Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF112 – novembre 2022
COSTRUIRE LA PACE

 

In questo numero
1-SIAMO IN GUERRA
Un numero dedicato a parlare di pace

 

di Franco Rosada

Quel “siamo in guerra” con cui ho voluto intitolare questo articolo può sembrare troppo forte, ma solo fino ad un certo punto.

Abbiamo usato la parola guerra nella campagna per contenere l’epidemia di Covid ma ora, nel conflitto tra Ucraina e Russia, abbiamo ritegno ad usarla.

È vero: non abbiamo soldati sul fronte, non subiamo bombardamenti, ma la guerra al giorno d’oggi ha tante facce e noi, come parte in conflitto, ne subiamo le conseguenze.

Come sarà quest’inverno? Riusciremo a scaldare le nostre case? Avremo i soldi per pagare il riscaldamento?

E potrei continuare: avremo ancora tutti un lavoro? Ci sarà ancora cibo e medicine per tutti a prezzi accessibili? Sarà garantita l’armonia sociale?

Ecco perché bisogna parlare di pace.

Dalla caduta del muro di Berlino in poi ci siamo illusi che non ci fosse più bisogno di parlare di pace: il “nemico” era stato sconfitto.

Ma invece di costruire la pace con l’ex nemico abbiamo deciso di approfittare della sua debolezza; così, dopo trent’anni, la guerra, non più “fredda”, bussa alle nostre porte.

Chi è il buono, chi è il cattivo? Papa Francesco, in apertura del numero, ci ricorda la complessità della realtà e come questa guerra sia una delle tante che caratterizzano quella che lui chiama “guerra mondiale a pezzi”.

Ma è vero che la guerra è il male assoluto? Qui si scontrano due posizioni: chi ritiene che la guerra sia “fonte” di progresso e chi la considera un atto criminale (p.4-5). Noi da che parte stiamo?

La Parola del Vangelo non ha dubbi in tal senso, ma è sempre vero? Ci sono passi che ci lasciano perplessi. Don Luigi Maria Epicoco ci aiuta a fare chiarezza (p.6-7).

Se il Vangelo è chiaro, la Tradizione della Chiesa ci rimanda ad un messaggio più ambiguo, che proviamo a presentare con l’aiuto di un saggio del compianto mons. Chiavacci (p.8-12).

Sul tema della pace, sul diritto alla pace, la parte migliore della società civile si è mossa più rapidamente della Chiesa. Lo testimonia la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che ripudia la guerra (p.13-14), anche se è rimasta lettera morta. Così come alcune delle utopie che proponiamo, come i corpi civili di pace e la giustizia riparativa (p.15-16).

Ma forse l’utopia più grande è la pratica della nonviolenza, di cui ci parla ampiamente papa Francesco (p.17-18) nel suo messaggio per la giornata della pace 2017.

Concretamente, nel nostro piccolo, cosa possiamo fare?

Per esempio, in parrocchia, imparando ad essere una vera comunità accogliente (p.19-20), a scuola riconsiderando le varie materie in un’ottica di pace (p.21-22), parlando in modo opportuna, della guerra in corso ai nostri figli (p.23), vivendo la relazione di coppia in termini di accoglienza e riconoscendo il nostro bisogno dell’altro (p.24-25).

Due pagine di vostre testimonianze e un intervento di don Zambaldi sul Vangelo della nonviolenza (p.28) concludono questa lunga riflessione sulla pace.

Dopo mesi di lavoro sul tema sono giunto alla conclusione, forse ovvia, della fragilità della pace. È un dono che il Signore ha posto in vasi d’argilla, la nostra natura umana. Come è necessario rinnovare il proprio amore verso l’altro/gli altri ogni giorno, così ogni giorno è necessario rinnovare l’impegno per la pace.

 

Ma questo numero non finisce qui. Nelle ultime pagine della rivista troverete alcuni spunti per il cammino sinodale, una nuova proposta per la lectio divina, il resoconto dei campi estivi, la presentazione delle videoconferenze del prof. Lazzarini e di un libro del prof. Goisis sulla pace, le lettere alla rivista e altro ancora.

Buona lettura.

formazionefamiglia@libero.it

 

2-PAPA FRANCESCO E LA GUERRA

Dalla conversazione del Papa con i direttori delle riviste culturali europee della Compagnia di Gesù. 19 maggio 2022

 

…Padre Paweł Kosinski (Polonia) domanda a papa Francesco cosa fare per contribuire a un futuro di pace alla luce di ciò che sta accadendo in Ucraina.

E Bergoglio:

Per rispondere a questa domanda dobbiamo allontanarci dal normale schema di “Cappuccetto rosso”: Cappuccetto rosso era buona e il lupo era il cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto.

Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro.

Un paio di mesi prima dell’inizio della guerra ho incontrato un capo di Stato, un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio. E dopo aver parlato delle cose di cui voleva parlare, mi ha detto che era molto preoccupato per come si stava muovendo la Nato. Gli ho chiesto perché, e mi ha risposto: “Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro”. Ha concluso: “La situazione potrebbe portare alla guerra”. Questa era la sua opinione. Il 24 febbraio è iniziata la guerra. Quel capo di Stato ha saputo leggere i segni di quel che stava avvenendo.

Quello che stiamo vedendo è la brutalità e la ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi. E i russi, in realtà, preferiscono mandare avanti ceceni, siriani, mercenari. Ma il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco.

Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli.

È pure vero che i russi pensavano che tutto sarebbe finito in una settimana. Ma hanno sbagliato i calcoli. Hanno trovato un popolo coraggioso, un popolo che sta lottando per sopravvivere e che ha una storia di lotta.

Devo pure aggiungere che quello che sta succedendo ora in Ucraina noi lo vediamo così perché è più vicino a noi e tocca di più la nostra sensibilità. Ma ci sono altri Paesi lontani – pensiamo ad alcune zone dell’Africa, al nord della Nigeria, al nord del Congo – dove la guerra è ancora in corso e nessuno se ne cura. Pensate al Ruanda di 25 anni fa. Pensiamo al Myanmar e ai Rohingya. Il mondo è in guerra. Qualche anno fa mi è venuto in mente di dire che stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi e a bocconi.

Ecco, per me oggi la terza guerra mondiale è stata dichiarata. E questo è un aspetto che dovrebbe farci riflettere. Che cosa sta succedendo all’umanità che in un secolo ha avuto tre guerre mondiali? Io vivo la prima guerra nel ricordo di mio nonno sul Piave. E poi la seconda e ora la terza. E questo è un male per l’umanità, una calamità. Bisogna pensare che in un secolo si sono susseguite tre guerre mondiali, con tutto il commercio di armi che c’è dietro!

Fonte: https://www.laciviltacattolica.it/articolo/papa-francesco-in-conversazione-con-i-direttori-delle-riviste-culturali-europee-dei-gesuiti/

 

3-LA GUERRA È UTILE, INDISPENSABILE

La guerra è fattrice di progresso, stimola virtù sublimi, irrobustisce l’anima scuotendola nel profondo, rafforza lo Stato eliminando ogni dissenso.

 

Polemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tutte re.

Eraclito

 

Come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura, così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua.

Hegel, Filosofia del diritto (1)

 

Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro…

Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

Filippo Tommaso Marinetti,

Manifesto del Futurismo (2)

 

A chi non si limiti a giudicare la guerra dal punto di vista dei propri interessi e delle proprie preoccupazioni personali, ma la inserisca come un evento ordinario nel movimento storico universale, la guerra appare come un fattore di progresso e di converso la pace come un fattore, in certe situazioni, di regresso. In primo luogo, che la guerra sia stata necessaria, e lo sia ancora, al progresso tecnico è un luogo tanto comune che è persino stucchevole il ripeterlo…

Quante volte è stato ripetuto che la guerra sviluppa energie che in tempo di pace non hanno la possibilità di manifestarsi e induce gli uomini all’esercizio di virtù sublimi, quali il coraggio, il sacrificio di sé, l’amor di patria, che un lungo periodo di pace mortifica!

Norberto Bobbio, La Stampa, 19 Maggio 2022 (3)

 

Per ora non conosciamo altri mezzi [oltre le guerre], mediante i quali si possano comunicare a popoli che vanno infiacchendosi quella rude energia del campo di battaglia, quel profondo odio impersonale, quel sangue freddo omicida con buona coscienza, quell’ardore generale nella distruzione organizzata del nemico, quella superba indifferenza verso le grandi perdite, verso l’esistenza propria e quella delle persone care e quel cupo, sotterraneo scotimento dell’anima, in modo altrettanto forte e sicuro, come lo fa ogni grande guerra

Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano (4)

 

La guerra è perpetua sulla terra. Ma la guerra stessa con la conquista, colla schiavitù, cogli esili, colle colonie, colle alleanze pone in contatto fra loro le più remote nazioni; fonda il diritto delle genti, la società del genere umano, il mondo della filosofia.

Carlo Cattaneo, Scritti filosofici (5)

 

La guerra è la salute dello Stato. Essa mette automaticamente in movimento, attraverso tutta la società, quelle forze irresistibili che giocano a favore dell’uniformità, dell’azione infervorata delle masse a sostegno del governo, al fine di costringere all’obbedienza anche quei gruppi minoritari e quegli individui che non condividono il sentimento di appartenere ad un grande branco.

Randolph S. Bourne (6)

 

1 Fonte: https://www.vitomancuso.it/wp-content/uploads/2022/03/7-Filosofie-della-guerra.pdf

2 Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_del_Futurismo#:~:text=Noi%20viviamo%20gi%C3%A0%20nell'assoluto,e%20il%20disprezzo%20della%20donna.

3 Fonte: https://www.lastampa.it/cultura/2022/05/19/news/norberto_bobbio_quanto_vale_la_pace-3932823/

4 citato da Bobbio (nota 3)

5 ibidem

6 Fonte: https://www.panarchy.org/bourne/stato.html

 

4-LA GUERRA È CRIMINALE E CONTRO LA RAGIONE

La guerra è anti umana e anti cristiana, in cui vince solo la forza bruta e la morte, è voluta dai ricchi e scaricata sui poveri.

 

A parte che la guerra è sempre criminale in sé e per sé (poiché affida alla forza la soluzione di un problema di diritto); a parte che essa è sempre mostruosamente sproporzionata (per il sacrificio che richiede, contro i risultati che ottiene, se pur li ottiene); a parte che essa è sempre una trappola per la povera gente (che paga col sangue e ne ricava i danni e le beffe); a parte che essa è sempre antiumana e anticristiana (perché si rivela una trappola bestiale e ferisce direttamente lo spirito del Cristianesimo); a parte che essa è sempre inutile strage (perché una soluzione di forza non è giusta; e sempre comunque apre la porta agli abusi e crea nuovi scontri): qual è la guerra giusta e quella ingiusta? Può bastare l’affidarsi alla cronaca pura, alle semplici date, per stabilire chi attacca per primo, chi offende e chi si difende?

Don Primo Mazzolari, Tu non uccidere (1)

 

Non è giunto ormai il momento, per la teologia, di individuare, di smascherare, di colpire tutte quelle forme mentali, quelle tacite acquiescenze, quelle attività criminose che preparano da lontano ma sicuramente le guerre? Non è giunta l’ora di denunciare energicamente tutte quelle storture blasfeme che tentano di trascinare Dio nei labirinti dell’agguato umano? E perché tanta economia di insegnamenti sopra il delitto di Caino moltiplicato all’infinito, quando tutto lo spirito e la lettera del Cristianesimo è pace, carità, primato dello spirito sulla materia, e soprattutto quando il Vangelo ha lanciato per primo il più realistico, attuale, evidente, dei moniti: “Chi di spada ferisce, di spada perisce”?

Don Primo Mazzolari, Tu non uccidere (2)

 

Ogni guerra è sempre un atto contro la ragione e il ricorso alla guerra è sempre una sconfitta della ragione. Anzi, io credo che bisognerà cambiare perfino la categoria culturale: non ci saranno più né vittoriosi né vinti, ma saremo tutti sconfitti. Perché, appunto, sarà la forza bruta che vince su qualunque cosa. È tutta l'umanità a perdere. Io, difatti, non sono qui a mettermi contro qualcuno, sono qui a mettermi soltanto in favore della pace, perché solo la pace è il trionfo della ragione.

David Maria Turoldo (3)

 

Oggi ogni guerra può finire soltanto nella distruzione e nella morte. Siamo tutti sulla stessa nave. Magari c’è gente che viaggia in prima o seconda classe e chi viaggia nella stiva, ma se affonda affonderemo tutti: è l’interdipendenza e l’interazione dei continenti e dei mondi. Certo, sappiamo che i percorsi della storia umana sono tortuosi, deludenti e difficili. Mai come in questo momento sono chiamate in causa le responsabilità di ognuno.

David Maria Turoldo (4)

 

La guerra piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dalle guerre. Chi invece la conosce si fa un’idea molto presto... Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri.

Gino Strada (5)

 

1 Fonte: https://fondazionemazzolari.it/lostinazione-della-pace/

2 ibidem

3 Fonte: Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/194383-david-maria-turoldo-ogni-guerra-e-sempre-un-atto-contro-la-ragione-e-i/

4 Fonte: https://www.mondocrea.it/itriflessioni-348/

5 Fonte: https://www.open.online/2021/08/13/gino-strada-guerra-video/

 

5-DAL VANGELO: SOLO MESSAGGI DI PACE?

Gesù è la nostra pace. Ecco perché dovremmo sempre domandarci se di Lui ci prendiamo solo i suoi insegnamenti o invece la Sua persona.

 

a cura della Redazione

Il Vangelo di Gesù è un Vangelo di pace – nel Nuovo Testamento la parola pace ricorre 91 volte – ma ci sono alcuni versetti che sembrano in contrasto con la pace o dell’idea che comunemente abbiamo della pace. Proprio per evitare che essi diventino una pietra d’inciampo all’interno di una riflessione sulla pace, ve li proponiamo con le considerazioni di don Luigi Maria Epicoco, teologo e scrittore, che commenta quotidianamente, sulla sua pagina Facebook, il Vangelo.

 

Le due paci

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! (Lc 12,49-53).

Passiamo la vita a cercare una pace sbagliata; è la pace che nasce dall'illusione di avere le redini di tutto, di controllare tutto, di aver capito tutto di noi, della nostra vita, del nostro passato, delle nostre ferite e così via.

Pensiamo che se controlliamo tutto della vita avremo anche la pace, ma è proprio la ricerca di una pace così che ci toglie ogni sua possibilità.

Gesù invece è venuto a portare il "fuoco" che è il contrario del controllo, è vivere con una sete di vita che ci spinge continuamente a prendere il largo, a rischiare, ad accettare le cadute, ad accogliere la sofferenza come qualcosa che fa parte della vita, a sognare in grande, a realizzare cose più grandi ancora, a diventare noi stessi smettendo di realizzare i sogni degli altri. È in questo fuoco la vera pace. Ma la maggior parte di noi ha paura di una pace così e preferisce starsene alla larga.

 

La spada di Gesù

Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. (Mt 10,34-35).

Per quanto cerchiamo ogni volta di approfondire il significato di queste parole di Gesù, ogni volta è un pugno nello stomaco sentire che Lui non è venuto per portare la pace, ma la spada.

Ma la pace che è venuta a toglierci è quella della morte o di tutte le situazioni di morte che ci lasciano sì nella quiete, ma nella quiete di chi non vive e non di chi ha trovato la vera vita.

Tutte le volte che rimaniamo impantanati sui nostri divani, nei nostri letti, nascosti nelle nostre tane, è lì che Gesù viene a stanarci, a buttarci giù dal letto, a scaraventarci lontano dai divani dove ci siamo accomodati esistenzialmente. La pace vera che ci dà Cristo è al fondo di una profonda inquietudine che dice fondamentalmente che abbiamo vissuto.

E se è a causa di qualche relazione (padre, madre, figlio) che abbiamo trovato la scusa di non affrontare mai veramente la vita, allora quella relazione non è sana, è solo travestita di bene ma è solo una maniera tutta nostra di non vivere la vita, di non diventare noi stessi, di avere una scusa, o peggio un capro espiatorio.

Una mamma, un padre, una donna che si ama, o un uomo, un figlio non possono diventare la nostra scusa, dobbiamo difenderli da questa tentazione. Solo quando Cristo ha il primo posto allora ogni relazione trova la sua giusta dimensione, diversamente sotto le sembianze di bene si sta consumando solo un bubbone di infelicità che quando sarà scoppiato ormai potrebbe essere tardi.

 

I violenti e il Regno

Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (Mt 11,12).

