessori da invocare.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Perché preferiamo rivolgerci ai santi anziché direttamente a Dio?

•          Nella scelta del santo da invocare quanto siamo condizionati dalle tradizioni familiari?

•          Quanto conosciamo della vita dei santi a cui ci rivolgiamo?

•          Ci sono statue di santi che sono logorate in alcune parti per il continuo sfregamento. È solo superstizione?

 

8-LA GIOIA CRISTIANA

Rallegratevi nel Signore, perché egli è vicino a quanti lo invocano con cuore sincero

 

A cura della Redazione

Gioia e festa sono le prime parole con cui si apre l’esortazione apostolica sulla santità di papa Francesco. Ma Bergoglio non è il primo papa che affronta il tema della gioia cristiana, lo aveva già fatto in tempi recenti san Paolo VI nel 1975 con l’esortazione Gaudete in Domino (1).

Più volte Francesco ha parlato di cristiani con la faccia da funerale (2), quindi abbiamo pensato che possa essere utile provare a riassumere il documento di Montini, citato peraltro da Bergoglio stesso nella Gaudete et exultate.

 

Il bisogno di gioia

“Ogni uomo, affacciandosi al mondo, prova insieme al desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, anche quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità”, scrive Paolo VI. “Come ognuno sa, vi sono diversi gradi in questa «felicità». La sua espressione più nobile è la gioia” e l’uomo la prova “quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri” e, ancora di più, “quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile”.

Ma questa gioia “è sempre imperfetta, fragile, minacciata”, perché l’uomo, nella sua finitudine, constata la distanza profonda che esiste “tra la realtà e il desiderio di infinito”.

“La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia”. Perché la gioia vera è spirituale. “Il denaro, le comodità, l'igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti.

Ciò giunge talvolta fino all'angoscia e alla disperazione, che l'apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire.

Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia”.

 

La gioia nel Vangelo

“Per essenza, la gioia cristiana è partecipazione spirituale alla gioia insondabile, insieme divina e umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato” continua Montini. “Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore”.

“Gesù, nella sua umanità, ha fatto l'esperienza delle nostre gioie. Egli ha manifestamente conosciuto, apprezzato, esaltato tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti. Egli ammira gli uccelli del cielo e i gigli dei campi. Egli esalta volentieri la gioia del seminatore e del mietitore, quella dell'uomo che scopre un tesoro nascosto, quella del pastore che ritrova la sua pecora o della donna che riscopre la dracma perduta, la gioia degli invitati al banchetto, la gioia delle nozze, quella del padre che accoglie il proprio figlio al ritorno da una vita di prodigo e quella della donna che ha appena dato alla luce il suo bambino. Queste gioie umane hanno tale consistenza per Gesù da essere per lui i segni delle gioie spirituali del Regno di Dio”.

“Ma se Gesù irradia una tale pace, una tale allegrezza, è a causa dell'amore ineffabile di cui egli sa di essere amato dal Padre. Questa certezza è inseparabile dalla coscienza di Gesù. È una Presenza che non lo lascia mai solo”.

“Questo vale anche per i cristiani” ma richiede “una totale fiducia nel Padre e nel Figlio, e una preferenza data al Regno. Il messaggio di Gesù promette innanzi tutto la gioia, questa gioia esigente: è la gioia delle beatitudini (NdR: queste sono il cuore della Gaudete et exultate!).

Ne deriva che, quaggiù, la gioia del Regno portato a compimento non può scaturire che dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. Né la prova né la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma esse acquistano un significato nuovo nella certezza di partecipare alla redenzione operata dal Signore, e di condividere la sua gloria”.

 

La gioia dei santi

“Dopo venti secoli, questa sorgente di gioia non ha cessato di zampillare nella Chiesa, e specialmente nel cuore dei santi”, sottolinea Paolo VI mettendo al primo posto la Vergine Maria e santo Stefano, il primo martire cristiano.

Ma Montini desidera ricordare in particolare tre figure, “che ancora oggi attirano moltissimo l'insieme del popolo cristiano, e anzitutto il Poverello d'Assisi. Nella spogliazione estrema, ormai quasi cieco, egli poté cantare l'indimenticabile Cantico delle creature, la lode di frate sole, della natura intera, divenuta per lui come trasparente, specchio immacolato della gloria divina, e perfino la gioia davanti alla venuta di «sora nostra morte corporale» (NdR quanta vicinanza in questo tra Montini e Bergoglio!).

In tempi più vicini a noi, santa Teresa di Lisieux ci mostra la via coraggiosa dell'abbandono nelle mani di Dio, al quale essa affida la propria piccolezza.

Infine come non ricordare, immagine luminosa per la nostra generazione, l'esempio del beato Massimiliano Kolbe, genuino discepolo di san Francesco? Durante le prove più tragiche, che insanguinarono la nostra epoca, egli si offrì spontaneamente alla morte per salvare un fratello sconosciuto”.

 

Una gioia anche per noi

 “L'invito rivolto da Dio Padre a partecipare pienamente alla festa eterna delle Nozze dell'Agnello, è una convocazione universale”, prosegue Paolo VI.

“Il nostro sguardo si rivolge innanzitutto al mondo dei bambini. Finché trovano nell'amore di chi è loro vicino la sicurezza di cui hanno bisogno, essi hanno anche la capacità di assimilazione, di stupore, di fiducia, di spontaneità nel donarsi. Essi sono idonei alla gioia evangelica.

E ancora, noi raggiungiamo col pensiero tutti coloro che ricoprono piena responsabilità familiare, professionale, sociale.

Pensiamo al mondo dei sofferenti, a tutti coloro che stanno volgendo al termine della vita. La gioia di Dio bussa alla porta delle loro sofferenze fisiche e morali, non certamente per deriderli, ma per compiervi la sua paradossale opera di trasfigurazione.

Il nostro spirito e il nostro cuore si rivolgono anche verso coloro che vivono al di là della sfera visibile del Popolo di Dio. Conformando la loro vita ai richiami più profondi della propria coscienza, che è l'eco della voce di Dio, anch'essi sono sulla via della gioia” (NdR pensiamo al capitolo ottavo della Fratelli tutti).

 

Conclusione

Quali sono, quindi, le sorgenti della nostra gioia? Per Montini sono semplicemente queste: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; mediante il suo Spirito, la sua Presenza non cessa di avvolgerci con la sua tenerezza e di penetrarci con la sua Vita; e noi camminiamo verso la beata trasfigurazione della nostra esistenza nel solco della risurrezione di Gesù. Sì, sarebbe molto strano se questa Buona Novella, che suscita l'alleluia della Chiesa, non ci desse un aspetto di salvati.

La gioia di essere cristiano, strettamente unito alla Chiesa, «nel Cristo», in stato di grazia con Dio, è davvero capace di riempire il cuore dell'uomo”.

“L'educazione a un tale sguardo non è solamente compito della psicologia. Essa è anche un frutto dello Spirito Santo”. Questo Spirito abita in pienezza nella persona di Gesù e ha animato la Vergine Maria e ciascuno dei santi. È questo medesimo Spirito che dona ancor oggi a tanti cristiani la gioia di vivere ogni giorno la loro vocazione particolare nella pace e nella speranza, che sorpassano le delusioni e le sofferenze.

 

(1) Vedi: https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19750509_gaudete-in-domino.html

(2) Fonte: https://www.avvenire.it/papa/pagine/angelus-papa-francesco-13-12-2020

Sul tema della gioia vedi anche: GF89 https://www.gruppifamiglia.it/GF89_2016.htm

 

Tu ci hai creati per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te. Sant'Agostino

 

Nell'annuncio gioioso della risurrezione, la pena stessa dell'uomo si trova trasfigurata, mentre la pienezza della gioia sgorga dalla vittoria del Crocifisso e rischiara le tenebre delle anime. Paolo VI

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quali occasioni, quali circostanze hanno riempito il nostro cuore di gioia?

•          Quali pensieri, quali atteggiamenti ci aiutano a superare la tristezza e a ritrovare la gioia?

•          Quanto la fede in Cristo, morto e risorto, ci aiuta a coltivare e a mantenere la gioia?

 

9-LE BEATITUDINI

Dio vuole, desidera, che gli uomini siano pienamente felici

 

di Alberto Maggi*

Spesso c’è un senso di frustrazione nel vedere che le beatitudini siano le grandi assenti nella conoscenza religiosa dei cristiani. Tutti conoscono i comandamenti. Tutti sanno che sono dieci. Magari fanno un po’ di confusione… ma provate a chiedere qualcosa riguardo alle beatitudini, quante e quali sono.

La prima – la più antipatica – la conoscono tutti: “Beati i poveri”. Ma chi è quel pazzo che spera di essere povero, afflitto, affamato o nel pianto?

Questa interpretazione è stato il fallimento del messaggio di Gesù, un’autentica disgrazia nella spiritualità cristiana. Sembra quasi che Gesù abbia beatificato i disgraziati dell’umanità con la promessa ipotetica che di loro sarebbe stato il paradiso. Quindi la religione come oppio dei popoli. Questo è drammatico.

Le beatitudini sono tutt’altro che l’oppio dei popoli; sono l’adrenalina dei popoli, sono il motore di cambiamento di questa società. Non sono un messaggio per l’aldilà ma un messaggio per il di qua.

Vediamo allora questo testo che è un capolavoro, non solo teologico, spirituale, ma anche letterario dell’evangelista Matteo (5,1-12).

 

Otto beatitudini

Anzitutto è importante il numero delle beatitudini: in Matteo sono otto. Questo numero nel cristianesimo primitivo era importante perché era la cifra che simboleggiava la resurrezione di Cristo, risuscitato il primo giorno dopo la settimana, cioè il giorno ottavo.

Infatti, l’accoglienza delle beatitudini garantisce qui già da questa esistenza una vita di una qualità che è indistruttibile. La vita eterna non è un premio nel futuro, ma una possibilità da sperimentare ora. Chi accoglie il messaggio di Gesù e lo traduce in pratica sentirà liberare dentro di lui certe energie, certe capacità, certe forze vitali d’amore che lo portano già in una dimensione che è quella definitiva.

 

Beati

Anzitutto le beatitudini sono scandite da questo invito: “beati”. All’epoca di Gesù il termine “beato” indicava la felicità piena e totale che era la caratteristica gelosa ed esclusiva delle divinità.

Ebbene Gesù per otto volte invita alla pienezza della felicità. Mentre la religione promette una illusoria felicità, insegna la felicità nell’aldilà (soffri di qua, sarai felice nell’aldilà), Gesù è venuto ad annunziare che è possibile essere pienamente felici qui in questa esistenza.

 

Beati i poveri in Spirito

Gesù proclama “beati i poveri per lo spirito perché di questi è il regno dei cieli”. Questa è la prima beatitudine perché è la condizione perché esistano tutte le altre beatitudini. Infatti, è l’unica con il tempo del verbo al presente.

Dal punto di vista grammaticale “Poveri di spirito” può significare essere deficiente, tonto ma non è questo ciò che intende Gesù.

Poveri nello spirito può significare anche un atteggiamento spirituale; e guarda caso questa è stata proprio l’interpretazione che venne scelta in passato dalla Chiesa. Ma Gesù non ci chiede un distacco spirituale, ma un distacco reale.

Lo spirito che accompagna la parola “poveri” non indica lo Spirito Santo – poiché Matteo lo definisce sempre o “Spirito Santo” o “Spirito del Padre” – ma lo spirito dell’uomo, un’energia interiore dell’uomo stesso.

Poveri per lo spirito significa persone che per lo spirito, cioè per la forza interiore, scelgono loro volontariamente di entrare nella condizione della povertà, per poterne eliminare le cause.

Gesù ci chiede di praticare non l’elemosina ma la condivisione, una condivisione capace di creare fratellanza.

Chi pratica questa beatitudine conquista il regno dei cieli.

 

Regno dei cieli

Ma cos’è questo “regno dei cieli”? Serve una precisazione: nel mondo giudaico, il nome di Dio non si pronuncia né tanto meno si scrive. Allora tutte le volte che l’evangelista ne ha la possibilità sostituisce il termine Dio con termini che lo raffigurano. Uno di questi è “cielo”.

Quindi, “regno dei cieli”, nel Vangelo di Matteo è il “regno di Dio”.

Gesù non è venuto a formare dei santi ma a dare un messaggio che cambi le strutture stesse della società. Le società si basano su tre verbi che portano rivalità e inimicizia. Questi verbi sono: avere, salire, comandare.

Ebbene il Regno che propone Gesù è una società dove al posto dell’accumulo dei beni c’è la gioia della condivisione; dove alla bramosia di salire sopra gli altri c’è la gioia di scendere (che significa non considerare nessuno inferiore a sé stessi) e al desiderio di comandare c’è l’esperienza gioiosa del servire gli altri. Questo è il Regno di Dio.

Ebbene Gesù assicura questo: se c’è un gruppo di persone che oggi sceglie liberamente, volontariamente, per amore, di essere responsabile della felicità e del benessere degli altri, Dio si prende cura di loro. È uno scambio meraviglioso.

 

Dio è padre

Succede allora che si passa dal credere che Dio è Padre a sperimentarlo: è grande la differenza.

Purtroppo ci hanno imbottito di ideologie, ma non ci hanno trasmesso esperienze vitali; ci hanno fatto credere che Dio è Padre – ed è giusto – ma non ce lo hanno fatto sperimentare.

Invece, se ci prendiamo cura e diventiamo responsabili della felicità e del benessere degli altri, permettiamo a Dio di prendersi cura Lui della nostra felicità, e la vita cambia perché si sperimenta quotidianamente, anche negli aspetti minimi insignificanti dell’esistenza, la presenza tenera di un Padre che in qualunque situazione ci sussurra: “non ti preoccupare, fidati di me”. Non significa che vengano tolte le difficoltà, ma c’è una forza nuova, una capacità nuova per viverle.

 

Beati gli afflitti

Se c’è questa scelta da parte di una comunità, ecco che Gesù presenta le possibili conseguenze positive nell’umanità.

L’evangelista elenca alcuni casi emblematici di sofferenza. La prima è: “beati gli afflitti perché saranno consolati”. La beatitudine non consiste nell’essere afflitti ma nel fatto di essere consolati.

Afflitti sono persone oppresse da una situazione sociale, economica e religiosa tale da non poter far a meno di gridare il loro dolore.

