Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia

GF113 – marzo 2023

MASCHILE, FEMMINILE E ASTERISCO

Gender e femminismo, famiglia, Chiesa

 

Lettere alla rivista

1-DIVORZIATI RISPOSATI E UNIONI OMOSESSUALI

L’importanza dell’accompagnamento pastorale

 

La Chiesa oggi tende ad accogliere e accompagnare i divorziati risposati e le coppie di omosessuali. Che fine hanno fatto i peccati contro il sesto comandamento?

Eugenio

 

Penso che, prima di tutto, occorra intendersi bene su quello che Israele intendeva con: “non commetterai adulterio” (Es 20,14). Per l’Antico Testamento l’adulterio era un caso di ‘ingiustizia’, un’appropriazione indebita. La tradizione cattolica ha aggiunto  con un po’ di leggerezza, a questa iniziale interpretazione, tutti i peccati che hanno relazione col sesso.

Un esempio lo troviamo nelle varie liste che fa San Paolo come in 1Cor 6,9-11: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”.

Entrando nel merito della domanda, iniziamo dai divorziati risposati.

Un divorziato risposato è adultero solo nel caso il suo primo matrimonio sia valido e, occorre ricordare, attraverso i secoli ci sono state varie interpretazioni sulla validità del matrimonio.

Stando alla legislazione attuale, chi si trova in questa situazione è escluso dalla comunione eucaristica. Dopo Amoris laetitia le diocesi si sono attivate per proporre ai divorziati risposati percorsi di accompagnamento e discernimento. Fermo restando che il matrimonio cristiano è indissolubile, vi può essere sempre un difetto nel primo matrimonio e, comunque, penso sia un dovere di attenzione e misericordia accompagnarli pastoralmente.

Affrontiamo ora il tema dell’omosessualità. Tornando alla precedente citazione di San Paolo, va notato che egli considera la sodomia come un’aberrazione, perché la sua conoscenza dell’omosessualità è legata agli eccessi – aberrazioni – a cui questa condizione può portare. E l’aberrazione non può che essere peccaminosa.

Ma in tempi successivi, la condanna si è estesa dai comportamenti aberranti alla condizione stessa di omosessualità, considerata contro natura.

Oggi, invece, è ormai chiaro – ce lo dicono le scienze naturali e psicologiche – che questo argomento non è più valido.

Al momento il Magistero della Chiesa non riconosce formalmente le unioni omosessuali ma, allo stesso tempo, accetta la loro condizione e si rende disponibile ad accompagnarli con la carità e la misericordia tipicamente cristiani perché non perdano la fede in Dio e soprattutto la fiducia nella Sua misericordia.

Padre Vincenzo Salemi

 

Dialogo tra famiglie

2-MIA FIGLIA SI È SPOSATA CON UN’ALTRA DONNA!

L’amore tra due persone genera sempre bene, non male

 

Mia figlia si è “sposata” con un’altra donna, entrambe con tanto di abito bianco. Mi vergogno da morire. Dove ho sbagliato?

Emilia

 

Ciao, Emilia. Perché, di fronte alle scelte dei figli, adulti e responsabili, ci viene subito in mente di chiederci dove abbiamo sbagliato? Per caso non è che, consapevoli o no, ci sentiamo ‘padroni’ dei figli?

Ogni figlio/a è un mistero di libertà   che può o meno corrispondere ai nostri progetti su di lui/lei e, se non corrisponde, il nostro mito di onnipotenza ci fa sentire in colpa. Se il Padre rispetta la nostra libertà, noi, piccoli padri e madri, con che diritto vorremmo plasmare i figli secondo i nostri schemi?

La scelta può farti soffrire nel tuo intimo, ma non farti ‘vergognare’! A chi ha fatto del male? Ha indossato un abito bianco che la tradizione lo riservava alle spose vergini, ma ora fa parte solo della coreografia, non della sostanza: ciò che vale è l’amore che unisce due persone.

Spesso riteniamo peccati, e ce ne scandalizziamo, solo i comportamenti che riguardano l’uso della sessualità... Nella nostra società, in cui ormai vale solo quello che giova all’individuo e ci

interessa ben poco della sofferenza degli altri, accettiamo più o meno tranquillamente tutto ciò che è uso e/o rifiuto dell’altro per il nostro benessere; ad esempio, sfruttando il lavoro nero o accettando per giusto il “prima gli italiani” poi gli altri... e se i migranti annegano nel Mediterraneo, meglio così: avremo meno problemi!

L’amore tra due persone, anche quando esce dai nostri parametri, invece, genera bene e non male. So che non è facile, ma ti invito almeno a provare ad essere felice con loro.

Anna Lazzarini

 

In questo numero

3-L’ASTERISCO

Dalla rigida distinzione tra i sessi alla fluidità sessuale

 

di Franco Rosada

L’ultima invenzione della cultura occidentale è stata l’introduzione dell’uso dell’asterisco per indicare sia il maschile, sia il femminile sia il genere “neutro”.

Quindi, al posto di scrivere : “signore e signori” si suggerisce di scrivere “signor*”.

La proposta ha suscitato reazioni opposte: ottimo, così non discriminiamo nessuno; pessima idea, il neutro non esiste nella lingua italiana, come si può pronunciare un simbolo non alfabetico?

 

Questo è solo uno degli ultimi episodi di una controversia sul tema del gender in corso da più di trent’anni e che interpella i credenti e tocca da vicino la famiglia.

Alla famiglia tradizionale, un uomo e una donna legati dal vincolo del matrimonio con i loro eventuali figli, si sono affiancate una pluralità di forme di convivenza, le “nuove famiglie” a cui già nel 1997 Anna Laura Zanatta aveva dedicato un saggio e che Chiara Saraceno, nel 2012, in un altro testo descriveva come un caleidoscopio.

Ma, alla base di tutto, vi sono le mutate relazioni tra il maschile e il femminile.

Il movimento femminista, nell’ultimo secolo, ha fatto enormi passi avanti, colmando progressivamente il gap nei confronti del maschile. Se, a livello lavorativo, l’ambiente è ancora segnato dal maschilismo – le donne in carriera tendono ad assumere comportamenti maschili – a livello delle relazioni interpersonali i maschi sono entrati in una profonda crisi di identità.

Il femminismo, nel suo cammino rivendicativo, ha fatto suo il pensiero decostruzionista: solo “smontando le strutture di potere” – in questo caso l’impostazione maschilista della società – è possibile creare una nuova società che non discrimini nessuno, in primis il mondo femminile, ma non solo. Le donne nel loro percorso di emancipazione si sono fatte carico anche di quei soggetti che sono emarginati in base al loro orientamento sessuale.

 

Nasce così la questione del genere: essere maschi o femmine è un dato di natura o di cultura? L’essere attratti da persone dello stesso sesso è davvero “contro natura”? Ma, soprattutto, laddove il soggetto si trova a vivere in un corpo sessuato che non sente suo, perché non può cambiare la sua sessualità a livello fisico?

Qui si introduce un terzo elemento: la tecnica. Viviamo un periodo storico dove, in molti casi, la scienza viene trascinata dalla tecnica. Se una cosa è tecnicamente fattibile, perché non farla? E non sono solo le cure e gli interventi per il cambiamento di sesso, ma soprattutto la manipolazione genetica, gli ovuli congelati, la fecondazione medicalmente assistita, l’utero in affitto.

Grazie alla tecnica, il pensiero decostruzionista è andato oltre, fino al superamento dei generi, al polimorfismo sessuale, al superamento della condizione umana con il transumanesimo.

 

Nella vita quotidiana ciò ha comportato modi nuovi di vivere la famiglia, meglio, di essere famiglia. La Chiesa ha avuto difficoltà ad accogliere queste nuove realtà che escono dagli schemi sacramentali, ha avuto difficoltà ad accogliere lo scollamento della sessualità dalla generatività, preferendo rifugiarsi nella condanna e, solo ultimamente, aprendo squarci di misericordia e di accoglienza.

Siamo di fronte ad una Chiesa “fuori moda”, fuori tempo? Solo in parte.

L’esasperazione della dimensione sessuale nella relazione svilisce profondamente la relazione tra il maschile e il femminile, sia per gli adulti che per i giovani, la ricerca del tutto e subito provoca delusione e amarezza.

 

Come Chiesa siamo chiamati a mostrare la bellezza della relazione, la bellezza della comunione, che ha bisogno di tempi distesi e non di fretta.

Ciò vuol dire abbandonare la logica del dovere e quella dell’impegno, per aprirci alla logica della grazia: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sal 126,1a).

Ciò vuol dire ripensare al nostro modo di essere Chiesa, impegnandoci nel cammino sinodale mondiale e italiano.

E uno spunto può venire da un’esperienza che ha preso le mosse dalla chiesa ambrosiana: le famiglie missionarie a km zero.

Di tutto questo proviamo a parlare in questo numero.

formazionefamiglia@libero.it

 

4-BREVE STORIA DEL MOVIMENTO FEMMINISTA

 

Il femminismo della prima “ondata” chiede la parità di diritti tra uomini e donne, in primo luogo il diritto di voto.

Il femminismo della seconda “ondata” chiede il riconoscimento della differenza tra uomini e donne, attraverso leggi dedicate, come quelle sul divorzio e l’aborto.

Il femminismo della terza “ondata” chiede un’uguaglianza che vada oltre il maschile e il femminile, che promuova l’indeterminatezza del genere.

Se si teorizza che il genere è una costruzione radicalmente indipendente dal sesso, il genere stesso diventa un artificio fluttuante, con la conseguenza che un termine come uomo può significare un corpo di sesso sia femminile sia maschile, e un termine come donna un corpo di sesso sia maschile sia femminile.

Judith Butler

 

di Franco Rosada

Riprendo in questo articolo una parte   di quanto avevo scritto nel 2015 per il sussidio “Famiglia, gender e dintorni. Maschile e femminile tra umanesimo e post-umanesimo”.

L’intero sussidio è disponibile in rete sul sito dei gruppi famiglia.

 

La lotta per rivendicare la parità

Le radici del femminismo moderno possono essere fatte risalire allo slogan della Rivoluzione francese: “libertà, uguaglianza, fraternità”. Questi sono valori tipicamente cristiani ma che la Rivoluzione rilegge in modo laico e anticlericale.

Il vero decollo del movimento femminista si ha, a fine ottocento, con le suffragette, che lottavano per ottenere il diritto di voto per le donne. Solo dopo la tragedia della prima guerra mondiale le nazioni occidentali iniziarono a riconoscere tale diritto.

Le protagoniste del primo femminismo furono sostanzialmente le donne del ceto medio americano, quasi sempre benestanti, definite “regine della casa” poiché sovente disponevano di servitù cui demandare le faccende domestiche e spesso anche la cura dei figli, donne privilegiate ma soggette al marito e prive di diritti civili.

Al movimento parteciparono anche le donne operaie, seppure con istanze complementari che vennero incanalate nell’ambito del movimento operaio.

Questa prima “ondata” è stata caratterizzata da una domanda di uguaglianza tra uomini e donne (in ambito politico, lavorativo e sociale) ma oggi, dopo oltre un secolo, pur essendo quasi raggiunta la parità tra i sessi, i risultati non sono stati quelli sperati. L’uguaglianza con gli uomini ha portato, di fatto, all’assimilazione dei comportamenti maschili da parte delle donne.

A questa prima “ondata” seguì un periodo di stasi che coprì l’arco di cinquant’anni. Tra gli anni cinquanta e sessanta negli USA si sviluppò un vero e proprio culto del lavoro domestico, veicolato dalla pubblicità. L’immagine propagandata era quella della casalinga che, con i nuovi elettrodomestici, diventava “angelo della casa”.

Le donne che invece sceglievano la strada lavorativa si dovevano misurare con le disparità di trattamento e le minori possibilità di carriera.

 

Dalla parità alla rivendicazione della differenza

È da questi presupposti che prende le mosse la seconda “ondata” del femminismo che ha, come caratteristica, quella di rimarcare la differenza tra i due sessi.

In cosa consiste questa differenziazione? Quella che esiste da sempre, la “differenza sessuale”, ma fortemente radicalizzata. La donna è quindi un’alterità separata dall’uomo, vuole non avere tanto gli stessi diritti dell’uomo quanto quelli che le spettano in base alla sua differenza sessuale.

Alcune rivendicazioni non sono nuove: il diritto all’inviolabilità del corpo femminile in relazione allo stupro, alla pornografia e alla violenza sessuale. Altre vengono riformulate come il diritto alla contraccezione e il diritto all’aborto.

Questa nuova andata attinge alle idee di alcuni pensatori e filosofi del XX secolo. Difficile indicare un riferimento preciso ma, per la loro contemporaneità, questo lo si può trovare nell’esistenzialismo.

Per questa corrente di pensiero le categorie della morale come la colpa, la responsabilità, il dovere, la virtù, e simili colgono aspetti importanti della condizione umana, ma non sono sufficienti per cogliere compiutamente l’esistenza umana.

Servono altre categorie, caratterizzate dalla norma dell’autenticità, per cogliere l’esistenza umana.

Una di queste categorie è la femminilità vista non secondo l’ottica maschile (la donna nella sua inferiorità) ma dal punto di vista delle donne. Quello che il maschio coglie come mancanza nella donna è invece un luogo con una sua realtà e una sessualità ricca e molteplice.

Negli USA tutto inizia nei primi anni sessanta mentre la data simbolo per l’Europa è il 1968: l’anno di inizio delle proteste studentesche e della rivoluzione sessuale.

A questa data, per l’Italia, va aggiunto il 1970 (legge Fortuna-Baslini sul divorzio) e il successivo referendum, il 1971 (sentenza della Corte Costituzionale che ha permesso la pubblicità contraccettiva), il 1978 (legge 194 sull’aborto) e il successivo referendum.

 

Le frange più estreme di questo femminismo si sono spinte oltre, facendo loro gli sviluppi offerti dal progresso tecnico-scientifico come il diritto ad un figlio “ad ogni costo”  mediante l’uso delle tecniche di fecondazione assistita, in tutte le sue sfumature, molte delle quali sconcertanti (fecondazione eterologa anche per donne sole, la fecondazione assistita post-mortem, in menopausa, nell’ambito di coppie omosessuali; il diritto alla surrogazione della maternità anche retribuita, all’utero artificiale, alla autofecondazione della donna e alla clonazione).