Può apparentemente sembrare un elogio della violenza quello fatto dal Vangelo di oggi, ma in realtà dietro queste parole apparentemente così ambigue si nasconde un segreto. Quando una persona desidera qualcosa di buono e di grande, deve anche fare i conti con se stesso, la propria pigrizia, la propria accidia. Se vuoi diventare bravo in uno sport devi anche sottoporti agli allenamenti.

Una parte di noi non vuole mai faticare, non vuole mai prendersi la responsabilità di qualcosa, non vuole mai fare fatica, ma il segreto è sapersi “forzare” per ciò che conta.

In questo senso “i violenti” se ne impossessano, non perché il Vangelo ci chiede di farci del male, ma ci chiede di “forzare” la mano su noi stessi, sulla mollezza del nostro carattere, sulla tentazione di rimandare.

In questo senso Giovanni Battista è il profeta giusto, perché in fondo Giovanni Battista chiedeva una cosa molto semplice: fare la nostra parte, tirare fuori il nostro carattere. Senza questa consapevolezza rischiamo di sprecare anche la Grazia di Dio.

 

Una nuova pace

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14,27).

La pace che ci viene da Gesù non ha nulla a che vedere con la pace che può dare il mondo.

Noi molto spesso confondiamo la pace con un vago senso di benessere.

La pace che invece ci dà Cristo è completamente diversa: consiste nel sentirci talmente amati da poter accettare anche tutta la mancanza di benessere che viene dalla vita stessa.

In questo senso il dono della pace in realtà è l’incontro con Gesù stesso. È infatti Lui la nostra pace. È un po’ come poter dire “se tu sei con me posso affrontare tutto”. Ecco perché dovremmo sempre domandarci se di Gesù ci prendiamo solo i suoi insegnamenti o invece la Sua persona.

E la prima maniera di incontrarlo personalmente è desiderare questo incontro personale con Lui.

Accontentarsi di qualche discorso, o di qualche parola scritta o pronunciata bene anche da altri che stimiamo, significa capire cos’è la pace ma non essere mai veramente nella pace. Ma capire cos’è l’acqua senza poter bere non è proprio un affare.

 

Rinnegare se stessi

Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. (Mt 16,24)

Essere discepoli di Cristo comporta due movimenti esistenziali essenziali. Il primo è “rinnegare se stessi”. In senso letterale può sembrare una parola brutta, un modo di farsi male, di non valorizzarsi e così via.

Ma il vero significato di “rinnegare se stessi” è nella capacità che dovremmo tutti avere di essere “liberi da noi stessi”.

Chi sono le persone veramente libere da se stesse? Quelle che sanno anche dirsi dei no. Rinnegare quindi è sapersi dire dei no.

Il secondo tempo del discepolato è nel “prendere la propria croce e seguire Gesù”. Il verbo “prendere” implica la scelta di assumersi la responsabilità di ciò che c’è nella vita.

Significa smettere di subire le cose e affrontarle. Si è cristiani quando si affrontano le cose senza più vittimismi, specialmente tutte le cose che ci sono accadute e che non abbiamo scelto.

E una volta fatto questo che si fa? Il Vangelo dice che bisogna “seguirlo”. Ciò sta a significare che non sappiamo fin dall’inizio dove stiamo andando e qual è la cosa giusta da fare.

È un percorso quotidiano in cui di volta in volta capiamo cosa è meglio fare, senza improvvisare ma seguendo Gesù passo passo.

 

La guerra interiore

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? (Lc 6,42)

Tutto il male del mondo, tutte le guerre, tutte le ingiustizie, tutto ciò che più detestiamo intorno a noi siamo autorizzati a combatterlo solo se lo abbiamo estirpato da dentro di noi.

Infatti se non tolgo da me stesso la guerra che mi abita, l’ingiustizia con cui sono venuto a compromessi, il male che assecondo, come posso togliere la guerra fuori di me, l’ingiustizia che vedo, o il male che dico di detestare?

A pochi giorni dalla Quaresima il Vangelo ci ricorda che il campo di battaglia siamo innanzitutto noi stessi.

È questo il primo contributo che possiamo dare al cambiamento del mondo. Diversamente da ciò che abbiamo nel cuore trarremo fuori le opportune conseguenze: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6,45).

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Cerchiamo la pace o preferiamo essere lasciati in pace?

•          Quali sono i nostri rapporti con la Croce?

•          Quante volte usiamo la “famiglia” come scusa per non mettere in pratica l’insegnamento del Signore?

•          Vogliamo avere sempre tutto sotto controllo o sappiamo affidarci alla Provvidenza?

 

6-IL CRISTIANESIMO E LA PACE

La pace è solo assenza di guerra o è soprattutto tutela di ogni essere umano?

 

Si invoca la pace quando c'è la guerra e al tempo stesso si giustifica la guerra.

La ricerca della pace è un dovere gravissimo, e riguarda tutte le relazioni fra esseri umani.

Operare per la pace significa operare per rendere più umana la vita di ogni essere umano ovunque sulla terra.

Se non verranno conclusi stabili e onesti trattati di pace universale l'umanità sarà forse condotta funestamente a quell'ora in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte. (GS 82)

 

di Enrico Chiavacci*

L'importanza del tema biblico della pace sembra essere sfuggita per molti secoli alla riflessione teologica: in essa troviamo presentati temi diversi riconducibili al tema globale della pace, studiati di volta in volta entro situazioni esterne (sociali) diverse ed entro tendenze e preoccupazioni teologiche diverse, ma non troviamo una trattazione sistematica della teologia della pace.

Se ne parla solo in due contesti, e precisamente come tema morale nel contesto della legittimità della guerra e come tema escatologico. Nella tradizione della spiritualità è invece presente come pace del cuore e cioè come un fatto del tutto privato.

Solo dopo la II guerra mondiale e le immani tragedie da essa create, e soprattutto verso gli anni '60, dopo la presa di coscienza della tragedia della fame nel mondo, il Magistero della Chiesa ha invitato a più profonde riflessioni con due documenti che innovano radicalmente rispetto a tutta la tradizione teologica e spirituale del passato: l'enciclica Pacem in terris (1963) e la Costituzione conciliare Gaudium et spes (1965).

 

La pace nell'Antico Testamento

Già nell'episodio del diluvio universale Dio antropomorficamente “si pente" di aver creato l'umanità, perché in essa domina la violenza. E si noti pure che la violenza dell'uomo sulla natura (o quantomeno sulle specie viventi) faccia anch'essa parte del tradimento umano del progetto di Dio sul creato.

Occorre non dimenticare mai che la "legge", la Torah, per Gesù è l’intero Pentateuco.

Quindi non è in primo luogo una serie di precetti, ma il racconto delle grandi gesta di Dio verso il suo popolo: misericordia, liberazione, difesa, perdono, benevolenza gratuita… Questo può considerarsi l'elemento-chiave che illumina tutta la profondità del tema propriamente teologico della pace.

Siamo troppo abituati a considerare Dio come il “creatore e signore del cielo e della terra”, come recitava il Catechismo di Pio X, che abbiamo perso la considerazione di Dio come un Eterno di misericordia. Di qui si possono e si debbono trarre due considerazioni.

- Se questo è il modo con cui l'Eterno, il Creatore, si presenta alle sue creature, tale deve essere anche il fondamento di ogni tipo di relazione interumana, e in particolare il tipo di relazione vigente in Israele. L'etica sociale cristiana è etica intrinsecamente teologica.

- Se la pace è uno stato di cose nella vita di relazione fra esseri umani (e fra essi e il creato), stato di cose perfetto e perciò inevitabilmente escatologico, la giustizia è l'insieme di comportamenti che mirano alla realizzazione di tale stato.

La giustizia umana deve misurarsi sulla giustizia di Dio. E la giustizia di Dio è sempre giustizia resa al povero, al debole, all'oppresso come l'orfano, la vedova e lo straniero. L’opposto della pace, e perciò l'ingiustizia, è “ogni stato di cose oppressivo”.

 

La violenza di Dio nell'AT

Merita qui fare una riflessione sulla violenza di Dio come appare nell'AT. In linea generale la violenza di Dio è violenza mirata alla difesa del povero, dell'oppresso o al sostegno del suo popolo e all'adempimento della solenne promessa della terra e del suo possesso. Vi sono episodi sconcertanti, come l'ordine dell'uccisione indiscriminata di tutti gli abitanti di una città; vi sono nel libro dei Salmi espressioni di estrema durezza, in genere correlate al grido di aiuto contro l'oppressore del povero.

Si devono però osservare due cose a cui non sempre si presta attenzione. Negli scritti dell'AT ogni evento viene letto come opera diretta di Dio. Quello che di fatto successe per ordine di qualche capo viene attribuito dall’autore sacro direttamente al comando divino.

Di qui nasce la seconda osservazione. Dio appare terribile verso i nemici del suo popolo ma appare anche terribile verso il suo popolo quando tradisce il suo disegno misericordioso. La tragica vicenda dell'esilio, e molte tragiche sconfitte e stragi di Israele, sono lette come giusta punizione per il popolo che ha tradito le attese del suo Dio.

La logica di fondo dell'operare di Dio, e quindi del suo progetto e della sua chiamata, resta la misericordia e l'attenzione amorosa e gratuita per le sue creature.

In modo esplicito, lo Spirito di Dio e la pace sono tra loro collegati in due testi: Gn 1,2 e del testo di Is 32,15-17.

Il secondo, in particolare, è un annuncio profetico del tempo ultimo in cui “sarà effuso su di voi uno Spirito dall'alto”, uno Spirito che trasformerà il deserto in un giardino, e la giustizia scenderà nel giardino e il suo frutto sarà la pace.

 

La pace nel Nuovo Testamento

È questo il vero nodo del tema neotestamentario della pace. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi. È lui la nostra pace, il principe della pace, il riconciliatore che porta dentro la storia lo Spirito.

Le opere dello Spirito (contrapposte a quelle della carne) sono tutte opere di pace, opere di convivenza fraterna e benevola. È impossibile citare qui tutti i testi neotestamentari in cui appare esplicitamente o implicitamente il tema della pace. La nascita di Gesù è cantata dagli angeli come la venuta della pace sulla terra (parallela a, e manifestante la, gloria eterna, Lc 2,14) contrapposta alla pax romana di Augusto (pace come dominio: il censimento era atto di dominio). Figli di Dio, e cioè operanti secondo il disegno divino, sono gli operatori di pace (Mt 5,9). La ricerca della giustizia di Dio (o del Regno) deve essere l'unica preoccupazione del credente (Mt 6,33). L'amore del nemico, il dare gratuitamente, il soccorso del povero, la misericordia e l'astenersi dal giudicare e cioè la summa del progetto di Dio per le relazioni interumane sono le opere di chi ascolta Gesù (Lc 6,27-38), e su simili punti verterà totalmente ed esclusivamente il giudizio finale (Mt 25,31-45). L'amore dei nemici, così ribadito nel Vangelo e così caratteristico dell'annuncio cristiano, impone di non considerare nessuno "nemico".

Ma non sono solo le parole del Signore a rivelare quale e quanto grande sia la chiamata alla pace. Tutta la vita pubblica di Gesù è perfetta attuazione della pace sulla terra, della pace nel suo significato più profondo. E Gesù è sempre, senza eccezione, dalla parte del "povero": il debole, l'oppresso, l'emarginato, l'escluso.

L'impegno contro ogni stato di cose oppressivo - la realizzazione della giustizia di Dio e quindi il cammino verso la pace -, chiamata sempre ignorata e sempre ribadita dai profeti, trova la sua realizzazione perfetta in Gesù, Parola eterna e perfetta immagine del Padre.

 

Pace e teologia

Alla luce della Parola non è possibile parlare di pace esclusivamente in termini escatologici o in un’ottica esclusivamente spiritualistica, interiore e privata.

L’escatologia e il progetto originario di Dio sul creato devono congiungersi nell'impegno storico concreto: esse sono il fondamento del compito di essere operatori di pace, pur nelle sempre mutevoli circostanze della storia dell'umanità.

Dogmatica, morale, pastorale, liturgia, non possono ormai ignorare questo comune nodo teorico.

Si tratta di un nodo teologico che domina tutta la storia della salvezza e che non può ormai esser solo relegato nella filosofia morale cristiana (come è avvenuto negli ultimi quattro secoli) né frantumato nei singoli temi morali dei rapporti sociali né isolato nella tematica della guerra più o meno giusta.

Tuttavia alcuni elementi, come la giustizia o l’uso della violenza, sono di grande importanza per l'attuale elaborazione di una teologia della pace.

 

La giustizia

Il tema della giustizia è sempre stato dominante nella riflessione teologica sulla vita economica. Ma questa riflessione ha conosciuto due fasi nettamente distinte.

Una prima fase va dai primi Padri fino al XVI sec., ed è centrata sulla giustizia distributiva. Una seconda fase successiva, che è diffusa tuttora, è centrata sulla giustizia commutativa.

In tutta l'epoca patristica il profondo divario fra ricchi e poveri è fortemente sentito: chi è ricco è considerato ingiusto, in quanto detiene ciò che appartiene al povero. Infatti nel disegno di Dio tutti i beni della terra debbono essere destinati a tutti gli uomini della terra.

Il collegamento stretto fra giustizia e misericordia continua ad essere sempre presente nella spiritualità medievale. Tommaso nella Summa non solo riprende questi temi della tradizione più antica, ma riesce a collocarli in un quadro globale in cui il tema biblico della pace emerge come fondante tutta l'etica economica.

Per Tommaso la virtù della giustizia è l'applicazione della virtù della carità alla vita sociale.

Tommaso tratta della proprietà e del furto: è buono che l'uomo possa considerare qualcosa come propria quando la ottiene in modo lecito. Ma ciò che uno ha, deve sempre essere condiviso con chi è nel bisogno.

E perciò il furto del povero, che i ricchi non hanno aiutato tempestivamente, non è un furto, perché il povero prende ciò che è già suo. E questo il concetto di “bene comune”: vivere nella comunità e per la comunità è parte essenziale dell'annuncio cristiano. Non è solo un dettato del diritto naturale ma è di derivazione direttamente biblica e patristica. Anche se la pace non è nominata, la sua concezione biblica trova qui una notevole applicazione.

Ma, a partire dal XVII sec. emerge, sia in campo laico sia religioso, l'idea di proprietà (privata) come sacra e inviolabile per diritto naturale.

I doveri di giustizia sono sostanzialmente riducibili a due: acquisire la proprietà in forme legittime (naturali o pattizie) e "non rubare".

La proprietà è intangibile e il dovere cristiano di aiutare il povero non è più dovere di giustizia, ma solo di carità nel senso di elemosina benevola, di "opera buona" per acquistarsi il Paradiso.

Giustizia e pace divengono teologicamente estranee l'una all'altra.

 

La violenza fisica

Il tema della violenza fisica è certamente collegato al tema della pace, e appare in tutta la tradizione. Ma vi appare sotto la formula della legittima difesa e - salvo nei primi secoli - è fondato esclusivamente sul principio che è consentito difendersi dalla violenza con la violenza. Ogni riferimento biblico sembra scomparire e si ha una sorta di perversione teologica: la parola di Dio viene citata solo per difendersi da essa, la violenza fisica è condannata come contraria al quinto comandamento, ma si riconoscono tre casi in cui essa è ammessa, entro precisi limiti. Si tratta del caso della legittima difesa personale, della resistenza collettiva al tiranno, della guerra giusta.

Anche in quest’ultimo caso il problema teologico non è il cammino verso la pace biblica, ma l'osservanza del quinto comandamento e le sue eccezioni. Sono trattati di casistica, non trattati di teologia.

Tuttavia vi sono alcuni elementi che debbono esser messi in rilievo. In tema di legittima difesa la violenza fisica è legittima quando si faccia solo il minimo indispensabile per difendersi.

Di qui nasce l'altra clausola che legittima e limita la difesa violenta: la proporzionalità fra il bene che si vuol difendere e il male che si rischia di arrecare. Forse al di là delle intenzioni o della comprensione di molti Autori, è presente l'idea evangelica che il cristiano non considera nessuno come nemico.

In tema di legittima difesa collettiva contro tiranno, tema già presente nella grande tradizione patristica e tommasiana, è di grande importanza il rilievo che ha il bene della comunità: ciascuno non difende in primo luogo se stesso, ma i beni essenziali della comunità (dello Stato).

L'elemento di maggior rilievo, ai fini di una teologia della pace, è il primato del bene della comunità su ogni altra considerazione: non esiste diritto divino dei re, esiste invece il diritto supremo della comunità.

 

Pace e guerra

Il grande tema biblico della pace viene affrontato solo quando viene a confronto con la tragica realtà della guerra. Nei primissimi tempi della diffusione del cristianesimo il divieto di uccidere valeva in assoluto, anche contro l'ingiusto aggressore.