L’evangelista usa il verbo “consolare” che significa l’eliminazione alla radice della causa della sofferenza. Perché questo? Perché se c’è una comunità che decide di prendersi cura della felicità degli altri, quelli che sono stati schiacciati, oppressi vedranno la fine della loro afflizione.

 

Beati i miti

Questa è una beatitudine piuttosto strana: “beati i miti perché erediteranno la terra”. Cosa c’entra la terra con l’essere miti?

Si è cercato di spiritualizzare la beatitudine per cui la mitezza è diventata obbedienza, specialmente verso l’autorità e la terra da ereditare è diventato il regno dei cieli.

Invece l’evangelista si rifà alla storia del suo popolo e cita il salmo 37. Il salmista cerca di calmare gli animi della popolazione esacerbata.

Per Israele possedere un terreno è avere dignità. Ma al tempo di Gesù molte persone dovevano andare a lavorare come braccianti nella terra che era stata loro possesso o dei loro genitori.

Allora questi protestavano e il salmista cerca di calmarli. Dice: “non preoccupatevi, un giorno questo cambierà e voi avrete in eredità un terreno”.

Gesù riprende questo aspetto e proclama beati i miti. Mite non indica una qualità del carattere della persona ma una condizione sociologica negativa. Si tratta non di persone umili ma di persone umiliate, gente che ha perso tutto.

Queste persone, gli “invisibili” della società, grazie alla comunità – a coloro che hanno fatto propria la prima beatitudine – troveranno e riscopriranno una dignità di una qualità tale che non avevano mai conosciuto.

 

Fame e sete di giustizia

L’evangelista ha presentato due situazioni di ingiustizia (gli afflitti, e i diseredati), e le riassume in una terza beatitudine: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”.

Sono coloro che ritengono vitale riportare dignità a chi dignità non ce l’ha, che ritengono vitale liberare dall’oppressione gli oppressi. Coloro che hanno capito che la felicità non consiste in quello che si ha, ma in quello che si dà – assicura Gesù – saranno pienamente felici qui, su questa terra.

 

Beati i misericordiosi

Dopo aver esaminato le situazioni simboliche (nel senso di rappresentative) nel mondo ad opera di coloro che hanno accolto la prima beatitudine, adesso Gesù passa ad esaminare quali sono gli effetti nell’individuo che accoglie queste beatitudini.

Chi sceglie la prima beatitudine e liberamente sceglie di entrare nella condizione di povertà per permettere ai poveri di uscirne, chi si rende responsabile della felicità degli altri, questi individui sono a loro volta tutti quanti misericordiosi, puri di cuore, costruttori di pace.

Il termine “misericordioso” è un’attività che rende riconoscibile la persona come tale. È un’azione abitudinaria.

I misericordiosi sono quelle persone che, noi siamo certi, quando saremo nel bisogno ci diranno sempre di sì. Quindi potremmo tradurre: “quelle persone che sono sempre disponibili, sempre pronte ad aiutare”. Gesù dice: “beate perché sempre saranno aiutate. Quando si troveranno nel bisogno, troveranno una risposta da parte di Dio immensamente superiore alla necessità”. Dio non si fa vincere in generosità, dona sempre molto di più.

 

Beati i puri di cuore

In passato la purezza non era nel cuore, ma nei genitali. Era una generazione ossessionata dalla purezza, una generazione che anche nei gabinetti era seguita da quel triangolo con l’occhio di Dio che ti vede.

Gesù non sta parlando di purezza a livello genitale, a livello sessuale.

Il cuore nel mondo ebraico è l’equivalente della nostra mente, della nostra coscienza: quando nel vangelo si parla di duri di cuore, non si intendono persone crudeli, ma persone ostinate.

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. Attenzione: non è una promessa per l’aldilà… Tutti nell’aldilà vedranno Dio, anche chi non è stato puro di cuore… è invece un’esperienza nel “di qua”. Non si tratta di assicurare visioni o apparizioni o altre stregonerie del genere ma di vivere una profonda esperienza interiore. Infatti, il verbo “vedere” indica una profonda esperienza e percezione della presenza di Dio nella propria esistenza.

Tutti noi siamo immersi nelle onde vitali dell’amore di Dio ma sovente non ne facciamo esperienza. Questo accade perché non crediamo alle parole di Gesù. Sono talmente esagerate che sono rimaste lettera morta. Le leggiamo ma non ci crediamo. E non ci crediamo perché non le pratichiamo. Ad es.: Gesù ci dice di perdonare e non solo, ma anche di parlare e fare del bene a chi ci ha fatto del male. Solo quando noi siamo capaci non solo di perdonare ma anche di far del bene a chi ci ha fatto del male, si innalza il livello della nostra capacità di amore, il nostro cuore entra in sintonia e si intreccia con l’onda di amore di Dio che così fa con noi e, da quel momento, la nostra vita e quella di Dio sono strettamente connesse e non si separeranno più.

 

Beati gli operatori di pace

Pace è un termine riduttivo che non riesce a tradurre l’originale ebraico shalom che indica tutto quanto concorre alla felicità degli uomini. Quindi pace, ma anche salute, lavoro, questo comprende il termine pace. Ma Gesù dice: “Beati i pacificatori”, non i pacifici.

I pacificatori sono persone che per la pace e la felicità degli altri sono disposti a perdere anche la propria. Dio vuole che gli uomini siano felici. È la religione che presenta un Dio amante del sacrificio, del dolore, ma non Gesù. Il Padre di Gesù desidera che i suoi figli siano felici. Quelli che lavorano per la felicità Dio li riconosce come figli suoi: “saranno chiamati figli di Dio”.

 

Perseguitati a causa della giustizia

Le beatitudini finiscono con… una “doccia fredda”: “Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli”.

Gesù ci mette in guardia prima di scegliere le beatitudini. Ci dice: “se fate questa scelta, guardate che non verrete applauditi, non verrete osannati, ma verrete perseguitati”. Questo perché la comunità che accoglie le beatitudini, è la comunità nuova, la comunità profetica e sarà causa di turbamento, di scompiglio dentro le strutture religiose che riverseranno la loro ostilità, il loro odio.

Gesù dice: “per la fedeltà a queste beatitudini, sarete perseguitati, ma gli effetti negativi della persecuzione vengono annullati perché di voi Dio si prende cura”. La persecuzione non sarà, infatti, causa di morte perché Dio tra chi perseguita e chi è perseguitato sta sempre dalla parte dei perseguitati.

Queste sono le Beatitudini: un invito alla pienezza della felicità che Dio rivolge alle persone, un inno all’ottimismo di Dio sull’umanità perché Dio sa che l’umanità può riuscire in tutto questo.

 

* Vedi: Padre dei poveri 1. Le beatitudini di Matteo, Cittadella Editrice, Assisi 2014

Fonte: https://www.rebaoratorio.org/spazio_genitori/Download/Testo_4o_incontro.pdf

Vedi anche: GF 77: Felici in famiglia? Vivere le beatitudini https://www.gruppifamiglia.it/GF77_2012.htm

 

Il regno di Dio è una società che pratica la condivisione e il servizio e dove nessuno pretende di essere superiore agli altri.

 

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. (Mt 5,11-12)

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          La lettura che Maggi fa delle beatitudini si basa su una teologia “dal basso”. Vi convince?

•          Provate a confrontare questo testo con quanto scrive papa Francesco (GE 63-109). In quale vi ritrovate di più?

•          La pluralità di punti di vista nella Chiesa è ricchezza o disordine?

 

10-PER DISCERNERE E DECIDERE

L’esame particolare, l’esame generale, e il “discernimento degli spiriti”

 

di Silvano Fausti*

Tu, come tutti gli uomini, normalmente vivi fuori di te: abiti nella nebbia delle tue paure, nei castelli dei tuoi desideri, nel gorgo delle tue frustrazioni o sul treno delle tue azioni. Qualche volta ti chiedi chi tu veramente sia, dove sta la casa della tua pace. Ma, appena cerchi di entrare in te stesso, subito, resti irresistibilmente attratto da mille sirene, desisti dalla tua impresa.

Sappi che non è vero. L'uomo non è come è fatto, ciò che sei ora è solo il punto di avvio per diventare ciò che sarai, sotto il governo del discernimento e delle tue decisioni.

Gli esercizi che qui ti propongo insegnano a usare i tuoi punti negativi come chiave per entrare in te stesso e iniziare il cammino spirituale.

 

L’ESAME PARTICOLARE

Per entrare in te stesso ti propongo questo esercizio chiave, che si chiama esame particolare.

L’esame particolare e quotidiano si articola in tre tempi e due esami:

Il primo: la mattina, appena alzato, fai il proposito di evitare quel determinato peccato o difetto di cui ti vuoi correggere.

Il secondo: a metà giornata chiedi a Dio la grazia di ricordarti quante volte sei caduto in quel determinato peccato o difetto, e di correggerti per l'avvenire.

Poi fai il primo esame su ciò di cui ti vuoi correggere, passando in rassegna ogni momento che hai vissuto fino ad allora.

Il terzo: alla fine della giornata farai il secondo esame, coprendo la seconda parte della giornata.

Per eliminare più rapidamente quel determinato peccato o difetto, sono utili questi tre consigli:

Primo: quando cadi in quel determinato peccato o difetto, poniti la mano sul petto a fai un atto di contrizione.

Secondo: a fine giornata valuta se tra il primo al secondo esame ci sia miglioramento.

Terzo: Giorno dopo giorno valuta se sei migliorato o meno.

 

Il valore dell’esame particolare

L'esame particolare è un esercizio da fare. Se fatto con sapienza, non ha controindicazioni, né dà assuefazione o effetti collaterali. È utile sia ai principianti che ai più progrediti nel cammino.

È una pratica ascetica, che implica un tuo impegno. Non esiste vita interiore fino a quando confondi la spontaneità con la bontà: bisogna che ti levi dalla testa che il bene sia più spontaneo o facile del male. Anzi, il contrario.

Se vuoi crescere e camminare, devi fare subito i conti con gli ostacoli da superare. Come tutto il resto, anche nella vita spirituale il primo nemico è lo scoraggiamento che ti fa dire: “non posso cambiare, non ce la faccio”. Questo è il punto di partenza, da accettare; ma non è la meta. Non è vero che “sei fatto così”.

Tu sei innanzitutto figlio di Dio. Ma questa realtà è sepolta nel buio delle paure, avvolta nel groviglio di desideri contrastanti, deformata dai posticci che vi hai aggiunto.

L'esame particolare è un lavoro di scalpello per levare da te ciò che nasconde la tua verità. È una lotta contro il falso io, perché il tuo vero io esca alla luce, finalmente libero. Questa è la tua croce quotidiana (cf Lc 9, 23), che può solo essere tua e di nessun altro: è la tua lotta contro il male, della quale parla Gesù, per diventare conforme all'icona del Figlio, alla quale il Padre ti ha predestinato (cfr Rm 8, 29).

 

Togliere ciò che nuoce

Non puoi cambiare il mondo, come volevi da piccolo. Non puoi cambiare gli altri, come pensavi da adolescente. Diventi spiritualmente adulto quando cominci a cambiare te stesso o, meglio, a cercare di essere te stesso, liberandoti dal tuo falso io. Non si tratta di stravolgerti, ma di togliere da te l'ignoranza e le schiavitù che ti impediscono di essere e realizzare ciò che sei.

Non è un'ascesi positiva, in cui ti sforzi di acquistare virtù. Rischierebbe di essere nevrotizzante al massimo. È invece un'ascesi negativa, in cui togli ciò che ti nuoce. Il che è sommamente liberante.

È importante mirare un solo punto negativo alla volta. Gli altri li lascerai per il futuro: non mancherai di lavoro per i prossimi novant'anni. Comincia da quel peccato o difetto che, qui e ora, avverti più nocivo nella vita di relazione o di lavoro, abituale o occasionale.

Ti accorgerai che, vigilando su un solo punto, ti risveglierai con stupore anche su tante altre cose che sono in te e che ignoravi.

 

Diventare autentici

Ignazio pone questo come primo esercizio spirituale, perché contiene in sostanza anche gli altri. Infatti ogni altra forma di meditazione e di preghiera, compresa quella liturgica, o è una ricerca del proprio piacere – c'è anche quello spirituale, oltre quello fisico, intellettuale e del cuore! – o ha come fine quello di preparare e disporre la persona a rimuovere da sé ogni schiavitù, e così poter cercare e trovare la propria autenticità.

Diversamente ogni tua pratica spirituale non è un atto di amore per l'Altro, ma un semplice farti solletico allo spirito, provare delle sensazioni che ti chiudono nel tuo io, invece di aprirti a Dio. Questo "autoerotismo spirituale" è scambiato da molti per vita spirituale.

Pregare per le buone sensazioni che puoi ricevere dalla preghiera è come amare un altro per il piacere che ti dà. In realtà non ami l'altro, ma solo il tuo piacere nell'altro.

Ma amare è piacere all'altro! Cercare il tuo piacere nell'altro e confonderlo con l'altro è chiuderti nell'egoismo peggiore, che alla fine distrugge sia te che l'altro.

 

L’ESAME GENERALE

Il secondo esercizio che ti propongo di fare ogni giorno è l'esame generale della coscienza: ti serve per prendere coscienza dell'azione di Dio in te e attorno a te, perché tu, vedendola, possa diventare suo collaboratore. Forse già conosci questo esercizio; forse già lo fai o l'hai fatto, ma con poco o nessun frutto. Un esercizio fatto male può addirittura far male. È bene capirne il significato prima di farlo.

 

Il senso dell'esame generale

Nel tuo cuore c’è tutto il bene e tutto il male che c’è in tutti. Con l'esame generale della coscienza cominci a prenderne atto, a vedere con sempre maggior chiarezza per poi valutare successivamente col discernimento.

Se l'esame particolare è la chiave per entrare nei moti del cuore, quello generale ne fa l'inventario; e il discernimento ne sarà la valutazione precisa in ordine al che fare.

Da bambino ti sei forse abituato ad esame di coscienza come un’igiene intima personale, da fare ogni sera per dormire meglio. Il che è anche giusto, se non diventa la semplice lista del bucato sporco, buon presupposto per vivere nei sensi di colpa.