 

Il gender: tra studi e ideologia

A questo punto è necessario fare una breve digressione e introdurre il concetto di gender, in italiano genere.

La distinzione tra sesso e genere nasce in campo medico anglosassone per distinguere, a livello medico, il dato anatomico dall’identità che il soggetto coglie dentro di sè.

Grazie a questi studi l’omosessualità ha smesso di essere considerata come una malattia mentale. Il femminismo fa propria questa distinzione per sottolineare che sesso e genere non siano sovrapponibili perché una cosa è il sesso con cui nasciamo e un altra l’identità sessuale che acquisiamo per via culturale e sociale.

Vale la pena citare una frase famosa di Simone de Beauvoir “Donne non si nasce, lo si diventa”, perché le femmine vengono educate fin dalla più tenera età ad essere tali, p.e. a partire dal colore degli abiti (il rosa) e dai giochi (le bambole, richiamo alla futura maternità).

La progressiva assolutizzazione del dato culturale su quello naturale dà origine a quella che in ambito cattolico viene classificata come ideologia, che si estende, come vedremo, fino al concetto di trans-umanesimo.

 

Oltre il gender: la categoria queer

A cavallo degli anni settanta e ottanta si produce una frattura all’interno del movimento femminista anglosassone. Mentre la seconda ondata del femminismo è contro la prostituzione, la pornografia, l’industria del sesso, nell’ambito della cultura gender nascono posizioni di segno contrario, non solo favorevoli alla prostituzione e alla pornografia ma anche al lesbismo, alla transessualità femminile, al sadomasochismo, ecc...

Questo confronto, che occupa circa un decennio, prende il nome di feminist sex wars e produce la terza ondata del femminismo.

Questa ondata, ancora in fase di sviluppo, riprende in parte il tema dell’uguaglianza, quindi della non discriminazione, ma con una nuova declinazione. Infatti, è caratterizzata dal superamento delle categorie sex/gender a favore della categoria queer.

Il modello di pensiero che viene contestato è quello strutturalista che afferma come la realtà sociale sia condizionata dalle “strutture” che resistono ad ogni tentativo di cambiamento e mutamento al di là delle apparenti concessioni che fanno.

Gli schemi di potere e di dominio all'interno di organizzazioni complesse tendono ad autoriprodursi e pongono l’organizzazione, o istituzione, in una condizione di autoreferenzialità che la porta a riprodurre problemi, piuttosto che a risolverli, con lo scopo preciso di consolidare e mantenere il potere nell'ambito della società nel suo complesso.

L’autore di riferimento è Michel Foucault, autore di una “Storia della sessualità” in tre volumi. Foucault, di idee anti strutturaliste, nega la naturalità della sessualità. Se prima della modernità la sessualità era regolata dalla religione e dalla morale, nella modernità il controllo passa alle scienze naturali. Ma entrambe hanno lo scopo di controllare il corpo umano e dell’umanità, con la natalità e il controllo demografico.

È partendo da questo sfondo concettuale che si passa da gender a queer.

Queer significa strano, strambo, obliquo, ed è una esaltazione della omnisessualità, polisessualità e multisessualità, dove ogni preferenza sessuale è legittimata dal solo fatto di manifestarsi.

Le idee di Foucault sono ripensate, in ottica femminista, da Judith Butler, che è la prima a proporre questa nuova categoria.

Decifrare il suo pensiero non è facile perché nei suoi scritti continuamente si corregge e si contraddice, all’interno di un’evoluzione continua della riflessione. Una parola che la caratterizza bene è “relativismo”, inteso come assenza di verità assolute, dove tutto può essere messo in discussione.

Ed è questo che l’autrice fa. Il primo punto ad essere messo in discussione è l’identità sessuale maschile e femminile. Anche se il sesso bio/anatomico sembra naturale è invece prodotto esternamente dal gender, cioè dalla cultura, dalla storia. Quindi il gender, al pari della discriminazione sessuale combattuta dalle prime femministe, è un prodotto del potere dominante.

Si tratta allora di de-costruire (smontare) non solo l’identità sessuale naturale ma anche l’identità di genere sociale. Non esistono uomini e donne, corpi maschili e femminili, ruoli maschili e femminili, ma solo “recite”, “parodie” ripetute e obbligate da codici di comportamento dominanti. Questo soffoca pulsioni e desideri nascosti, quelli che vengono considerati veri e propri tabù, in cui il soggetto potrebbe invece esprimersi. La conseguenza è il polimorfismo, la “turbolenza di genere”, la manifestazione plurale della propria identità sessuale, in una parola “queer”.

Quanto esposto sembra quasi una costruzione teorica, che al massimo può riguardare ristrette minoranze “devianti” o eccentriche, ma occorre dare tempo al tempo. Infatti, anche nel quotidiano, troviamo ampie tracce dei “valori” di questa terza ondata femminista.

La “prostituzione” come vendita consapevole e economicamente conveniente del proprio corpo è un fenomeno che trova spazio sui giornali. Senza arrivare alle “olgettine”, sono noti a tutti casi di prostituzione minorile incoraggiati dalle madri. La “pornografia” imperversa in rete. Ragazzine si riprendono o si fanno riprendere in pose compromettenti, gratis o a pagamento, salvo poi pentirsene amaramente.

Più banalmente possiamo osservare come, nell’agire quotidiano, molte donne hanno assunto gli stessi modi e comportamenti dei maschi (p.e. linguaggio sboccato, prepotenza, amoralità, freddezza).

 

Post-gender e post-queer:

il transumanismo

L’attuale e accelerato sviluppo della scienza e della tecnologia non poteva mancare di interessare anche alcuni settori del pensiero femminista. Nasce così, nello studio del rapporto tra scienza e identità di genere, la teoria cyborg. Con cyborg o organismo cibernetico si intende l'unione stabile tra un organismo biologico ed elementi artificiali.

“Il cyborg è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le categorie di genere, è una creatura sospesa tra finzione e realtà. Questa figura permette di comprendere come la pretesa naturalità dell'uomo sia in effetti solo una costruzione culturale, poiché tutti siamo in qualche modo dei cyborg. L'uso di protesi, lenti a contatto, by-pass sono solo un esempio di come la scienza sia penetrata nel quotidiano e abbia trasformato la vita dell'uomo moderno”.

Questa teoria non è propria solo di un certo femminismo ma di una più ampia corrente di pensiero che prende il nome di transumanismo o postumanesimo.

Per questi pensatori è desiderabile che gli esseri umani possano “diventare ‘più che umani’ attraverso l'applicazione di innovazioni tecnologiche come l'ingegneria genetica, la nanotecnologia, la neurofarmacologia, le protesi artificiali, e le interfacce tra la mente e le macchine”.

 

Penso che, a questo punto vi sia abbastanza chiaro perché il Magistero della Chiesa parla di “ideologia gender”.

formazionefamiglia@libero.it

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Cosa occorre ancora fare per arrivare ad avere una piena parità di genere?

•          In famiglia, i ruoli maschili e femminili sono sempre intercambiabili?

•          Quali aspetti del femminismo vi piacciono? Quali no?

•          Ci potrà mai essere un simile movimento al maschile? Con quali rivendicazioni?

 

7-FAMIGLIA, GENDER E DINTORNI

Sembra passato molto tempo, eppure il sussidio che abbiamo realizzato su questi temi è solo di sette anni fa.

La pandemia prima, la guerra e le sue conseguenze economiche poi, hanno depriorizzato l’argomento.

Resta il fatto che questi temi continuano ad essere presenti, anche se sottotraccia, ed approfondirli può essere utile, come famiglie, per svolgere al meglio il nostro compito di educatori.

Vedi: www.gruppifamiglia.it/Sussidi/Famiglia_gender_e_dintorni.pdf

 

5-L’OMOSESSUALITÀ

Nel 1970 la comunità LGBT inizia a rivendicare i propri diritti civili nei Paesi Occidentali. Questa rivendicazione ha ripercussioni anche in campo medico che fino a quel momento aveva considerato l’omosessualità un disturbo delle personalità.

Il punto di arrivo si ha nel 1990, quando anche l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS)  depenna l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali (1).

Comunque resta utile, ai fini psicologici e psichiatrici, mantenere la distinzione tra omosessualità “ego-sintonica” e omosessualità “ego-distonica”.

La prima riguarda soggetti che accettano la loro tendenza sessuale e la vivono con serenità, la seconda riguarda i soggetti che non si accettano come tali e pertanto, pur non mettendo in dubbio le preferenze sessuali, desiderano modificarli in quanto legati a disturbi a livello psicologico. In questo caso sarebbe oggettivamente controproducente, per il benessere del soggetto, non poter sottoporsi ad un intervento psicoterapico (2).

1 Fonte: cirb-online.it

2 Fonte: Valter Danna, Fede e omosessualità, Effatà editrice, Cantalupa (TO) 2009

 

6-MATERNITÀ: SÌ O NO?

Sono madre perché ho voluto e ho potuto, e non perché ho dovuto.

Quando qualche amica, arrivata alla soglia dei quaranta e inconsciamente minacciata dal ticchettio del cosiddetto «orologio biologico» mi chiede com’è, cerco di rispondere con onestà: è faticoso, è una ferita sempre aperta, è il desiderio che non soffra mai, che non debba stare mai male, è tentare di rendere ogni giorno il mondo un posto confortevole per lui.

Un figlio non è necessario. Un figlio è una possibilità che si realizza con un fortissimo atto di volontà, è imprimere un segno indelebile sulla superficie del mondo. Ed è una scelta che spesso nelle coppie viene affidata più alla donna, come se il desiderio di maternità dovesse naturalmente prevalere su quello di paternità. O come se fosse tacitamente evidente che deve essere lei a scegliere perché sarà poi lei a occuparsene in via prioritaria.

Se nel nostro Paese si fanno sempre meno figli, insomma, non è solamente perché la genitorialità non è protetta e incentivata dallo Stato (o almeno non allo stesso modo in tutte le regioni).

Credo che, semplicemente, questa domanda sia entrata nella vita delle donne, mentre in passato non esisteva.

Viola Ardone

La Stampa 18 Gennaio 2022

Sintesi della Redazione

 

8-IL FEMMINISMO DI GENERE

Dal maschile e dal femminile al genere neutro.

Una società polimorfa e la fine della famiglia biologica.

 

A cura della Redazione

Il femminismo della “terza ondata” può anche esser definito come femminismo di “genere” perché intende la parola genere non come un’alternativa più cortese alla parola “sesso” ma come espressione di ruoli socialmente costruiti.

“Il genere è una costruzione culturale: di conseguenza non è il risultato causale del sesso, né tanto meno apparentemente fisso come il sesso [… ] Se si teorizza che il genere è una costruzione radicalmente indipendente dal sesso, il genere stesso diventa un artificio fluttuante, con la conseguenza che un termine come uomo può significare un corpo di sesso sia femminile sia maschile, e un termine come donna un corpo di sesso sia maschile sia femminile” (Judith Butler).

Da ciò discende la necessità di decostruire nei vari ambiti della vita i ruoli socialmente costruiti.

 

Maschilità e femminilità

L'uomo e la donna adulti sono costruzioni sociali, mentre in realtà l’essere umano nasce sessualmente neutro e poi viene socializzato in uomo o donna Questa socializzazione colpisce la donna negativamente e ingiustamente. Si tratta allora di depurare l'educazione e i mezzi di comunicazione da qualunque stereotipo e specifica di genere, perché i bambini possano crescere senza essere indirizzati a lavori condizionati dal sesso di appartenenza.

“I sessi non sono più due ma cinque: donne eterosessuali, donne omosessuali, uomini eterosessuali, uomini omosessuali e soggetti bisessuali” (Rebecca J. Cook).

“L’educazione è una strategia importante per cambiare i pregiudizi sui ruoli dell’uomo  e della donna nella società. Dai testi scolastici devono sparire gli stereotipi di genere e gli insegnanti devono vegliare su fatto che i bambini e le bambine compiano una selezione professionale consapevole, e non basata sui tradizionali pregiudizi di genere” (Vigdis Finnbogadottir).

 

Relazioni familiari

I termini padre, madre, marito e moglie vanno sostituiti dalle parole di genere neutrale, e in prospettiva vanno eliminate le differenze di condotta e responsabilità tra l'uomo e la donna nella famiglia. Questo perché le relazioni nella famiglia basate sul sesso dei componenti sono la causa principale di un sistema sociale basato sul gender.

“La fine della famiglia biologica sarà anche la fine della repressione sessuale. L’omosessualità maschile, il lesbismo e le relazioni sessuali extramatrimoniali non saranno più scelte alternative fuori dall’ambito della regolazione statale ma saranno addirittura abbandonate: la stessa ‘istituzione delle relazioni sessuali’, in cui uomo e donna svolgono un ruolo ben definito, sparirà. L’umanità potrà finalmente tornare alla propria sessualità polimorfa perversa naturale” (Alison Jaggar).

 

Occupazioni o professioni

Vanno superati gli stereotipi per cui la società tende a privilegiare, a seconda del tipo di occupazione, l'uno o l'altro sesso.

“Nessuna donna dovrebbe poter scegliere tra lavoro, vita pubblica e famiglia. Non si dovrebbe autorizzare nessuna donna a chiudersi in casa per accudire i figli. La società deve essere completamente diversa. Se questa scelta permane, troppe donne optano per essa” (Christina Hoff Sommers).

 

La riproduzione umana

Va promossa la libera scelta in tutte le questioni relative alla riproduzione a allo stile di vita.

“Il modo in cui la specie si riproduce è determinato socialmente. Se biologicamente la gente fosse sessualmente polimorfa e la società organizzata in modo da permettere, allo stesso livello, ogni forma di espressione sessuale, la riproduzione sarebbe il risultato solo di alcuni incontri sessuali: quelli eterosessuali. La divisione netta del lavoro tra i sessi, un'invenzione sociale comune a ogni società conosciuta, crea due generi molto distinti e la necessità che gli uomini e le donne si uniscano per ragioni economiche. Contribuisce così a orientare le loro esigenze sessuali verso la realizzazione eterosessuale, e a garantire la riproduzione biologica. In società più creative, la riproduzione biologica potrebbe essere garantita da altre tecniche” (Heidi Hartmnn).