La dottrina della guerra giusta emerge solo quando la cristianità giunge al potere e ben presto nasce anche l'idea di guerra come promozione del cristianesimo (e quindi della salvezza eterna e quindi anche del bene dei popoli pagani), o come difesa del cristianesimo dai sovrani pagani. La triste storia dell'evangelizzazione coatta di parti dell'Europa, delle guerre dei crociati, delle guerre di religione, della conquista cattolica armata delle Americhe, si protrae con varie giustificazioni fino ai giorni nostri.

Quella che doveva essere una lettura teologica della pace è divenuta invece la lettura teologica della guerra, nata col nascere dello Stato sovrano fra il XV e il XVI sec.

La dottrina dello stato sovrano implica una comunità politica indipendente da ogni altro potere, e quindi un perseguimento del suo proprio bene comune non limitato da regole a poteri esterni. Questo dà origine al diritto internazionale: esso era - ed è a tutt’oggi: l'ONU è un organismo pattizio fra stati sovrani - un diritto pattizio.

Ogni controversia deve esser risolta con patti. Quando ciò non sia possibile, è legittimo il ricorso alla guerra. e anche le azioni di guerra possono essere regolate da patti, come la convenzione di Ginevra, o da un piuttosto vago diritto naturale. Per questa via, in tutti i testi di teologia morale, si viola la pace quando si fa una guerra non secondo tali principi, una guerra non-giusta.

Nasce così la dottrina della “guerra giusta". Essa si dà solo fra stati sovrani, dopo aver tentato invano la via pattizia, a tre condizioni: 1) che sia indetta dal pubblico potere, unico titolare del bene comune; 2) che abbia una giusta causa; 3) che si attenga alle regole del diritto internazionale di guerra e ai principi del diritto naturale.

La guerra viene così "istituzionalizzata" sia nel diritto internazionale sia - e con le stesse clausole - nella teologia morale. Alle dette condizioni essa è moralmente lecita, ed è lecito uccidere (si ricordi che il problema morale non è la pace, ma il quinto comandamento). I militari non possono obbiettare agli ordini superiori perché solo la pubblica autorità è titolare del bene comune.

Da notare che la condizione della giusta causa è estremamente elastica: essa prevede prima di tutto una necessaria promozione del bene comune, sia come tutela di diritti violati (economici o di prestigio o religiosi o altri simili) sia come acquisto di diritti pretesi (guerre coloniali come esigenza di espansione), prevede inoltre la legittima difesa collettiva contro un'azione violenta, militare, prevede infine la difesa di stati deboli ingiustamente aggrediti da stati più forti.

In questo quadro l'idea della moralità dell'obiezione di coscienza, maturata solo negli anni '60, ha incontrato a suo tempo una forte opposizione di gran parte del mondo cattolico.

Tutto ciò va tenuto ben presente per comprendere e valutare la svolta del tutto innovativa avvenuta nella teologia della pace durante la seconda metà del secolo XX.

 

Pace e teologia contemporanea

Le tragedie immani create quasi ovunque sulla terra dalla seconda guerra mondiale, l'emergenza di povertà estreme, la novità assoluta della guerra atomica capace di distruggere l'umanità intera, indussero i pensatori cristiani e non cristiani a sostituire al tema della guerra giusta il tema della promozione della pace.

Dall'elaborazione nuova del tema della pace ad opera di molti teologi e uomini di chiesa - spesso severamente criticati all'interno della chiesa fedele alla tradizione manualistica - furono gettati i semi che condussero Giovanni XXIII a pubblicare nel 1963 la prima enciclica che sia mai stata dedicata totalmente al tema della pace, e indirizzata non solo ai cristiani ma a tutti gli uomini di buona volontà: la Pacem in terris.

Ne vogliamo mettere in rilievo quattro punti essenziali.

- Il primo elemento è che vi è un ordine voluto da Dio per la convivenza umana, ordine "impresso" nella coscienza di ogni uomo. Solo l'osservanza di tale ordine per la convivenza umana, a tutti i livelli, può fondare e mantenere la pace sulla terra

- Il secondo elemento è il riconoscimento della pace come il risultato del rispetto dei diritti (e doveri) di ogni singola persona umana. La pace è qui vista - per la prima volta nella storia della Chiesa - come il frutto della giustizia, e cioè del rispetto dell'altro, chiunque esso sia, e del servizio all'altro.

- Il terzo elemento è la collocazione del tema teologico della guerra all'interno del tema teologico della pace: la guerra è sempre violazione della pace, ma è solo una delle forme della pace tradita: la più tragica e disumana, ma certo non la sola.

- Il quarto elemento è l'indirizzo del messaggio a tutti gli uomini di buona volontà. Questo non è motivato dal fatto che le considerazioni dell'enciclica sono esclusivamente razionali ma perché in ogni essere umano è presente la chiamata di Dio a realizzare il suo progetto.

Questi elementi dottrinali vengono ripresi ed elaborati nella Costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II.

Se il Signore è il fine della storia - scrivono i padri conciliari - allora la storia della famiglia umana ha un traguardo. La famiglia umana come tale (e non solo le singole anime) è chiamata a divenire “famiglia di Dio” e la Chiesa è serva dell'umanità in questo suo faticoso cammino.

Il documento si conclude con una profonda e innovativa riflessione sulla pace, che si articola in due punti: una riflessione sull'oggi della storia della famiglia umana e una riflessione teologica sulla pace.

Il primo punto muove da un dato di fatto attuale anche oggi: se nel 1965 la famiglia umana stava diventando sempre più un unico corpo sociale, e al tempo stesso prendeva sempre più coscienza di esserlo, ora tutta la comunità umana sussiste in strutture fondamentali globali: vi è un'unica struttura economica, un'unica struttura di comunicazione, e anche un complesso sistema politico-militare sostanzialmente unico; e al tempo stesso vi sono problemi gravissimi che incombono sull'intera famiglia umana e che non possono esser risolti che da un impegno comune di tutti, uomini e Stati.

Il Concilio quindi guarda alla pace non più primariamente come problema di rapporti fra Stati sovrani, ma come problema di sopravvivenza e crescita umana globale - e di lotta alla disumanizzazione - per la famiglia umana vista come un unico corpo sociale. Dal punto di vista teologico, quindi, operare per la pace significa operare per rendere più umana la vita di ogni essere umano ovunque sulla terra.

 

La teologia morale attuale, forse appagata dal crollo dell'Unione Sovietica, non ha prestato sufficiente attenzione al drammatico sviluppo attuale della corsa agli armamenti: la guerra ha cambiato volto, ma la corsa agli armamenti prosegue, più per interessi finanziari che per motivi politici.

Lo dimostra il dispiegamento di mezzi, convenzionali e innovativi, che sono impegnati nell’attuale conflitto tra Ucraina e Russia.

È necessario che la teologia morale torni ad essere profetica.

 

* Fonte: Barbaglio, Bof, Dianich (a cura di), Teologia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002, voce: Pace

Sintesi della redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Consideriamo la pace esclusivamente come una conquista interiore e privata?

•          Il povero va aiutato solo con l’elemosina o con azioni di giustizia?

•          Ci deve essere un limite alla legittima difesa?

•          L’obiezione di coscienza, il non voler combattere è codardia?

 

7-SHALOM, PACE

La pace è un tema che ritorna con frequenza nel NT anzi, che in alcuni passaggi appare come tema centrale della Buona Novella e si riassume nel termine ebraico shalom.

La pace nel NT non viene mai vista come il rovescio della guerra o di tensioni violente. Né la si può ridurre alla pace interiore della singola anima o proiettarla in un futuro escatologico.

Il dovere di essere operatori di pace - affidato sia ai singoli (Mt 5,9) sia alla comunità nascente dalla resurrezione (Gv 20,19-22) - esclude questa interpretazione. Lo shalom è la perfezione dell'ordine in una realtà complessa. Questa realtà è tutto il creato, uscito buono e ben ordinato dalle mani del Creatore (Gn 1). Nei rapporti interpersonali, di singoli o di gruppi, pace implica sempre e inevitabilmente un ideale di relazione, e precisamente quel tipo di relazione che risponde al progetto del Creatore.

 

8-LA GUERRA “GIUSTA”

La legittima difesa può dare causa a una guerra giusta, ma tale difesa è regolata dal diritto di guerra e non dalle regole molto più restrittive della legittima difesa come indicato dalla morale cristiana.

Proprio per questa elasticità della giusta causa e per il diritto assoluto di perseguimento del bene comune da parte dei singoli stati nessuna guerra è mai stata dichiarata ingiusta, ufficialmente o ufficiosamente, dalle autorità ecclesiastiche. Il monito accorato di Benedetto XV sull'"inutile strage" della prima guerra mondiale si limita a dichiarare tale guerra inutile, non necessariamente ingiusta. Nessuna guerra dichiarata dall'Italia dopo la creazione dello stato italiano è stata veramente giusta, e nessuna è stata guerra di legittima difesa: ma nessuna condanna dei governanti italiani è mai stata pronunciata qualsiasi autorità ecclesiastica.

 

9-LA “CONDANNA” DELLA GUERRA

Purtroppo nel mondo vi è ancora la guerra, e non si potrà negare ai governi tale diritto. Ma la Gaudium et spes deliberatamente non parla mai di guerra giusta, ma solo di legittima difesa.

Derubricare la guerra a puro esercizio di legittima difesa collettiva pone forti limitazioni ad ogni azione bellica: tutte le armi non convenzionali (atomiche, chimiche, batteriologiche) vengono dichiarate illegittime, perché espongono a rischi al di là di ogni criterio di proporzionalità in difesa; inoltre ogni azione militare che miri alla distruzione di città o regioni, anche con armi convenzionali, è un crimine contro Dio e l'umanità.

È da rilevare che questa è l'unica condanna formale del Concilio, espressa deliberatamente nella forma tradizionale delle condanne dei tribunali ecclesiastici.

 

10-ABBIAMO DIRITTO ALLA PACE!

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Art.28).

 

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Costituzione italiana. Art.11

 

di Antonio Papisca*

Nel corso dei secoli, l’esercizio del diritto di far la guerra ha di gran lunga prevalso sull’esercizio del diritto di fare la pace.

Fino al 1945 il Diritto internazionale, fondato sul principio di sovranità degli Stati, ne legittimava i due attributi principali: il diritto di fare la guerra (ius ad bellum) e il diritto di fare la pace (ius ad pacem), messi sullo stesso piano, alla mercè della convenienza e della forza degli stati più potenti.

Con l’istituzione delle Nazioni Unite e l’approvazione della sua Carta, nasce un nuovo Diritto internazionale che definisce la guerra come “flagello”, la ripudia e la interdice.

L’uso della forza militare è avocato all’ONU ma solo per fini di giustizia (difendere la vita delle popolazioni, salvaguardare l’ambiente e le infrastrutture vitali, acciuffare i presunti criminali e consegnarli ai tribunali internazionali, ecc.).

A conferma che la guerra è interdetta dal vigente Diritto internazionale c’è l’Articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 che perentoriamente prescrive: “Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalle legge”.

 

Un divieto tradito

La Carta delle Nazioni Unite è coerente: la guerra è vietata e gli stati sono obbligati a far funzionare il sistema di sicurezza collettiva, anche per prevenire il ricorso all’Articolo 51 della Carta il quale, a titolo di eccezione rigorosamente circostanziata, prevede che gli stati possano usare lo strumento militare per respingere un attacco armato con l’obbligo però di immediatamente informare il Consiglio di Sicurezza perché metta la situazione sotto la propria autorità e controllo.

Ma la Carta, dopo otto decenni dalla sua entrata in vigore, rimane inattuata per le parti più delicate: gli stati hanno l’obbligo di conferire parte delle loro forze militari, in via permanente, alle Nazioni Unite, ma finora nessuno di essi ha adempiuto a tale obbligo.

Sicché l’ONU, nei casi di necessità, deve chiedere agli stati che le facciano l’elemosina di gruppetti di Caschi Blu, con tutti i ritardi, le impreparazioni e altri tipi di inadeguatezze che non poche ‘missioni di pace delle Nazioni Unite’ hanno mostrato.

D’altra parte, poco dopo l’entrata in campo delle Nazioni Unite, il mondo venne a trovarsi in regime bipolare, cioè di guerra fredda, a causa della contrapposizione ideologica, politica e strategica dei due blocchi capeggiati rispettivamente da Stati Uniti e Unione Sovietica, regime che termina solo nel 1989 con il crollo dei Muri.

 

Un’Agenda per la Pace

Sembra allora che l’ONU possa finalmente svolgere la sua missione. Il Consiglio di Sicurezza commissiona a Boutros-Boutros Ghali, Segretario Generale delle Nazioni Unite, il famoso Rapporto “Un’Agenda per la Pace”, in cui l’energico Segretario Generale delle Nazioni Unite mette gli stati di fronte al muro delle loro responsabilità dicendo: non avete più alibi per non far funzionare l’Organizzazione delle Nazioni Unite nel delicato campo della pace e della sicurezza internazionale.

La risposta è di tutt’altro segno. Boutros Ghali non sarà rieletto a causa del veto opposto dagli Usa. Il Presidente Bush senior, parla della necessità di un “nuovo ordine mondiale”, al cui interno avrebbero dovuto riprendere vigore i principi del vecchio Diritto internazionale esaltante la sovranità degli Stati, e le Nazioni Unite avrebbero dovuto accontentarsi di un ruolo ancillare.

Così le guerre continuano, sono illegali, non portano alla vittoria, si alimenta il terrorismo, si pratica la tortura in guanti più o meno bianchi, fino allo scontro odierno tra Ucraina e Russia.

 

La posizione italiana

Con tutta l’attenzione che merita, rileggiamo l’Articolo 11 della Costituzione Italiana, che è in perfetta sintonia col Diritto internazionale basato sulla Carta delle Nazioni Unite e sulla Dichiarazione universale: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Questo Articolo risulta oggi rafforzato sia dall’alto che dal basso: dall’alto, in virtù del Diritto internazionale quale si è venuto sviluppando a partire dal 1948; dal basso, in virtù della norma “pace diritti umani” che è stata inclusa, a partire dal 1988, in numerose Leggi regionali (prima fra tutte quella del Veneto) e, a partire dal 1991, nei nuovi Statuti di migliaia di Comuni e Province.

Questa norma recita, nel suo testo standard: “Il Comune …, in conformità ai principi costituzionali e alle norme internazionali che riconoscono i diritti innati delle persone umane, sanciscono il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e promuovono la cooperazione fra i popoli … riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. A tal fine il Comune promuove la cultura della pace e dei diritti umani mediante iniziative culturali e di ricerca, di educazione, di cooperazione e di informazione che tendono a fare del Comune una terra di pace. Il Comune assumerà iniziative dirette e favorirà quelle di istituzioni culturali e scolastiche, associazioni, gruppi di volontariato e di cooperazione internazionale”.

 

Per una pace positiva

Il diritto alla pace, come diritto umano fondamentale, è ovviamente molto impegnativo per gli Stati e per quelle culture che ne esaltano gli attributi per così dire muscolosi della sovranità statual-nazionale.

Se alla persona e ai popoli è riconosciuto il diritto alla pace, come diritto fondamentale, ne consegue che agli stati è automaticamente sottratto il diritto di far la guerra e viene loro imposto il dovere di far la pace.

In latino suona molto bene: officium pacis invece di ius ad bellum. D’altronde la stessa Carta delle Nazioni Unite, con l’Articolo 4, stabilisce che possono diventare membri dell’ONU quegli Stati che sono “amanti della pace” (peace-loving States): si pensi allo scandalo dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che sono ai primi posti della classifica dei paesi produttori ed esportatori di armi…

L’Italia, non-membro permanente, non è da meno.

Qual è il contenuto dell’obbligo degli Stati di costruire la pace positiva?

A titolo indicativo: impegnarsi, con determinazione, per far funzionare le Nazioni Unite e le altre legittime istituzioni multilaterali; impegnarsi perché l’Unione Europea, con una sola voce, faccia la scelta preferenziale delle Nazioni Unite per democratizzarle e potenziarle; disarmare; educare al rispetto dei diritti umani e formare il personale militare per le funzioni di pace positiva; istituire il Servizio civile di pace (con pertinenti Corpi civili di pace) in conformità con la Raccomandazione del Parlamento Europeo del 10 febbraio 1999 “sull’istituzione di un corpo civile di pace europeo”; non ospitare bombe atomiche (si viola il Trattato sulla non-proliferazione nucleare); non ospitare basi militari straniere, in particolare quelle il cui uso è contrario alla Carta delle Nazioni Unite e al vigente Diritto internazionale; denunciare i trattati (o comunque le intese, anche informali) riguardanti basi militari, in contrasto con l’Articolo 11 della Costituzione e con il Diritto internazionale dei diritti umani; destinare più fondi alla cooperazione internazionale per lo sviluppo; non intralciare le attività di cooperazione e solidarietà internazionale di Comuni, Province e Regioni; togliere il termine “guerra” dalla denominazione (con adeguamento dei contenuti formativi) delle Scuole militari.