L'esame della coscienza ti serve per renderti conto non di cosa hai fatto, ma di ciò che è avvenuto oggi nella tua coscienza.

È utile farlo alla sera, per rileggere davanti a Dio la tua giornata come una pagina di storia sacra. Ogni giorno è un tuo contributo a questa grande opera, che è insieme di Dio e tua. Giunto a sera, apri la scatola nera del tuo cuore con lo stesso atteggiamento con cui apri la Bibbia, per vedere ciò che è registrato: è ciò che Dio ha operato in te e per te in questa giornata, e come tu vi hai corrisposto.

 

I momenti dell'esame generale

Dopo esserti messo alla presenza di Dio, per prima cosa ricorda i suoi benefici e ringrazialo. Guardati con simpatia, con la stessa compiacenza con cui il Padre guarda suo figlio Gesù. Prendi coscienza dei suoi doni e, dietro di essi, di lui stesso, che nei suoi doni si dona.

Come seconda cosa chiedigli la grazia di conoscere i tuoi peccati ed eliminarli. Questo non per chiuderti nei tuoi peccati bensì per fare in essi memoria ed eucaristia nel suo perdono. Per questo è una grazia la conoscenza del peccato.

Come terza cosa esamina, in modo obiettivo, innanzitutto i pensieri, poi esamina le parole, e infine le azioni.

Come quarta cosa chiedi perdono.

Se nel dono ringrazi, nel male esperimenti la grazia del perdono di Dio, che sempre ti è fedele. Se il bene ti fa andare avanti, il male non ti blocca: diventa il luogo della conoscenza di Dio come amore gratuito.

Come quinta cosa proponiti la conversione. Convertirsi significa passare dal tuo io a Dio, dai tuoi sentieri contorti alla sua via.

 

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

L'esame particolare e generale ti hanno fatto entrare e guardare nel cuore. Secondo le diverse situazioni in cui ti trovi, Dio e il nemico ti parlano in modo diverso, con sentimenti e pensieri molteplici, che possono ridursi a quelli opposti di gioia/tristezza.

L'uomo è fatto per il bene, che è la libertà per amare; e questa gli dà gioia perché realizza la sua verità. La gioia è il segno della presenza del Signore, la tristezza di qualcosa che non va e che è da esaminare meglio.

L'uomo agisce sempre per amore, ma si sbaglia nel determinare il bene, per cui c'è, oltre un amore buono, un amore vizioso, che parte dal vizio e porta ad esso. Vedrai con chiarezza la differenza tra i due amori nel risultato: il primo dà gioia e secondo tristezza, perché non mantiene la felicità che promette.

Imparerai a distinguere il piacere apparente dalla gioia, a riconoscere la tristezza che viene da Dio, che ti vuol distogliere dal male, e quella del nemico, che ti vuol distogliere dal bene. Arriverai infine, cosa più difficile, a discernere la gioia autentica dalle sue velenose contraffazioni. Nell'epoca della libertà, la gioia del cuore che ama è criterio del bene ed è qui che il nemico ci attacca con le sue menzogne, le sue paure e i suoi sofismi, per imbrogliarci e mantenersi in schiavitù.

 

La prima regola

La prima regola del discernimento degli spiriti di Sant'Ignazio recita così:

Quando vai di male in peggio, il messaggero cattivo di solito ti propone piaceri apparenti facendoti immaginare piaceri e godimenti, perché tu persista e cresca nella tua schiavitù. Invece il messaggero buono adotta il metodo opposto: ti punge e rimorde la coscienza, per farti comprendere il tuo errore.

Se ti lasci dominare dai tuoi istinti, schiavo del “mi piace, non mi piace”, se non cerchi di uscire dal tuo egoismo, se sei chiuso in te stesso senza interesse per gli altri e per l'Altro, in una parola, quando vai di male in peggio, il nemico parla adescandoti col piacere.

Ma è apparente, perché esiste più nell'immaginazione che nella realizzazione; e cessa comunque dopo l'azione, lasciandoti più vuoto e affamato di prima: è come le sirene, che seducono e fanno naufragare.

In questa situazione Dio invece parla col rimorso, che è un dispiacere o disagio interiore, presagio della sciagura che ti stai procurando con le tue stesse mani e dalla quale vuoi distoglierti.

Il male cerca sempre di apparire bene, ma non ci riesce del tutto. Alla fine si rileva menzognero: non mantiene ciò che promette, e lascia un’insoddisfazione che non diminuisce, anzi cresce, anche se cerchi con affanno di rimuoverla o di colmarla con altra ricerca di piacere.

Il piacere è sempre l'apparenza di un bene appetibile ai sensi, ma non sempre è bene.

 

Piacere e felicità

Non confondere piacere e felicità. Il piacere è soddisfazione dei propri bisogni – oltre a quelli del corpo, ci sono anche quelli della mente e del cuore! –, prescindendo dalla relazione con l'altro. La felicità è la soddisfazione che viene da una relazione: è apertura, amore verso l'altro.

Il piacere cercato in sé, al di fuori di una relazione positiva, crea frustrazione, assuefazione e, alla fine, meccanismi autistici come fa la droga.

Per capire se ciò che ti attira è bello o brutto, dolce o amaro, bene o male, vedi sempre “il dopo”, anche dall'esperienza altrui, oltre che dalla tua: se dà gioia anche dopo, è da Dio, se dà rimorso, è dal nemico.

Il bene lo paghi subito, ma meno di quello che pare; il male lo paghi dopo, e ben di più di quanto supponi.

Il bene lo paghi prima, ma poco, e ti appaga tanto; il male è offerto gratis, ma lo paghi dopo e tanto, e non ti appaga per niente.

 

Colpa e rimorso

Distingui bene tra colpa e rimorso. I sensi di colpa che hai, perché non sei quello che vorresti o dovresti essere, sono bloccanti e mortiferi. Tacitali, se puoi, o fatti aiutare, se necessario.

Il rimorso invece, che hai per il male fatto, ti distingue dall'animale. Non tacitarlo, ma ascoltalo. È stimolante e salutifero: è tristezza che viene da Dio e porta alla vita.

A questa regola, e alle successive (1), applica questa premessa: avverti e riconosci la voce del nemico, avverti e riconosci la voce di Dio, per accogliere questa e respingere quella.

 

* biblista (1940-2015)

Sintesi della Redazione

Tratto dal libro dell’autore: Occasione o tentazione? Scuola pratica per discernere e decidere, Àncora Editrice, Milano 2015.

1 Si rimanda per questo al libro dell’autore.

 

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.

 

L’amore buono dà gioia, l’amore vizioso dà tristezza, perché non mantiene la felicità che promette.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Come amiamo l’altro? Per il piacere che ci dà o per piacere a lui?

•          Il nostro esame di coscienza è simile alla “lista del bucato sporco” o un rendersi conto di come abbiamo corrisposto all’azione di Dio in quel giorno?

•          Il bene costa, il male sembra gratis ma non è così. Racconta la tua esperienza.

 

Testimonianze

11-NOI E LA SANTITÀ

Queste cinque pagine riportano le risposte della redazione “virtuale” della rivista ad una serie di domande sul tema di questo numero

 

Che ruolo occupa Dio nella nostra vita? In quali circostanze ci ricordiamo di Lui, lo sentiamo vicino?

 

Penso a Dio tutte le mattine quando dico le lodi e prego per le persone che conosco che sono nel bisogno. Durante la giornata ci penso saltuariamente, a sera prima di addormentarmi una preghiera, ma molto brevemente.

 

Una presenza che è anche punto di riferimento, costantemente presente e sentito vicino, soprattutto nei momenti di vita intensa, di dolore o di gioia.

 

“Io sono Tu che mi fai”: don Giussani ci ha aiutati a cogliere questa certezza nella nostra vita, insegnandoci ad usare la ragione e quindi a dare il vero contenuto a quel “senso religioso” insito in ogni uomo.

Partendo da questa posizione, all’inizio di ogni giornata, la domanda al Signore è di averLo presente in ogni circostanza, di viverla secondo il Vangelo. A Messa e alla sera rinnovo la richiesta del Suo perdono per i miei peccati di dimenticanza e di lontananza.

 

La centralità di Dio nella nostra vita è presenza che si manifesta in mille modi e momenti quali la preghiera, la s. messa, gli incontri di riflessione, il silenzio personale, la meditazione della Parola, e tutto ciò che ci accade di vissuto con il cuore aperto e attento, agli altri e a Lui.

 

Non manca giorno che io mi rivolga a Dio. Il Signore è vicino, sono io che spesso mi allontano rincorrendo impegni, lavoro, richieste...

Nella sofferenza sento la vicinanza maggiore del Signore, la preghiera e i Sacramenti sono i gradini che rendono più nitida la vera Luce.

 

Dio è la nostra vita! L’ho sperimentato fin da bambina quando sono rimasta senza mamma.

 

In passato ho chiesto aiuti o “miracoli”, magari facendo promesse anche importanti come ringraziamento, ma non sono stato esaudito.

Ho capito che Dio non vuole essere “comprato” e tanto meno “ricattato”. Ora chiedo senza fare alcuna promessa, evitando di chiedere per me, ma piuttosto per gli altri. E se gli dono qualcosa, non lo collego mai a qualche richiesta. Mi sembra che funzioni meglio.

 

Sento la presenza di Dio ogni giorno. Egli mi accompagna nel mio quotidiano.

 

Nella nostra coppia Dio ha un ruolo centrale, pur nei tempi diversi di ciascuno di noi. È un ricordarsi di Lui chi più al mattino e chi più alla sera; nella giornata abbiamo fisso un momento di ringraziamento ai pasti e di preghiera, se c’è qualcuno, intorno, in difficoltà. Cerchiamo di leggere ogni giorno le letture della Messa e anche qualche breve meditazione.

Lo percepiamo vicino quando ci vogliamo bene nel profondo (pronti al perdono, all’ascolto, al ricominciare); quando aderiamo a ciò che ci riserva ogni giornata (e questo è quello che noi chiamiamo fare la sua volontà); quando cerchiamo nella settimana di incontrare qualche amico solo, dimenticato; quando un dolore improvviso non ci fa cadere nel buio oppure una grande gioia ci allarga il cuore e fa dire “grazie”.

 

Siamo soddisfatti della nostra vita? Cosa ci manca per poter dire che la nostra è una vita “riuscita”?

 

Soddisfatto più o meno. Di più che in passato. Mi manca la realizzazione completa dei miei talenti.

 

Penso che solo al termine dei nostri giorni potremo dire se riteniamo che la nostra vita sia stata vissuta in pienezza. Oggi sono ancora in cammino, pertanto oggi mi chiedo: Come vivo la mia vita? Sto realizzando ciò che sono e quello che sento in me?

 

Nella nostra vita abbiamo incontrato dei “santi”, anche solo dei santi “feriali”, i santi della porta accanto, che non saranno mai famosi? Li possiamo descrivere?

 

Si, ho avuto modo di incontrare e fare anche percorsi di vita con alcune persone che oggi riconosco come santi, al momento erano solo compagni di viaggio!

 

Alcune persone che abbiamo incontrato, che ci sono sembrate più avviate nel percorso orientato alla santità, manifestavano qualcosa di non facilmente definibile: una serena pacatezza, una capacità di raccogliersi e concentrarsi anche tra un vortice di incombenze e qualcosa come una luce indefinibile, che si irradiava da ogni gesto, anche il più umile. Poche parole, spesso, una grande generosità, un donare senza ostentazioni e ricerca dei primi posti.

 

Si, ne ho incontrati tanti. Tutti quelli che si comportano onestamente, con impegno, dedizione e altruismo. Quelli che sanno starti vicino nel momento del bisogno o dello sconforto. Quelli che ti accolgono con un sorriso e di cui percepisci la serenità e l’armonia interiori.

 

Si! Sono certa che accanto a noi ci sono persone speciali. Per esempio, mia mamma. Donna di grande fede ha affrontato giorni drammatici, andando anche contro corrente per proteggere ciò che è valore. Generosa con tutti, lasciando se stessa sempre per ultima.

 

Ho visto un sacerdote di 92 anni mostrarci come si fa la genuflessione: dritta fino a terra e un segno di croce che non dia la sensazione di cacciar via le mosche. Ho visto una donna anziana raccolta nella sua preghiera davanti all’altare con tanta semplicità e tanta gioia dentro di lei.

 

Pensiamo che la santità consista nel fare cose importanti per Cristo e la sua Chiesa oppure si possa conseguire anche nel quotidiano? In che modo?

 

Facendo bene il proprio dovere e aiutando dove c'è qualcuno che ha bisogno e/o chiede di essere aiutato, senza strombazzare in giro quanto si fa.

 

Soprattutto nel quotidiano, è la vita di tutti i giorni che ti mette alla prova e contemporaneamente ti offre le opportunità per viverla in santità. A Rimini abbiamo diversi esempi di persone che hanno vissuto nel quotidiano la santità, ne cito tre: Alberto Marvelli, don Oreste Benzi, e ultima arrivata Sandra Sabattini.

 

Abbiamo imparato dai tanti Santi, in particolare da quelli conosciuti in quanto contemporanei ed anche incontrati - Madre Teresa, Giovanni Paolo II, don Oreste Benzi - come valga la pena vivere, pur nelle situazioni più impegnative e difficili. Ultimamente Sandra Sabattini mi ha fortemente colpito per come ha vissuto i pochi anni rendendoli così preziosi, pur nella più totale normalità e condizione di vita. Ognuno di loro ha incontrato Cristo e Lo ha seguito come il “tutto” della propria esistenza. Una scelta totalizzante con la domanda costante di vivere nella Grazia di Dio.

 

La santità mette insieme cose di Chiesa, di Cristo e cose della quotidianità. Non può esserci un cristiano che sia solo di Chiesa o solo quotidiano o solo di Cristo. Le cose di Chiesa sono più spirituali, profonde: pregare, meditare, cercare di entrare nel grande mistero di Dio, creare un rapporto vero con Lui. La vita ti aiuta a calarle nel quotidiano, a viverle e a condividerle con chi ti è a fianco e ti cammina vicino.

Credo comunque ci siano persone sante anche al di fuori della Chiesa, coloro che sanno amare, farsi vicino, e vivere da buoni samaritani.

 

L’idea che la santità comporti il fare cose straordinarie è un equivoco che paralizza sulla strada che conduce alla santità; la chiamata alla santità è per tutti, da ricercare nella semplicità della vita quotidiana, in mezzo agli impegni “feriali”.