 

Tratto da: Oscar Alzamora Revoledo, Ideologia di genere: pericoli e portata. In: Pontificio Consiglio per la Famiglia: Lexicon, edizioni Dehoniane, Bologna 2003.

 

9-IL TRANSUMANISMO

Per un avvenire in cui diverremo super-intelligenti, autonomi e (possibilmente) immortali.

 

A cura della Redazione

Alcune frange del pensiero femminista non si fermano al genere ma vanno oltre, sconfinando nel post-umanesimo, una realtà dove la storia non ha più un senso e dove non esistono più verità assolute.

 

“L’uomo del futuro è una costruzione tecnologica che ridisegna un corpo ‘docile’ e disponibile alla manipolazione e lo trasforma annullando i confini tra naturale/artificiale, tra umano animale. E una mescolanza di forme di vita basate su carbonio e silicio, un miscuglio di carne e tecnologia, un corpo biologico o bionico con innesti, protesi e impianti tecnologici, ma anche un robot umanoide, con apporti biologici. È la riconfigurazione del soggetto che viene decostruito e riassemblato in senso trans-umano e post-umano. Non è né macchina né uomo, non è né maschio né femmina. Non ha né sesso né genere; è a-sessuato e de-sessuato. Non si riproduce ma si replica. Insomma è una creatura di un mondo post-genere (Donna Harataway (1)).

 

A fianco di una visione così completamente decostruita dell’umano, nel pensiero post-moderno se ne affianca un’altra: quella proposta dal trans-umanesimo.

Quest’ultimo si pone l’obiettivo di migliorare l’uomo eliminando la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento, addirittura la morte, utilizzando tutti i mezzi che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione.

 

“Assisteremo - come nostra generazione - all’utero artificiale, alla sintesi del DNA umano con implicazioni sociali, etiche e giuridiche impensabili fino a ieri. L’embrione formato in vitro si svilupperà in toto in un cabinet consentendo di evitare la tragedia delle morti per parto prematuro e rendendo inutile la maternità surrogata.

La sintesi del DNA umano renderà inutili le donazioni di ovociti e di spermatozoi potendo risintetizzare in laboratorio un gamete ed - in ultima analisi - l’uomo. Non sarà più una scienza finalizzata alla trasmissione della vita, come oggi, ma sarà una scienza che sintetizza nuove vite. Le stesse religioni dovranno riadattare le proprie narrazioni sulla genesi” (Carlo Bulletti (2)).

 

“In prospettiva, il trans-umanesimo, eliminando ogni residuo di casualità e accordando un potere illimitato all'iniziativa umana, intende porsi come uno stadio intermedio tra il retaggio animale che ancora si condiziona e un futuro totalmente inedito e immaginabile, un avvenire in cui diventeremo finalmente super intelligenti, autonomi e (possibilmente) immortali, vedendo così a costituire di fatto una nuova specie, quella post-umana. In questa fase la vita non sarà più organica, la riproduzione non sarà più biologica e gli esseri umani, così come li consideriamo ora, cesseranno di esistere perché saranno ormai entrati in una condizione virtuale, uno stadio di esistenza che si può definire solo in termini di ”semidivinità” (Tiziano Tosolini (3)).

 

Come ci possiamo porre di fronte a questo nuovo modo di concepire l’umano?

 

“L’ Homo sapiens è un essere simbolico, dotato di linguaggio duttile e flessibile. Grazie a questa condizione cognitiva l’uomo può rivedere e modificare il proprio comportamento con rapidità, conformandosi al mutare delle necessità. La nostra evoluzione, più che essere segnata dalla genetica è contraddistinta dalla cultura.

All’interno di questa unica condizione cognitiva l’uomo si relaziona al mondo mediante delle creazioni delle sue mani: gli artefatti tecnologici. Possiamo dire che la condizione umana è una condizione tecno-umana.

Alla luce di queste evidenze, per poter vivere le sfide che la tecnologia ci pone, abbiamo la necessità di guardare alla tecnologia non solo come strumento ma anche come “luogo” teologico.

Per vivere l’oggi siamo chiamati a ridire le verità di fede in modo che possano illuminare e dare senso ai “nuovi artefatti” e alle sfide che questi presentano. Siamo chiamati a pensare teologicamente la tecnologia anche per poter approfondire il mistero di Dio e la vocazione dell’uomo” (Paolo Benanti (4)).

 

1 Citata da Laura Palazzani in: Sex/gender: gli equivoci dell’uguaglianza.

2 Fonte: Fare figli. Storia della genitorialità dagli antichi miti all’utero artificiale.

3 Fonte: L’uomo oltre l’uomo. Per una critica teologica al Transumanesimo

4 Fonte: The cyborg: corpo e corporeità nell’epoca del post-umano

 

10-LE FAMIGLIE DI OGGI

Non siamo di fronte alla dissoluzione della famiglia ma alla sua profonda trasformazione.

 

Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti […] La famiglia di oggi non è ne più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse.

Emile Durkheim

L’instabilità delle relazioni non fa altro che riflettere l'instabilità dell'intera società di oggi, definita società del rischio o dell’incertezza.

Il matrimonio da istituzione sociale si è trasformato in contratto privato, è venuto meno l’interesse della società a vantaggio dell’interesse del singolo.

 

di Anna Laura Zanatta*

Negli ultimi duecento anni, nei paesi dell'Europa occidentale, si sono verificati mutamenti familiari di grande portata, che vanno dall'epoca d'oro del matrimonio all'alba della coabitazione, dalla centralità del bambino a quella della coppia con bambino e da un modello unico di famiglia a una pluralità di forme familiari.

 

Famiglie al plurale

Sempre più frequentemente i sociologi parlano di famiglie anziché di famiglia, non perché siamo di fronte alla dissoluzione della famiglia come luogo delle relazioni affettive e come gruppo sociale primario, ma a causa delle sue profonde trasformazioni.

In realtà, anche nel passato esisteva una pluralità di forme di famiglia. In Italia, fino a un'epoca non troppo lontana, la morte precoce di uno dei coniugi e l'emigrazione di massa avevano dato origine a un gran numero di famiglie con un solo genitore o formate da una sola persona (per esempio, le cosiddette vedove bianche) e di famiglie ricomposte (ben note, nel folklore e nelle fiabe, le figure del vedovo risposato e della matrigna cattiva).

Sotto questi aspetti la famiglia del passato era molto più instabile di quella di oggi ma ciò non metteva in discussione il matrimonio come istituzione, perché originati da eventi ineluttabili o involontari.

Nella società contemporanea instabilità e pluralità delle famiglie derivano invece da scelte volontarie dei soggetti coinvolti ed esprimono in misura crescente un rifiuto o un'indifferenza nei confronti del matrimonio.

Per cercare di comprendere le caratteristiche della famiglia contemporanea bisogna fare un passo indietro nel tempo.

 

L’epoca d’oro del matrimonio

Dall'inizio del XIX secolo alla metà degli anni Sessanta del XX si afferma e si consolida la famiglia moderna. È quella che è stata giustamente definita “l'epoca d'oro” del matrimonio, in cui sessualità, amore e procreazione sono moralmente e socialmente ammessi solo all'interno dell'istituzione matrimoniale.

Sul piano culturale, domina l'ideale dell'amore romantico (un unico grande amore per tutta la vita, coronato dalle nozze). Si sviluppa una nuova attenzione affettiva ed educativa verso il bambino (puerocentrismo), che ha come conseguenza l'attribuzione alle donne di un ruolo familiare e materno esclusivo.

Ma perché a un certo punto il matrimonio è entrato in crisi? Vari fattori, tra loro strettamente legati, hanno contribuito al suo declino: sul piano economico, lo sviluppo e le trasformazioni dell'economia, che hanno favorito un progressivo e massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro, rendendole economicamente indipendenti dagli uomini; sul piano socioculturale, la crescente secolarizzazione della società (il venir meno o, quantomeno, l'affievolirsi del controllo religioso sulla vita sociale e l'orientamento a considerare la fede come un fatto privato), di cui l'aumento dei matrimoni civili nel nostro paese è un segno evidente; la scolarizzazione di massa, l'emergere dei movimenti collettivi, tra cui il femminismo, che hanno messo in discussione l'autoritarismo patriarcale e il modello tradizionale di famiglia e, negli anni successivi, il diffondersi di orientamenti rivolti a valorizzare la soggettività individuale e la sfera del privato.

 

Il matrimonio d’amore

Paradossalmente, è proprio l'aver posto l'amore a fondamento del matrimonio moderno e contemporaneo uno dei fattori che hanno reso più fragile di un tempo l'unione coniugale. Nella società premoderna in cui, in tutte le classi sociali, il matrimonio era un'alleanza tra famiglie e i sentimenti degli individui erano del tutto irrilevanti, la stabilità matrimoniale era garantita appunto dagli interessi - economici e di potere - che stavano alla base di tale alleanza. Da quando il matrimonio d'amore ha preso il posto di quello combinato, le aspettative di felicità della coppia sono molto aumentate. Ma contemporaneamente è proseguito anche il declino dei valori religiosi tradizionali, insieme alla crescente affermazione della soggettività e del pluralismo delle idee, aspetti tipici della cultura contemporanea. In questo clima culturale l'unione rischia di perdere la sua ragion d'essere quando il sentimento amoroso viene meno e quindi di rompersi più facilmente di un tempo. La molteplicità dei modelli familiari esprime dunque il pluralismo culturale della società di oggi, cioè in sostanza i diversi modi di dare significato all'esistenza e di concepire la felicità individuale e di coppia.

 

Le unioni post-moderne

Si è così passati dall'amore romantico all' amore convergente, che si svincola dal legame col matrimonio, presuppone la parità tra i partner e non fa più rima con i per sempre e con l'unico e solo tipici dell'amore romantico. Viene meno quella coincidenza tra sessualità, amore, procreazione e matrimonio che era stato il fondamento della famiglia moderna. È evidente che questa trasformazione dei modelli familiari porta con sé un rischio crescente di fragilità e di instabilità, come mostra il travolgente aumento delle rotture coniugali nell'ultimo trentennio circa.

Questa instabilità delle relazioni non fa altro che riflettere l'instabilità dell'intera società di oggi, definita da autorevoli sociologi come società del rischio o società dell'incertezza. In questo contesto anche la famiglia diventa “un'impresa rischiosa”, come afferma Ulrich Beck.

 

L’influsso del femminismo

Ma l'affermarsi e lo svilupparsi dell'individualismo affettivo non bastano a spiegare le trasformazioni della famiglia contemporanea. Un fattore altrettanto importante, espressione di un mutamento storico di grande portata, sta nel cambiamento della condizione delle donne nella società, in cui si intrecciano in modo inestricabile fattori economici e culturali.

Oggi il lavoro retribuito libera le donne dalla necessità di sposarsi per sopravvivere, come avveniva in un tempo non molto lontano, almeno nei ceti medi e nella borghesia. E il lavoro - unitamente all'istruzione - dà alle donne una nuova identità individuale e sociale, che non passa più necessariamente attraverso la condizione di moglie e di madre, come avveniva un tempo. Anzi, la figura della casalinga ha perso prestigio e attrattiva. Il calo dei matrimoni, l'aumento dell'età media alle nozze, la diffusione delle convivenze e la crescita dell'instabilità coniugale sono legati anche a questo mutamento dello status delle donne.

 

Nuovo stile di relazioni

Ma non vi è una relazione diretta tra lavoro delle donne e aumento dei divorzi.

Dalle ricerche sociologiche emerge che non è tanto il lavoro in sé a creare instabilità, quanto la qualità della relazione coniugale quando anche la moglie lavora: il lavoro dà alle mogli un maggior potere contrattuale all'interno del matrimonio e può essere una fonte di conflitto coniugale perché mette in discussione i modelli tradizionali di ruolo. Una donna che lavora può negoziare un rapporto coniugale più paritario o decidere di sciogliere un vincolo giudicato insostenibile o insoddisfacente rispetto alle aspettative. Può essere invece il marito a non accettare di perdere i privilegi e il potere che la divisione tradizionale del lavoro in famiglia gli assicurava.

Possiamo individuare le caratteristiche della famiglia in due grandi trasformazioni sociali e culturali in stretta relazione tra loro: l’individualismo e la privatizzazione.

 

L’individualismo

Oggi, in tutti i campi della vita sociale il punto di riferimento non è più il gruppo, ma l'individuo. Si ha una crescente affermazione di valori quali l'autonomia individuale, la libertà di scelta, l'autorealizzazione, le aspettative di felicità personale.

L'instabilità coniugale riflette la priorità attribuita alle relazioni affettive, che implica anche la loro possibile precarietà. Zygmunt Bauman ha inventato l'espressione amore liquido, per indicare che gli uomini e le donne di oggi sono “ansiosi di ‘instaurare relazioni’, ma al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni ‘stabili’ per non dire definitive”.

Ciò non esclude la solidarietà familiare: nella società di oggi la maggior parte dei bambini cresce ancora in una famiglia composta dai propri genitori biologici, le cui responsabilità allevanti ed educative tendono ad aumentare ed esiste inoltre tuttora una fitta rete di aiuti e di sostegno nell'ambito della famiglia allargata (i nonni!).

 

La privatizzazione

Questa è una conseguenza della trasformazione precedente. Si ritiene che le regole di comportamento debbano essere cercate dentro di sé anziché fuori di sé. Le norme sociali e giuridiche non vengono più date per scontate e possono essere viste come un'indebita intrusione nella vita privata e nella sfera dell'autonomia individuale.

Sul piano familiare, una prima conseguenza di tale privatizzazione è il venir meno della coincidenza tra relazione di coppia e istituzione matrimoniale: si diffondono forme di unione diverse o alternative rispetto alle nozze (convivenze o unioni di fatto) e le nascite fuori del matrimonio.

Una seconda conseguenza è la tendenza alla trasformazione del matrimonio da istituzione sociale in contratto privato, stipulato non più nell'interesse della società e della famiglia intesa come unità, ma del singolo individuo per il raggiungimento della propria felicità e quindi revocabile se e quando questa finalità viene meno. Si riduce il controllo dello Stato sui modi in cui le unioni si formano e si sciolgono.