Ripeto: non si tratta di utopia ma dell’applicazione del vigente Diritto internazionale.

* docente di Relazioni internazionali

Sintesi della redazione

Fonte: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Articolo-28-Abbiamo-diritto-alla-pace/32

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quanti impegni sottoscritti, quanti buoni propositi! Perché molti sono restati lettera morta?

•          Che fine ha fatto il movimento pacifista?

•          Chiedete ai vostri figli/nipoti che partecipano ai Fridays Of Future cosa ne pensano. Confrontatevi con loro.

 

11-UTOPIE PER LA PACE

Un esercito per la pace, una giustizia capace di riparare i torti subiti, una sicurezza che sia anche pace sociale, una cultura del dialogo, la tensione verso un governo mondiale globale: un piccolo elenco di utopie da coltivare.

 

La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione.

Papa Francesco

 

a cura della Redazione

La pace, la pace vera, è un’utopia. Ma, nel corso dei secoli, tante aspirazioni dell’uomo che quando erano state proposte erano considerate utopiche, si sono concretizzate.

Perché non farlo anche per la pace, provando a rendere concrete alcune delle proposte che seguono?

 

I corpi civili di pace

Sappiamo tutti che il servizio militare obbligatorio non c’è più (anche se sarebbe meglio dire che è stato limitato a circostanze eccezionali) e che è possibile servire il Paese non solo con il servizio militare volontario ma anche attraverso il servizio civile universale.

Quello che i più ignorano è che, nell’ambito di quest’ultimo servizio, sono stati istituiti i Corpi Civili di Pace.

La legge n. 147 del 2013 ha previsto l’istituzione in via sperimentale di un contingente di corpi civili di pace destinato alla formazione e alla sperimentazione della presenza di 500 giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale.

“Certamente un impegno volontario di un anno, da parte di giovani che hanno ricevuto solo un mese e mezzo di formazione sulle metodologie nonviolente di trasformazione dei conflitti”, scrive Edoardo Cuccagna (1), “ha un impatto limitato sul terreno, ma forma operatori di pace che la società civile potrebbe poi impiegare in missioni più complesse e ambiziose. Ma è necessario che il Governo finanzi la cooperazione internazionale”.

(1) Fonte: https://www.cittanuova.it/cosa-corpi-civili-pace-perche-ne-avremmo-bisogno/?ms=003&se=023

 

La giustizia riparativa

“La giustizia riparativa”, scrive Benedetta Tobagi (1), è “un oggetto sconosciuto ai più; spesso viene schiacciata sull’idea di perdono, oppure s’immagina che mascheri forme di indulgenza eccessiva verso i criminali; qualcuno arriva ad associarla all’abolizione del carcere e delle pene tout court”.

Invece, “il potenziale della giustizia riparativa è enorme”, precisa Giulia Baldissera (2), “in quanto essa non pone al centro l’autore di reato, ma la stessa vittima, la quale può partecipare attivamente. La giustizia riparativa coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto, generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo, attraverso un riconoscimento reciproco che porta a ricucire il patto di cittadinanza che è stato frantumato dalla commissione del reato”.

“L’idea di mediare un conflitto alla ricerca di una soluzione costruttiva è antichissima”, precisa Tobagi, “e ha due matrici principali, quella religiosa, ebraico-cristiana, e quella tribale-comunitaria, riscontrata presso svariate popolazioni native in ben tre continenti.

La giustizia riparativa come la conosciamo prende forma a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, tra il Canada e gli Stati Uniti”. In realtà, “quando si parla di giustizia riparativa si evoca quasi sempre il Sudafrica di Nelson Mandela e Desmond Tutu e l’esperienza della Commissione Verità e Riconciliazione istituita dopo la fine del regime di apartheid (1995)”.

Il paradigma riparativo è stato sperimentato e poi introdotto in modo via via più sistematico principalmente nella giustizia minorile, anche perché agli occhi dell’opinione pubblica risulta più accettabile e comprensibile mettere da parte i rigori dell’approccio punitivo quando si tratta di ragazzini, nella speranza di recuperarli prima che sia troppo tardi”.

(1) Fonte: https://www.valigiablu.it/giustizia-riparativa-riforma/

(2) Fonte: https://www.dirittoconsenso.it/2021/12/01/giustizia-riparativa-nuovo-paradigma-di-giustizia/

 

Sicurezza e pace sociale

Una parola come “sicurezza” evoca un diritto sacrosanto: quello a non veder minacciato in alcun modo il proprio diritto all’esistenza, all’integrità personale, nella tutela delle condizioni essenziali per la salvaguardia dei propri diritti fondamentali.

È più difficile pensare ad una società in cui vivere senza minacce esterne, in cui esprimere la propria realtà individuale al riparo del sopruso altrui. Infatti, coloro che non hanno garanzie sociali – i minorati di qualsiasi genere, quanti vivono l’esclusione per motivi economici, psicologici, l’handicap fisico o mentale – vivono con molte meno “sicurezze” degli altri.

Ciò provoca emarginazione, che ha sua volta produce violenza, che a sua volta provoca la richiesta di più “sicurezza”.

A mio avviso, non può darsi sicurezza sociale se non si instaurano le condizioni per un benessere che sia il più diffuso possibile. Per benessere non sto pensando al mero livello economico, quanto all’accesso alle strutture della salute pubblica, dell’istruzione, dell’assistenza sociale, secondo un modello di ridistribuzione delle risorse attraverso l’elargizione di servizi alla collettività.

È questo il benessere che garantisce alla società una vera “pace sociale”.

Potete definirla una visione meramente utopistica, ma il dato del momento storico che stiamo vivendo ci rimanda l’urgenza di prendere coscienza della difficoltà a vivere che molti stanno sperimentando.

I segni del disagio mi paiono molteplici: il diffondersi delle malattie psichiatriche, i moltissimi giovani colpiti da disagio alimentare, l’appassire di ogni ideale, la competitività come regola di comportamento nelle aziende e altrove, le incognite legate all’età avanzata, il crescere delle difficoltà di integrazione delle giovani generazioni, il senso della precarietà e dell’insufficienza di sé vissuto da tanti, la fragilità psichica di molti adolescenti e bambini, la difficoltà a vedere prospettive ed orizzonti.

Questo e altro dovrebbe aver posto nelle inquietudini di questo scorcio di storia.

Fonte: https://www.testimonianzeonline.com/2015/11/sicurezza-e-pace-sociale/

 

L’arma del dialogo

La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione.

Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curricula scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando.

Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro.

Papa Francesco, fonte: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/may/documents/papa-francesco_20160506_premio-carlo-magno.html

 

Un governo mondiale

Le gravi difficoltà planetarie (p.e. ambiente, pandemia, disuguaglianze, guerre) fanno affiorare il tema assolutamente primario di un governo politico della famiglia umana, in nome della comune umanità che non tollera discriminazioni, rifiuto della solidarietà e della fratellanza. Si coglie l’esigenza di una unità politica mondiale, della pace perpetua, di istituzioni comuni aventi responsabilità a raggio mondiale, di strutture politiche sovranazionali, di una Costituzione mondiale.

Già nella Pacem in terris papa Giovanni XXIII scriveva: “Il bene comune universale… [richiede] Poteri pubblici che siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale”.

Infatti, possiamo constatare come gli Stati nazione, ripiegati sui loro interessi particolari, finiscono per essere una fra le più gravi cause del disordine mondiale.

Il cammino verso un’autorità politica mondiale, da non intendersi come un Superstato e ancor meno come un impero mondiale, ma ricorrendo ai principi di sussidiarietà e solidarietà, è un itinerario lungo e arduo.

Ma è un tema che dovremmo imporci se come umanità globalizzata intendiamo sopravvivere.

Vittorio Possenti, fonte https://www.avvenire.it/agora/pagine/governo-mondiale-da-utopia-a-realta-vittorio-possenti

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Conoscevate l’esistenza dei corpi civili di pace e della giustizia riparativa? Che ne pensate?

•          Come declinereste in concetto di sicurezza? Come lo può vivere chi è privo di “sicurezze”?

•          Cosa insegniamo ai nostri figli/nipoti: a farsi sempre valere o a coltivare l’arma del dialogo?

 

12-LA NONVIOLENZA E LA GUERRA

Lo stile di una politica di pace

 

La nonviolenza è un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’Amore e della Verità.

 

La famiglia è il primo ambiente dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono.

 

di papa Francesco*

Nel messaggio per la prima Giornata Mondiale della Pace, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: “È finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)”. Metteva in guardia dal “pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali”.

 

Il frutto della violenza

Oggi, cinquant’anni dopo, desidero soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e chiedo a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali.

Se il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Questa violenza provoca, oggi come ieri, enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli.

A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato.

Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane della gente.

 

L’insegnamento di Gesù

Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano.

Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39).

Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce. Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio.

Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa, come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI, “non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. “Giustamente il vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene considerato ‘la magna charta della nonviolenza cristiana”: esso non consiste “nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia”.

 

La non violenza è azione

La nonviolenza è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così.

La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti.

I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati.

Né possiamo dimenticare il decennio epocale conclusosi con la caduta dei regimi comunisti in Europa.

Le comunità cristiane hanno dato il loro contributo con la preghiera insistente e l’azione coraggiosa. Speciale influenza hanno esercitato il ministero e il magistero di san Giovanni Paolo II.

Questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali “la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita”.

 

Il ruolo della famiglia

Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia.

La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono.

Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società. In questo senso, rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari. Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini.

Il Giubileo della Misericordia ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vittime di ingiustizia e subiscono violenza.

 

Le beatitudini

È Gesù stesso che ci offre un “manuale” di questa strategia di costruzione della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo.

Questo richiede la disponibilità “di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo”.

Chiediamo alla Vergine Maria, Regina della Pace, di farci da guida. “Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla”.

Tutti possono essere artigiani di pace.

 

*dal messaggio per la celebrazione della 50° giornata mondiale della pace 1° gennaio 2017.

Sintesi della redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Che idea abbiamo del concetto di nonviolenza?

•          La pace è solo nelle mani dei potenti? Noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa, possiamo diventare artigiani di pace?

•          Evitiamo i conflitti o li sappiamo affrontare in modo costruttivo?

•          “Ripassiamo” insieme le beatitudini: vedi GF110, pag.12ss.

 

13-NON VIOLENZA O NONVIOLENZA?

Perché, quando si parla di nonviolenza, è indispensabile scrivere un'unica parola? Per sottolineare principalmente due aspetti:

1) è un concetto positivo e non negativo. Non è solo dire no e rifiutare tutto quanto c'è di sbagliato nella società attuale, ma sottolineare l’esigenza di una società e di un modello di sviluppo rispettoso dell’uomo;

2) non è passività, ma è soprattutto operare per superare la violenza, trovando mezzi più validi, rispetto alle armi, per opporsi all’ingiustizia, ai soprusi, e per riportare nel mondo i valori a questi opposti.

Alberto L’Abate. Fonte: diz. di teologia della pace

 

14-ARTIGIANI DI PACE

Quando parliamo di pace non dobbiamo più pensare solo alle guerre che continuano a devastare tante parti del mondo (e che Papa Francesco puntualmente elenca) ma a quel bene prezioso che spesso associamo ad una vita serena.

È in questo cambio di prospettiva che la pace diventa “un mestiere di tutti” e non più un compito affidato ad eserciti, stati e potenti. Non un “mestiere” qualsiasi ma un “mestiere artigianale”, fatto con le proprie mani, con la cura, l’intelligenza, la passione, la pazienza e la tenacia degli artigiani.

Flavio Lotti, fonte: http://www.perlapace.it/artigiani-pace-tutti/

 

15-LA PARROCCHIA SCUOLA DI PACE

Nella misura in cui fa entrare il cristiano nel mistero della fede e della verità evangelica la parrocchia si fa educatrice alla pace.

 

La pace non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. Perché, più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone "conformate a Cristo" in profondità.

 

Una comunità costituita a compartimenti stagni fatta da tanti gruppuscoli o da una pastorale parrocchiale che non è integrata è una comunità divisa e, in quanto tale, incapace di vivere pienamente la comunione.

 

di Domenico Amato*

La parrocchia deve caratterizzarsi per il fatto di essere il luogo in cui si raduna la comunità intorno all'eucaristia.

In questo senso non ci può essere altro punto di partenza della pastorale se non nella parrocchia in quanto comunità eucaristica. E lì che si nasce alla fede con il battesimo e si entra nella comunità dei credenti, che si celebra Gesù Cristo e il suo mistero nella vita sacramentale, è lì che si cresce nella fede.

È nella parrocchia che si impara a pregare ed è li che bisogna rivolgersi, nella quotidiana esperienza, per avere una formazione alla vita interiore.

Oggi, invece, è valso l'uso di sdoppiare il rapporto tra vita spirituale e impegno cristiano, dove la prima è ricercata in ambienti diversi e con esperienze occasionali.

“È triste confessarlo, proprio gli spazi parrocchiali si dimostrano sospettosi e a volte contrari a lasciare spazio ad esperienze di vita spirituale, a cammini di preghiera, di conoscenza della fede, a ricerca di approfondimento umano e spirituale” (Bianchi. Aspettate Gesù Cristo, 17).

E sotto quest'ottica che la parrocchia si fa educatrice alla pace, nella misura in cui fa entrare il cristiano nel mistero della fede e della verità evangelica.

 

Educazione alla pace: una triplice dimensione

La triplice dimensione, liturgica, catechetica e caritativa diventa momento essenziale di educazione alla pace.

La liturgia rappresenta infatti il vissuto sacramentale di una pace celebrata e invocata come dono. Una pace che non fa adagiare sugli spazi sentimentali, ma che diviene l'annuncio fondamentale. “La pace, infatti, non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. Perché, più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone ‘conformate a Cristo’ in profondità, non con l'aggiunta esteriore di incarichi, ma con l'unzione dell'olio che penetra e consacra radicalmente” (Bello, Omelie e scritti quaresimali, 40).

La catechesi, invece, e in essa il ritorno alla Bibbia, deve proporsi come momento fondamentale di formazione alla pace. Significa assimilare, e non solo a livello intellettuale, ma ponendo in gioco se stessi ricercando le ragioni della propria fede, quella nuova prassi di pace che l'Evangelo propone. Chiaramente la pace diviene punto di riferimento essenziale e rilettura del dato teologico catechistico a partire da Gesù Principe della pace; fino a giungere alle motivazioni che portano ad una prassi di pace che affonda le proprie radici in tutto il discorso della montagna e più specificamente nelle beatitudini.

A partire da questa formazione integrale e globale, la carità si presenta come esercizio di una prassi di pace. La comunità parrocchiale, pertanto, deve iniziare, abilitare e accompagnare il cristiano verso un esercizio serio e veritativo della pace.

Al termine di questo percorso la celebrazione sacramentale diviene anche momento di verifica del proprio agire e l'eucaristia momento privilegiato in cui la pace che è celebrata è anche verificata.

 

Essere comunità

Tutto questo presuppone uno stile di azione unitaria nella vita della comunità. È la comunità in quanto tale che deve emergere: e chiunque si accosti, piccolo o grande, parrocchiano o forestiero deve respirare quel clima di fraternità che dice operosità di costruttori di pace. Dalla fraternità vissuta all'interno del quartiere, su cui il territorio parrocchiale insiste, ci si deve aprire ad un'accoglienza fatta di gesti concreti, dove chiunque deve trovare nella parrocchia il luogo dell'ospitalità.

Chiaramente una comunità costituita a compartimenti stagni fatta da tanti gruppuscoli o da una pastorale parrocchiale che non è integrata, né tantomeno capace di vivere la globalità pur nella differenziazione di compiti, diviene una comunità che non presenta un volto eucaristico, ma diviso e, in quanto tale, incapace di vivere pienamente la comunione

Un aspetto di particolare rilevanza è il rapporto laico-presbitero che viene vissuto nella parrocchia. Pur nelle proprie competenze e nell'esercizio del proprio ministero, il rapporto deve essere improntato a quella reciprocità e rispetto che oggi purtroppo appare in crisi, giacché tale rapporto è vissuto sempre più sotto l'aspetto dell'autorità. Il laico, infatti, molte volte è preso in considerazione solo nella misura in cui riesce a dare un contributo “significativo” alla vita della parrocchia. Il principio che dovrebbe regolare tale rapporto dovrebbe essere, invece, quello della Chiesa intesa come famiglia di Dio (cf. Amato, La Chiesa-famiglia di Dio, 63-75).