Penso che la santità si trovi soprattutto nel quotidiano, nella vita, nel modo di essere e nelle azioni delle persone comuni.

 

Credo che la santità sia lasciar operare la grazia di Dio in noi. Essa passa nel nostro quotidiano rendendolo speciale, straordinario, ricco di amore anche attraverso gesti semplici.

 

Credo che la santità sia la capacità di tradurre la preghiera in azione quotidiana là dove viviamo: in famiglia, nel lavoro, con gli amici, nella comunità cristiana e nel mondo.

Sentire la presenza di Dio nei luoghi dove ci troviamo quotidianamente, qualsiasi essi siano e riuscire a creare relazione con gli altri specialmente là dove nervosismo, tensione, bestemmie non rendono facile questo.

 

Siamo convinti che la santità sia per tutti, pur coi nostri limiti. Non c’è che leggere e provare a mettere in pratica la sua Parola; non c’è che aderire ai suoi piani, anche se diversi dai nostri, leggendo in ciò che succede e viviamo, la Sua volontà per noi; non c’è che concentrarsi a vivere bene il presente, l’attimo presente, dimenticando passato e futuro, non c’è che dimenticare se stessi e i nostri fallimenti e buttarsi ad amare chi si incontra.

 

Cosa pensiamo che ci manchi per essere “santi”? Quali difficoltà incontriamo sul cammino verso la santità?

 

Le difficoltà che sentiamo sono i nostri limiti che sentiamo costantemente (pigrizia, egoismo…)

 

Credo possa aiutare il cammino comunitario, la preghiera, l'adorazione!

 

Per essere santi ci manca uno sforzo maggiore per essere più positivi e propositivi, aiutando noi stessi e gli altri insieme a noi ad avere e coltivare atteggiamenti concreti di speranza, carità, e fiducia nella ferialità di ogni giorno.

 

Per essere santi bisogna essere perfetti?

 

A me sembra che non si debba essere perfetti, ma al contrario accettando i propri limiti e imperfezioni, purché non diventino alibi per non correggersi e migliorarsi.

 

La santità e l'essere santi sta principalmente nel quotidiano di tutti i giorni della nostra vita, spesso senza la ricerca della perfezione personale, ognuno con il suo modo di essere, ma sempre consapevoli che la grazia dell'Amore di Dio scorre fra di noi, ci assiste, ci guida nelle scelte e ci aiuta nelle difficoltà ad affidarci alla sua volontà.

 

Il perfezionismo allontana da Dio. Il perfezionista infatti ha un’idea assoluta, distorta delle azioni e delle cose, per cui pretende da sé stesso e dagli altri ciò che è impossibile per la nostra natura umana. È sempre in conflitto con sé stesso e con gli altri. Il suo peccato è la Superbia. Invece il santo è ben consapevole della sua imperfezione, dei suoi limiti (umiltà) ed è sicuro che l’aiuto determinante di Dio, accanto al suo impegno sincero, trasformerà le sue debolezze in azioni di Grazia, in risultati meravigliosi (fede).

 

No, non esiste perfezione, ma solo una vita vissuta e, poiché siamo “esseri umani - versione beta”, la grazia di Dio ci è di aiuto per poter essere sempre migliori. Essere santi per me significa espandere quel dono che ci è stato dato (tutti ne abbiamo uno) e il dono non è mai fine a noi anche se ne beneficiamo, ma per gli altri. Quindi essere santi significa prima di tutto, amare non di un amore umano, ma essere da ponte per gli altri di quell’amore che viene da Dio.

 

Non sapremo mai se saremo santi, però la nostra tenacia e determinazione unita alla forza dello Spirito Santo, può renderci capaci di realizzare una vita in santità. Non sarà facile perché, come abbiamo letto nella vita dei santi, il percorso si presenta arduo, alle volte al limite delle nostre forze fisiche e psichiche e allora, come diceva Madre Teresa di Calcutta, nella preghiera attingiamo forza per vivere ogni giorno della nostra vita, in cammino con Gesù che ha voluto per primo insegnarci la strada per condurci al Padre. Non ci venga mai a mancare questa forza, questa tenacia per gustare l’amore profondo che Dio ha per ciascuno di noi.

 

Nella nostra vita morale ci guidano di più i dieci comandamenti o le beatitudini? Abbiamo mai fatto l'esame di coscienza con le beatitudini?

 

A noi piace molto impegnarci a vivere moralmente con lo stile delle "beatitudini" anche se non è sempre facile. Oggi siamo abbastanza sovrastati da vari deliri di onnipotenza di varia natura, a cominciare da una dilagante cultura che l'uomo è Dio e che quindi può decidere e scegliere ogni cosa senza esserne responsabile. Tutto ciò che ne consegue è una catastrofe morale di valori che pongono l'essere umano completamente al buio e lo portano ad annaspare in qua e in là senza via d'uscita. La luce in fondo al tunnel sono le "lanterne" delle beatitudini che chiaramente illustrano il modo con cui affrontare il buio.

 

Le beatitudini penso siano una conseguenza di come si vivono i comandamenti. La più difficile? "Beati i puri di cuore". Non ho mai pensato a un esame di coscienza con le beatitudini, è interessante.

 

Non c’è contrapposizione fra i dieci comandamenti e le beatitudini; a volte, ci sembra che chi considera i comandamenti “roba vecchia” da scavalcare agevolmente si comporti con superbia. Le beatitudini ci sembrano l’orizzonte che si presenta per maturazione, quando l’obbedire ai comandamenti è diventato un abito quotidiano. È vero, nell’esame di coscienza quotidiano si pensa subito, a volte esclusivamente, alla Legge morale come è stata codificata e ci è stata insegnata, ma la consapevolezza delle Beatitudini rimane sullo sfondo: può renderci inquieti, ma sembra un’inquietudine positiva, che reclama uno sguardo dal radicalismo nuovo. Questo secondo sguardo, più profondo, non nega il primo, ma si innesta sul primo, a volte armoniosamente. Fondamentale l’umiltà: soltanto da noi, con le nostre forze, scaturisce ben poco, se la grazia del Signore non apre le braccia e ci trascina verso di Lui.

 

I Comandamenti sono spesso vissuti come ordini, imposizioni e quindi un po’ “antipatici”. Le Beatitudini invece sono percepite come inviti gentili e positivi a perseguire il Bene.

 

I 10 comandamenti sono la mia guida accompagnati da discernimento, riflessione e preghiera. Invece, non ho mai fatto l’esame di coscienza con le beatitudini... nessuno me l’ha mai proposto... è una cosa nuova per me... devo approfondire.

 

Crediamo che la Grazia di Dio ci preceda e ci guidi nelle nostre scelte o pensiamo che quello che conta è il nostro impegno?

 

Io spero che essa mi guidi nelle mie scelte, ma ci vuole anche l'impegno personale... direi 50 e 50.

 

Tutte due le cose! È proprio dall’incontro–dialogo tra noi e Dio che si svolge la nostra vita e il nostro cammino.

 

Posso dire con tutta onestà che tutta la mia vita è stata guidata dal Signore, solo che al momento non mi sono reso conto di quella Presenza, è solo dopo, rivedendo a distanza anche di anni alcuni episodi, che ho capito che era stato il Signore a suggerirmi la strada e a guidarmi!

 

Con il nostro impegno ma senza la Grazia di Dio possiamo unicamente costruire sulla sabbia! La Grazia di Dio occorre domandarLa con la preghiera allo Spirito Santo, chiedendo che ogni gesto che compio, dal più banale a quelli più importanti, in ogni momento, di ogni giornata, sia fatto per la Gloria di Dio. Questa posizione la si comprende sempre più in profondità leggendo e rileggendo le lettere di San Paolo.

 

La santità e l'essere santi sta principalmente nel quotidiano di tutti i giorni della nostra vita, spesso senza la ricerca della perfezione personale, ognuno con il suo modo di essere, ma sempre consapevoli che la Grazia dell'Amore di Dio scorre fra di noi, ci assiste, ci guida nelle scelte e ci aiuta nelle difficoltà ad affidarci alla sua volontà.

 

Nel Salve Regina, abbiamo ripetuto tante volte che l’esistenza si configura come una “valle di lacrime”, ma l’intera Bibbia, e il Vangelo in modo particolare, esaltano la gioia delle creature che si riempiono del Divino e ci invitano ad esultare, con semplicità, come dei bambini, o come persone che sperano di rinascere a nuova vita.

 

La gioia e la speranza prevalgono sulla paura, e abbiamo conosciuto, per un vero aiuto, molte persone capaci di far trasparire tale esultanza interiore, non minimizzando le difficoltà, ma leggendole come stimoli entro un percorso in grado di donare gioia ed elevazione.

In un mondo colmo di mestizia e di tristezza fino a perdere di significato, diventa essenziale la testimonianza della gioia cristiana. Ci sembra di poter dire che i santi costituiscono una più che utile scala tra le nostre debolezze, e spesso miserie, e la grandezza misteriosa di Dio: proprio la loro umanità, la loro “terrestrità” e spesso l’umorismo che profondono nei loro gesti e nelle loro parole ci aiutano e incoraggiano, facendoci intravedere che la santità non è un’avventura impossibile, proprio per l’infinita misericordia di Dio.

 

Un’esperienza vissuta anni fa, quando stavo per andare in pensione, mi ha insegnato che i nostri progetti, specie i più studiati e perfetti, vengono spesso distrutti dal confronto con la realtà, nonostante l’impegno profuso. È meglio affidarsi a Dio e chiedere il discernimento dello Spirito Santo, rimanendo aperti ad ogni evenienza e sorpresa della vita.

 

Impegno e grazia di Dio vanno a braccetto. La grazia nulla può senza il nostro impegno e l’impegno è insipido senza la grazia.

 

Che forme di devozione abbiamo verso i Santi? Chiediamo loro delle “grazie”? Li ignoriamo? Proviamo ad imitarli?

 

Ricordo ancora una frase di un'omelia del nostro parroco nel giorno dei Santi di tanti anni fa: "Nei difficili crocevia della vita, i Santi stanno lì ad indicarci il cammino" e ne ho tenuto sempre di conto. Ho dei santi preferiti: S. Rita da Cascia, Don Bosco e sua madre, mamma Margherita (che è venerabile), S. Antonio da Padova, S. Francesco... A loro mi rivolgo ma non sopporto le preghiere melense e stucchevoli che si trovano usualmente nei santini.

 

I Santi hanno la mia ammirazione per come hanno vissuto, nel loro periodo storico e nelle condizioni di vita in cui si sono trovati, una vita da cristiani autentici. Certo, ci sono situazioni in cui solo un intervento del Signore può essere risolutivo, in questi casi chiedere una intercessione mi sembra doveroso. Non credo che si possa imitare un qualche Santo, per me è importante vivere la mia vita oggi cercando di essere il più possibile coerente con il Vangelo.

 

Ho consacrato la mia famiglia alla Santissima Madre di Gesù e i miei figli a Santa Teresa del Bambin Gesù.

 

Il mio rapporto con i Santi non è mai stato sereno perché ho visto tante persone devote a qualche Santo, che però non consideravano minimamente né Cristo, né la Chiesa. La mia posizione è cambiata a seguito della scoperta nella nostra chiesa parrocchiale dei resti di un giovane martire, morto intorno all’anno 60-64 dopo Cristo, decapitato probabilmente durante la persecuzione di Nerone.

Tutta la mia comunità si è rianimata e ha dato un significato profondo a questo evento. Sono stati organizzati momenti di preghiera, un gruppo di giovani ha riflettuto per un anno sul Vangelo di Marco ritenendolo il più vicino a questo Santo, si sono tenuti incontri, meditazione e celebrazioni in onore di questo martire che è diventato S. Giustino di Castelfranco Veneto. Così ho riscoperto anch’io la memoria di questo Santo, e ora gli affido i miei ragazzi di catechismo e lì invito a pregarlo, affinché egli li accompagni e lì assista nel loro percorso di vita quotidiano. Lo prego anche per i miei figli perché stiano bene, siano felici, ma soprattutto non perdano mai la strada verso il Signore.

 

Da ogni santo/a c’è sempre qualcosa della sua testimonianza di vita da accogliere e imparare. Fra tutti porto nel cuore san Francesco d’Assisi. Ne condivido lo spirito di semplicità e lo prego di proteggere sempre i suoi frati di oggi.

 

Hanno collaborato: Fiorenzo, Cristina, Gianni e Paola, Agostino, Nicola, Monica e Severino, Arianna, Anna, Fiorenza, Giuseppe e Monica, Luigi, Orazio e Daniela, Laura e Giorgio, che ringraziamo di cuore.

 

L’idea che la santità comporti il fare cose straordinarie è un equivoco che paralizza sulla strada che conduce alla santità.

 

Credo che la santità sia lasciar operare la grazia di Dio in noi.

 

Non ho mai pensato a un esame di coscienza con le beatitudini, lo voglio sperimentare.

 

La grazia nulla può senza il nostro impegno e l’impegno è insipido senza la grazia.

 

Il modello della santità familiare

12-LA SANTA FAMIGLIA DI NAZARETH

Di Georgette Blaquière*

 

Molti diranno; “Ma come si può avere il coraggio di proporre il matrimonio di Maria e Giuseppe come modello agli sposi cristiani?”.

Questo non significa disprezzare il rapporto carnale? Considerarlo senza nessuna importanza o, ancora, non significa pensare che il matrimonio cristiano deve tendere alla continenza per diventare perfetto, compiuto, mentre la relazione carnale è solo una concessione fatta alla natura per avere dei figli? Non si è forse sentito parlare, in un certo contesto ecclesiastico, di un “peccato permesso”?

Oggi c'è la tendenza ad esagerare in senso contrario e dire che, senza dei rapporti sessuali perfetti, non esiste il matrimonio.

Purtroppo, oggi tanti matrimoni conoscono delle crisi serie. Si salta il periodo essenziale dell’accoglienza e del riconoscimento reciproco necessario perché un matrimonio sia umano.

Troppo spesso si fa l'amore subito, per poi constatare che non si ha più niente da dirsi, perché non ci si conosce, e si finisce col separarsi.