Tuttavia esiste anche una tendenza opposta, verso la pubblicizzazione della famiglia, cioè un aumento dell'intervento dello stato per regolare le conseguenze sociali delle scelte familiari compiute dagli individui, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra genitori e figli, in nome dell'interesse superiore di questi ultimi.

L’attenzione dello Stato si sposta dal rapporto coniugale al rapporto genitoriale.

In questa tendenza verso la pubblicizzazione rientra anche la crescente domanda di riconoscimento sociale e giuridico di situazioni familiari non regolate dalla legge, quali le famiglie ricomposte, le unioni di fatto, eterosessuali ma anche omosessuali.

 

Per concludere

In base a quanto scritto fin qui, ci troviamo di fronte ad un ritratto della famiglia contemporanea dai contorni contraddittori e incerti. Si accentua la crisi del matrimonio e si diffondono modi di vita di coppia diversi da quella coniugale, ma la famiglia resta un valore essenziale e prioritario, per gli adulti e per i giovani, come risulta da tutte le inchieste di opinione. Questa famiglia cui viene attribuito un valore così alto ha però cambiato volto: non si identifica più in modo esclusivo con il matrimonio, ma ha assunto una molteplicità di aspetti.

Però la condizione preferita dalla maggior parte delle persone è quella della vita in coppia, sposata o non sposata. E quindi, più che di crisi della famiglia in generale, è più corretto parlare di crisi di un certo modello ideale di famiglia che, se mai esistito, la realtà ha spazzato via.

* sociologa

Tratto da: Le nuove famiglie, il Mulino, Bologna 2008.

Sintesi della Redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quanto conta la volontà della donna nella scelta tra matrimonio e convivenza?

•          Quanto la nascita di un figlio pesa nel consolidamento dell’unione?

•          A vostro avviso, per la società oggi contano più i figli (generatività) o la solidità dell’unione matrimoniale (stabilità)? Perché?

•          A quali condizioni il matrimonio è ancora “per sempre”?

 

11-IN CONTROTENDENZA

L’8 Dicembre del 1988, Festa dell’Immacolata Concezione, ci siamo sposati e, da subito… anzi, ancor prima, abbiamo desiderato formare una famiglia numerosa.

Durante la crescita dei nostri 4 figli (Daniele che ora ha 33 anni, Beatrice 31 anni, Sofia 25 anni e Maria Gaia 22 anni), ci siamo accorti che l’Amore si moltiplica…  abbiamo deciso di far sentire il calore della famiglia  anche a chi non l’aveva, attraverso l’affido: Nicola per pochi mesi, Alexander per un anno, Roxy per un breve periodo, ed ora Valentina e Giuseppe che sono tuttora con noi da 15 anni.

Spesso nella quotidianità eravamo mortificati dall’ignoranza dei passanti che vedendoci con 4 bimbi, con le loro frecciatine ci offendevano: “sono tutti vostri?”, “non avete la TV?”, e altro ancora… E il dover sempre motivare che era una scelta la vivevamo da parte loro come un’invadenza inopportuna.

Poi abbiamo conosciuto l’Associazione Famiglie Numerose e le cose sono cambiate.

Ora potevamo confrontarci con chi viveva la nostra stessa esperienza e il confronto e lo scambio ci è stato di grande aiuto.

Il ricordo più bello che ci portiamo di quell’incontro è quando, nelle presentazioni dove tante famiglie dicevano di avere chi 6, chi 5, chi 8, chi anche 10 figli, per la prima volta nella mostra vita ci siamo trovati a dire: abbiamo solo 4 figli…

Finalmente ci siamo sentiti una famiglia normale! E lì abbiamo visto la bellezza dell’Associazione: una famiglia di famiglie extra-large.

Claudia e Alfredo Caltabiano

Fonte: https://www.famiglienumerose.org/presidente-claudia-e-alfredo-caltabiano/

 

12-POLITICHE FAMILIARI: predicare bene, razzolare male

Se analizziamo i dati reali sulle concrete politiche per la famiglia, ci troviamo di fronte ad una oggettiva marginalità delle azioni pubbliche a favore della famiglia, con un effetto paradossale.

Una retorica della centralità del valore famiglia molto potente, a volte anche folcloristica e stereotipata, ma la presa d’atto che la famiglia, quando si tratta di spendere soldi pubblici o di garantire equità, conta poco o niente.

Verrebbe quasi da pensare ad un processo mentale per cui “visto che le famiglie italiane sono cosi forti e salde, non c’è bisogno di preoccuparsi per loro. Sono addirittura capaci di farsi da sé il welfare!”.

Così, le famiglie italiane a livello europeo sono quelle che generano maggiori reti di solidarietà informale, che producono capitale sociale prezioso, che si rigenera, con reti di solidarietà aperte anche a “non parenti”, contrariamente ad una certa retorica pregiudiziale sul “familismo amorale”.

Ma se confrontiamo la percentuale di PIL investito nelle politiche per la famiglia, l’Italia presenta uno spread rispetto alla media europea pari ad un punto percentuale.

L’Italia spende circa l’1,4%, mentre la media europea è tra il 2,3% e il 2,4% (e alcuni Paesi sfiorano il 4%). In parole povere, per essere in linea con lo standard europeo, alle politiche familiari nel nostro Paese mancano tra i 15 e i 17 miliardi di Euro. E mancano alle politiche della casa, al sostegno diretto alle famiglie con figli, alle politiche per il lavoro giovanile.

Francesco Belletti

Fonte: https://www.lombardia.cisl.it/wp-content/uploads/2018/01/FAMIGLIA-E-POLITICHE-FAMILIARI.pdf

 

13-CHIESA E MATRIMONIO

Da Arcanum divinae sapientiae ad Amoris laetitia e oltre

 

Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita... è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento. CCC n.1601

È facile conoscere quanta rovina abbiano arrecato i connubi celebrati profanamente, quanta siano per arrecarne alla generale comunità degli uomini. ADS

Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande. EG n.235

Un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. AL n.305

 

di Antonio G. Fidalgo*

Nel corso della storia del cristianesimo, la Chiesa cattolica ha generalmente mantenuto inalterabile l'essenza o la realtà del matrimonio e della famiglia, affermandoli come realtà umane santificate in modo peculiare dalla venuta di Gesù Cristo, e allo stesso tempo ha saputo lasciare spazio a determinate evoluzioni nella comprensione e nella stessa realizzazione socioculturale di entrambe le realtà.

Partendo da Arcanum divinae sapientiae per arrivare ad Amoris laetitia mi limiterò ad evidenziare le continuità e le novità che troviamo nei documenti del Magistero sulla famiglia negli ultimi 140 anni.

 

La continuità

Proverò a mostrare come si passa, nel corso del tempo, da un'affermazione piuttosto difensiva del valore del matrimonio e della famiglia a un'affermazione piuttosto propositiva.

La massima continuità si trova a livello dottrinale, anche se le linee pastorali mutano a fronte di realtà e contesti storici differenti.

Nei primi due documenti, Arcanum divinae sapientiae e Casti connubi, il contesto è presentato o percepito come molto avverso, ed è per questo che la posizione pastorale è piuttosto quella di difesa e il tono è apologetico. Invece, a partire dal Vaticano II, si passerà ad un atteggiamento pastorale più dialogante e comprensivo delle sfide epocali.

Per quanto riguarda la continuità dottrinale, gli elementi principali potrebbero essere sintetizzati come segue.

Il matrimonio è per diritto naturale (perché creazione diretta di Dio) un'istituzione che comporta unità e perpetuità tra un uomo e una donna, giacché è sigillata da un legame indissolubile dal punto di vista umano; poiché il suo obiettivo è rappresentare l'unità esistente tra Cristo e la sua Chiesa, quindi in modo sacramentale, con lo scopo di propagare il genere umano e generare figli per la Chiesa.

Al centro c'è sempre l'amore coniugale (pur inteso in modi diversi), da cui derivano le conseguenze per i rapporti tra gli sposi; rapporti che, pur variando a seconda dei contesti epocali, portano alla base quella dignità comune che entrambi devono rispettare reciprocamente.

La realtà sacramentale del matrimonio eleva i dati naturali a un livello soprannaturale, il che significa che solo la Chiesa può vigilare e legiferare su di esso. L'ingerenza di qualsiasi altra istituzione umana che cerchi di legiferare sul matrimonio e sulla famiglia è un'interferenza deviante.

 

Le novità

Per quanto riguarda le novità o cambiamenti di prospettiva, potremmo sintetizzarli come segue.

Nei due documenti anteriori al Vaticano II, la prospettiva era quella di opporre l'ordine soprannaturale della grazia al disordine del peccato manifestato nelle rivendicazioni del mondo civile, naturalistico ed eretico. Nulla che venisse dal mondo con quelle pretese di autonomia poteva essere buono, quindi doveva essere completamente respinto.

Le teorie e le pratiche contrarie alla dottrina classica erano viste, semplicemente, come qualcosa contro natura.

A partire dal Vaticano II l'atteggiamento pastorale è cambiato. Si è passati da un confronto difensivo a un dialogo aperto, con una certa tolleranza verso la cosiddetta autonomia delle cose terrene.

I principi sono sempre stati mantenuti. La differenza è che prima, anche quando si consideravano alcune difficoltà nel viverli o nel metterli in atto, non veniva generalmente offerta alcuna soluzione, se non quella di dare priorità all'applicazione di questi principi. Ora, si tratta di aprire spazi di discernimento per vedere fino a che punto si potrebbe o non si potrebbe agire, anche considerando che si potrebbe agire senza dover in ogni caso peccare o che tale azione non sia necessariamente considerata un atto contro natura.

Il Concilio lascerà comunque irrisolti problemi che altri due documenti dovranno affrontare, la questione della paternità/maternità responsabile (Humanae vitae) e la situazione dei divorziati risposati e dei nuovi matrimoni (Familiaris consortio).

La fermezza dottrinale - talvolta una certa rigidità - è mantenuta, ma è accompagnata da gesti di comprensione e di misericordia verso coloro che «falliscono» nel rispettarla e nel volerla attuare.

Questo si vede chiaramente sia in Paolo VI sia in Giovanni Paolo II.

Caratteristica ugualmente presente in Amoris laetitia, anche se in questo caso la misericordia diventa il criterio con cui rileggere la realtà alla luce non solo o principalmente della dottrina ma del Vangelo.

La dottrina viene rispettata ma non applicata direttamente, mediata da un processo di discernimento che prende sul serio la realtà delle persone e la loro fragilità e rispetta l'azione diretta delle loro coscienze.

 

Le caratteristiche di Amoris laetitia

Il criterio seguito da Amoris laetitia segue la linea personalista utilizzata del Vaticano II, focalizzandosi sulla centralità dell'amore comunionale.

Da un punto di vista veramente cristiano, quando si tratta di assumere e affrontare le varie sfide impegnative della realtà, non siamo mossi dall'amore per la verità ma dalla verità dell'amore. Questo è la novità introdotta da papa Francesco. La differenza non è un semplice gioco di parole, ma la chiave di volta della rivelazione cristiana. Non amiamo la verità come formulazione astratta e dottrinale né come principio che deve regolare la vita pratica né qualcosa di simile ad essa. Amiamo solo la verità che l'amore stesso è in grado di suscitare e sostenere, perché solo l'amore è credibile e solo la sua verità è ciò che ci rende liberi.

Lo sguardo dell'amore comunionale svela prospettive di verità anche in mezzo a luoghi che sembrano solo oscurarla. Ecco perché partiamo da un approccio ampio a queste situazioni, riconoscendo, ad esempio, che, sebbene alcune forme di unioni alternative all'unione coniugale autentica talvolta contraddicano radicalmente l'ideale del matrimonio cristiano, altre «lo realizzano almeno in modo parziale e analogo» (AL 292).

Dare priorità alla via dell'amore significa dare priorità alla prospettiva della grazia. Cioè la prospettiva dell'amore che non giudica mai, ma salva amando, purifica incorporando, guarendo se necessario. La grazia che riconosce che l'essere umano, anche nella sua debolezza e delusione, può sempre essere in grado di cercare e compiere il miglior bene possibile come parte di un processo dì crescita e maturazione della vita.

Con questo criterio la priorità è data alla coscienza di fronte a qualsiasi norma.

Il rispetto della coscienza, la sua considerazione positiva e propositiva, insieme alla sua inviolabilità, è qualcosa che dobbiamo riconoscere anche a quelle persone che hanno prospettive diverse dalla nostra, al di là delle credenze e delle ideologie. Non si tratta di un'alternativa tra norma e coscienza, ma di riconoscere a quest'ultima, sempre in relazione alla prima, priorità e principalità (cfr. AL 305).

 

Un nuovo punto di partenza

Così come a suo tempo si disse che il Vaticano II non era solo un punto di arrivo, ma piuttosto un punto di partenza per il processo di necessario rinnovamento della Chiesa, così si può dire che Amoris laetìtia sia un nuovo punto di partenza nel cammino del magistero ecclesiale nella comprensione del matrimonio e della famiglia. Non possiamo restare con ciò che viene suggerito e proposto in essa, perché anche se importante è ancora insufficiente. Proponiamo quindi tre chiavi per proseguire in questo cammino.

 

Una visione olistica

Con l'appellativo olistico si intende una visione del “tutto” visto come un unicum e non come la somma delle parti di cui è composto. Con la prospettiva olistica si tratta di cercare di apprezzare la complessità della realtà nelle sue parti e nelle sue interazioni, in modo da poter percepire e valutare meglio tutte le possibili interazioni, particolarità e processi, che solitamente non vengono percepiti se si studiano separatamente gli aspetti che compongono la totalità.

Con questa prospettiva si può non solo spiegare meglio la realtà ma soprattutto di accompagnarla nelle sue configurazioni in modo più adeguato. Si recupera il classico principio che dice che il tutto è maggiore della somma delle parti, assunto come sappiamo da papa Francesco, accompagnato dall'immagine del poliedro come modello esplicativo (cfr. EG 234-237; AL 4).

E importante ricordare che per questo paradigma la centralità non è la totalità ma la relazionalità. L'assoluto, in qualche modo, si esprime nelle relazioni, nelle interconnessioni, che restano sempre parte di un processo dinamico e costantemente aperto.