Il laico, pertanto, deve essere valorizzato per sé e per la sua specifica indole secolare. La riduzione della fede al piano etico per cui il cristiano è colui che fa il volontariato, che si spende per gli altri, che è solidale ha portato a fare della fede una opzione personale. Al punto che anche l'appartenenza parrocchiale, normalmente, è vissuta così.

Non chi ha più fede, non chi vive in realtà la sequela del Signore, ma chi è più presente in quegli spazi, talvolta burocratici, talvolta assistenziali, di organizzazione della carità all'interno della parrocchia, questi si presenta come il cristiano doc (cf Bianchi, Aspettare Gesù Cristo..., 16-17).

 

Parrocchia e movimenti

Alla comunione deve accompagnarsi la missione: la parrocchia va considerata come uno (anche se eminente) dei molti soggetti dell’unica pastorale e dell'unica missione, con compiti specifici e complementari rispetto a quelli svolti da altri (cf. Lombardi, La parrocchia. soggetto..., 263). Perciò la parrocchia deve aprirsi a istituzioni e gruppi pastorali che sono organizzati su base più ampia e prendere parte anch'essa a processi e realtà pastorali che superano spazialmente il suo territorio. Collocata nel contesto di una pastorale organica, la pastorale parrocchiale acquista le sue dimensioni: la sua insostituibilità e la sua insufficienza, due termini sintetici per spiegare come la parrocchia non può essere l'unico soggetto della pastorale, ma che la sua azione deve essere integrata con le funzioni svolte da altri soggetti pastorali.

In particolare vanno annoverati fra questi soggetti pastorali i vari movimenti che la Chiesa ha annoverato nel suo seno a partire dal concilio Vaticano II. Il principio che deve sottendere ci viene ancora espresso dalla Christifideles laici quando afferma che “la comunione è missionaria e la missione è per la comunione” (Cf. 32: EV 11/1742).

In questa circolarità di comunione e missione si sviluppa il corretto rapporto tra parrocchia e movimenti ecclesiali. In tale progetto la parrocchia rimane il fulcro e il punto di partenza di ogni azione evangelizzatrice e missionaria, è li che si nasce e si cresce nella comunione e nella pace.

È evidente che alla parrocchia va lasciata in pienezza la sua vocazione prettamente educativa.

Certamente ogni conflitto, e ogni tentativo di esproprio da parte di gruppi e movimenti di questa vocazione primaria della parrocchia, attraverso tentativi di colonizzazione della pastorale parrocchiale attraverso l’assolutizzazione del proprio carisma o del proprio cammino di fede fino ad imporlo con varie modalità a tutta la comunità parrocchiale, appare come un colpo inferto a quella costruzione della pace che si può esercitare solo nella comunione ecclesiale.

 

* Tratto da: Luigi Lorenzetti (a cura di), Dizionario di teologia della pace, EDB, Bologna 1997

Sintesi della redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          ”La pace è un problema di fede”. Condividiamo questa affermazione di don Tonino Bello?

•          Nella nostra parrocchia si vive un clima di fraternità o di concorrenza?

•          I nostri rapporti con i sacerdoti sono fraterni o gerarchici?

•          Movimenti ecclesiali e parrocchia: nella vostra esperienza prevale la collaborazione o il conflitto?

 

16-UNA SCUOLA CHE INSEGNI LA PACE

Tutte le materie che vengono insegnate a scuola possono essere ripensate in un’ottica di pace.

 

Parlare di storia, leggere di storia, studiare la storia implica necessariamente apertura verso gli altri, disponibilità a capire, rifiuto dei pregiudizi, pluralismo culturale, capacità di critica.

 

dei curatori della Scuola di Pace*

Immaginiamo per un momento di poter modificare a nostro piacimento i programmi ministeriali. Come persone che credono al valore della pace quali innovazioni introdurremmo? Proviamo con alcune materie.

 

La Storia

Per una Storia di Pace, occorre superare sia la “Storia delle Battaglie e degli Eroi” sia quella dei puri fatti economici in chiave deterministica, per illuminare meglio la storia della vita quotidiana delle varie classi sociali, dove abbia rilievo la persona umana in tutta la sua ricchezza. Occorre che fra gli “Eroi” e i “Grandi” siano considerati anche gli uomini della Pace, i costruttori di Pace.

Purtroppo è proprio attraverso l'insegnamento della storia che nel passato sono stati diffusi pregiudizi, nazionalismi esasperati, chiusure culturali, avversioni profonde verso gli “altri”.

La rivista francese “Les Annales” da mezzo secolo ha indicato alla ricerca storica tutto il campo della minuta vita quotidiana, la dinamica dei rapporti sociali ricavabile dai dati economici, dalla sensibilità popolare, dagli oggetti e dalle produzioni, dai costumi e dalle mode, le trasformazioni lente piuttosto che gli episodi straordinari, le società e le civiltà piuttosto che i condottieri e le battaglie.

Si può presentare una storia che metta in evidenza gli incontri fra i popoli piuttosto che gli scontri; studiando le occasioni, le modalità e i risultati degli incontri fra popoli e culture, come scambio e arricchimento reciproco, come dono ed esperienza. Incontrarsi e comunicare.

In ogni caso parlare di storia, leggere di storia, studiare la storia implica necessariamente apertura verso gli altri, disponibilità a capire, rifiuto dei pregiudizi, rottura degli stereotipi, pluralismo culturale, capacità di critica e di giudizio morale.

 

La Geografia

Per una Geografia di Pace, occorre coltivare anzitutto l'accettazione dei “diversi da noi” (per lingua, cultura, razza ecc.) per poter sviluppare una conoscenza degli altri in quanto persone e non solo entità statistiche…

La geografia tocca non solo l'economia, ma la concezione stessa dei rapporti fra uomini e nazioni, la distinzione tra popoli e confini (questi ultimi spesso arbitrari). Alcuni esempi chiarissimi della concezione di una geografia di pace che consideri il mondo non come una scacchiera di pezzi rivali ma come un'entità unica in cui siamo tutti interdipendenti sono stati dati da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata della Pace 1985: “Vi invito a distogliere la vostra attenzione da un concentrarsi esclusivo sulla minaccia della pace riferita al problema Est-Ovest, e a pensare invece al mondo intero, e quindi alle tensioni del cosiddetto Nord-Sud. Come nel passato, così anche oggi desidero affermare che questi due problemi - la pace e lo sviluppo - sono tra loro connessi e devono essere affrontati insieme”.

 

La Scienza

Per una Scienza di Pace, occorre insegnare i complessi rapporti tra scienza e guerra, tra scienza e natura, tra scienza e progresso, per una scienza che, nei suoi vari rami, sia veramente a servizio della vita dell'uomo.

Il fisico italiano Antonino Zichichi ha dichiarato: “Un certo tipo di cultura sostiene che il processo scientifico porta ineluttabilmente alla catastrofe nucleare. Se così fosse noi dovremmo immediatamente smettere di far scienza. Infatti non è così, perché far scienza vuol dire studiare le leggi fondamentali della natura. Il messaggio della scienza è dire all'uomo che la natura non è frutto del caos. Mai una virgola è stata trovata fuori posto nel libro della natura. Il progresso scientifico porta quindi l'uomo a sentirsi protagonista, non schiavo”.

La crisi del nostro tempo è perciò crisi di cultura. Diceva il presidente Pertini: “Se non vincerà la ragione prevarrà l'atomica. L'uomo moderno ha bisogno di riscoprire queste due grandi cose: la ragione e l'amore...» (Palermo, 4 luglio 1982).

 

La Lingua

Per un Linguaggio di Pace, si possono rivalutare le parole, i gesti, i simboli, i messaggi, le grandi opere letterarie che in tutte le nazioni esprimono l'incontro fra gli uomini, l'accettazione, la comprensione. In questo senso si potrà parlare anche di un'arte di Pace e di mass-media a servizio della Pace.

“La cultura che la lingua esprime va pensata in termini di pace, di collegamento fra i popoli, di ponte da gettare. Ma un patrimonio culturale se non lo si alimenta, approfondendolo, facendolo fiorire, si esaurisce. Non basta usarlo, bisogna rigenerarlo. Un patrimonio culturale, gestito da testimoni di speranza, deve spingersi progettualmente verso il futuro, deve superare il presente, deve saper additare orizzonti di valori ideali” (Card. Cè).

 

La Religione

Per una Religione di Pace, per tutti sarà utile considerare i pensieri delle proprie ideologie, delle proprie religioni, alla luce dell'ideale di Pace. Per i cristiani, la Pace non è qualcosa ma è qualcuno: è Cristo, il Principe della Pace, che ha detto parole di Pace e fatto gesti di Pace e continua a chiamarci alla Pace. Per i cristiani dunque non sarà inutile ripercorrere una Catechesi di Pace.

“La fraternità supera ogni frontiera e difficoltà, ogni emarginazione e ambiguità, sempre richiamandosi a Dio, insieme con i fratelli» (CEI, La forza della riconciliazione, Ed. Paoline).

 

In pratica

Non possiamo cambiare i programmi ministeriali ma possiamo cambiare il nostro modo di porgerci quando ci confrontiamo con i giovani e i giovanissimi.

Per gli insegnanti: è innanzitutto nella Scuola Elementare e Media che si forma una Cultura di Pace o si radicano pregiudizi che sono difficilmente rimovibili; i pregiudizi a volte vengono trasmessi da un atteggiamento globale (es, la superiorità di una cultura o di uno stile di vita sugli altri, di un paese sugli altri...), a volte da un insegnamento particolare (es. storia, filosofia...). I testi scolastici spesso non sviluppano in modo adatto i temi della Pace. Tocca agli insegnanti coltivare per primi e poi proporre una Cultura di Pace.

Per i genitori: la genesi dei conflitti umani è spesso in famiglia, lo stile dei rapporti umani si basa su quelli vissuti in famiglia. Coltivare la pace nei legami familiari, in primo luogo tra moglie e marito, è il miglior strumento per educare alla pace.

Per tutti coloro che lavorano con i giovani: vi sono germi di violenza sia nello sport, sia nel lavoro che nella cultura moderna e persino nel modo di porgere la verità della fede. Una Cultura di Pace passa attraverso i singoli gesti quotidiani, le parole usate, l’esempio dato.

* Fonte: Verso la Pace. Come imparare la pace studiando la storia. Editrice Elle Di Ci, Leumann (TO) 1988.

Sintesi della Redazione

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Come Gruppo Famiglia, partendo dalla guerra tra Ucraina e Russia, proviamo a ricostruire, suddividendoci i compiti, la storia dei territori che formano oggi l’Ucraina, la geografia economica ed etnica del Paese, le culture che la abitano, le religioni praticate, ecc. Scopriremo che non è facile distinguere i buoni dai cattivi.

 

17-LA LEZIONE DI DON MILANI

Eravamo come sempre insieme nella nostra scuola di Barbiana quando un amico ci portò il ritaglio di un giornale. Si presentava come un comunicato dei cappellani militari in congedo della regione Toscana.

Leggendolo ci ha colpito la seguente frase: “Consideriamo un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta ‘obiezione di coscienza’ che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà”.

Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella mia duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto, tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale.

Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita. Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa.

Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (testi scolastici non monografie) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca di una guerra giusta. D’una guerra che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata.

Don Milani, L'obbedienza non è più una virtù, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1969

 

18-COME SPIEGARE LA GUERRA AI NOSTRI FIGLI

 

di Giuliana Beghini Franchini e Giuseppe Maiolo*

La guerra in Ucraina con le sue immagini è già dentro i nostri occhi e a quello dei nostri bambini. I nostri pensieri sono pieni di ansia di fronte agli sviluppi che la guerra può avere.

I bambini non sono estranei a tutto questo. Respirano la nostra angoscia ed è compito dei grandi parlare loro di quello che sta accadendo e permettere anche a loro di dire la guerra che vedono e capire la tragedia che si consuma a poca distanza da noi.

La prima cosa quindi da fare è non lasciarli soli a vedere le immagini di distruzione, di sparatorie ed esplosioni che i servizi di informazione diffondono copiosamente.

 

Per i più piccoli

I piccoli, fino agli 8 anni, non hanno ancora elaborato bene il concetto della morte, anche se la recente pandemia li ha messi in contatto con la sofferenza, con l’incertezza della vita e le perdite umane.

Ora, però, carri armati e soldati che uccidono possono spaventare e non è raro che un bambino sia irrequieto, agitato e capriccioso, sia di giorno che di notte, e magari di notte fatichi ad addormentarsi oppure si svegli di frequente.

Vedere con loro la guerra in televisione vuol dire prima di tutto condividere le emozioni che provano e avere anche l’occasione di ascoltare le loro domande.

A volte è il caso di sollecitarli a parlare di quello che sta accadendo, soprattutto se li vediamo taciturni. Ma non facciamo interrogatori, chiediamo invece loro come si sentono.

Poi cerchiamo le parole adeguate alla loro età per dire cosa sono i conflitti, e spiegare loro che la guerra che vedono in TV non è un gioco ma il fallimento degli uomini nel trovare accordi e soluzioni.

Bisogna ribadire che i combattimenti che vedono non sono uno spettacolo o un gioco simile ai tanti videogiochi che si fanno ed è necessario, perché dobbiamo impedire che la realtà diventi virtuale.

È fondamentale rassicurarli con parole semplici e chiare senza aggiungere ai loro pensieri le nostre angosce, anche se le viviamo.

Accogliamo invece le loro preoccupazioni, il loro dolore aiutiamo ad esprimere ansie e paure perché devono sapere che non sono emozioni negative da tenere dentro o nascondere ma sono sentimenti che vanno elaborati e trasformati.

 

Per gli adolescenti

Con gli adolescenti, invece, il discorso è diverso. Loro hanno più strumenti per leggere quello che accade ma vanno guidati a capire che cos'è la violenza, vanno educati alla conoscenza di altri modi per gestire i conflitti a che se dobbiamo dire che, oggi come oggi, siamo fallimentari sul piano negoziale.

I giovani, che sono per natura portati alla ricerca di un senso della vita, che stanno scoprendo il mondo, hanno soprattutto bisogno di avere piena consapevolezza della violenza che oggi si respira ovunque. Devono poter riflettere su come i quotidiani comportamenti di ostilità e intolleranza ci insegnino la sopraffazione e che non ci sia di fatto nessuno che te la faccia disimparare o ti insegni come coltivare l’attenzione per l’altro.

Se vogliamo aiutarli a leggere la guerra come una conseguenza della violenza quotidiana che respiriamo, dobbiamo cominciare ad ascoltarli, dobbiamo saperli ascoltare con attenzione.

Spesso lamentano di non riuscire a farlo, di non riuscire a dire, di non riuscire a parlare a casa perché tutti sono indaffarati e a scuola c’è il programma da svolgere e molte altre cose.

E, a proposito della guerra, io credo che la scuola  debba essere il luogo dove poterne parlare di più ma anche dove allargare l’angolo di osservazione, il posto in cui dovrebbero esserci laboratori permanenti per la gestione dei conflitti e anche per imparare l’empatia.

* Fonte: https://www.giornaledibrescia.it/brescia-e-hinterland/come-raccontare-la-guerra-in-ucraina-ai-bambini-il-video-1.3678698

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Guerra e videogiochi: è ora che insegniamo ai nostri figli la differenza tra virtuale e reale.

•          La guerra ci permette di avere qualcosa da insegnare ai nostri figli attraverso le esperienze di guerra dei nostri genitori e/o del nostro servizio militare: approfittiamone!

•          La guerra chiama pratiche di solidarietà: coinvolgiamo i nostri figli!

 

19-IL VOLTO DELL’ALTRO

La relazione di coppia è sorgente di pace ma anche potenziale generatrice di conflitto

 

Per accogliere il “volto dell’altro” l'individuo deve riconoscersi come persona “indigente”, che ha bisogno degli altri.

 

Nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro.

Emmanuel Lévinas

 

a cura della Redazione

Non si coglie immediatamente, in un numero dedicato alla pace, il significato di un articolo dedicato alla relazione di coppia. Ma se sostituiamo la parola pace con il suo opposto, la guerra, allora tutto diventa più chiaro.

Quando un amore finisce è possibile che i sentimenti positivi che si provavano in precedenza si trasformino in negativi, producendo vere e proprie battaglie: p.e. per la divisione dei beni, per la custodia dei figli, dando origine a guerre che si trascinano per anni e che possono sconfinare in violenza aperta e manifesta, come nel caso dei femminicidi.