È necessario riconoscere l'altro come dono e poi iniziare un cammino di fiducia reciproca, un tempo in cui ognuno si impegna progressivamente a interessarsi dell'altro, a camminare con lui, il tempo della promessa di darsi l'uno all'altra nella fedeltà e nella tenerezza, sostenendosi a vicenda, giorno dopo giorno.

In questo sostegno reciproco nell'amore consiste “l'alleanza”, il “contratto” costitutivo del matrimonio.

Ciò trova compimento in maniera privilegiata e magnifica nell'unione carnale che ne diventa allora il frutto e il linguaggio, pur rimanendo uno tra gli altri mezzi di espressione del matrimonio. Il matrimonio tra Giuseppe e Maria è un matrimonio casto però vissuto nella mutua assistenza, nella tenerezza e nell'amore.

Allora, le coppie cristiane si mettano davanti a Maria e Giuseppe, in tutta semplicità, in tutta chiarezza, in tutta pace, e considerino il loro matrimonio in quella luce.

 

13-MARIA SANTISSIMA

 

di Georgette Blaquière*

Questo testo è il frutto di un ritiro nel quale, giorno dopo giorno, lo Spirito ci ha condotti a meditare il dono di Dio attraverso la fede di Maria.

 

La fonte della gioia

“Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te”.

“Rallegrati” è la prima parola della nuova Alleanza. Dio ci ordina di rallegrarci. È un ordine che riceviamo con forza ogni mattina nell’ ufficio del Mattutino. Però chiediamoci: ci rallegriamo veramente in Dio? A che punto siamo della gioia della salvezza?

Certo, Maria non ha gridato di gioia per tutta la vita. Ma la gioia era presente in lei ininterrottamente, anche se era dolorosa. La gioia che si fonda sulla fede in Dio che salva, che è presente, è una gioia che si offre a ogni credente sempre: tutte le mattine quando mi alzo, la salvezza di Dio mi ha già preceduto. Ma Lo accolgo nella gioia o nell'indifferenza?

La seconda parola del saluto dell'Angelo è “piena di grazia”. attraverso questa parola riceviamo il messaggio che i doni di Dio sono irrevocabili.

La nostra vita spirituale resta spesso bloccata perché diciamo: “Dio mi aveva dato quella grazia, non vi ho corrisposto e Dio se l’è certamente ripresa”. La stessa cosa vale per il matrimonio. Pur tra i nostri poveri fallimenti umani, Dio mantiene l'alleanza e resta fedele perché non può rinnegare se stesso.

Maria è la profezia vivente di ciò a cui tutti siamo predestinati. Siamo portati nel cuore del Padre come dei figli prediletti. Lo sappiamo? Ci crediamo? Crediamo che Dio ci ha conosciuti, ci ha chiamati alla vita, ci ha amati, ci ha redenti, ci ha voluti come figli: tutto questo è vero per noi?

 

Fidarsi di Dio

“Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra”.

L’ombra è uno dei nomi dello Spirito Santo, uno dei nomi della santa presenza di Dio. Maria non ha riso come Sara, non ha dubitato come Zaccaria, ma si è affidata a Dio.

Qual è il nostro atteggiamento davanti ai segni di Dio?

Accettiamo l'ombra di Dio nelle nostre vite? Accettiamo di non capire tutto e subito? Di non avere sempre tutto e subito? Di confidare in colui che ci guida e di abbandonarci a lui?

Maria non si è tirata indietro, si è immersa nella fede, non ha pensato a sé.

Maria non è stata prudente, non ha fatto grandi calcoli. Senza guardare a se stessa, Maria ha avuto quella semplicità radicale dei figli di Dio che guardano se stessi solo nello sguardo di Dio. Ecco il segreto della sua libertà, ecco il segreto della nostra.

 

Mantenere la memoria

“Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.

Di quello che ha potuto vivere a Nazareth, in una fede che maturava giorno per giorno Maria manteneva la memoria. Maria non capiva, ma cercava di capire. La fede di Maria è una fede paziente, una fede che, senza forzare la verità, è sempre sveglia, cercando di sfruttare il mistero con i suoi grandi occhi aperti, aspettando che sia donata la pienezza della rivelazione.

Invece noi siamo tentati dall'impazienza, in particolare nei nostri percorsi spirituali. Noi vogliamo sapere dove ci porta Dio. Cerchiamo talvolta addirittura di forzare la Parola di Dio, di farle dire quello che vorremmo che dicesse.

In questi casi, Dio si nasconde sempre. Maria ha vissuto proprio il combattimento della fede, perché la fede è un combattimento. L'ha vissuto proprio come bisogna fare, mantenendo la sua lampada accesa nel cuore della notte.

Ecco perché Maria manteneva la “memoria”.

È dunque necessario che anche noi ogni tanto ci prendiamo l'occasione di riesaminare pacificamente la nostra storia Santa, davanti alla nostra prima chiamata, e ascoltiamo cantare in noi l'amore di un tempo.

Qualsiasi sia stato il nostro percorso ciascuno di noi deve mantenere la memoria dell'amore di Dio posto sulla sua vita. Occorre che mi ricordi di questo - come nel corso di una vita coniugale ci si ricorda dell'amore di quando si era fidanzati - ricordandomi della prima volta che ho detto “Sì” a Dio, che gli ho detto “Mio Signore e mio Dio”.

Chiediamo a Maria di insegnarci a perseverare nell’amore.

 

Lasciare andare

“Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”

Durante i tre anni del ministero pubblico di Gesù, Maria si trova dilaniata tra i segni messianici stupefacenti che vede di Gesù Salvatore e Messia, e l'incredulità di tutta una parte del clan familiare.

In certi casi l'atteggiamento di Gesù appare troppo sconcertante o troppo pericoloso e Maria decide di seguire il clan familiare.

Sappiamo che la risposta di Gesù è durissima. Maria ha tentato in qualche modo di proteggere Gesù da sé stesso, come ogni madre ha avuto la tentazione di proteggere suo figlio invece di lasciarlo andare, come anche noi siamo talora tentati di trattenere i nostri cari, invece di lasciarli rispondere alla loro vocazione.

Maria ci aiuta a non combattere con Dio per i nostri amori umani, a non volere impadronirci di quelli che amiamo quando il Signore li chiama, in qualsiasi modo accada.

 

Provare compassione

“Stavano presso la croce di Gesù sua madre…”

Maria ha seguito Gesù fino in fondo, fino alla croce e ora sta là, in piedi.

Non grida. Non attira l'attenzione su di lei ma guarda Gesù.

Quante volte, quando crediamo di avere compassione dei nostri fratelli, in realtà commiseriamo noi stessi! Quan-te volte riconduciamo a noi stessi la sofferenza degli altri!

“Mio figlio piccolo mi ha preso il morbillo e mi ha tenuto tre giorni a casa!”; “Oh, come la compatisco per questa crisi di reumatismi! proprio come me...”, e via a raccontare i nostri malanni. Maria ai piedi della croce, ci insegna a dimenticarci totalmente, per essere puro sguardo sull'altro.

La compassione ci deve spingere l'accoglienza disinteressata nella sofferenza dell'altro.

 

* Tratto dal libro dell’autrice: Il Vangelo di Maria Maria, EDB, Bologna 2019

Sintesi della Redazione

 

Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce (LG 58)

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Tutte le mattine quando mi alzo, la salvezza di Dio mi ha già preceduto. Ma Lo accolgo nella gioia o nell'indifferenza?

•          Qual è il nostro atteggiamento davanti ai segni che Dio ci manda?

•          Mi ricordo della prima volta che ho detto “Sì” a Dio? Che gli ho detto “Mio Signore e mio Dio”?

 

14-SAN GIUSEPPE

Imparare a praticare la paternità

 

di Fabio Rosini*

Ho scritto questo libro perché penso che la nostra generazione non ha perso solo il padre ed inasprito la madre… ma ha perso anche la sapienza e procede a casaccio.

L’esempio di Giuseppe ci può aiutare a ritrovare la strada.

 

Paura della grandezza

“Giuseppe, figlio di Davide, Non temere di prendere con te Maria tua sposa perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”.

Si può pensare che Giuseppe temesse di prendere in sposa Maria per via dello scandalo della sua gravidanza ma si può anche pensare, ed è ciò che penso, che temesse di prenderla in sposa proprio perché quello che era in lei era generato dallo Spirito Santo…

Sarebbe a dire che Giuseppe, discendente di Davide, essendo perlomeno aperto a dare credito a Maria, aveva capito che crederle significava entrare nell'adempimento della più grande promessa fatta al popolo d'Israele.

Credere a Maria, credere all'Angelo, voleva dire essere grande, essere il padre del Messia, accogliere e fare da padre alla persona più grande della storia. Avere paura della grandezza. Avere paura della propria capacità di bellezza.

Quella di oggi è una generazione di padri che hanno paura di essere tali, che scappano dalla loro dignità.

Come toccare il cuore di questi capolavori che si buttano via da soli?

Bisogna essere come la voce di quell'angelo che dentro un sogno dice: Dio ti conosce e sa qualcosa di te che non vedi! Tu non ti rendi conto di quanto bene può passare per le tue mani! Tu dubiti perché non hai capito chi sei agli occhi di Dio!

Non temere Giuseppe, o come ti chiami, di diventare un uomo di Dio, una donna di Dio. Di essere padre o madre. O sposo, prete, amico, fratello, sorella, missionaria, o mille altre cose belle.

Non temere di allevare tutti i Messia che ci sono in giro, quelli che quando fai le cose a loro, le avrai fatte a Lui.

Non temere di fare cose grandi. Obbedisci alla vita che non ti è stata data per caso.

 

Fare il bene, subito

“Quando si destò dal sonno Giuseppe fece come gli aveva ordinato L'Angelo del Signore e prese con sé la sua Sposa”.

Quello che fa Giuseppe, appena destato, è prendere Maria sua sposa, senza attendere, senza nulla interporre, immediatamente.

Molte volte la tentazione entra in quello spazio lasciato prima di entrare in azione. Quanta bellezza della nostra esistenza abbiamo sprecato per aver tergiversato?

Questa è una delle indicazioni preziose da cogliere dalla storia di Giuseppe: le cose si fanno subito. Ma quale cosa deve essere fatta? Cosa sovente ci manca, ma non è mancato a Giuseppe?

La prima obbedienza di Giuseppe e prendere con sé la sua sposa. Ma il verbo che viene usato nel testo greco, e che traduciamo con prendere, ha un significato più sofisticato: portare con sé, prendere accanto, vicino.

Il verbo italiano più simile è accogliere. Giuseppe è un padre che ti accoglie, che ti prende, ti difende. Uno che si occupa di te. Uno che ci tiene a te. Ne ha avuto bisogno anche Gesù Cristo.

Accogliere è la logica essenziale della fede, e non solo: l'opera di Dio si accoglie, la salvezza si accoglie, la vita stessa si accoglie, e così i fatti, le persone, la storia, le singole situazioni.

Si accolgono. Oppure si rifiutano.

Noi ci torturiamo per essere altro da noi stessi, ci amareggiamo per le infinite delusioni che patiamo, ma il problema fondamentale è assecondare, accogliere la Provvidenza, e così entrare nelle opere di Dio.

 

Chiamare per nome

“Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.

Il riconoscimento paterno è stato per millenni l'inizio del diritto personale. Il fatto che ora questo atto, comunque fondamentale, sia praticabile diversamente, non cambia la sostanza del discorso.

Se per la sopravvivenza basta che tua madre ti metta al mondo, per l'identità comunque dovrai anche capire se tuo padre ti ha riconosciuto o no.

Giuseppe non ha semplicemente comunicato il nome del bambino agli astanti al momento della circoncisione... in quel chiamarlo Gesù ci sono tutte le parole che gli ha detto, tutte le cure che gli ha usato, tutte le cose che hanno fatto insieme.

Dicono che una delle ansie più devastanti ed in aumento, a monte di tanti disagi interiori e di disturbi del comportamento, sia l'ansia da riconoscimento.

Qualcuno che ti dica chi sei, qualcuno che ti dica: t’ho visto, ti ho riconosciuto.

Questo è un atto fondante e paterno.

Questa generazione ha bisogno del padre che dica: “Tu sei importante, la tua vita è preziosa”.

Se mio padre mi dice: “non ce la farai mai”, io passerò tutta la vita a combattere con questa condanna; ma se mio padre mi dà fiducia e mi dice: “ce la puoi fare”, io ce la farò. Mi è stata aperta la porta, potrò crescere.

Servono padri che diano fiducia. Che dicano il nome di questa generazione.

 

L'arte di custodire

“I magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi In Egitto e resta là finché non ti avvertirò”.

Un padre che ti accoglie, deve dirti chi sei ma, poi, ti deve custodire.

Cosa significa custodire in ebraico si usa il verbo shamar, il verbo di chi scruta l'orizzonte con attenzione per cogliere il pericolo che arriva. È il contrario della distrazione e della sciatteria. Cose da cui è vitale guardarsi con attenzione.

Le due strade per salvarsi dalla trasandatezza e dalla superficialità sono l'intuizione della preziosità e la percezione del pericolo, che è il sentore di ciò che può compromettere quella preziosità.

Il primo passo è la consapevolezza del valore: si custodisce ciò che è prezioso, ciò che non può essere perso, ciò che non deve essere messo in pericolo.

Allora bisogna domandarsi: cosa si custodisce? Qualcosa che è in pericolo.

È proprio il pericolo, talvolta, che apre gli occhi e fa diventare custodi. Sono le tribolazioni che tirano fuori dal cuore l'accudimento, la cura, la custodia, la bravura, l'acume, la profondità.

La cura regala la paternità, non il contrario, ti sporchi le mani con le persone e scopri che “ci si vuole bene”.

 

Farsi da parte

“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

Questa affermazione del giovane Gesù sembra ridimensionare la paternità di Giuseppe, ma non è così. Anzi, questa frase sigla il vero successo di Giuseppe.

Ciò che dobbiamo comprendere - pur in questo caso così peculiare - ancora una volta riguarda ogni tipo di paternità.

La scena del ritrovamento si può capire solo se consideriamo che, a 12 anni, presso gli ebrei avviene l’ammissione del bambino nel mondo degli adulti.

Un bambino va cresciuto con le buone abitudini, dall’igiene alla buona educazione. Il bene va ripetuto per diventarne possessori, perché ti entri dentro.