 

Ripensare il sacramento

A partire da questa prospettiva, l'intero settenario sacramentale dovrebbe essere ripensato, riconoscendo che non tutti i sette sacramenti sono uguali nella loro importanza e significato teologico-dogmatìco.

II sacramento del matrimonio non esiste solo nella misura in cui vengono date alcune formule o condizioni oggettive, bensì nella misura in cui la profondità dell'amore umano è valorizzata e sostenuta, perché attraverso di essa si manifesta la grazia, che è l'amore di Dio o, se si vuole, Dio in quanto amore, che chiama e sostiene un'esistenza nell'amore.

Per questo si comprende che la missione per eccellenza della Chiesa è di incoraggiare e sostenere « azioni pastorali tendenti ad aiutare i coniugi a crescere nell'amore e a vivere il Vangelo nella famiglia» (AL 208).

Di conseguenza, si deve affermare che solo dove c'è amore c'è un vincolo e solo dove c'è amore permanente c'è un vincolo permanente; e, quindi, dove quell'amore, per tante ragioni, non esiste più come tale, il vincolo cesserà di esistere. Ma a volte quell'amore potrebbe rinascere e il vincolo essere ricostruito, rafforzato (cfr. AL 124).

Da qui si dovrebbe andare verso comprensioni e realizzazioni del matrimonio e della famiglia come espressioni di amore profondamente fedele e creativo. C'è matrimonio e c'è famiglia dove questo amore si assume, si vive e si celebra. Non c'è criterio più basilare di questo, tutto il resto è aggiunta.

 

Testimoniare il matrimonio cristiano

Occorre allora ricordare che il messaggio cristiano non si impone, ma si propone con amore, con rispetto, con profonda convinzione, con atteggiamento di dialogo, propositivo.

La realtà è e sarà sempre una sfida e un'opportunità per cercare i modi migliori per realizzare il regno di Dio. Sapendo che nessuno di questi potrà mai realizzarsi completamente in questa storia e che le realizzazioni saranno sempre provvisorie, per cui le forme storiche non possono essere dogmatizzate o standardizzate.

La saggezza profetica del vangelo dell'amore e della famiglia, più che dottrine inamovibili e forme fisse intransigenti, richiede apertura alla realtà che permetta al matrimonio e alla famiglia di essere luoghi di vera umanizzazione.

Che il matrimonio e la famiglia siano un bene umano personale e sociale essenziale è generalmente accettato. Ciò che viene messo in crisi non sono queste realtà ma piuttosto certi modi e stili di configurarle. È lì che il vangelo dell’amore e della famiglia potrà sempre fornire non solo criteri per aggiornare dette realtà ma, fondamentalmente, testimonianze di una modalità messa a servizio di una vita sempre più umanizzata e liberatrice.

* teologo

Tratto da: Matrimonio e famiglia. Da Arcanum divinae sapientiae ad Amoris laetitia, Edizioni Paoline, Milano 2022

Sintesi della Redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Manifestando apertura verso i divorziati risposati la Chiesa è venuta meno ai suoi principi?

•          Di fronte ad una coppia di divorziati risposati sapreste indicar loro a chi rivolgersi per un cammino di riconciliazione con la Chiesa?

 

14-TITOLI E CONTENUTI

Interessanti sono alcuni accenti che si possono percepire nei nomi dei documenti. Ad esempio, Leone XIII dovette combattere due sfide forti come la legalizzazione del matrimonio civile e il divorzio, e lo fece riproponendo i principi che la sapienza divina, fin dall'antichità, offriva al riguardo (Arcanum divinae sapientiae consilium).

Pio XI dovette invece affrontare nuove sfide, come quella di una sessualità al di fuori del matrimonio e non orientata alla procreazione, insistendo sul valore della sessualità solo all'interno del matrimonio e sempre presentando come più elevata la castità e la verginità (Casti connubi quanta sit dignitas).

Il Vaticano II  parla del matrimonio e della famiglia in sintonia con le gioie e le speranze del mondo moderno (Gaudium et spes), cercando di offrire il suo immutabile contributo in mezzo ai mutamenti della storia.

Paolo VI affronterà il tema del dovere oggettivo nella trasmissione della vita (Humanae vitae) come parte integrante della libera e responsabile collaborazione degli sposi al progetto di Dio.

Giovanni Paolo II farà fronte direttamente alla questione della famiglia (Familiaris consortio), più che mai sfidata dai cambiamenti epocali, e su come la Chiesa dovrebbe aiutarla perché si mantenga nei valori di sempre.

Fino ad arrivare, con Francesco, alla necessità di evidenziare la gioia dell'amore (Amoris laetitia) come cuore del matrimonio e della famiglia, nonostante le crisi.

Questi accenti riflettono da un lato la preoccupazione della Chiesa di andare ai fondamenti, e dall'altro la varietà di prospettive e approcci per farlo.

Antonio G. Fidalgo

 

15-COMPASSIONE E MISERICORDIA

«Lo sguardo che noi rivolgiamo alle realtà del mondo contemporaneo, sguardo che vorremmo sempre carico della compassione e della misericordia insegnataci da nostro Signore Gesù Cristo, non si ferma a individuare errori e pericoli. Certo, non può trascurare di notare anche gli aspetti negativi e problematici, ma si rivolge subito a individuare vie di speranza e a indicare prospettive di fervido impegno per la promozione integrale della persona, per la sua liberazione e la pienezza della sua felicità [...]. La sfida, che la cultura contemporanea rivolge alla fede, sembra proprio questa: abbandonare la facile inclinazione a dipingere scenari bui e negativi, per tracciare percorsi possibili, non illusori, di redenzione, di liberazione e di speranza [...]. La grazia del Signore, capace di salvare e di redimere anche questa epoca della storia, nasce e cresce nei cuori dei credenti. Essi accolgono, assecondano e favoriscono l'iniziativa di Dio nella storia e la fanno crescere dal basso e dall'interno delle semplici vite umane che diventano così le vere portatrici del cambiamento e della salvezza [...]. Quanto più l'umanità si trova lontana ed estranea rispetto al messaggio evangelico, tanto più dovrà risuonare forte e persuasivo l'annuncio della verità di Cristo e dell'uomo redento in Lui. Certo, si dovrà fare sempre attenzione alle modalità di questo annuncio, perché l'umanità non lo avverta come invadenza e imposizione da parte dei credenti. Al contrario, sarà nostro compito far sì che appaia sempre più chiaro che la Chiesa, portatrice della missione di Cristo, si prende cura dell'uomo con amore. E lo fa non per l'umanità in astratto, ma per questo uomo concreto e storico».

San Giovanni Paolo II

Tratto dall’Udienza ai partecipanti al congresso della Conferenza mondiale degli Istituti secolari, Castel Gandolfo, 28 agosto 2000

 

16-L'ENCICLICA "HUMANAE VITAE"

Il documento, che a suo tempo provocò il divorzio di molte donne dalla Chiesa, riletto oggi risulta attuale come denuncia della disumanizzazione crescente insita nella scissione radicale tra la sessualità e la procreazione.

 

di Anne-Marie Pelletier*

 

L’enciclica Humanae vitae, è risaputo, costituisce un punto di polemica acuta, anche se ora la società si trova a dibattere su nuovi temi bioetici, le cui sfide sono via via più estreme.

Probabilmente si dovrà un giorno rivisitare la storia di questo testo che ha segnato in molti casi il divorzio delle donne dalla chiesa.

 

Una sorta di scisma

Nel pieno delle effervescenze dell'anno 1968, la pubblicazione dell'enciclica  che legiferava sulla contraccezione produsse uno sisma. Coinvolgeva in primo luogo le donne cattoliche, ma prendeva simultaneamente in contropiede l'evoluzione di cui l'insieme delle donne stava traendo beneficio.

Tutt'a un tratto, alle coppie cattoliche veniva vietato esplicitamente qualsiasi pratica contraccettiva, con il motivo che la contraccezione, rendendo "intenzionalmente infecondi" gli atti coniugali, contravverrebbe al principio sostenuto dalla Chiesa, secondo cui "qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita".

L'atteggiamento delle dissidenti, del resto, non dipendeva tanto da una volontà ribelle quanto dalla convinzione - di coscienza - che il bene, in materia, non poteva essere formulato nell'indifferenza alla loro vita e alle loro aspirazioni. Eppure, oggetto di una crescente focalizzazione, l'adesione all'Humanae vitae diventava criterio di fedeltà alla Chiesa, allo stesso titolo di un articolo del Credo.

Ancora oggi, cinquant'anni dopo, la questione torna alla ribalta sotto una forma polemica pressoché immutata, tirando di nuovo in ballo il processo della coscienza soggettiva contro la legge morale della chiesa, riproponendo l'affermazione della contraccezione come disordine... che espone alla dannazione!

Senza porre domande alle motivazioni antropologiche dell'argomentazione - in particolare al modo in cui il testo intende e contrappone "natura" e artificialità - ci limiteremo a una sola osservazione. Riguarda un fatto talmente massiccio da accecare lo sguardo e restare dunque ignorato: l'assenza delle donne - intendiamo della loro parola, dunque della loro esperienza, dunque anche della loro memoria carnale - nell'elaborazione e nella risoluzione finale di un testo la cui incidenza primaria concerne il loro corpo, il loro rapporto con la vita e ovviamente la loro relazione con il maschile!

L'enciclica non poteva che risuonare come una nuova occorrenza di un'autorità maschile che, sotto tutti i cieli, si adopera a controllare la sessualità delle donne.

 

La subalternità femminile

Perché, osiamo ridirlo, a essere in gioco in tale questione è tutta una memoria femminile fatta di sottomissione a un destino in cui l'imposizione di gravidanze a ripetizione ha alienato la vita di generazioni di donne, facendo sì, del resto, che fino al XIX secolo dare la vita esponesse spesso a perdere la propria. Memoria di un inesorabile assoggettamento del corpo delle donne alla sessualità maschile.

Impossibile tacere, inoltre, quella che fu in ambiente cristiano, per secoli, un'ostetricia indegna, indifferente alla sofferenza delle partorienti, con l'aggiunta - colmo della perversione - della giustificazione pseudo teologica di una necessità di partorire nel dolore, poiché tale sarebbe la volontà divina espressa in Genesi 3.

Non vanno dimenticate, in tal senso, le reticenze dell'autorità ecclesiale quando i progressi della medicina permisero nel secolo scorso di alleviare il parto dal suo destino di dolore.

La comparsa di una contraccezione efficace permetteva tutt'a un tratto di superare tale memoria del corpo femminile, che resta ancora esperienza di milioni di donne in varie parti del mondo.

Si dovrà un giorno trovare il modo di ricontestualizzare l'Humanae vitae, sia nel suo tempo iniziale, sia nel nostro tempo. Il che implicherà il fatto di ascoltare finalmente le donne su questo tema, perlomeno in parti uguali con gli uomini.

 

Le sfide eugenetiche

Ricontestualizzare il testo nel suo tempo, anzitutto: perché il modo di trattare in esso della contraccezione non è evidentemente senza rapporto con le politiche di controllo demografico e di eugenismo che si praticavano nel mondo degli anni sessanta, in particolare in Cina o in India, con una modalità insopportabilmente liberticida e di cui le donne sono le prime vittime. Ricontestualizzazione ugualmente nel nostro mondo contemporaneo: perché la distanza nel tempo permette chiaramente di misurare la minaccia di disumanizzazione insita nella scissione crescente tra la sessualità e la procreazione, che il testo magisteriale denuncia con vigore. In questo senso, evidentemente, esso deve poter esercitare la sua capacità di interrogare le nostre pratiche.

In particolare, ricontestualizzare nel nostro tempo significa misurare la minaccia di disumanizzazione insita nella scissione crescente tra la sessualità e la procreazione, che il testo magisteriale denuncia con vigore. In questo senso, evidentemente, esso deve poter esercitare la sua capacità di interrogare le nostre pratiche.

Si aggiungerà che l'attualità dell'Humanae vitae sta anche, in modo inatteso, nella risonanza che il testo riceve da parte di donne che si dichiarano oggi sempre più preoccupate di una pratica più "ecologica" nel rapporto con il loro corpo, in quanto ritengono di essere state troppo a lungo aggredite da una contraccezione chimica.

Il che, tuttavia, non implica la rinuncia a una contraccezione efficace. Perché è chiaro che questa svolta nel comportamento non deve nulla - se non marginalmente - a un'attenzione che sarebbe rivolta tutt'a un tratto alla parola del magistero della Chiesa.

Il ricorso alla contraccezione è irreversibile. Ciò che è oggetto di dibattito concerne invece i mezzi. Ora, su questo punto, la Chiesa potrebbe avere un ruolo essenziale. Non sotto la forma di una consegna brandita come una legge inoppugnabile, ma promuovendo una paternità/maternità capace di discernimento e di responsabilità, particolarmente in un mondo in cui le offerte della scienza in materia di procreazione pongono dei problemi etici crescenti.

In ogni caso, il rendez-vous con la Chiesa fu mancato nel 1968. Nessuno percepì allora che la Chiesa poteva educare alla responsabilità personale, osare far fiducia, pur nello sforzo di illuminare le coscienze, prima di sapersi ritirare discretamente, come del resto invita a fare ormai papa Francesco designando altre realtà in cui la missione attende i cristiani. Il che non esclude ovviamente un impegno attivo nei temibili dibattiti antropologici e bioetici che si aprono costantemente nella nostra attualità, e nei quali una parola della Chiesa non svuotata di credibilità avrebbe un posto molto utile.

 

* biblista

Tratto da: Una comunione di donne e di uomini, Edizioni Qiqajan, Magnano (BI) 2020.

Sintesi della redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          A vostro avviso, quando la contraccezione si configura come peccato grave?

•          Quanto conta la coscienza individuale rispetto al dettato del Magistero?

•          Condividiamo la riflessione dell’autrice sulle sfide eugenetiche attuali?

 

17-IL METODO BILLINGS

Il Metodo Billings è un metodo contraccettivo naturale e si basa esclusivamente sulla rilevazione quotidiana, da parte della donna, di un unico indicatore di fertilità: il “sintomo del muco” che rispecchia in modo preciso le caratteristiche modificazioni della secrezione prodotta dal collo dell’utero per effetto della stimolazione degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone).