 

La relazione fragile

“L'incontro con l’altro interferisce sempre con i nostri progetti personali, perché è portatore di un suo mondo, ha esigenze particolari che reclamano di essere riconosciute. Tutto ciò richiede un atteggiamento reciproco di accoglienza e di integrazione delle due vite”, scrive Cataldo Zuccaro (1).

Di conseguenza, se l'altro, il suo “volto”, viene visto come una minaccia perché il suo progetto potrebbe limitare l'espressione della mia personalità, cercherò di difendermi da lui, considerandolo un potenziale invasore.

Il suo “volto” non potrà continuare a mantenere i suoi lineamenti, perché egli non mi serve così come è, ma, piuttosto, come io desidero che sia.

Cercherò quindi tutte le strade per renderlo inoffensivo, per “addomesticarlo”.

Sul piano della relazione di coppia, questo atteggiamento mina dall'interno la stessa esperienza amorosa. L'altro diventa oggetto di conquista e di possesso che si esprime anche nell'esercizio di una sessualità che è estrapolata da un contesto di reciprocità accogliente.

I rapporti sessuali possono essere vissuti in modo piacevole e consenziente dai partner ma senza il necessario atteggiamento di amore, con una intenzionalità di reciproco vantaggio e di una complicità mercenaria.

Come la pace non può ridursi all'assenza della guerra, così l'esercizio di una sessualità pacifica non può ridursi all'assenza di qualsiasi forma di violenza fisica o psicologica.

La ricerca della propria identità sessuale, portata avanti in modo narcisistico, contiene già i germi della negazione dell'altro e, perciò, anche della violenza sessuale.

La volontà di non uscire da se stessi e di non aprirsi agli altri rende, per certi versi, inattaccabili e invulnerabili, ma, nel contempo, configura una sessualità sterile ed immatura, tendenzialmente dominante e violenta.

Così, quando l’attrazione sessuale viene meno o quando si incontra un altro “volto” che sembra più “addomesticabile”, termina anche la relazione, in modo più o meno violento.

 

La relazione matura

Che atteggiamento occorre assumere perché il “volto” dell’altro non sia visto come una minaccia?

Occorre andare al di là della presunzione dell'individuo di bastare a se stesso e riconoscersi come persona “indigente”, che ha bisogno degli altri.

Dobbiamo accettare un dato di fatto, afferma Zuccaro, “la persona , nel modo in cui è strutturata, si presenta come un ‘essere insieme agli altri’, un essere sociale.

L'umanità è unita in una sorta di cordata universale, che obbedisce alla legge propria della cordata: la sorte di ognuno è affidata a tutti gli altri. Non ci si può dunque salvare da soli”.

Il riconoscimento della propria indigenza è fondamentale nella relazione di coppia.

Ognuno dei due partner è chiamato a riconoscere che “la realizzazione della propria identità dipende radicalmente dall'accoglienza che trova nell'altro”, prosegue Zuccaro.

“Non si tratta di un bisogno che reclama una soddisfazione strumentale, come se bastasse una qualunque congiunzione sessuale per realizzarsi, ma è un bisogno più profondo e radicale.

Esso, infatti, diventa premessa e condizione che rende possibile un'autentica comunione di persone, che nessuna prestazione sessuale, di natura strumentale, può realizzare.

 

La sessualità come dono di pace

Una sessualità vissuta come segno di pace sarà possibile solo nella consegna di sé all'altro. o di un rapporto interpersonale. La pienezza di vita, che una tale consegna esige esclude già in partenza ogni riserva mentale. Esclude che si lasci aperta qualche scappatoia alla totalità della propria offerta.

La sessualità diventa ‘luogo di pace’ quando si lasciano cadere tutte le forme di difesa nei confronti dell'altro, accolto e amato senza riserve.

L'esperienza stessa della sessualità vissuta nel linguaggio della pelle diventa significativa di questa resa incondizionata all'altro. Il dono non trova nessun ostacolo e la stessa corporeità diviene incarnazione dell'amore la cui espressione emerge ‘a fior di pelle’. In questo dono totale e reciproco diventa possibile ritrovare la propria identità personale.

 

Il volto dell’altro

Il concetto di volto, a cui abbiamo accennato prima, è uno dei perni dell’umanesimo del filosofo Emmanuel Lèvinas.

All’umanesimo dell’essere, Lèvinas contrappone l’umanesimo “dell’altro”.

L’uomo nuovo rinascerà dall’incontro con il “volto” dell’altro, sostituendo al primato dell’io il primato dell’altro, prova a riassumere Emanuela Trotta (2).

La relazione di coppia è uno dei contesti che richiedono l’adozione di questo criterio.

Se l’altro diventa centrale per me, io ne divento responsabile. Questa responsabilità deve lasciare intatta la diversità dell’altro e farmi accettare la sua alterità.

La realtà, per chi è innamorato, pare mutare perché, nella manifestazione del volto dell’altro, scopro che il mondo è mio, nella misura in cui lo posso condividere con lui/lei.

L’unica risposta seria all’epifania del volto è l’accoglienza, la capacità di ascolto: attraverso la presenza e la voce l’io si espone, si lascia incontrare e conoscere.

Nell’intima verità dell’incontro si rivela l’umanità dell’essere, la sua vulnerabilità, la sua indigenza.

“In questo incontro, oltre ad un parlare e ascoltare, cercare di comprendere e di accogliere la diversità dell’altro, si realizza una forma di condivisione”, continua Trotta, una forma di fraternità, nella quale ciascuno è pronto ad offrire qualcosa di proprio per l’altro.

“La prossimità è fatta di contatto, di gesti, di comprensione e sostegno, della coscienza di essere coinvolti nel destino dell’altro. La condivisione è sentirsi partecipi della vita dell’altro, responsabili della sua felicità o infelicità, persino responsabili delle sue mancanze. La dignità riconosciuta all’altro può trovare fondamento solo in un’etica della responsabilità”.

 

L’etica della responsabilità

Di fronte al volto dell’altro, l’io perde il suo potere, è disarmato. La centralità dell’altro non è un rinnegamento di sé, ma un depotenziamento dell’io.

L’io rinuncia alle sue pretese di dominio e di possesso, ma non si annulla, limita la sua libertà per non soffocare la libertà dell’altro.

Ciò vuol dire rendersi conto che il primo valore non è la libertà, ma la responsabilità.

In senso più ampio, responsabilità per l’altro, per gli altri, non significa avere rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ma “prendersi cura” della sua libertà, dei suoi diritti.

Solo nell’ottica della responsabilità, possiamo passare da una società dove “l’uomo è per l’uomo un lupo” ad una società dove “l’uomo è per l’uomo un uomo”.

Solo se si pone, al centro di tutto la responsabilità, si semina nel mondo quel germe di “umanità”, da cui può nascere la pace.

 

1 Tratto da: Luigi Lorenzetti (a cura di), Dizionario di teologia della pace, EDB, Bologna 1997, voce: Sessualità.

2 Fonte: https://filosofiaenuovisentieri.com/2020/04/26/il-volto-dellaltro-lumanesimo-di-emmanuel-levinas/

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Guardiamo la nostra metà negli occhi: cosa ci dice questo volto? Ci riconosciamo in esso?

•          Sono ancora capace di riconoscermi bisognoso dell’altro, di sentirmi completo solo con lui?

•          Non c’è età che tenga: l’amore ha bisogno di esprimersi anche a fior di pelle. Concordiamo?

 

Testimonianze

20-PACE: VIVERLA E TRASMETTERLA

 

Abbiamo proposto ai membri della nostra redazione “virtuale” alcune domande sulla pace. Ecco le loro risposte.

 

1 Nei rapporti di coppia e di famiglia conta di più la pace o l’amore? Perché?

 

Non la ritengo una domanda adeguata perché pace è un nome dell’amore. Cristo è l’amore ma anche la pace.

Roberto

 

Se per pace intendiamo il benessere totale, l'armonia del gruppo umano e del singolo con Dio, non vedo grandi differenze tra "pace" e "amore".

L'amore, però, in una coppia deve avere una marcia in più ovvero una corresponsione di sentimenti che va al di là del benessere e dell'armonia. Perché il vero amore di coppia deve essere aiuto reciproco, attenzione all'altro, rispetto assoluto dell'altro, perdono offerto prima che sia richiesto.

Carlo

 

Da bambina sono cresciuta in una famiglia estremamente litigiosa, con un padre patologicamente geloso ed una madre che cercava di sopravvivere e farsi ascoltare. Il clima era spesso teso e talvolta la violenza verbale era davvero insostenibile.

L’esperienza di vivere sempre in mezzo ai litigi mi ha portato per molti anni ad evitare i conflitti o a non saperli gestire. Per fortuna mio marito ed io siamo riusciti a costruire una famiglia molto più allegra e pacifica di quella dalla quale provenivo e questo è stato sicuramente grazie all’amore fra noi che in questi anni non è mancato. So però che è sempre bene vigilare.

Paola M.

 

Pace e amore coincidono.

Paola C.

 

Secondo me pace e amore non si possono separare. La pace come assenza di conflitti/discussioni per quieto vivere non dura: prima o poi chi si sente “vittima” esplode.

Il confronto franco, non accusatorio, che tiene conto del punto di vista dell’altro e anche dei suoi pregi e delle sue fragilità, è una forma di amore che porta alla pace.

Lucia

 

2 Nell’educazione di figli/nipoti quale spazio diamo all’educazione alla pace? Quali strumenti usiamo?

 

I figli possiamo educarli alla pace soltanto con il nostro esempio, con atteggiamenti concreti e responsabili.

Pensiamo a quei genitori che portano in spalle o sul passeggino il proprio figlio a quei cortei in genere assai movimentati e rumorosi e dedicati alle cause più improbabili. Magari solo nell'inconscio, il figlio non percepirà pace e armonia e, crescendo, inizieranno i problemi.

Carlo

 

Preghiamo ogni giorno in famiglia per la pace, in particolare il Rosario alla beata Vergine Maria regina della pace. Ci affidiamo a Lei e a suo Figlio perché la pace regni nel mondo e nei nostri cuori.

Mara e Bruno

 

L’educazione alla pace ha un grande spazio nei rapporti con figli e nipoti.

Gli strumenti sono l’empatia e il perdono. L’empatia si concretizza nel “mettersi nei panni di...” ascoltando e cercando di capire le ragioni dell’altro, senza pretendere di imporre le proprie idee.

La verità infatti non sta quasi mai da una parte sola, ma emerge da un confronto costruttivo, teso a una conclusione condivisa. Il perdono entra in gioco quando si ha nettamente ragione, ma si rinuncia ad accusare l’altro e a vendicarsi, ben consapevoli che ciò distruggerebbe irreparabilmente il rapporto e quindi la pace.

Luigi

 

Ogni volta che si cerca di dirimere un litigio tra ragazzi, la colpa è sempre dell’altro. Allora la domanda giusta è: chi vuole cominciare a fare la pace?

Certo ognuno deve rinunciare a qualcosa, deve cercare di capire le ragioni dell’altro, anche i torti magari, con un poco di carità. Perché è per il bene di tutti che si prova a fare la pace.

Franca

 

Penso sia utile raccontare loro le esperienze di nonni o genitori che hanno partecipato alla prima o seconda guerra mondiale.

Fiorenzo

 

Cerchiamo di educare i nostri figli a un pensiero critico evitando di emettere facili giudizi nei confronti di persone e popoli, convinti che non ci può essere pace quando viene meno il rispetto, la libertà, la giustizia e un minimo di sostentamento. Per questo dobbiamo essere in pace con noi stessi per poi essere veri costruttori di pace.

Mara e Bruno

 

Educare alla pace in famiglia è cercare di vivere valori come rispetto, armonia, dialogo e accoglienza della diversità piuttosto che aggressività, prepotenza, affermazione incondizionata.

Paola C.

 

3 Come insegnare (p.e.) la storia in un’ottica di pace quando il dato emergente è costituito dalle guerre e dalla loro influenza determinante sulla vita dei popoli?

 

Insegnare la storia nella verità.

Roberto

 

Le guerre non si possono ignorare, ma nella Scuola si possono sottolineare:

- le conseguenze negative (distruzioni, sradicamento di popoli, innumerevoli morti e feriti, gravi danni psicologici),

- i trattati di pace che spesso pongono le basi per successivi conflitti,

- gli interessi economici che muovono l’industria delle armi,

- l’assurdità dei bilanci statali: manca spesso denaro per Istruzione, Sanità, Infrastrutture, ma l’aumento delle spese militari raramente trova obiezione.

Lucia

 

Oggi i ragazzi giocano alla play station, sempre più giochi di guerra, sembra che si divertano molto.

Ma dobbiamo far capir loro che oggi  la guerra è vera, i morti domani potremmo essere noi, oppure vivi ma senza luce, senza gas, senza acqua e cibo, senza casa. Raccontiamo loro le testimonianze che abbiamo sentito da coloro che hanno vissuto la guerra.

Franca

 

Accanto ai grandi “nomi” della Storia presentiamo anche figure che hanno scelto come arma la nonviolenza, come  Gandhi o Martin Luther King.

Fiorenzo

 

L'insegnamento della storia, ma anche la narrazione di quel che accade nel presente attraverso i mezzi di comunicazione, andrebbe fatto con onestà, in maniera oggettiva, raccontando la verità dei fatti. Successivamente ciascuno può sviluppare un proprio pensiero, può condividerlo con altri, anche con ragionamenti e dibattiti.

Mara e Bruno

 

Le guerre purtroppo fanno parte dell’essere uomo, a cominciare da Caino e Abele. Per contrastare questo dato di realtà occorre mettere sempre in luce, instancabilmente, l’importanza e il valore di tutto quello che alla guerra si oppone e che comunque concorre allo sviluppo della storia dei popoli.

Paola C.

 

Uomini e donne nella bibbia

21-GESÙ E LA NON VIOLENZA

Ma io vi dico: non vendicatevi contro chi vi fa del male

 

La nonviolenza non è altro che la declinazione concreta dell’amore inteso come carità, reciprocità, responsabilità.

 

di Paolo Zambaldi*

Se leggiamo le pagine del Vangelo con sincera voglia di cogliervi un senso, un valore che orienti la nostra coscienza, che ci riveli/tolga il velo dal volto di Dio, non possiamo non notare come sia chiara e rivoluzionaria ed esaustiva la parola e la testimonianza di Gesù.

Egli parla infatti all’uomo di tutti i tempi, di tutti i mondi, di tutte le culture, di tutte le spiritualità/religioni, indicando l’unica via di salvezza possibile, al di fuori della quale non c’è che dolore, ingiustizia, morte, distruzione.

Questa via è quella della nonviolenza come stile di vita, una nonviolenza che altro non è che la declinazione concreta dell’amore inteso come carità, reciprocità, responsabilità.

Infatti l’amore o è “disarmato” o non è!

In un momento tragico come quello odierno, in cui la violenza delle guerre e non solo, ci inquieta, ci spaventa, ci disorienta… ripercorriamo insieme alcuni passi evangelici per capirne meglio la scelta radicale e la ragione per cui non si può dirsi cristiani/umani se non si evita di rispondere al male col male…

 

Sapete bene ciò che dice la Bibbia: “Occhio per occhio dente per dente” Ma io vi dico: non vendicatevi contro chi vi fa del male. (Mt 5, 38)

È stato detto occhio per occhio… potremmo dire che, fin dall’origine della storia, la logica umana ha confuso la giustizia con la vendetta, ha ritenuto necessario e indiscutibile rispondere con la forza a chi provoca, aggredisce, odia. É un istinto primordiale, simile a quello animale. Non c’è nessuna riflessione ne ragionevolezza. È solo un’esibizione di potenza e come dimostrano le infinite guerre del mondo, non risolve nulla, anzi scava abissi d’odio mortale.

 

“Ma io vi dico”

Io Gesù, che ho compreso bene l’amore di Dio che informa il mondo, amore che è armonia, convivialità, partecipazione, responsabilità, amore che solo può essere via di salvezza per gli uomini… io vi dico che non dovete rispondere al male col male, a costo di passare per deboli, stupidi, inutili.

Perché non c’è speranza per un uomo violento. La sua vita sarà una continua ritorsione. Distruggerà gli altri e se stesso. Per conquistare ogni cosa a tutti i costi perderà ogni cosa. Il suo mondo sarà travolto: distruggerà i suoi rapporti, perderà i suoi beni, avvelenerà la terra, costruirà l’arma della sua definitiva distruzione.

La guerra ha la stessa logica della vendetta: dimostrare chi è il più forte mistificando il concetto di patria, razza, terra, sangue…

Ma allora dobbiamo subire? Lasciarci aggredire?