Giuseppe porta la sua famiglia tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua, è una buona abitudine. Ma questa volta Gesù rompe la consuetudine, e cambia passo. Gesù rimane a Gerusalemme, mentre i suoi tornano a Nazareth.

Dopo un giorno di viaggio, Maria e Giuseppe si mettono a cercarlo fra i parenti, ma Gesù non sta lì. C'è qualcosa di totalmente nuovo in lui.

Questo c'è in ogni figlio, se non lo non lo asfissi...

E quando lo ritrovano a Gerusalemme, Gesù risponde alla domanda della madre con un'altra domanda. Una domanda che richiede a Giuseppe e Maria un salto di consapevolezza: è tempo che intendano più profondamente il senso della sua vita di Figlio di Dio.

Gesù tornerà a Nazareth con i suoi, ma in lui c'è ormai un orientamento definitivo. La sua crescita, di qui in poi, sarà qualitativamente diversa.

Ricordiamoci che abbiamo sempre due padri: prima Giuseppe e poi Dio. A Gerusalemme ci si arriva per la via dell'uomo, per la via di Giuseppe.

Per essere quella cosa straordinaria che ognuno è, prima bisogna imparare l'arte di essere uomini tra gli uomini, donne fra le donne. Poi si diventa “Beata sei tu fra le donne”, ma fra le donne dovevi stare per essere benedetta.

La missione di Giuseppe è terminata, ora può sparire.

 

* Tratto dal libro dell’autore: San Giuseppe. Accogliere, custodire, nutrire. San Paolo. Milano 2021.

Sintesi a cura della Redazione

 

Giuseppe interceda per noi perché possiamo ricevere la grazia di saperci mettere da parte, appena questo sia possibile e opportuno.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Ci rendiamo conto di quanto bene può passare per le nostre mani, se lo vogliamo?

•          Accogliamo nella nostra vita senza indugi gli altri, l’Altro?

•          Sappiamo dire ai nostri figli quanto sono importanti per noi?

•          Sappiamo cogliere il nuovo che ad un certo punto della vita si manifesta nei nostri figli?

 

Essere santi oggi

15-LEADERSHIP E SANTITÀ

 

Ci sono tanti modi per diventare santi, e tra queste anche quello di seguire un corso sulla leadership!

È quello che come redazione abbiamo pensato leggendo l’e-book pubblicato da Gigi De Palo, presidente uscente del Forum delle associazioni familiari.

Infatti, sovente nel testo la parola leadership richiama sotto traccia la parola santità.

 

di Gigi De Palo

Questo è un libro scritto da un padre di famiglia che, anche a livello affettivo, si è ritrovato a vivere una vita molto più complicata e bella di quella che avrebbe mai immaginato.

Questo è un libro che prova a riflettere e a ragionare su un tema estremamente importante in questo tempo: la leadership.

 

Al centro il bene comune

Complice la situazione che stiamo vivendo a causa della pandemia, sono spuntati come funghi corsi di formazione sulla leadership ma io credo che occorra una nuova leadership, una leadership che metta al centro non solo il profitto o la realizzazione degli obiettivi, ma soprattutto il bene comune. Una leadership dove l’altro non sia solo un mezzo, ma il fine. Una leadership “etica”, orientata, cioè, verso il bene.

In questo libro cercherò di convincervi del fatto che – volente o nolente – tutti abbiamo una leadership, un ruolo, una funzione, un incarico, una responsabilità.

La grande differenza è tra chi vuole vivere questa leadership da spettatore non pagante, dal balcone o sul divano della sua esistenza e chi, invece, la vuole vivere da leader, sporcandosi le mani, dando la vita, vivendo anche il proprio lavoro come una missione.

La felicità, infatti, non è in un altro lavoro, in un’altra donna o in un altro uomo, ma nel vivere pienamente quello che si sta facendo. La leadership non è nell’incarico che ti viene dato, quanto nella tua capacità di vivere il lavoro, la famiglia, le amicizie, gli affetti, lo sport come un capolavoro e un’opera d’arte.

 

Educarsi alla leadership

La maggior parte delle persone che conosco è convinta e – aggiungo io – contenta di credere che la leadership abbia a che fare con il carisma di una persona. In poche parole, alla domanda che faccio spesso nei miei corsi, se leader si nasce o si diventa, moltissimi rispondono con soddisfazione: «La prima che hai detto!».

È quasi una liberazione dare questa risposta: io non ho un carattere da leader, posso dormire sonni tranquilli. Altri, ma sono una minoranza, credono invece che ci si possa diventare.

Ma dov’è la verità? Come spesso capita è nel mezzo: è chiaro che alcuni nascono con un carattere particolarmente carismatico in grado di “influenzare” gli altri, ma è altrettanto vero che anche la leadership si può educare. Anzi, mi permetto di dire che si dovrebbe educare.

Si può diventare leader? La mia risposta è tranchant: si deve diventare leader.

A mio avviso, la vera domanda da porsi è: voglio vivere una vita mediocre o voglio provare a giocarmela pienamente? Voglio trovare sempre una scusa davanti alle cose che non vanno bene o voglio provare a dare il mio contributo?

Essere leader non è avere un carattere forte e nemmeno aver fatto centomila corsi di formazione sulla leadership. Essere leader è decidere se dare o non dare la propria vita.

 

I nostri veri leader

Ci sono tantissime definizioni di leadership. Ma proprio tante. Credo però che la leadership non è una qualità o una caratteristica definibile o descrivibile, ma un luogo, uno stato, una funzione. Avere una leadership equivale ad avere un luogo dal quale gli altri vengono influenzati, un lavoro dal quale essere un esempio.

Tutti abbiamo una leadership, tutti abbiamo qualcuno che ci segue e che si fida di noi. La leadership, quindi, è l’occasione che ci è stata data per migliorare il mondo. È l’opportunità che abbiamo per far crescere gli altri.

Quando faccio i miei corsi, quasi subito faccio elencare dai miei studenti, siano essi manager o giovani laureati, tre persone che hanno influenzato la loro vita e perché.

Da quasi 10 anni le risposte che sento sono sempre le stesse.

«Mio padre», «Mia madre», «Mia nonna Ada», «Mio fratello Paolo», «La mia maestra delle elementari», «Il mio professore di storia», «Il sacerdote del mio paese», «L’allenatore di pallavolo» … Qualcuno risponde anche Steve Jobs, Bill Gates, Lady Gaga o Papa Francesco, ma il 93% scrive sul foglio parenti, amici o educatori che ha avuto.

E quando chiedo le motivazioni, anche qui le risposte sono sempre le stesse: «Mi ha voluto bene», «Mi è stato vicino nei momenti difficili», «Mi ha insegnato il sacrificio», «Ha saputo abbracciarmi quando ne avevo bisogno».

Non servono master per essere leader e per influenzare qualcuno. Non occorre la laurea. Serve voler bene alle persone.

 

Lavoro e famiglia

La leadership di ciascuno di noi ha a che fare con quello che siamo. Con la nostra vita. Con le nostre esperienze, le nostre cadute e le nostre piccole grandi vittorie quotidiane.

Nel mondo del lavoro siamo chiamati ad essere una sorta di Giano bifronte: un conto è il nostro atteggiamento in ufficio, un altro è il comportamento che dobbiamo tenere in casa o in famiglia. Un conto è il business, un conto sono gli affetti.

Niente di più falso e di pericoloso. Che ci piaccia o non ci piaccia, noi siamo un’unica persona nella quale convivono l’anima lavorativa e l’anima affettiva.

Ho sempre diffidato di chi è uno squalo in azienda e un agnellino premuroso coi suoi figli appena finisce l’orario di lavoro. Ti fideresti di una persona così?

La leadership etica cerca di formare e migliorare l’umanità delle persone insistendo su un concetto: se sei un buon leader sarai allo stesso tempo un buon dirigente e una buona madre o buon padre.

 

Dare la vita

Tutti abbiamo una leadership che ci piaccia o non ci piaccia. Una funzione, un incarico, una responsabilità dalla quale influenziamo le persone. Un padre, una madre, una professoressa, una dirigente d’azienda, un presidente di un’associazione, un allenatore…. Tutti abbiamo qualcuno che ci segue, che si fida di quello che facciamo, di quello che diciamo.

Negli ultimi tre anni ho compreso che alla fine, il succo di tutto il discorso che porto avanti si riduce in un concetto molto semplice: alla luce della leadership che hai, stai vivendo questa occasione da leader? E cioè: alla luce del fatto che ti è stata data una responsabilità (fosse anche solamente quella di padre o madre), la stai vivendo al cento per cento? La stai vivendo come una missione? La stai vivendo mettendoci tutto te stesso? La stai vivendo dando la vita? Oppure lo stai facendo nei ritagli di tempo, con la mano sinistra? Perché una leadership va vissuta da leader, altrimenti può fare danni.

 

Tratto dall’e-book: Nuova leadership.

Disponibile su https://nuovaleadership.gigidepalo.it/NuovaLeadership.pdf

Sintesi della Redazione

 

Tutti hanno una leadership ma non tutti la vivono da leader.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Tutti abbiamo qualcuno che ci segue e che si fida di noi. Proviamo ad elencarli.

•          Stiamo vivendo la nostra paternità/maternità come una missione, o come un impegno tra i tanti?

•          La vita degli altri, nel bene nel male, può dipendere da noi, dai nostri comportamenti quotidiani. Ne siamo consapevoli?

 

16-IL BENE E IL MALE DIPENDONO DA NOI

 

Un leader che mette al centro la dimensione etica sa bene che ogni sua decisione ha che fare con la vita o la morte delle persone. Sì, avete letto bene: con la vita o la morte.

A tal proposito ricordo un episodio che mi ha insegnato molto: un caro amico si era iscritto nuovamente all’Università perché doveva partecipare ad un concorso per un posto fisso. Gli mancavano tre esami con il vecchio ordinamento, ma passando al nuovo tutto era cambiato.

Aveva una certa fretta, la moglie gli metteva ansia: stavano aspettando un bimbo e voleva qualche certezza in più.

Dopo aver fatto tutti i documenti si ritrovò davanti ad un impiegato anziano che gli doveva fare il conteggio degli esami rimanenti.

L’impiegato in modo sbrigativo e senza nemmeno leggere con attenzione tutte le carte lo liquidò bruscamente: «Le mancano 10 esami!».

«Come 10 esami? Me ne mancavano 3, adesso sono diventati 10?». «Sì, perché passando al nuovo ordinamento alcuni non le vengono riconosciuti».

Vi lascio solo immaginare la tristezza e lo scoramento del mio amico che, mentre se ne stava per andare, ebbe un sussulto di orgoglio e provò ad insistere: «Vorrei controllarli insieme a lei uno per uno». E così fecero, un esame per volta.

Così scoprirono che gli esami che gli mancavano non erano 10, ma 5.

Il mio amico si laureò l’anno successivo riuscendo a partecipare al concorso che lo fece entrare al Ministero.

Perché questo racconto? Perché la vita del mio amico, la sua felicità, la tranquillità della moglie, passava dalle decisioni di un impiegato stanco e demotivato che stava per peggiorare – solo con la sua sciatteria – la vita di almeno tre persone. Per questo le decisioni che prendiamo hanno sempre una dimensione etica e una ricaduta sociale anche se non le percepiamo immediatamente così profonde. Il bene o il male passano dalle nostre scelte quotidiane.

Gigi De Palo

 

Testimonianze

17-I SANTI DELLA PORTA ACCANTO

Otto esempi di santità “feriale”

 

Abbiamo senz’altro conosciuto persone dalla cui vita traspare la gioia cristiana. Grazie alla nostra redazione “virtuale” vi proponiamo alcune delle loro storie.

 

Francesca

C’è una persona che per me è stata un grande esempio di santità: è la mia amica Francesca. Malata oncologica da diversi anni e con 2 figli ancora ragazzi è riuscita a dare una testimonianza di fede e gioia nonostante tutto. Dall'inizio della Quaresima 2021 a fino poco prima di morire andava tutti i giorni a Messa (o nei momenti critici la seguiva in tv) e tornando a casa registrava un audio che poi inviava per WA agli amici riassumendo le letture del giorno e l'omelia del sacerdote.

I suoi audio cominciavano con "oggi ti ho portato a Messa con me" e questo mi dava conforto e spinta a leggere le letture. Dopo l'audio inviava anche la foto di un fiore o albero che trovava per strada, testimonianza del suo amore per il creato. Purtroppo Francesca è morta il 21 ottobre 2021; il suo testamento spirituale inizia con questa frase: “Quando mi sono ammalata ho pregato il Signore che questo non facesse perdere la fede in Dio a nessuno". Se non è santità questa...

Cristina

 

Anna

In una cooperativa di disabili, tra i volontari c'è un'anziana insegnante, Anna, che ogni mattina si presta a tenere puliti i bagni e tutti i locali che, nonostante i richiami degli operatori, i disabili lasciano in condizioni tutt'altro che igieniche.

Lei si presenta sempre con un sorriso discreto, rivolto a tutti indistintamente, risponde con calma e pazienza alle domande che le vengono rivolte in modo a volte poco educato.

Si fa ben volere da tutti. Io ne sono ammirato.

Fiorenzo

 

Gabriella

La Gabri è il nostro braccio destro e spesso anche sinistro. Si spende senza sosta nelle case di diverse famiglie pur avendone una anche lei. Per i miei figli ha fatto spesso da baby-sitter ed è riuscita a costruire con loro un rapporto che dura anche adesso che sono grandi. Il momento prescelto dai miei pargoli è ancora adesso il lunedì pomeriggio, quando a turno si mettono accanto a lei alle prese con lo stiro e le raccontano delle loro vite. Si tratta di una specie di confessionale domestico. Lei ascolta interessata e partecipa della loro crescita con molta discrezione. Gabri è un drago in cucina ed è capace di risolvere un problema elettrico ingegnandosi con ciò che ha a disposizione. Con lei ho fatto veramente di tutto: dal giardinaggio, alla pittura delle pareti, dal cucito alla riparazione di piccoli elettrodomestici. So di poter sempre contare su di lei, sia a livello pratico sia di supporto psicologico. Anche adesso che vive qualche problema in famiglia, resta sempre solare e disponibile, fiduciosa in Dio nonostante le prove che sta attraversando.