Ogni donna può riconoscere con facilità l’andamento del sintomo del muco facendo attenzione, durante lo svolgimento delle sue normali attività, alla sensazione percepita a livello vulvare.

Per imparare correttamente il metodo dell'ovulazione Billings non si può procedere da autodidatta, né affidarsi alla lettura di un manuale, ma è necessario rivolgersi ad una insegnante diplomata e abilitata da uno dei centri regionali riconosciuti dal Centro di Coordinamento Nazionale presso il Centro di Studi sulla Regolazione Naturale della Fertilità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

L'insegnamento, che viene svolto come volontariato presso consultori, centri e al domicilio delle insegnanti, è completamente gratuito e viene rivolto a:

- coppie, per l'attuazione di una procreazione responsabile nel contesto della proposta di uno stile di vita, che valorizza l’amore, il dialogo, la condivisione;

- adolescenti, giovani e donne per una conoscenza più adeguata del proprio corpo e dei ritmi naturali della fertilità umana.

L'insegnante del metodo Billings è sempre una donna, che per l'esperienza personale del "sintomo del muco cervicale", unico parametro su cui si basa il metodo, è particolarmente adatta ad insegnare la rilevazione ad altre donne. L’attenzione concentrata su un unico sintomo porta la donna ad una percezione chiara, semplice, puntuale e precisa del periodo di potenziale fertilità e dei periodi di non fertilità, garantendo un corretto apprendimento del metodo Billings.

Fonte: https://www.confederazionemetodinaturali.it/il-metodo-dell-ovulazione-billings/s81e0db31

 

18-LA TERAPIA DELLE COCCOLE

Liberare la sessualità dai suoi eccessi

 

Oggi la sessualità viene caricata, anche attraverso i media, di attese, di richieste e di ruoli che non le competono.

Sia la paura del femminile nella società maschilista sia la negazione del maschile in certa cultura femminista risentono di una logica di sopraffazione reciproca.

 

di Pietro Balestro*

Oggi, per cause davvero molteplici, si sta instillando capillarmente l'idea che solo la fruizione sessuale sia qualificante per una relazione davvero intima e duratura; o che il piacere a essa connesso possa essere sganciato da qualsiasi ingaggio personale. L'erotismo è ormai una presenza quotidiana ossessiva, uno strumento di sopravvivenza: il carpe diem di questo inizio millennio.

Oggi i tipi di produttività e di organizzazione sociale connessi alla nostra

società dei consumi si portano inevitabilmente a un vivere anonimo e massificato, facile preda di condizionamenti e suggestioni.

 

Il bisogno dell’altro

Nella situazione di disperdimento dell'individuo in un'organizzazione che lo fagocita, l'unica strada per ritrovare se stessi, cioè il senso del proprio valore, è quella del rapporto individualistico.

L'esigenza di avere la propria donna o il proprio uomo non è soltanto, come una volta, l’esigenza di trovare qualcuno per la gratificazione affettiva o per mettere su famiglia, ma di ritrovare se stessi specchiandosi in una persona per cui si conta come “quel qualcuno” a prescindere da ciò che si fa; una persona che ci riconosce in mezzo all’anonimia in cui si affoga.

L'incontro individuale diventa una necessità vitale per la singolarità, per la propria sopravvivenza come qualcuno.

In questa tensione di contare per la persona che ci riconosce e in cui ci si riconosce, è inevitabile che i gesti di approfondimento dell'intimità vicendevole diventino spasmodici, frettolosi, ossessivi. L'intimità sessuale può allora essere inconsciamente caricata di quest’anelito di redenzione dall’anonimia, un disperato tentativo per non tornare a perdersi.

 

L’erotismo perfetto

Da questo punto di vista, non è azzardato asserire che oggi la sessualità viene inconsciamente caricata di attese, di richieste, di ruoli che non le competono direttamente e che complicano la comprensione delle sue istanze più proprie.

Inoltre si aggiunge il martellamento industrializzato verso queste forme di recupero.

Il sistema alienante, più o meno consciamente, invoglia la gente a ritrovarsi in espressione intimistiche, a ricostruirsi (a proprie spese) una volontà di vita e un bagaglio di interessi in facili intrecci amorosi come pure in altri miti.

Così spinge, con tutta la macchina divulgativa, alle esasperazioni dell'erotismo perfetto, del piacere, dell'orgasmo (divenuta autentica ossessione per molte persone), della libertà individualistica.

In una ricerca del 1992 sulla sessualità femminile risulta che il 85% di esse vorrebbe “dopo aver fatto l'amore restare abbracciata al partner per ore a parlare” mentre il 70% ritiene che “le coccole e le tenerezze siano più importanti del raggiungimento o meno del piacere”. Però il vissuto sessuale maschile è ben diverso.

Proprio per questo motivo i due sessi, che dà sempre si attraggono a causa - sembra - proprio delle loro diversità, devono apprendere anche a unirsi tramite queste diversità.

 

Il maschile contro il femminile

Sarà pertanto utile ricordare, anche solo per accenni, le diversità psicologiche tra maschio e femmina onde pensare il loro unirsi sessuale in tutto lo spessore esistenziale da cui proviene.

Non è facile parlare di questo argomento perché è segnato da preconcetti difficili da demitizzare e da situazioni storiche e culturali che condizionano il reciproco modo di viversi da parte dell'uomo e della donna.

Le società maschiliste descrivono la psicologia maschile o femminile in un modo mentre gruppi di rivendicazioni femministe in un altro.

Può essere utile fare qualche esempio. Nella filosofia greca era diffusa l'idea che la donna fosse un uomo mancato, un uomo che non era giunto alla pienezza della sua perfezione. Questa idea si ritrova in tutta la scienza del Medioevo, anche presso uomini profondi e rivoluzionari come Sant'Agostino e San Tommaso.

Questo modo di pensare è ancora presente in certi luoghi comuni riguardo le donne.

D'altra parte, nei tempi del nascente femminismo si enfatizzarono le peculiari capacità femminili fino a contrapporre un mondo delle donne come alternativo a quello maschile: “Il figlio lo avrò; ma da sola: giusto il tempo di scegliere chi vorrò io; il fuco migliore”. Questo pensiero descrive bene il desiderio di diventare mamma senza un marito.

Sia la paura e la nienteficazione del femminile nella società maschilista sia la negazione del maschile in certa ( ma solo “in certa”) cultura femminista risentono del medesimo meccanismo: una contrapposizione in cerca di sopraffazione reciproca.

Parliamo quindi delle differenze.

 

Prendere e lasciarsi prendere

La prima osservazione da fare è scontata: il bisogno sessuale del maschio ha la sua scaturigine primaria da una logica di sfogo, di emettere qualcosa che preme già (anche se non solo) a livello fisico; quella femminile invece da una struttura di ricezione e di incorporazione.

Mentre l'atto sessuale maschile è uno sfogo l'atto sessuale femminile è strutturalmente diverso: è la ricezione di uno sfogo. Non è una parte di sé da abbandonare ma, al contrario, è qualcosa da incorporare: è tutto il suo corpo che accoglie, che fa posto in sé.

Anche la donna desidera sessualmente, forse più del maschio, ma è un desiderio diverso da quello maschile. Mentre questo si indirizza in prima istanza al fatto sessuale in sé (sintomatico può essere che le zone erogene del maschio siano inferiori in estensione e in numero a quelle della donna), il desiderio femminile si accompagna al bisogno di totalità: prima del sesso la donna incontra la persona che deve essere giudicata degna di meritare il suo dono. Raramente la donna prende solo per prendere: prima di accogliere, la donna giudica; prima di consegnarsi, valuta.

La donna non è presa ma si lascia prendere! Chi la prende è già da lei preventivamente preso, attraverso un giudizio di valore e di significanza affettiva.

Quando i due si uniscono nella carne, vi è una reciproca tensione fisica, caricata ormai di tante dimensioni psichiche e spirituali. Lei si spalanca a lui come agognato suo amore da incorporare e conservare: gli fa posto dentro perché la possegga in quanto “già suo”, si impadronisca di lei perché lui è “di lei”, parte di se stessa.

E tutto in lei è in posizione di accoglienza: non solo l'anatomia sessuale, bensì anche tutto del suo corpo, dalle braccia che se lo rinserrano sul corpo, alle gambe che lo invitano ma contemporaneamente lo tengono, al pensiero che naufraga nel vortice orgasmico dell'estasi finalmente raggiunta nell'intimità più totalizzante.

Tocca davvero a ognuno di noi non volgarizzare un fatto così totale e in sé esclusivo. Le volgarità derivanti da nostre immaturità evolutive (e industrialmente strumentalizzate) non devono oscurare la tendenzialità intrinseca a ogni anelito sessuale. Senza fare astratte mistiche dell'amplesso sessuale, va comunque combattuta la tendenza a ridurlo semplicemente a una frizione di due corpi in cerca di piacere neurologico. Questa resta pur sempre una soddisfazione, ma è davvero poca cosa di fronte al tanto che invece va sprecato quando lo si intenda solo così.

*filosofo e psicoterapeuta

Tratto da: La terapia delle coccole, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993.

Sintesi della Redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Quanto conta la dimensione sessuale nella nostra relazione di coppia?

•          In che misura condividiamo i nostri bisogni e desideri con il partner?

•          Quali strumenti usiamo per educare i nostri figli ad un uso positivo della sessualità?

•          Come abbiamo vissuto la sessualità nella nostra adolescenza?

 

19-GLI ADOLESCENTI OGGI: LIBERI MA FRAGILI

Oggi non ci sono più riferimenti obbligati, ognuno si può comportare come gli piace, finché gli piace.

 

Di fronte ad una società con il mito della prestazione proviamo a ripensare le parrocchie come luoghi di riposo e cura della fatica quotidiana.

 

di Domenico Cravero*

Capita di leggere, nelle analisi degli intellettuali sui fatti della cronaca giovanile, l’insistenza su quel distacco comunicativo, che è facile incontrare quando i giovani si osservano dall’esterno, senza incontrarli e apprezzarli.

Spesso, questa strana patina di un mondo a parte, questa radiazione malinconica di anaffettività, viene interpretata come la conseguenza dell’egemonia tecnologica del nostro tempo.

Il mondo ipermateriale starebbe togliendo la sensibilità, il nutrimento dell’anima. Il lato oscuro del progresso imporrebbe una regressione dei costumi: la stimolazione della sensorialità, la perdita della sensibilità.

I giovani parlano poco di sé e per lo più lo fanno in luoghi e momenti scarsa- mente visibili nella società, che appare loro lontana e assente.

La bell’età merita innanzi tutto conoscenza diretta: ascolto e attenzione all’esperienza di vita che i giovani fanno. La riflessione va posta al vissuto degli adolescenti, non rassegnandoci a ridurre il malessere collettivo, oggi diffuso e palpabile, a disagio personale da curare con psicofarmaci e sedute terapeutiche. Possiamo interpretare quell’impressione di vivere in un mondo separato, che gli adolescenti a volte trasmettono, come una forma di stanchezza.

 

Una stanchezza interiore

C’è una stanchezza che ti prende quando senti di non farcela più (a casa, a scuola, nel mondo); c’è uno stress che ti blocca le forze, ti fa rintanare nel chiuso della stanza, che amplifica la compulsione dei richiami del mondo. C’è anche però la possibilità di farsi curare dalla stessa stanchezza, di ascoltarla con attenzione e imparare la sua lezione.

Per la prima volta nell'evoluzione della nostra cultura, le nuove generazioni sono lasciate la loro destino, alla “libera” evoluzione di un’autonomia sempre più svincolata da orientamenti sociali, vincoli etici, da luoghi e appartenenze identitarie.

La rottura con la tradizione è evidente. Il primato è assegnato all'esposizione e alla distinzione della propria persona: non ci sono riferimenti obbligati, ognuno si comporti come gli piace, finché gli piace.

Alla società concepita gerarchicamente si sostituisce la società delle libertà, materialmente intese e affidate al criterio della socializzazione autoreferenziale. L’offerta generosa della massima libertà contiene, in realtà, un doppio inganno. Il primo è quello di presupporre che l’adolescente sappia veramente cosa vuole, ma questo, nel lungo arco dell’età evolutiva, non sempre è possibile.

Solo vivendo, gradualmente per tentativi ed errori (che poi si pagano sempre), si scopre che cosa veramente si voleva e si cercava. L’autonomia personale è una meta a caro prezzo, non il dato di partenza. Il secondo inganno riguarda il ritorno di un obbligo molto più invasivo di quello della società autoritaria.

Se hai la possibilità di fare tutto ciò che vuoi ma poi non la sfrutti e non realizzi il top delle tue possibilità, la colpa cade su di te. La società è salva, tu sei dannato. La società delle libertà, in realtà, è la società della prestazione.

 

La società della prestazione

La nuova fragilità giovanile è la conseguenza di questa libertà paradossale. Le nuove generazioni vivono il terrore di non essere all’altezza delle aspettative che sentono che qualcuno ha su di loro (che siano i genitori, gli insegnanti, il bullo di turno, non cambiano le dinamiche). “Mi dicono che posso farcela e quindi devo farcela”.

L’obbedienza alle regole etiche, civili e religiose è sostituita da un’altra obbedienza: quella di corrispondere all’obbligo assunto con se stessi di fare di più, di reggere la pressione di conformità, di adeguamento alle attese.

Il mito dell’autorealizzazione, del farsi da sé, ha un conto salato. La fatica non ha limiti, perché la prestazione è sempre incompleta, migliorabile. Rimane sempre un po’ di delusione, quando si è in competizione con se stessi. Ti viene ribadito che per chi vuole nulla è impossibile; quindi non c’è pace, devi massimizzare la prestazione.

Quando non ce la fai più, sei costretto a fermarti e a prendere atto dei tuoi sintomi: depressione, deficit di attenzione, dipendenze, perdita del desiderio, ossessione per il cibo, cognitive overflow syndrom (quando si ricevono troppi stimoli cognitivi e non si riesce a prendere una decisione), disturbo border dove confluiscono tutte le fratture affettive (paura dell'abbandono, sensazione cronica di vuoto, comportamenti autolesivi e impulsività, instabilità e conflittualità), burn out (sensazione di “essere fuori”).