Chiediamoci se dietro queste domande non si nasconda una volontà di potenza più che una volontà di pace, una volontà di vendetta più che di riconciliazione. Attenti a non invocare la giustizia, perché nessuna strage di innocenti può essere fatta in suo nome.

Ma allora?

 

“Se uno ti da uno schiaffo, sulla guancia destra, tu presentagli anche l’altra”. (Mt 5, 39)

Non aver paura del giudizio degli altri se ti schieri per la nonviolenza, anche se ti umiliano e ridono di te. Se ti offendono taci e continua per la tua strada…

 

“Se qualcuno vuol farti un processo per prenderti la tunica tu lasciagli anche il mantello” (Mt 5, 40)

Rinuncia alla violenza nel tuo quotidiano anche se ti costerà in termini di potere e di beni. E forse la tua stessa vita sarà in pericolo.

Gesù subì un processo e una condanna a morte perché scelse di essere un profeta “disarmato”. La nonviolenza è una provocazione inaccettabile per i potenti.

* cooperatore parrocchiale

Sintesi della redazione

Fonte: https://donpaolo.it/2022/06/il-vangelo-della-nonviolenza-mt-5-38-40-di-don-paolo-zambaldi/?fbclid=IwAR0JC6D544MNXdW8pTzohQeBV7yOcoYIhMFLumpH_5VxtWnm0phr8I5hmT4

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Gli insegnamenti di Gesù sono realistici? Li prendiamo sul serio?

•          Noi, che siamo persone per bene, come reagiamo alla violenza e al sopruso?

•          A cosa siamo disponibili a rinunciare, nel nome del Vangelo?

 

22-PER APPROFONDIRE IL TEMA

I libri usati per realizzare questo numero

 

Barbaglio, Bof, Dianich (a cura di), Teologia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002.

Questo dizionario di teologia è un corposo volume di quasi duemila pagine. È un testo da cui attingere per approfondire specifiche tematiche della riflessione cristiana su Dio, l’uomo e il creato. Anche se è stato pubblicato vent’anni fa i suoi contenuti risultano ancora sufficientemente aggiornati.

È composto da 91 voci principali, ciascuna affrontata con lo stile del saggio breve. Molto più numerose le voci minori che vengono affrontate all’interno delle principali (p.e. le voci violenza e guerra sono trattate all’interno della voce Pace).

È proprio da questa voce che abbiamo attinto le riflessioni del compianto mons. Enrico Chiavacci, teologo morale.

Perché acquistare questo libro (purtroppo molto costoso)? Per poter disporre in un unico volume di una piccola “libreria” teologica.

 

Luigi Lorenzetti (a cura di), Dizionario di teologia della pace, EDB, Bologna 1997.

Anche questo è un corposo volume.

Presenta 74 lemmi (per es. Amore) e al loro interno, le voci ad essi pertinenti (per es. Carità è voce all'interno del lemma Amore). Le varie voci fanno a loro volta riferimento a 11 sezioni scientifiche diverse (p.e. Carità appartiene alla sezione Teologia spirituale).

Proprio grazie alla brevità dei saggi è stato facile attingere spunti e riflessioni per questo numero della rivista (p.e. nonviolenza, parrocchia, sessualità sono stati quelli usati anche se ne avevamo individuati diversi altri).

Al contrario del dizionario di teologia questo testo mostra i segni del tempo, proprio a causa della rapida evoluzione del quadro storico, politico, sociale, economico e antropologico.

Un testo comunque da consultare, all’occorrenza, cercandolo in biblioteca.

 

Scuola di Pace di Boves, Verso la Pace. Come imparare la pace studiando la storia, Editrice Elle Di Ci, Leumann (TO) 1988.

Questo è il primo di una serie di tre volumi che contengono le relazioni presentate da vari autori significativi nell’ambito della Scuola di Pace istituita dal Comune di Boves (CN), città martire della resistenza, dal 1986 al 1989.

I temi conduttori di questi tre anni di scuola sono stati rispettivamente la storia, la geografia e la filosofia presentate secondo l’ottica della pace.

La scuola di Boves è attiva ancora oggi, soprattutto a livello locale dove organizza incontri ed eventi sempre legati al tema della Pace. eventi sempre legati al tema della Pace. Opera molto anche nell’ambito della scuola e nell’educazione alla pace delle nuove generazioni.

Chi fosse interessato a queste tematiche e ad avere uno scambio di idee può contattare la coordinatrice della scuola, la professoressa Alessandra Liberio (alelib186@yahoo.it).

 

Città nuova, mensile di opinione del Movimento dei Focolari, Editore P.A.M.O.N., Roma.

La prima rivista che vi proponiamo nasce, in versione ciclostile, nel 1956 ma nel 1957 è già stampata in tipografia in 5000 esemplari.

Nata come strumento di collegamento tra i vari gruppi di “mariapoliti” (aderenti al Movimento dei Focolari) è diventata nei decenni una rivista per tutta la famiglia anche se tratta una pluralità di argomenti come l’economia, l’arte, la filosofia, la natura, la medicina, le scienze, la politica, la comunicazione, la religione, secondo le indicazioni della fondatrice Chiara Lubich.

Tutti questi temi vengono trattati rispettando il carisma del movimento: “la cultura dell’Unità”. Ciò significa, senza rinunciare ai valori evangelici,  evitare prese di posizione radicali, rispettare tutte le idee, anche se non condivise.

Di qui il pregio e il “difetto” della rivista: lasciare insoddisfatto chi vuole prese di posizione nette.

 

Famiglia domani, periodico trimestrale dei Centri di Preparazione al Matrimonio, Editrice Gazzetta di Asti, Asti.

La seconda rivista che vi proponiamo ha ormai cinquant’anni di storia alle spalle.

Nata per condividere idee ed esperienze tra i vari gruppi dei CPM presenti in Italia, la rivista è diventata, nel tempo, un utile strumento per la promozione della pastorale familiare.

La sua caratteristica è quella di sviluppare, nel corso dell’anno, un tema formativo specifico. Quello di quest’anno è stato il Magnificat, quello del prossimo anno sarà il Giardino dell’Eden, coniugato attraverso quattro verbi: Coltivare, Custodire, Soggiogare, Lodare.

Ogni numero contiene una serie di articoli di approfondimento ma anche un Dossier su argomenti di utilità immediata per le attività pastorali.

È possibile richiedere una copia saggio a: ghialuigi@gmail.com

 

23-SINODO: ALL’ASCOLTO DEL “CONTINENTE DIGITALE”

 

a cura della Redazione

Anche il “continente digitale” è stato coinvolto nella prima fase, quella dell’ascolto, del cammino sinodale della Chiesa (1).

Il progetto, coordinato da monsignor Lucio Adriàn Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione, si chiama “La Chiesa ti ascolta” ed è animato dai “missionari digitali"/influencer.

Ne sono stati coinvolti 244 di sette gruppi linguistici diversi: dall’inglese ai dialetti indiani e filippini. Di essi il 27% sono sacerdoti; il 10% sono suore ed il 63% è composto da catechisti e laici impegnati.

Tramite loro sono stati raccolti  110.000 questionari con 150.000 proposte.

I social network si sono dimostrati un importante canale di comunicazione bidirezionale, che raggiunge le persone dove e quando si trovano, soprattutto i più "lontani". Infatti, due terzi dei partecipanti esprimono una media o bassa partecipazione alla Chiesa Cattolica.

Nello stesso tempo, solo un quarto degli interpellati riconosce che la Chiesa "ascolta/dialoga" molto con i vari gruppi sociali.

Un’ultima considerazione: il gruppo "non mi relaziono con nessuno nella Chiesa", pur essendo una minoranza, è rappresentato dal gruppo più giovane (Millennials).

Di seguito la sintesi (2) delle proposte emerse, suddivise in quattro aree tematiche con le percentuali di ricorrenza.

 

I Orientare davanti ad una società complessa e accellerata (26%)

Il Popolo di Dio, di fronte a un cambiamento così rapido, chiede una guida. C'è sconcerto tra molte persone. Ma indicano Cristo come modello e fondamento della Chiesa al di sopra di tutto.

Anche la figura del Papa è un punto di grande riferimento.

Viene costantemente ribadito l'invito a non giudicare, in particolare le persone in situazioni di convivenza irregolare o a causa del loro orientamento sessuale, difendendo la dignità di ogni persona, come ha fatto Gesù. Chiedono di affrontare importanti controversie nella società, con una capacità di dialogo e di portare la verità di Cristo.

Chiedono di parlare e di agire con chiarezza di fronte a ciò che è ingiustificabile, come la pedofilia, gli abusi sessuali, il disprezzo per le donne, la corruzione, ecc.

 

II. Più coerenza nel comportamento verso gli altri da parte dei cristiani (17%)

Anche la richiesta di coerenza è importante. Viene espresso il valore della testimonianza, del servizio ai poveri e ai bisognosi, punto essenziale dei seguaci di Cristo. La solidarietà è stata la caratteristica più sottolineata da tutti i partecipanti come tratto distintivo della Chiesa. Si chiede anche il rispetto della diversità ecclesiale, poiché esistono diversi modi di seguire Gesù, senza acrimonia o tentativi di imporre il proprio stile. Ciò significa vivere secondo l'esempio di Gesù in ogni cosa. La cura del pianeta è un riferimento fatto dai più giovani tra i partecipanti.

 

III. Una Chiesa coraggiosa ed esemplare nelle sue strutture e procedure (37%)

C'è il desiderio di un nuovo profilo e atteggiamento di sacerdoti e vescovi, più vicini e più aperti alla partecipazione. Questo farebbe crescere anche la missione dei laici, soprattutto delle donne, all'interno della Chiesa.

È richiesto l'ascolto e il dialogo con la società senza pregiudizi e l’uscire da sé stessi per incontrare gruppi diversi.

Si chiede di cercare i giovani e i lontani, con i media giusti per loro, soprattutto quelli digitali.

Abbiamo bisogno di una Chiesa vicina, semplice, umile e non assoggettata alle potenze di questo mondo.

 

IV. Facilitare l’incontro personale e comunitario con Dio (20%)

Viene dato grande valore ai momenti di spiritualità e agli spazi di incontro con Dio, che devono essere moltiplicati.

Si sentono meno istruiti di altre Chiese. C'è un urgente bisogno di formazione alla fede, sfruttando anche il digitale e integrando gli influencers/evangelizzatori digitali come un prezioso canale di formazione per il futuro.

Si richiedono Messe che illuminino e accompagnino la vita. I partecipanti vanno a Messa regolarmente per scelta personale, non per obbligo, ma molti di loro trovano le Messe noiose. C'è il desiderio di imparare a trovare Dio negli altri e si aspira a un incontro più vero e più ampio con Dio.

Fonte: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/social-media-e-cammino-sinodale?fbclid=IwAR35_DOXov2IVDHqo4vyjZYkLP3JeO-F_qSxMDPpkkMFep5qCbY-1PzS414

Fonte: https://www.riial.org/wp-content/uploads/2022/09/Sintesi-della-conversazione-di-ascolto-Cultura-Digitale-IT.pdf

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Guardando le percentuali presenti in tabella per le varie proposte, li condividete? Come le cambiereste?

•          Nelle quattro sezioni ci sono voci che vorreste aggiungere o togliere? Perché?

 

24-LECTIO DIVINA. UNA NUOVA PROPOSTA

Carissime/i,

negli scorsi anni vi abbiamo proposto, sulla rivista e anche di persona, il metodo della lectio divina, per condividere la Parola di Dio nei vostri gruppi. Come promemoria abbiamo riportato a lato lo schema della lectio.

È proprio condividendo con voi la Parola che abbiamo colto la difficoltà a partecipare con pienezza al momento in cui siamo invitati a condividere ciò che dice il testo in sé (Lectio).

Al contrario, superato quest’ostacolo, abbiamo riscontrato una maggiore disinvoltura a condividere i due momenti successivi; cosa dice il testo a me e cosa io dico al testo (Meditatio e Oratio).

In questi ultimi due anni, causa pandemia, si è fatto molto ricorso ad Internet al punto che ora, a situazione migliorata, non ne possiamo più.

Ma in questo due anni sono in parallelo aumentate le offerte di Parola di Dio su WEB.

La nuova proposta è quindi questa: facciamo fatica a lavorare sul testo? Attingiamo a chi lo fa già.

Su Internet possiamo trovare molti commenti, sia del Vangelo del giorno sia di quello della domenica successiva.

Scegliamo il commentatore che ci è più simpatico o che ci sembra più profondo e facciamo ricorso a lui per il primo momento della lectio.

Da parte nostra abbiamo tre suggerimenti. Il primo sono i commenti di Paolo Curtaz, che seguiamo da anni (paolocurtaz.it).

Il secondo sono quelli di don Luigi Maria Epicoco (facebook.com/Epicoco), sintetici e profondi ma non disponibili in video.

Il terzo è un sito specializzato che contiene una pluralità di commenti audio e video (www.cercoiltuovolto.it).

Fate la vostra scelta ma non rinunciate a nutrirvi della Parola di Dio.

Un abbraccio da Noris e Franco

 

25-LA LECTIO IN PILLOLE

•          Prologo: consiste nell’invocazione allo Spirito Santo, la lettura del brano e la sua presentazione esegetica.

•          Lectio: cosa dice il testo in sé? Su ogni frase ciascuno condivide cosa dice il testo in sé, partendo dagli elementi portanti del brano: i verbi, gli avverbi, gli aggettivi, le qualità delle azioni.

•          Meditatio: cosa dice il testo a me? È il momento di "masticare" la Parola, perché questa interroghi in profondità la nostra vita.

•          Oratio: cosa dico io al testo? Dopo aver ascoltato la Parola di Dio, averla compresa, nasce la risposta viva che è dialogo, adorazione, lode, supplica, ringraziamento…

•          Communicatio: condivisione e missione. Ognuno sceglie una frase del testo biblico pregato e la condivide ad alta voce con i fratelli. Siamo chiamati a viverla prendendo un piccolo ma concreto impegno di conversione.

Così la nostra vita quotidiana sarà trasformata dalla Parola.

 

26-IL NOSTRO CAMPO ESTIVO

Valle di Cadore 7-13 agosto

 

di Elisabetta e Maurizio Molina

In un dialogo a due voci Betta e Mauri, coppia italiana residente in Francia, ci racconta la sua esperienza a Valle di Cadore.

 

Betta. Quando ero studentessa universitaria a Torino, ho partecipato a molti campi in Piemonte e Trentino in qualità di animatrice. All’epoca mi domandavo se mai sarei tornata ad un campo come adulta, moglie e mamma. Dopo molti anni ho risposto al mio quesito di studentessa.

Quando mio marito ha accettato la mia proposta di partecipare al campo, ero certa che sarebbe stata una bella esperienza tutta la nostra famiglia.

 

Mauri. Betta mi aveva proposto di partecipare al campo con la nostra bambina Bianca (di neanche tre anni), dicendomi che al massimo se mi annoiavo potevo “andare in bici”. Accettai perché da appassionato ciclista l’idea di fare qualche passo del Giro d’Italia mi stuzzicava e perché Bianca (figlia unica) avrebbe avuto altri bambini con cui giocare. Per il resto l’ultimo campo parrocchiale lo avevo fatto da ragazzino 38 anni fa, non sapevo cosa aspettarmi.

 

Betta. Ogni mattina noi adulti abbiamo riflettuto riguardo all’esortazione apostolica “Amoris Letizia” guidati da autorevoli relatori come i coniugi Pozzobon e don Tiziano Rossetto della diocesi di Treviso, a cui sono subentrati, negli ultimi tre giorni, Giuseppe e Monica Goisis, la cui preparazione e cultura hanno permesso importanti riflessioni condivise in piccoli gruppi di lavoro. Ad esempio posso ricordare come temi: “amare e lasciarsi amare”, “la missione della famiglia nel trasmettere la passione per la vita”.

 

Mauri. Da parte mia, ho partecipato alle riflessioni ed ai momenti di preghiera cui mi sono sentito di partecipare; alcuni mi hanno interessato, altri meno. Mi sono preso il mio tempo per fare il Falzarego ed il Giau in bici, tutti hanno rispettato la mia scelta.

 

Betta. Ogni giorno dopo queste mattinate così arricchenti, abbiamo partecipato a belle passeggiate e divertenti momenti di svago serali. Non posso dimenticare l’eccellente cibo preparato dai nostri insuperabili cuochi. A fine vacanza abbiamo portato a Grenoble un “tesoretto” di incontri, riflessioni, sorrisi e risate.