Paola

 

Vittoria

Mi ricordo una zia, Vittoria, venuta a mancare di recente. Persona molto credente, praticante e devota.

Una donna che partecipava alla messa ogni giorno. Era sempre disponibile ad aiutare gli altri e chi era in difficoltà, magari trascurando a volte le sue cose, ma mai la sua famiglia.

Non lo ha mai fatto dandosi delle arie, ma sempre sostenendo che essi ne avevano bisogno.

“Poveretti”. C’era l’iniezione da fare, l’Eucarestia da portare, le medicine da ritirare in farmacia, il pane da prendere, ecc… A Natale quando cucinava lo faceva per mezzo palazzo e principalmente per gli anziani che erano soli e gli ammalati che non potevano muoversi. Se le cose andavano bene diceva: “Ringraziamo Dio”, se le cose andavano male diceva “Che il Signore ci aiuti”. Anche quando lavorava ha sempre trovato del tempo da dedicare agli altri.

Era molto amata dai suoi vicini e dai suoi bisognosi che lei ha sempre continuato ad accudire anche quando il marito si è ammalato ed è rimasto invalido per molti anni.

Fiorenza

 

Lucia

Lucia, una mia cara amica, ha un figlio, Loris, che soffre di una grave forma di autismo che gli preclude la possibilità di rapporti costruttivi con i suoi simili.

Lucia è stanca, e questo è evidente, ma non molla mai e il suo sorriso e la sua gioiosa intraprendenza nel dedicarsi alla famiglia sono quasi contagiosi: insieme con Marco, suo marito, hanno cresciuto anche la figlia maggiore, Sara, dandole la possibilità di crescere nell’autonomia e in una certa indipendenza, consentendole impegnativi studi universitari.

Ciò che colpisce di più, di Lucia, è il suo entusiasmo nel parlare di Loris: è davvero straordinario e fuori dal comune il suo riferire felicemente i piccoli progressi nel suo apprendimento di alcuni automatismi; il suo “relazionare” degli abbracci e delle piccole complicità che malgrado tutto riesce ad instaurare con lui, specialmente quando lo invita a ripetere, scandendolo, il ritornello di una canzone; oppure dell’abbraccio se lei gli fa ricordare il nomignolo del pupazzo con cui si addormenta, o ancora del suo sguardo “luminoso” – così lei lo definisce – di suo figlio quando, insieme, enunciano a voce alta quella che sarà la routine della giornata che sta iniziando.

“Santità feriale”: mi basta pensare a lei per poterla definire….

Carla

 

Maura

Maura è un vulcano di energie: magra ed alta, è sempre impegnata a fare qualcosa. Quando cammina, corre e tu che arranchi al suo fianco invochi il protettore dei maratoneti. Soffre di una leggera iperattività e questo la porta sempre a trovare qualcosa da fare: cosa per altro non difficile considerata la sua vita superpiena. Infatti, insegna, è plurimamma e si è spesa per anni per il catechismo, la scuola parrocchiale, l’oratorio ed il Grest.

Nella sua vita ha affrontato diverse prove, fra cui la malattia e la morte precoce dei suoi genitori, e questo le ha fatto attraversare periodi bui, ma non le ha tolto il sorriso e la fede. È una persona disponibile e accogliente, calda e cordiale con una forza innata. Amo andare a prendere il caffè con lei e chiacchierare di tutte le cose che ci accomunano: la scuola, le nostre famiglie, i desideri e le fatiche. È una grande amica da cui mi sono sentita subito accolta e sostenuta.

Paola

 

Gigliola

Gigliola è un ex insegnante. Dopo un periodo lontano dalla fede, si è riavvicinata a Dio. L’ho conosciuta quando faceva la catechista di mia figlia ed era già in pensione. È una persona molto spirituale e molto credente. Piccola di statura e molto gracile, ma quando parla di Dio, ci mette tutta la sua grinta e la sua convinzione e la sua voce diventa forte e sicura. Ora passati gli ottant’anni è piena di problemi di salute ed esce raramente, solo accompagnata da qualche amica perché non ha familiari. Ha trasformato il suo appartamento in un eremo, dove lei prega, medita, telefona, scrive preghiere e poesie.

Fiorenza

 

Maria Grazia

Maria Grazia è una mia grande amica, una “santa” laica ed addirittura agnostica. Maria Grazia ha vissuto un’infanzia difficile: ha perso suo padre quando era ancora molto piccola e da allora è stata lasciata in collegio da sua madre fino al termine delle elementari.

Quando è tornata a casa, ha poi sperimentato un’adolescenza fatta di violenze e umiliazioni. L’unica luce in tutto questo è stato il nuovo marito della mamma, un patrigno che molto presto si è trasformato nel suo vero padre. Lui le ha ridato la dignità che si meritava e una nuova fiducia in sé. Qualche anno più tardi è arrivato anche Piero che col tempo sarebbe diventato suo marito e che l’ha fatta ulteriormente fiorire. Ciò che mi colpisce in Maria Grazia è che, nonostante il suo passato, non è arrabbiata col mondo, ma continua ad essere ostinatamente ottimista. Non ha perso fiducia negli uomini e nelle donne, si astiene dal dare giudizi sulle vite altrui ed è sempre pronta a farsi in quattro (ma proprio in quattro!), se un amico ha bisogno di qualcosa.

Se amare il prossimo, vuol dire essere cristiani, allora lei è un’autentica cristiana.

Paola

 

18-SATANA

L’avversario, il tentatore, il simbolo del Male

 

di Georges Tavard*

Secondo la tradizione cristiana Satana è il principe delle tenebre, il capo degli angeli del male. Se questa figura ha goduto, e gode ancora, di popolarità è perché l’umanità non ha trovato una soluzione razionale e soddisfacente al problema del male.

Se pensiamo alla storia del XX secolo, questa è segnata da guerre, campi di sterminio, bombe atomiche, massacri, attentati, terrorismo, ma anche azioni militari che, in nome della libertà dei popoli, hanno ucciso gente innocente.

Ma c’è anche un altro male che, pur sembrando naturale, è fonte di disgrazia: terremoti, alluvioni, frane, ma anche malattie, come il cancro e oggi il Covid.

Il problema del male è ben attuale. E Satana è una delle immagini.

Qual è la storia della demonologia?

 

Satana nella Scrittura

Prima dell’esilio in Babilonia, non si trova nella Bibbia una demonologia dettagliata.  Il serpente che tenta Eva sarà identificato con Satana molto più tardi.

Durante l’esilio i giudei si trovano in mezzo ad una popolazione la cui religione dava grande spazio agli angeli e ai demoni.

Ciò da una parte rafforza il monoteismo di Israele e dall’altra fa spesso attribuire il male all’azione di un demonio. Nel libro della Sapienza, Satana è chiamato diavolo ed è definito come inventore della morte e quindi il nemico del genere umano.

Con la letteratura apocalittica, che si sviluppa nei secoli a cavallo della nascita di Cristo, si assiste ad una vera esplosione dell’angelologia e della demonologia.

Nei vangeli sinottici, il diavolo appare come il tentatore e il nemico che, scacciato da Gesù, cerca di ostacolare la sua opera e quella dei suoi discepoli.

Significativa è la frase finale della preghiera che Gesù insegna: “Liberaci dal Maligno”.

Un ruolo particolare occupa, nel Nuovo Testamento, il libro dell’Apocalisse. In contrasto deciso con la discrezione dei vangeli sinottici e di Paolo, il testo è una vera esplosione di demonologia.

C’è una demonologia che possiamo attribuire a Gesù? In senso stretto no, ma certo egli usava le categorie di pensiero e di linguaggio che erano correnti nel giudaismo dell’epoca. Come guaritore, aveva coscienza di sconfinare nel dominio della malattia e della disgrazia, dominio che abitualmente si attribuiva a Satana. Scacciare i demoni diveniva il segno per eccellenza dell’avvento del regno di Dio.

 

Nei Padri della Chiesa

Nel Pastore di Erma, testo apocalittico del II secolo, si parla di due angeli, uno buono e uno cattivo, che accompagnano ogni uomo e si combattono nel suo cuore.

Gli scritti apologetici del II, III secolo identificano gli dei tradizionali con gli angeli malefici e considerando il paganesimo come il culto di Satana.

Origene, teologo del III secolo, descrive gli angeli malefici come creature che hanno un corpo che ci è normalmente invisibile, poiché è fatto di sostanza eterea. Ma questo corpo lo devono nutrire, ed è qui l’origine dell’idolatria poiché amano il profumo dell’incenso e dei sacrifici offerti ai falsi dei.

San Basilio parla della caduta degli angeli. Tutti erano stati creati nella luce, i dannati sono quelli che sono caduti nelle tenebre a causa dell’invidia, invidia nei confronti della bellezza dell’uomo e della sua familiarità con Dio.

Bisogna attendere Agostino per trovare una riflessione sistematica sul peccato degli angeli. Gli angeli peccatori hanno amato se stessi piuttosto che Dio; hanno scelto se stessi come bene supremo. L’inferno è il luogo finale ed eterno destinato ai demoni.

 

Nella teologia classica

Nell’insieme, la demonologia medioevale è tradizionale e conservatrice.

Solo con sant’Anselmo, a cavallo dell’anno mille, si approfondisce la vera natura del peccato di Satana. Egli ha voluto qualche cosa che conosceva senza averla. Egli sapeva che Dio è totalmente autonomo e a sua volta ha voluto essere totalmente autonomo, come Dio.

Nel secolo XIII san Bonaventura spiega il peccato di Satana così: “il primo degli angeli, Lucifero, sovraestimando il bene che era in lui, desiderò la propria eccellenza, volle elevarsi al di sopra degli altri; e dunque cadde con quelli che vi consentirono”.

La Riforma non introdusse nessuna novità. Lutero parlava del diavolo ad ogni piè sospinto, affermando volentieri di averlo incontrato sotto diverse forme.

Calvino, più sobrio, si accontentava di riprendere le espressioni della Scrittura.

Pur sotto molti nomi diversi, Satana appartiene alla retorica cristiana di tutti i tempi.

Dal punto di vista pastorale, Satana ha contribuito al successo della predicazione cristiana perché è servito come risposta alla domanda: “da dove viene il male?”. Ha spiegato alla gente semplice i mali di cui essa soffre, facilitandone la sopportazione e ha vivificato la speranza. Il combattimento di ognuno diviene una partecipazione al combattimento di Cristo.

 

Il satanismo

In ogni epoca l’arte cristiana ha rappresentato Satana e gli angeli del male in base ai sentimenti di quel periodo.

Disgraziatamente, l’immaginazione cristiana si è manifestata anche in maniera aberrante.

Se nelle città dell’Impero Romano il cristianesimo era generalmente sopravvissuto alle grandi invasioni germaniche, lo stesso non poteva dirsi delle campagne.

Le popolazioni germaniche si trovarono cattolicizzate troppo rapidamente con la conversione dei loro capi. Ma la conversione ufficiale del popolo è una cosa e l’abbandono delle vecchie pratiche religiose un’altra.

Ora, il culto dei “falsi dei” diveniva rapidamente, per i preti che lo condannavano, un culto dei demoni.

Facciamo un esempio relativamente banale. Quando i giorni della settimana erano ancora compresi nel loro senso latino, il lunedì era il giorno della Luna, il martedì il giorno di Marte, ecc. Ora, un certo culto di Giove fu celebrato per lungo tempo il giovedì, anche tra le popolazioni cristianizzate.

Lo stesso discorso si può fare per le nuove festività cristiane. Accanto alla Pasqua e alla Pentecoste, feste giudaiche, si aggiunse l’Epifania (giorno della nascita di Osiride), Natale (festa del solstizio d’inverno, giorno della nascita di Mitra), San Giovanni Battista (celebrazione del fuoco), ecc. Queste feste pagane restano in vigore presso una parte della popolazione e sono condannate dalla Chiesa come attività intrise di stregoneria e di magia.

La repressione della stregoneria si orienta soprattutto verso la sorveglianza delle donne. In un libro penitenziale del IX secolo si parla di “donne perverse”, influenzate da Satana, che volano di notte a cavallo di animali, in compagnia di Diana.

Successivamente, la stregoneria, in senso lato, diventerà il campo privilegiato delle indagini dell’Inquisizione.

Ai nostri giorni, malgrado l’avanzata generale dello spirito critico e scientifico nella società, va segnalato un fenomeno nuovo: il culto di Satana, adorato al posto di Dio.

A livello più volgare, sono comparse le “messe nere”, parodia della messa cattolica, celebrate sul corpo di una donna nuda da un prete apostata, con un’ostia consacrata presa in chiesa e che terminano con un’orgia.

 

Satana moderno

La scena contemporanea è molto complessa per quanto riguarda i demoni.

Per la teologia liberale le immagini demonologiche sono da prendersi in senso puramente simbolico e il demonio è la personificazione mitica del male di cui ogni uomo fa esperienza.

Per Teilhard de Chardin è necessario fare una distinzione tra male fisico, che fa parte della dimensione creaturale, e il male morale, frutto della volontà peccatrice di certe creature, come Satana.

Per la psicologia freudiana vi può essere solo il peccato oggettivo, ma non quello soggettivo perché il male va rimpiazzato dall’errore, in cui Satana non trova posto.

Per la psicologia junghiana, al contrario, Satana è l’immagine delle tenebre interiori dell’uomo.

Più recentemente il teologo Paul Tillich ha affermato che nella natura vi sono due polarità: il santo e il demoniaco. Il male morale non è altro che la scelta del polo demoniaco a scapito del polo santo. Per Karl Barth Satana non è tanto l’angelo cattivo ma l’antitesi assoluta, più vicino al nulla che all’essere. Satana non è quindi una persona ma un’ombra senza consistenza.

In conclusione, una catechesi prudente dovrà continuare ad arricchirsi del linguaggio tradizionale sull’origine e attività di Satana, ma eviterà di cadere in qualsiasi eccesso demonologico, sia esagerando sull’influenza del diavolo, sia cercando di spaventare.

Satana e i suoi compagni sono l’abisso affascinante della menzogna, che è così facile da confondere con il vero.

 

* teologo agostiniano (1922 –2007)

Tratto dal libro dell’autore: Satana, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1990 (reperibile solo usato!).

Sintesi della redazione

 

Gli angeli peccatori hanno amato se stessi piuttosto che Dio; hanno scelto se stessi come bene supremo.