 

Imparare dalla stanchezza

C’è un fermarsi che coincide con lo schianto personale, ma c’è anche una stanchezza che ti spinge a fermarti, a prenderti cura di te stesso,che ti apre alla capacità di attenzione profonda, apre lo sguardo a una vita altra.

Per sottrarsi alla dinamica del fare e del correre, che sono i verbi imposti non dalla libertà ma dalla prestazione, si può imparare a indugiare, a non rispondere immediatamente agli stimoli. Così si può acquisire la capacità di uno sguardo che si sottrae alla iper-attenzione breve e veloce della società, per diventare consapevoli e competenti sugli stimoli che si ricevono senza averne consapevolezza. È un elevarsi dell’anima.

 

Zone di silenzio

Una buona regola è quella di mantenere ”zone di silenzio” durante l’attività quotidiana, di cercare qualche frammento almeno del silenzio della natura che è assai simile a quello che si avverte nell’interiorità emozionale.

Questo silenzio non è mai “vuoto” ma è vivo e abitato, come quello che gli adolescenti colgono spontaneamente nei campi estivi, nei ritiri e anche in certe celebrazioni.

La creatura umana è l’unico animale che sa di dire “no” ai suoi impulsi, perché non vive di istinti. Il dovere sociale di reagire al timore di perdere la stima degli altri, di quelli che si aspettano tanto da noi ma non sempre per il nostro bene, è un giogo pesante.

La libertà è scomoda e comporta l’indipendenza dalle pressioni sociali del marketing che si scatena soprattutto sugli adolescenti (i nuovi possibili clienti da fidelizzare quanto prima).

Sarebbe un buon servizio alla stanchezza di oggi pensare le parrocchie come luoghi di riposo e di cura della fatica. Abbiamo molte opportunità: un oratorio con tanto gioco e poco sport, un catechismo che comprende sempre con un tempo di silenzio prolungato, una messa con tempi distesi, uno stile celebrativo che invita alla pace interiore.

Soprattutto il silenzio della comunione, come vero invito alla contemplazione, perché il silenzio liturgico è cosa viva, alla massima intensità.

Da dove, se non di lì, si alimenta l’educazione cristiana alla libertà?

Si può pensare la parrocchia come uno spazio che invita a gustare il piacere della calma ed educa al fascino della libertà dalla prestazione (sportiva, scolastica, sociale, a volte anche sacramentale).

Sono solo degli spunti, appena una briciola di ciò di cui i ragazzi hanno bisogno. Possiamo però cominciare di lì, perché almeno questo è in nostro potere, ancora.

*parroco, sociologo e psicoterapeuta

Tratto dal settimanale: La Voce e il Tempo, Torino, 30 ottobre 2022

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Cogliamo nei giovani che conosciamo quella “stanchezza interiore” di cui parla l’autore?

•          Quanto anche noi siamo vittime della società della prestazione? Come reagiamo?

•          Quanti spazi di silenzio ci sono nelle nostre celebrazioni liturgiche o sono anch’esse condizionate dall’urgenza del “mondo”?

 

20-LA CHIESA DI FRONTE AD UNA NUOVA EPOCA

Oggi non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca. papa Francesco

 

Da un cristianesimo dell’obbligo e dell’impegno ad un cristianesimo della grazia.

 

di Enzo Biemmi*

Il nostro cristianesimo e la nostra fede oggi vivono una stagione di passaggio.

In Italia vi è ancora un gruppo ancora relativamente alto di persone che si dice anagraficamente cattolico e compie alcuni gesti religiosi (60% in Italia secondo le ultime indagini), altri/pochi sono passati o stanno passando a una fede più personale e consapevole. Il nostro cristianesimo ha un piede nella cristianità e un altro nella postmodernità.

 

Dalla convenzione alla convinzione

La parrocchia e la sua pastorale vivono di conseguenza una situazione di transizione. Tutto l’impegno pastorale che siamo chiamati a mettere in atto è proprio quello di prendere per mano le persone che vengono dal cristianesimo di tradizione e di accompagnarle verso una situazione nuova: da una fede di convenzione a una fede di convinzione.

In questo lavoro avverranno delle inevitabili perdite: avviene cioè lo ‘smaltimento’ progressivo di chi è cattolico solo per anagrafe. Ci sono ancora vescovi, parroci e catechisti che moltiplicano i loro sforzi pastorali per riportare le cose come erano prima del 1960. Si tratta, in questo caso, di una generosità pastorale mal orientata, che può condurre solo alla delusione e alla frustrazione. Il mondo che abbiamo alle spalle non ci sarà mai più.

Siamo invitati a rivedere la figura di fede che abbiamo ricevuto e che in modo inconsapevole noi comunichiamo agli altri nella nostra missione, cioè il modo con cui noi interpretiamo il cristianesimo, stabiliamo il nostro rapporto con Dio, lo traduciamo in atteggiamenti e orientamenti di vita.

 

Il cristianesimo del dovere.

Noi veniamo da un cristianesimo del dovere. Dire fede cristiana era dire fondamentalmente tre cose: la dottrina (le cose che bisogna sapere); le pratiche religiose (le funzioni a cui bisogna partecipare, in primis la messa domenicale, sotto pena di peccato mortale; confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a Pasqua); i comandamenti (quello che si deve fare e non si può fare). Al centro c’era il dovere. Questo modo di concepire e vivere la fede era in sintonia con una cultura dell’ordine, una società gerarchicamente costituita, nella quale si era educati a onorare gli imperativi, ad assolvere con fedeltà i propri compiti, ad eseguire gli ordini ricevuti.

Questa è anche la figura di fede che ha portato molti ad allontanarsi dalla Chiesa, soprattutto i giovani.

 

Il cristianesimo dell’impegno

Dopo il Concilio si è sviluppata un'altra figura di fede nata: il cristianesimo dell’impegno, delle cause, delle sfide umanitarie e sociopolitiche, delle organizzazioni caritative, del servizio verso i più poveri. Eravamo in un contesto caratterizzato da una grande fiducia nello sviluppo umano, dall’ottimismo rispetto a quello che la forza di un uomo può fare, all’immagine di un futuro caratterizzato dal progresso inarrestabile e dal benessere. Oggi noi siamo i cristiani allo stesso tempo del dovere e dell’impegno, dei comandamenti e della generosità senza limiti.

Ora questo modo di intendere la fede non risulta più attraente, non è più sentito come rispondente alle esigenze profonde delle persone di oggi, noi compresi. Perché? Perché siamo in crisi rispetto a quelle due culture caratterizzate dal dovere e dall’impegno.

Al dovere è subentrata la libertà, all’onnipotenza il senso del limite. La cultura del dovere ha lasciato spazio a quella della libertà, con il rischio, certo, di una libertà vuota.

Oggi la cultura dell’impegno ha fatto emergere un desiderio più pacato di cura, prima di tutto per se stessi, per la natura, per il futuro del nostro pianeta, per la nostra umanità. Con il rischio, certo, di ripiegamento sul soggetto e sul suo benessere individuale (narcisismo).

 

Quale fede?

Quale figura di fede sarà dunque oggi culturalmente abitabile, per noi e per le persone che incontriamo? Il problema non è infatti solo per gli altri, ma prima di tutto per noi. Quale fede può farci vivere questo tempo del disincanto, della riscoperta della fragilità umana, del rischio della disumanizzazione, della perdita di memoria e di speranza? Quale fede può reincantare la cultura occidentale dopo il disincanto?

Papa Francesco ha portato il baricentro della fede su un altro punto fermo, che non è né il dovere né l’impegno.

Basta guardare i titoli dei suoi tre testi programmatici: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa»(AL). Dire ‘il vangelo della gioia’ per parlare dell’evangelizzazione (EG). Esprimere un sussulto di lode a Dio per il dono della casa comune (LS). Parlare di ‘letizia dell’amore’ per i legami familiari e esultare per la vita cristiana che siamo chiamati a vivere (la santità feriale del quotidiano).

Tutto questo traccia i lineamenti di una fede che scaturisce da un evento di grazia, irrompe nell’esistenza senza meriti, ci raggiunge precedendo ogni nostra prestazione morale e ogni nostro generoso impegno, e per questo ci rende gioiosamente grati. È sentirsi donati a se stessi, per una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita” (AL 296-297). Questa nuova figura di fede è un cristianesimo della grazia.

 

Il cristianesimo della grazia.

La fede nel segno della grazia si basa sull’esperienza di un amore incondizionato. Tutto ci è donato: il vangelo, la casa comune da custodire, l’amore di coppia e familiare. Questa esperienza connota di gioia (certo non di spensieratezza) la missione della Chiesa (evangelizzare), la cura del creato e la vita umana in ognuna delle sue espressioni. È dunque la fede nella possibilità di vivere con speranza, perché siamo preceduti e custoditi. Questo non per le nostre forze, ma per grazia.

Una fede così non ci chiede di rottamare nulla di quanto abbiamo avuto nella nostra formazione, né la strutturazione morale che ci è stata data (di cui siamo grati), né la generosità e l’impegno a cui siamo stati allenati. Ma li trasfigura.

Non ne fa il punto di partenza, ma l’eco grato di vite segnate dalla gioia evangelica, anche nel buio e nella sofferenza, perché salvate. Così, la riscoperta di una fede non basata sulla paura (da cui il dovere) né sui meriti (da cui l’impegno) ma sulla riconoscenza, non solo non rende irresponsabili o disimpegnati, ma moltiplica la responsabilità e la generosità, perché chi ha sperimentato di essere amato è spinto a non sciupare un dono così prezioso ed è in grado di fare della propria vita un dono per gli altri: un dono di riconoscenza per ciò che gratuitamente si è ricevuto e che solo donandolo gratuitamente si conserva.

Siamo chiamati ad entrare in un orizzonte di grazia, di gratuità e di gratitudine. Paradossalmente, è solo quando nella nostra vita i conti non tornano più, quando non abbiamo più nulla da esibire davanti a Dio, quando a lui non siamo in grado di presentare se non le nostre povertà, allora è possibile che muoiano dentro di noi le immagini degli idoli e finalmente possa farsi luce il volto di Dio Padre, il misericordioso.

Qualsiasi rinnovamento della pastorale non avrà esito se non avremo operato questa conversione e non saremo entrati in un orizzonte di grazia, quella grazia che ci rende responsabili e impegnati. In noi le persone hanno bisogno di vedere riflessa la gioia di una fede che ci porta alla testimonianza gratuita e all’impegno. Non una fede legata ai doveri e al volontarismo delle nostre forze. Solo la nostra conversione di fede alla grazia potrà sorprendere e riavviare altre persone alla fede.

* Teologo e catecheta

Sintesi della Redazione.

Fonte: http://www.psmassuntacastellarano.it/wp/wp-content/uploads/2012/05/Epoca-di-cambiamenti-....pdf

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Nel sacramento della riconciliazione, quanto di ciò che confessiamo risente di una morale del dovere o dell’impegno? È giusto o è sbagliato?

•          Una fede fondata sulla grazia come si concilia con il dovere e l’impegno? È più facile o più impegnativa?

 

21-LA PARROCCHIA È ANCORA IN GRADO DI GENERARE LA FEDE?

 

di Livio Tonello*

Di fronte alla domanda del titolo è su quell’“ancora” che vorrei anzitutto porre l’attenzione.

 

La parrocchia tridentina

La parrocchia che conosciamo ha svolto per oltre quattro secoli la funzione di rappresentazione e di istituzione del soggetto Chiesa. Ora non sembra più in grado di assolvere tale compito. Ma è crisi o una fase di transizione?

Propendo per quest’ultima ipotesi confermata dal fatto che la parrocchia non è mai stata uguale a se stessa nel corso dei due millenni. Dal Concilio di Trento in poi abbiamo vissuto una fase molto lunga di consolidamento di un modo territoriale e locale di essere Chiesa.

Dobbiamo sfatare il mito della parrocchia come forma esaustiva di comunità cristiana e di responsabilità totale in ordine alla fede. Per esempio, sulla intonazione missionaria, dobbiamo constatare che la parrocchia che conosciamo non si è originariamente percepita come “missionaria”. Il Concilio di Trento le ha assegnato l’incombenza della conservazione della fede attraverso la residenzialità del parroco, la celebrazione dei sacramenti, la territorialità, l’attenzione ai singoli fedeli (cura animarum)... La situazione odierna di progressivo dissolvimento del cristianesimo sociologico le chiede di assumere altri compiti: primo annuncio, risveglio della fede, attenzione al sociale, valorizzazione della fede elementare...

 

La parrocchia oggi

Sul versante operativo ci chiediamo cosa debba fare una parrocchia.

La risposta sembra ovvia: generare alla fede. Ma anche qui la situazione è cambiata rispetto al passato e per rimanere fedele al suo ruolo vanno riviste le prassi.

Pensiamo alla iniziazione cristiana, alle celebrazioni liturgiche, alla responsabilizzazione dei laici. Sono ambiti spesso nominati, ma come pensarli in modo che la parrocchia sia in grado “ancora” di svolgere la sua funzione?

Se deve essere missionaria non può pensare di consolidare il presente per preservarlo dalla erosione. Tuttavia facciamo tutto come se fossimo ancora in un tempo di cristianità.

I percorsi del diventare cristiani non sembrano dare risultati? I ragazzi in ogni caso se ne vanno sia con il metodo catechistico che con quello iniziatico? Molti genitori non trasmettono più la fede ai loro figli?

Nella prassi antica il diventare cristiani era frutto di una scelta, di una conversione, di una presa di posizione.

Abbiamo il coraggio di dire che si diventa cristiani solo in età adulta? Possiamo ipotizzare di dare i sacramenti a tutti coloro che lo chiedono senza il sospetto di un “ricatto formativo” nel chiedere un percorso previo, ma predisponendo in ogni caso un cammino per la crescita integrale dei ragazzi e delle persone che ne recepiscono l’importanza?

Potremmo suggerire che prima ci si sposa davanti al sindaco, si matura un progetto di vita e poi si celebra il sacramento in chiesa? E via dicendo con queste provocazioni.... ma nemmeno tanto.

 

La parrocchia di domani

La parrocchia del futuro va pensata come promessa di felicità

Ciò che è relativo alla fede e al Vangelo stimola la parrocchia a muoversi su più fronti, ma non potrà ottemperare a tutte le richieste. Per alcuni compiti ci vogliono professionalità e competenza. Non basta più il solo volontariato, la disponibilità, il buon senso.