 

Mauri. Fin dall’arrivo a Villa Letizia ho trovato grande simpatia, una confusione organizzatissima, adulti veneti curiosi di conoscere la nostra famiglia “esotica” con targa francese ed accento piemontese, bambine di 6-10 anni che hanno preso a balia Bianca come una sorellina minore, bambini con cui ho giocato a calcio nelle pause e un signore (Toni Piccin) di 81 anni che mi ha chiesto durante una gita in montagna se volevo che mi aiutasse a portare lo zaino con dentro mia figlia. E non scherzava! Insomma non sapevo cosa aspettarmi ma se mi chiedessero “lo rifaresti?” risponderei sicuramente di sì.

 

27-GF VALLÀ 2022-2023

Il calendario degli incontri organizzati dai Gruppi Famiglia di Vallà è il seguente:

9 ottobre La vita di coppia e di famiglia. Rel. Silvano Bordignon.

27 novembre Il Quoelet e il tempo. Rel. don Tiziano Rossetto.

22 gennaio Quanto sono io e quanto divento. Rel. Elisa e Francesco Feletto.

26 marzo Vivere la fede tra le mura di casa e i mille impegni quotidiani.

Rel. suor Fabiola Dall'Agnol.

16 aprile Festa di chiusura

Gli incontri si terranno presso il Centro parrocchiale di Vallà, orario 15-18.

È previsto un servizio di animazione per i figli.

Info: Fiorenza e Antonio Bottero, 340 5195718, antoniobottero63@gmail.com

 

28-LA FAMIGLIA POSSIBILE DEL GIOVANE D'OGGI

Videoconferenza del prof. Guido Lazzarini

 

a cura della Redazione

Nel 2020 e nel 2021, causa pandemia, abbiamo usato come mezzo di collegamento per i Gruppi Famiglia non solo questa rivista ma anche le videoconferenze.

Tra queste ci piace ricordare quella che ha visto protagonista il prof. Guido Lazzarini, co-fondatore, con la moglie Anna della nostra realtà, che a maggio 2021 ci ha parlato su come si percepisce l’uomo contemporaneo.

Ad un anno di distanza, a fine aprile, abbiamo nuovamente avuto il piacere di ospitarlo per una seconda conferenza, idealmente in continuazione con la prima, su “La famiglia possibile del giovane oggi”.

 

Nella prima conferenza Guido ci ha presentato i fenomeni e le dinamiche sociali che, dal dopoguerra a oggi, hanno contribuito a caratterizzare gli italiani di oggi.

Ad esempio, il protagonismo odierno nasce dal ‘68 e dalla contestazione femminista, ma nel medio periodo ciò ha generato anche insicurezza, una tendenza al nomadismo: le scelte non sono mai definitive, nel lavoro come negli affetti.

Il boom economico degli anni ‘50 e ‘60 ha dato il via alla ricerca del benessere, che era inizialmente concepito come un obiettivo di lungo termine, orientato ai figli, ma che ora deve avere le caratteristiche dell’immediatezza,

Partendo da questi ed altri elementi Guido, nella sua seconda conferenza, si è focalizzato soprattutto sulle modalità con cui i giovani vivono oggi l’esperienza dell’amore e della famiglia.

Nel giro di quindici anni i matrimoni religiosi si sono dimezzati e in generale sono scesi del 35%, in compenso sono aumentate le convivenze.

Dietro ciò vi è una profonda crisi di valori: si sono persi quelli della tradizione ma quelli nuovi sono labili, mutevoli.

Il cristianesimo non manca certo di valori ma il problema è come comunicarli. Non servono più le prediche (chi le ascolta?) ma la prossimità, il saper ascoltare senza giudicare, il condividere la propria esperienza di vita senza che questa debba essere per forza un modello, serve empatia.

 

Nel prossimo numero della rivista daremo ampio spazio alla sintesi di queste due conferenze, i cui file audio e le slides sono già disponibili sul sito dei Gruppi Famiglia.

Vi vogliamo solo anticipare una piccola riflessione di Guido sull’empatia.

“Per ragioni di lavoro ho preso un treno locale, quelle littorine con il corridoio centrale e quattro posti a sede per file contrapposte. Sono salite poco dopo tre giovani nigeriane, con vestisti sgargianti, robuste, che si sono sedute accanto a me. Ero circondato da tre lati. In più queste giovani avevano utilizzato per profumarsi delle essenze molto forti che mi davano fastidio.

Avevo un forte desiderio di cambiare posto, di liberarmi dall’imbarazzo che provavo, ma poi ho deciso di restare e di impegnarmi a cercare in me quante cose in comune avevo con queste ragazze per potermi mettere nei loro panni.

Andavano a lavorare, e io facevo altrettanto. Avevano delle aspettative,  e io pure. Avevano una vita davanti, e nonostante l’età, l’avevo anch’io, ecc.

Ragionando in questo modo quando sono arrivato a destinazione il profumo non mi dava più fastidio,e ci siamo salutati con un bel sorriso”.

 

29-L’INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE E DINTORNI

In occasione dell’incontro mondiale delle famiglie del 26 giugno u.s. come associazione abbiamo collaborato - con l’Ufficio Famiglia di Torino, la Famiglia Salesiana e il Forum Famiglie - all’organizzazione del pellegrinaggio diocesano a Colle don Bosco.

L’evento, che ha potuto contare sulla presenza del nuovo arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, ha visto una discreta partecipazione da parte delle famiglie della diocesi - eravamo in 450 - ma, a conti fatti, viene da chiedermi se l’impegno personale ed economico dei vari soggetti coinvolti abbia trovato la giusta accoglienza da parte delle famiglie.

Non so come è andata nelle vostre diocesi ma l’impressione che ne ho ricavato da questa esperienza è stata quella dell’enorme difficoltà a coinvolgere le nostre famiglie.

Lo stesso si può dire del campo estivo programmato insieme alla diocesi di Pinerolo a Bessen Haut.

Individuata la casa, pagata la caparra, trovati i relatori, a metà maggio abbiamo dovuto annullarlo per mancanza di iscrizioni.

Proveremo ad approfondire meglio questo argomento nel prossimo numero della rivista.

Franco Rosada

 

30-LIBRI RICEVUTI

Giuseppe Goisis, Eiréne. Lo spirito europeo e le sorgenti della pace, Il segno dei Gabrielli editori, Negarine (VR) 2000

 

Presentare in un centinaio di righe un volume di riflessioni sulla pace di oltre 300 pagine è fuori dalla mia portata.

Preferisco presentare alcuni piccoli passaggi che possono far apprezzare al lettore la profondità e la ricchezza del testo.

 

Verità, giustizia, amore e vita

Alle radici della pace vi sono tre valori fondamentali: la verità, la giustizia e l’amore.

I valori non godono di buona reputazione oggi. I motivi sono diversi: i valori sono stati fino a ieri legati alle ideologie, e ora pagano pegno del tramonto di queste ultime; i valori sono spesso presentati in contraddizione tra loro: p.e. pace e giustizia, come fosse possibile avere una vera pace senza giustizia, o senza la sua radice di amore e verità.

Ma, soprattutto, si diffida dei valori perché vengono da molti usati come copertura per celare ben più basse intenzioni.

Un valore va incarnato e va indicata la strada per arrivare a viverlo. Altrimenti viene colto come una meta lontana, una sorta di abbellimento, qualcosa di non strettamente necessario per vivere. Prendiamo il valore della vita. È un valore centrale ma cosa significa oggi difenderlo in  un mondo in cui la vita viene ogni giorno offesa, messa in pericolo?

 

Educare alla pace

Per poter parlare di pace in modo persuasivo, la pace deve essere radicata in noi, nel nostro comportamento e anche nella vita familiare. Bisogna fa sì che le famiglie riprendano stili di vita di gratuità, abbandonando l’idea che la forza domina tutto, che l’obiettivo debba essere il danaro, il successo.

È soprattutto con i comportamenti che si può mostrare che nessun uomo va disprezzato e neppure dimenticato: questo è un insegnamento che solo con i gesti, con la semplicità e la concretezza della vita vissuta può esser evidenziato. I nostri figli sono dei giudici molto severi, essi capiranno la nostra scelta non dalle nostre parole ma dai nostri comportamenti.

È necessario mutare mente e costume, porsi nuovi stili di vita tali da manifestare la disposizione originaria dell’uomo che è esser per amare, per cooperare. Non è facile perché la nostra società propone modelli completamente diversi, dove l’efficienza, il successo, l’opulenza, la fortuna, la furbizia sono premiati.

 

Pace e povertà

Il tema della pace tocca tangenzialmente il tema della povertà. Quando la miseria porta all’emarginazione provoca uno spirito di risentimento nei popoli e nei governi che può condurre alla guerra. La guerra, a sua volta, anziché alleviare la miseria, genera una catena di rancori, di lutti, di inimicizie e di ulteriore povertà.

La Chiesa ci invita a combattere con tutte le nostre forze quel vero inferno temporale che è la miseria che soffoca, attanaglia: Il vivere del proprio lavoro, la semplicità, l’essere paghi significa testimoniare una forte dipendenza da Dio, significa testimoniar la pace.

 

Questo libro, di cui vi ho dato qualche assaggio, è un testo da leggere con calma, perché contiene molte riflessioni che, se colte, vanno ben al di là del solo tema della pace e abbracciano l’uomo in tutta la sua interezza.

Franco Rosada

 

31-IL CAMMINO SINODALE

Alla fine dell’anno pastorale appena trascorso le varie diocesi italiane hanno trasmesso a Roma e reso disponibile la sintesi del cammino sinodale compiuto.

A inizio novembre poi sarà reso disponibile l’Instrumentum Laboris per la Tappa Continentale (DTC) del camino sinodale. Proveremo a presentarvelo nel prossimo numero della rivista.

Ma il cammino sinodale è un cammino permanente, che non si dovrebbe esaurire con il Sinodo dei vescovi previsto nell’ottobre del prossimo anno.

Invitiamo quindi i gruppi famiglia interessati a questa tematica a scaricare dal rispettivo sito diocesano la sintesi della prima fase narrativa del cammino e riflettere sui suoi contenuti.

 

32-I TEMI DEI PROSSIMI NUMERI DELLA RIVISTA

Il prossimo numero della rivista, in uscita a marzo 2023, avrà come titolo: Maschile, femminile e *

in cui tratteremo di:

•          oltre il binarismo sessuale,

•          il genere e l’ideologia gender,

•          la fluidità sessuale e gli adolescenti,

•          l’accoglienza della diversità,

•          nuove relazioni uomo-donna,

•          la donna nella Chiesa.

Avendo esaurito gli argomenti da voi proposti, ci riproponiamo al più presto di sottoporvi una nuova rosa di temi.

Ci farebbe molto piacere se autonomamente ce ne voleste indicare qualcuno voi.

La mail a cui inviare i suggerimenti è: formazionefamiglia@libero.it

 

Lettere alla rivista

33-LA VITA DELLE NOSTRE COMUNITÀ

Impariamo ad accettare a far fruttificare le differenze

 

Da questo numero don Giovanni Villata, che ha curato questa rubrica dal dicembre 2018, passa la mano a padre Vincenzo Salemi.

Ci teniamo a ringraziare don Giovanni per il suo servizio mentre auguriamo a padre Vincenzo di poterci accompagnare a lungo.

 

Papa Francesco non perde occasione per lanciare appelli a favore della pace. Ma nelle nostre comunità coltiviamo la pace? A me sembra di no.

Dionigi

 

Inizierei con il precisare che pace non significa remissività a tutti i costi. Una comunità in pace può anche essere una comunità “morta”, che sopravvive a se stessa.

Se andiamo alle origini della storia della Chiesa ci imbattiamo in diversi conflitti. Pensiamo alla controversia tra Paolo e Barnaba, quando Paolo si è rifiutato di prendere con sé Marco nel suo secondo viaggio apostolico; pensiamo, in epoca patristica al conflitto tra Cornelio e Cipriano sulla questione dei “lapsi” (coloro che avevano rinnegato la fede a causa delle persecuzioni). Eppure ora la Chiesa accomuna Cornelio e Cipriano in un'unica memoria.

Venendo all’oggi, se guardiamo alle nostre comunità, vi troviamo persone con caratteri diversi, diversa formazione umana, idee e addirittura ideologie diverse.

Ci sono devozioni popolari che rasentano la magia e la superstizione, ci sono riformatori oltranzisti con idee al limite dell’“ortodossia cattolica”, ci sono conservatori che vorrebbero una Chiesa isolata dal mondo.

Personalmente mi sento cattolico come ciascuno di loro, qualsiasi devozione o  visione teologica uno abbia della vita. Sono miei fratelli, anche se la pensano diversamente da me e praticano una religiosità diversa da quella a me più congeniale.

Il vero cattolico riconosce fratelli tutti costoro, come si riconosce fratello di tutti coloro che credono in Cristo, e ora si trovano separati da noi per vecchie eresie che si fa fatica a ricordare.

Se poi chiamiamo divisioni le piccole beghe che ci sono in ogni parrocchia, penso che con un po’ di buon senso le possiamo risolvere.

È vero, esiste anche il peccato, siamo peccatori, sbagliamo e in questi casi una buona correzione fraterna farebbe bene a tutti. Nessuno si senta migliore degli altri, ma facciamo in modo che queste differenze, anziché metterci l’uno contro l’altro, ci aiutino ad arricchire vicendevolmente.

Padre Vincenzo Salemi

 

Dialogo tra famiglie

34-LA CONVIVENZA E LA PACE IN FAMIGLIA

Una scelta difficile tra libertà e armonia familiare

 

Viviamo con i miei suoceri. Loro ci hanno molto aiutati nei primi anni di matrimonio, ma ora la convivenza mi pesa. Io vorrei che andassimo a vivere da soli, ma mio marito teme per la pace familiare. Ma che pace è?

Bianca

 

La pace in famiglia è una realtà fragile, che va coltivata giorno dopo giorno.

Da quanto scrivi si capisce tu non hai più la pace nel cuore e ciò a causa della convivenza con i suoceri.

Per prima cosa cerca di capire cosa ti pesa. Non ti senti libera nelle scelte quotidiane? Avete figli adolescenti che vogliono i loro spazi? Ti sei chiesta cosa significherebbe, per loro, la vostra uscita da casa?

Una volta che ti sei chiarita confrontati con tuo marito. È giusto che lui si preoccupi di mantenere buoni rapporti con i suoi genitori, ma lui ha sposato te!

Siete chiamati ad una negoziazione, cioè a confrontarvi con sincerità ma anche con molta disponibilità per avvicinare le vostre posizioni, per chiarire i rispettivi punti di vista. E poi toccherà a tuo marito cercare di capire quanto i suoi genitori soffrirebbero per la vostra decisione.

Se il distacco deve essere radicale serve trovare un motivo valido: un trasferimento per motivi di lavoro, la necessità di una casa più ampia o con più spazi esterni, la necessità che i figli frequentino scuole non presenti nel vostro territorio.

Ma è proprio così? Non basterebbe trasferirsi in un paese vicino, in un altro quartiere, in un’altra via per risolvere il tuo problema senza procurare troppi traumi ai tuoi suoceri, senza mandare troppo in crisi la pace familiare a cui tiene tuo marito?

Anna Lazzarini

 

Per concludere

35-X INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

Il mandato missionario alle famiglie

 

Care famiglie,

vi invito a proseguire il cammino

ascoltando il Padre che vi chiama:

fatevi missionarie per le vie del mondo!

Non camminate da sole!

Voi, giovani famiglie, fatevi guidare da chi conosce la via,

voi che siete più avanti, fatevi compagne di viaggio per le altre.

Voi che siete smarrite a causa delle difficoltà,

non fatevi vincere dalla tristezza,

fidatevi dell’Amore che Dio ha posto in voi,

supplicate ogni giorno lo Spirito di ravvivarlo.

Annunciate con gioia la bellezza dell’essere famiglia!

Annunciate ai bambini e ai giovani la grazia del matrimonio

cristiano. Donate speranza a coloro che non ne hanno.

Agite come se tutto dipendesse da voi,

sapendo che tutto va affidato a Dio.

Siate voi a “cucire” il tessuto della società e di una Chiesa

sinodale, che crea relazioni, moltiplicando l’amore e la vita.

Siate segno del Cristo vivente,

non abbiate paura di quel che il Signore vi chiede,

né di essere generosi con Lui.

Apritevi a Cristo, ascoltatelo nel silenzio della preghiera.

Accompagnate chi è più fragile

fatevi carico di chi è solo, rifugiato, abbandonato.

Siate il seme di un mondo più fraterno!

Siate famiglie dal cuore grande!

Siate il volto accogliente della Chiesa!

E, per favore, pregate, sempre pregate!

Maria, nostra Madre, vi soccorra quando non ci sarà più vino,

sia compagna nel tempo del silenzio e della prova,

vi aiuti a camminare insieme al suo Figlio Risorto.

Papa Francesco