 

Dal punto di vista pastorale, Satana ha contribuito al successo della predicazione cristiana perché è servito come risposta alla domanda: “da dove viene il male?”.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Anche in un’epoca razionale come la nostra c’è ancora molto spazio per il magico, l’occulto, gli oroscopi. Come aiutiamo coloro che ne sono vittime?

•          Satana è per noi una favoletta per bambini o un’entità reale?

•          Condividiamo il Magistero della Chiesa?

 

19-IL DEMONIO ESISTE

Il diavolo nel Magistero recente della Chiesa

 

Concilio Ecumenico Vaticano II

Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo, destinata a durare fino all'ultimo giorno.

Inserito in questa battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio.

Gaudium et spes, n. 37

 

San Paolo VI

“Sarebbe questo sul Demonio e sull’influsso, ch’egli può esercitare sulle singole persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti, un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare, mentre oggi poco lo è. Si pensa da alcuni di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, oggi purtroppo tanto diffuse in alcuni Paesi, un sufficiente compenso... Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima...   alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l’umana mentalità”.

Udienza generale del 15/11/1972

 

San Giovanni Paolo II

“Questa lotta contro il Demonio... è attuale anche oggi, perché il Demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, il disordine che si riscontra nella società, l'incoerenza dell'uomo, la frattura interiore della quale è vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche effetto dell'azione infestatrice ed oscura del Satana, di questo insidiatore dell'equilibrio morale dell'uomo, che San Paolo non esita a chiamare « il dio di questo mondo » , in quanto si manifesta come astuto incantatore, che sa insinuarsi nel gioco del nostro operare per introdurvi deviazioni tanto nocive, quanto all'apparenza conformi alle nostre istintive aspirazioni”.

Monte sant’Angelo (FG), 24/05/1987

 

Papa Benedetto XVI

“Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi. È così che, avendo offeso il primo comandamento, l’amore di Dio, viene a pervertire il secondo, l’amore del prossimo”.

Viaggio in Libano, 15/09/2012

 

Papa Francesco

"Il demonio esiste, ed è il nostro nemico più grande. È quello che cerca di farci scivolare, nella vita. È quello che mette nel nostro cuore i desideri brutti, i pensieri brutti e ci porta a fare le cose brutte, le tante cose brutte che ci sono nella vita, per finire nelle guerre...

Voi sapete qual è la qualità più grande che ha il diavolo? Perché ha delle qualità: è intelligentissimo, più intelligente dei teologi! È intelligentissimo, e questa è una qualità. Ma la qualità, il modo di essere più grande che ha il diavolo, è che è un bugiardo. (…) Nel Vangelo lo si chiama il padre della menzogna".

Labaro (RM), 3/03/2019

 

Tratto da un articolo di Laura De Luca.

Fonte: https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-03/magistero-papi-realta-demonio.html

 

20-IL RINNOVO DELLE PROMESSE BATTESIMALI

 

Rinunciate al peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio?

Rinuncio.

Rinunciate alla seduzione del male, per non lasciarvi dominare dal peccato?

Rinuncio.

Rinunziate a Satana, origine e causa di ogni peccato?

Rinuncio.

Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra?

Credo.

Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria Vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre?

Credo.

Credete nello Spirito Santo, la Santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna?

Credo.

 

21-IL X INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

22-26 giugno 2022

 

L’evento, a causa della pandemia di Covid-19, si terrà in forma “multicentrica e diffusa” e avrà delle caratteristiche diverse rispetto agli appuntamenti degli anni precedenti.

A Roma ci sarà dunque l’appuntamento principale, a cui interverranno i delegati delle Conferenze episcopali di tutto il mondo nonché i rappresentanti dei movimenti internazionali impegnati nella pastorale familiare.

Ciascuna diocesi è allo stesso tempo invitata a organizzare eventi analoghi nelle proprie comunità locali.

Per prepararci, come coppie e come gruppi famiglia, a questo evento sono state predisposte alcune catechesi.

Le trovate sul sito: https://www.romefamily2022.com/it/catechesi/

Questi sono gli argomenti proposti:

•          vocazione e famiglia,

•          chiamati alla santità,

•          Nazareth: rendere normale l’amore,

•          siamo tutti figli, siamo tutti fratelli,

•          padri e madri,

•          i nonni  e gli anziani,

•          pemesso, grazie, scusa.

Molti di questi temi sono stati trattati anche sulla nostra rivista (vedi: https://www.gruppifamiglia.it/pubblicazioni.htm).

Per quanto riguarda le iniziative diocesane per il 22-26 giugno contattate i vostri rispettivi Uffici Famiglia.

 

22-I TEMI DEI PROSSIMI NUMERI DELLA RIVISTA

 

Abbiamo raccolto nei mesi scorsi le vostre preferenze sui temi da trattare nei prossimi numeri.

Potete prendere visione dei risultati sulla home page del nostro sito: www.gruppifamiglia.it.

In base ad essi, i temi dei due prossimi numeri saranno:

 

Luglio 2022: GF111

Invecchiare e morire da cristiani

in cui tratteremo di:

•          il cristiano e la morte,

•          imparare ad invecchiare bene,

•          fare amicizia con la morte,

•          figli e genitori anziani (invalidità, Alzheimer, dipendenza, ecc.),

•          eutanasia e cure palliative,

•          pregare con gli infermi,

•          la vita dopo la morte.

 

Novembre 2022: GF112

Maschile, femminile e *

in cui tratteremo di:

•          oltre il binarismo sessuale,

•          il genere e l’ideologia gender,

•          la fluidità sessuale e gli adolescenti,

•          l’accoglienza della diversità,

•          nuove relazioni uomo-donna,

•          la donna nella Chiesa.

 

Come coppia responsabile e come coppie del direttivo siamo disponibili ad approfondire insieme a voi, nei vostri gruppi, i molti temi trattati in questo numero (questo vale anche per i numeri precedenti).

Ci potete contattare inviando una mail a:

formazionefamiglia@libero.it

 

 

23-SINODO 2021 - 2023

A che punto siamo?

 

L’interrogativo fondamentale a cui siamo chiamati a dare risposta in questa prima fase del cammino sinodale, dedicata all’ascolto, è il seguente:

“Una Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina insieme”. Come questo “camminare insieme” si realizza oggi nella vostra Chiesa particolare? Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme”? (dal Documento preparatorio n. 26)

Ogni diocesi si è organizzata per fornire una risposta a questa domanda adattando alle proprie esigenze quanto contenuto nella “Scheda esemplificativa per un percorso di consultazione sinodale” realizzato dalla CEI.

Da parte nostra, come Collegamento tra Gruppi Famiglia, abbiamo scelto di adottare il questionario on-line predisposto dall’Ufficio Famiglia della diocesi di Torino.

Invitiamo le coppie che abitano nella diocesi di Torino ad usare questo link: https://www.diocesi.torino.it/famiglia/sinodo-2022-form/

Per tutte le coppie che NON abitano nella diocesi di Torino il link da usare è: https://forms.gle/bsMEJox2yApJv9pL7

Vi invitiamo a far circolare il questionario e, soprattutto, a compilarlo e inviarlo on-line entro fine marzo.

 

24-CAMPI ESTIVI 2022

Calendario provvisorio

 

Ecco il calendario dei campi per famiglie di quest’estate.

Si tratta di un calendario molto provvisorio poiché facciamo fatica ad avere della conferma della disponibilità da parte delle case ospitanti ed è ancora presto per avere temi e relatori definitivi.

Noi ci proviamo, contando sulla vostra voglia di tornare alla normalità.

 

22-29 luglio Sant’Anna di Vinadio (CN)

Tema da definire.

Relatore: Angelo Fracchia, biblista.

Org.: Diocesi di Cuneo.

È possibile partecipare anche al solo week-end iniziale.

Info: Angela e Tommy Reinero, 347 5319786,

tommy.angela@libero.it

 

7-13 agosto Bessen Haut (TO)

Tema: "Uomini e donne di speranza"

Relatori da definire.

Org.: Diocesi di Pinerolo (TO).

Info: Nicoletta e Corrado Demarchi, 0121 77431,

curra@email.it

 

7-13 agosto Valle di Cadore (BL)

Tema e relatori da definire.

Org.: Colleg. Gruppi Famiglia.

Info: Fiorenza e Antonio Bottero,

340 5195718, 375 6066265, antoniobottero@alice.it

 

Il calendario, aggiornato in tempo reale, è consultabile sul sito: www.gruppifamiglia.it cercando, nella home page, tra le attività in evidenza.

 

25-Bilancio 2021 F&F

In leggero passivo, scendono i contributi!

 

Carissime/i,

Come potete leggere nella tabella sottostante, il bilancio 2021 dell’associazione Formazione e Famiglia, editrice della rivista, si è chiuso con un leggero passivo.

Anche quest’anno siamo usciti con tre numeri, anziché quattro come era stato fino al 2018, e questo ha contribuito a contenere le uscite.

Purtroppo il numero dei contributi liberali all’associazione si è ulteriormente ridotto, sia come numero sia come importi.

Parallelamente, disponiamo di un avanzo di cassa importante.

Pensiamo quindi di utilizzarne una parte per sostenere i campi estivi, favorendo anche dal punto di vista economico la partecipazione della famiglie.

Si potrebbe anche pensare di ritornare a pubblicare quattro numeri all’anno della rivista, ma questo potrebbe comportare una perdita di qualità della stessa.

Ne parleremo nella prossima assemblea dei soci di cui vi daremo conto nel numero di luglio.

Al momento grazie ancora per il vostro sostegno,

la Presidente Noris Bottin

 

26-PER APPROFONDIRE IL TEMA

I libri usati per realizzare questo numero

 

AA.VV., Storia della santità nel cristianesimo occidentale, Viella, Roma 2005

Questo non è un libro di immediata lettura ma un testo di studio.

Tuttavia ci piace segnalarlo perché ci è stato molto utile per ricostruire la storia della santità.

Abbiamo ripreso dal testo soprattutto quelle parti che hanno portato i cristiani a vivere il culto dei santi in modo quasi alternativo a quello cristico e trinitario.

E, in fondo, quando il rispetto verso Dio diventa così esagerato da impedire di accostarsi alla comunione eucaristica (vedi GF108, p.24), è naturale che i fedeli sentano i santi molto più prossimi a loro rispetto a Cristo.

Di qui nasce la richiesta di grazie rivolta ai santi, ciascuno con la sua “specializzazione” (malattie varie, viaggi, affari, affetti), da qui il culto delle reliquie, anche quelle di contatto, che rischiano di sconfinare in pratiche quasi magiche.

 

Alberto Maggi, Padre dei poveri 1. Le beatitudini di Matteo, Cittadella Editore, Assisi 2014

Georges Tavard, Satana, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1990 (reperibile solo usato!)

L’interesse del libro di padre Maggi è legato all’approccio teologico adottato dall’autore. La sua è una teologia “dal basso” e la sua lettura del testo evangelico è basata sul metodo “storico-critico”.

Se la lettura delle beatitudini che Maggi propone vi ha colpito ed interessato, questo libro è un ottimo strumento per accostarsi ad un approccio alla parola di Dio che viene poco usato a livello pastorale, forse perché troppo erudito o forse perché troppo “impegnativo” nelle ricadute personali.

Il libro di Tavard è degno di segnalazione perché, parlando di Satana, propone una rapida ma utile sintesi della letteratura biblica ed extrabiblica e della storia della Chiesa (vedi pag. 21-22).

 

Silvano Fausti, Occasione o tentazione? Scuola pratica per discernere e decidere. Àncora Editrice, Milano 2015

Non è facile fare esperienza degli esercizi spirituali proposti da sant’Ignazio di Loyola.

Serve tempo, costanza ed una guida preparata.

Se tutto ciò non è possibile, come si può fare?

Il testo di Fausti, gesuita, vuole in parte essere una risposta a questa domanda.

Il libro, come tutti quelli di questo tipo, non si può leggere tutto di un fiato, ma va letto capitolo dopo capitolo, giorno dopo giorno, non avendo paura di ritornare indietro nella lettura.

Scrive l’autore: “Sant’Ignazio sa che l’uomo desidera ciò di cui più ‘sente’ la seduzione. Per questo, attraverso la contemplazione del ‘modo di sentire’ di Gesù, impregna la nostra fantasia e sensibilità del gusto di Dio, perché sbiadiscano in noi le attrattive dei piaceri apparenti che ci schiavizzano”.

 

Georgette Blaquière, Il Vangelo di Maria, EDB, Bologna 2019

Questo è uno dei tanti possibili libri su Maria. Perché questa scelta? Perché, se ha avuto 17 edizioni (la prima è degli anni ‘80) deve contenere pur avere qualcosa di interessante che lo caratterizza dagli altri e lo rende ancora attuale.

Il libro è ricco di spunti su Maria Vergine e Madre, sulla sofferenza umana di Giuseppe, sul mistero della parola e del silenzio.

Ma, soprattutto, riflette su temi importanti quali il matrimonio, l’amore tra l’uomo e la donna, la crisi del matrimonio, l’aborto, il corpo, con numerosi riferimenti ad altri autori.

E inoltre, partendo dalle scelte di Maria, interpella il lettore nel suo vissuto.

L’autrice è una madre di tre figli, nonna, bisnonna e vedova consacrata (1921-2012), membro del movimento carismatico nel quale si è dedicata all’insegnamento e all’evangelizzazione.

 

Fabio Rosini, San Giuseppe. Accogliere, custodire, nutrire, Edizioni San Paolo, Milano 2021

Scritto in occasione dell’anno che papa Francesco ha voluto dedicare a san Giuseppe, il libro riflette non solo sulla figura del santo come lo presenta il vangelo di Matteo, ma sulla paternità in generale.

Scrive Rosini: “La nostra generazione non ha perso solo il padre ed inasprito la madre... ha perso sapienza, in modo globale. Ci manca la saggezza, l’arte di campare”.

E ancora: “L’avventura di san Giuseppe è un esempio di come accogliere il bene e crescere in esso... Questo non è solo un manuale sulla paternità, è soprattutto un sentiero per imparare l’arte di usare, accogliere, custodire e nutrire i doni della nostra vita”.

Questo è il grande merito del libro che, unitamente alla facilità di lettura e alla sua relativa brevità, consigliamo vivamente ai nostri lettori.