Pensiamo all’accoglienza dei migranti, alla direzione delle scuole dell’infanzia, alla gestione degli immobili, alle normative sulle manifestazioni culturali, alle incombenze burocratiche... Inoltre, di fronte alla molteplicità delle proposte pastorali, non si può che prevedere una polarizzazione formativa, gestionale, culturale, sportiva... dei servizi in modalità dislocata, favorita dalla collaborazione tra gruppi di parrocchie. Le risorse di ognuna confluiscono in specifici poli ecclesiali di offerta di “servizi” inerenti alla missione stessa della comunità. La logica non può essere del “tutto dappertutto” ma del “tutto nell’insieme”.

La facilità con la quale le famiglie nel quotidiano si spostano per afferire ai centri di interesse favorisce l’organizzazione di una presenza ecclesiale di qualità dentro una omogeneità geografica.

Non dimentichiamo che la parrocchia rimane la soglia popolare di ingresso alla fede. Non richiede nessuna tessera di adesione, non promette una esclusività qualificata, ma solo di lasciarsi condurre a Cristo, a partire dal battesimo.

La soglia non segna un confine ma una breccia da attraversare che assicura il legame tra il prima e il dopo, tra la ricerca e la scelta, tra io e Dio. Per questo rimarrà come forma di Chiesa, anche se quella del futuro non esiste ancora, perché va pensata come una promessa per il futuro, una promessa di felicità radicata nell’avvenire, e non solo quello ultraterreno.

 

* direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova.

Sintesi della redazione

Fonte: La difesa del Popolo, domenica 18 dicembre 2022

 

22-MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ

Per un dialogo sulla questione del gender nell’educazione

 

Questo continuo oscillare tra il maschile e il femminile non rispetta coloro che vivono l’indeterminatezza sessuale sulla loro pelle.

 

Congregazione per l’Educazione Cattolica

 

Oggi la missione educativa si trova di fronte alla sfida che emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo.

Al contrario, la visione antropologica cristiana vede nella sessualità una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’amore umano.

Per orientare e sostenere su questi temi i credenti che sono impegnati nell’educazione dei giovani (genitori, insegnanti, animatori, consacrati) proponiamo una metodologia fondata su tre atteggiamenti: l’ascolto, la riflessione, la proposta.

 

L’ascolto

Non si può negare che nel corso dei secoli si siano affacciate forme di ingiusta subordinazione che hanno tristemente segnato la storia, e che hanno avuto influsso anche all’interno della Chiesa.

Condividiamo quindi sulla necessità di educare bambini e giovani a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione, affinché nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste. Si tratta di un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto.

Condividiamo anche la necessità di promuovere i valori della femminilità che sono stati evidenziati nella riflessione sul gender.

La donna è in grado di comprendere la realtà in modo unico: sapendo resistere alle avversità, rendendo la vita ancora possibile pur in situazioni estreme e conservando un senso tenace del futuro.

Al contrario, alcune teorie gender – le più radicali – sostengono il primato della cultura sulla natura. Con questo atteggiamento, identità sessuale e famiglia divengono dimensioni della “liquidità” e “fluidità” post-moderna: fondate solo su una malintesa libertà del sentire e del volere piuttosto che sulla verità dell’essere.

Di qui discende il concetto di “non discriminazione”: la difesa delle differenti identità diventa rivendicazione della piena identità: tutte le relazioni sono famiglie e hanno gli stessi diritti, negando la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna.

 

La riflessione

La differenza sessuale tra uomini e donne è comprovata dalle scienze, quali, ad esempio, la genetica, l’endocrinologia e la neurologia.

Da un punto di vista genetico, le cellule dell’uomo (che contengono i cromosomi XY) sono differenti da quelle della donna (il cui equivalente è XX) sin dal concepimento. Del resto, nel caso dell’indeterminatezza sessuale è la medicina che interviene per una terapia.

Il tentativo di superare la differenza costitutiva di maschio e femmina, come avviene nell’intersessualità o nel transgender, porta ad un’ambiguità maschile e femminile, che presuppone in maniera contraddittoria quella differenza sessuale che si intende negare o superare. Questa oscillazione tra maschio e femmina diventa, alla fine, una esposizione solo “provocatoria” contro i cosiddetti “schemi tradizionali” che non tiene conto delle sofferenze di coloro che vivono in una condizione indeterminata.

Anche l’analisi filosofica mostra come la differenza sessuale maschile/femminile sia costitutiva dell’identità umana.

La formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto immediato con il “tu” diverso da me riconosco l’essenza del mio “io”. Nella famiglia il confronto con la madre e il padre facilita il bambino nell’elaborazione della propria identità/differenza sessuale. Le teorie psicoanalitiche mostrano il valore tripolare del rapporto genitori/figlio, asserendo che l’identità sessuale emerge pienamente soltanto nel confronto sinergico della differenziazione sessuale.

 

La proposta

È necessario ribadire la radice metafisica della differenza sessuale: uomo e donna, infatti, sono le due modalità in cui si esprime e realizza la realtà ontologica della persona umana.

L’identità personale matura in modo autentico nel momento in cui si apre agli altri, è creata per il dialogo, per la comunione nello spazio e nel tempo. È solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” che apre l’“io” a se stesso.

Questa è la risposta antropologica alla negazione della dualità maschio e femmina da cui si genera la famiglia (cfr Genesi 2,21-24). Il rifiuto di tale dualità non solo cancella la visione creaturale, ma disegna una persona astratta che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura.

 

La famiglia

In quest’ottica, la famiglia è un fatto antropologico, e conseguentemente un fatto sociale, di cultura. Definirla con concetti di natura ideologica che hanno forza soltanto in un momento della storia, e poi decadono, significa tradirne il valore.

È razionalmente comprensibile che nella natura stessa della famiglia si fondano due diritti fondamentali che devono sempre essere sostenuti e garantiti.

Il primo è il diritto della famiglia a essere riconosciuta come lo spazio pedagogico primario per la formazione del bambino. Il secondo è quello del bambino a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva.

Ed è proprio all’interno del nucleo familiare stesso che il bambino può essere educato a riconoscere il valore e la bellezza della differenza sessuale, della parità, della reciprocità biologica, funzionale, psicologica e sociale.

 

Scuola e società

All’azione educativa della famiglia si unisce quella della scuola, la quale interagisce in modo sussidiario.

L’educazione all’affettività ha bisogno di un linguaggio adeguato e misurato. In primo luogo, essa deve tenere conto che i bambini e i giovani non hanno ancora raggiunto la piena maturità e si accingono a scoprire la vita con interesse. Di fronte a un bombardamento di messaggi ambigui e vaghi occorre aiutarli a riconoscere e a cercare le influenze positive, perché non venga deformata la loro capacità di amare.

Infine, non può mancare uno sguardo d’insieme sulla società attuale. La trasformazione delle relazioni interpersonali e sociali ha spesso sventolato la “bandiera della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili.

È sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sono sempre loro a soffrire di più, in questa crisi.

 

In conclusione

In conclusione, la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano. Al contrario, l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra.

Tratto da: Maschio e femmina li creò, Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione. Edizioni Paoline, Milano 2019.

Sintesi della redazione.

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          L’ideologia gender è un dato reale o un’invenzione della Chiesa?

•          In quali occasioni ci siamo dovuti misurare con l’ambiguità sessuale volutamente ostentata? Che sentimenti abbiamo provato?

•          I giovani adulti che conosciamo come si esprimono su questo tema?

 

SPIGOLANDO QUA E LÀ

Un pot pourri di brevi articoli su diversi temi raccolti durante la preparazione di questo numero.

 

23-ESSERE CASTI

Viviamo in un tempo in cui imperversa l’immagine e si è smarrito il valore del simbolo, mentre l’eros è più spettacolarizzato che vissuto nella sua profondità. Siamo passati dal bigottismo ipocrita del passato all’ostentazione più volgare di oggi, senza fermarci nella valle dell’equilibrio, dove la mente e il cuore sono totalmente collegati e l’istinto è al loro servizio.

Se persone potenti e ricche sono travolte dai propri istinti sessuali, in una sorta di delirio di onnipotenza, di non accettazione dell’invecchiamento… Se adolescenti si “danno” per una ricarica telefonica… Se su Facebook è normale offrirsi attraverso immagini che lasciano ben poco alla fantasia… Ecco, tutto ciò significa che la relazione uomo/donna e il ruolo della sessualità fanno ancora i conti con le tenebre che portiamo in noi stessi.

E forse sta qui, nell’attuale tirannia dell’immagine, la radice dell’idolatria della sfera erotica: nell’immagine pubblicizzata, la sessualità è vissuta senza angosce, senza conflitti.

Ecco l’illusione seducente dell’erotismo reso idolo, al caro prezzo di una sessualità spersonalizzata, senza più alcuna valenza simbolica, senza l’altro, senza il suo volto. Il sesso è spessissimo occasionale, lo si fa sul web, nelle discoteche, nelle scuole. È un rito trendy. L’istinto non ci vuol far scegliere ed invece è proprio lì che dobbiamo arrivare: scegliere di essere casti! Questa scelta la deve fare ogni essere umano in ogni momento della vita.

Domenico Marrone

Fonte: http://www.settimananews.it/ministeri-carismi/il-prete-e-la-vita-sessuale/

 

24-GIOVANI E GENDER

Ogni persona sente attrazione verso un’altra persona, cioè ha un orientamento eterosessuale, omosessuale, bisessuale, asessuale o altro.

Questo dipende da diversi fattori biologici (di natura genetica, ormonale e ambientale), che influenzano lo sviluppo prenatale.

L’orientamento sessuale è quindi biologicamente determinato. Non si sceglie di essere bisessuali, transessuali, omosessuali, eterosessuali. In altre parole: non ci sono prove che l’ambiente sociale dopo la nascita abbia un effetto sull’identità di genere o sull’orientamento sessuale.

Dal punto di vista culturale facciamo fatica ad accettare queste “sfumature”, per cui cresce lo scontro ideologico, che impedisce la maturazione delle coscienze. Anche l’età conta: molte persone anziane provano “disgusto” per le manifestazioni di affetto omosessuale.

Invece l’orientamento sessuale, per i giovani di questo millennio, è molto più fluido e libero di quanto lo fosse per chi è venuto prima. Anche l’identità di genere è un percorso da esplorare e non dato una volta per tutte. Accettiamo  tutto questo!

È importante stare accanto ai giovani aiutandoli a fare chiarezza tra i loro pensieri. Per i ragazzi è normale avere un amico o un’amica omosessuale o bisessuale. Vogliamo continuare a dire che i ragazzi sono tutti problematici oppure prenderne atto e agire di conseguenza?

La scienza ci dice che nell’homo sapiens il sesso biologico è una categoria binaria. Questo è un dato di fatto. Ma è anche un dato di fatto la complessità della nostra identità sessuale.

Un altro fatto è che tutto questo non esaurisce ancora il nostro essere “persona”. In questo “di più” è compresa anche la ricchezza della diversità uomo/donna.

Sicuramente, tenere unita la società su un tema così divisivo, e tra sensibilità così diverse, sarà la grande sfida dei prossimi anni.

Giulio Meazzini

Fonte: Città nuova, giugno 2022

 

25-DIO MISERICORDIA

La nostra epoca  ha bisogno di un Dio come Gesù lo ha rivelato, come il Vangelo lo ha custodito, come la Chiesa degli apostoli e dei discepoli l’ha tramandato fin qui, e come papa Francesco lo racconta: un Dio di misericordia, che ama per primo, che non si stanca mai di perdonare.

Si è fatta un’obiezione a questo Dio della misericordia: la misericordia va bene, ma dov’è il giudizio?

Questa critica però non si può fare nei confronti del Dio della misericordia di cui parla Francesco; il giudizio sul mondo di papa Francesco è durissimo, e si può dire che senza questo giudizio non ci sarebbe nemmeno l’annuncio della misericordia.

Basta pensare alla sua denuncia sull’economia che uccide, alla condanna di un sistema che non ha volto e scopi veramente umani, alla critica del denaro che governa, della cultura dello scarto, della globalizzazione dell’indifferenza.

Questo è il messaggio di papa Francesco, un messaggio non solo profetico ma messianico, perché il suo annunzio, in quanto annunzio messianico, è che il regno di Dio, cioè il regno di misericordia, è vicino.

Ma la misericordia non ha mai fine.

Facciamo un esempio. Quando Gesù parlava dell’indissolubilità del matrimonio, non parlava da giurista e, pur proponendo un ideale più alto, “scritto nelle stelle”, siamo sicuri che avrebbe abrogato la legge di Mosè che, facendosi carico della durezza di cuore dei coniugi, aveva concesso il divorzio?

Eppure proprio questa è la dinamica dello Spirito nella storia della fede: quello che finora non avete capito ecco ora lo comprendete (cfr Gv 16).

Raniero La Valle

Fonte: https://combonianum.files.wordpress.com/2015/10/il-dio-con-cui-sto.pdf

 

26-GIOVANI, SESSO E AMORE

Mi trovo spesso a pensare che i nostri figli ricevono ogni giorno tantissimi messaggi sulla tossicità dell’amore. I media sono saturi di messaggi che raccontano la pericolosità dell’amore e che giustamente aiutano a fare prevenzione di ogni fenomeno in cui il territorio dell’amore viene contaminato con quello della sopraffazione e della violenza che diventa reato e crimine.

Però, mi chiedo chi oggi si faccia carico di narrare anche l’altro lato della medaglia. Ovvero chi racconti ai nostri figli la bellezza dell’amore, come la si conquista, perché è fondamentale coltivarla con impegno e passione nel nostro percorso esistenziale.

Temo che raccontare l’Amore solo come un luogo in cui si rischia di perdere la propria realizzazione professionale, in cui si sperimenta dolore, fatica e vittimizzazione oscuri l’altra narrazione necessaria sull’Amore.

Ovvero quella che ci permette di continuare a sentirne il desiderio vivo e che ci spinge a muoverci nel suo territorio. Le ricerche ci dicono che gli adolescenti di oggi si innamorano molto meno di quelli delle generazioni passate. Sanno molto di sesso e poco di amore.

Spesso maneggiano il proprio corpo e/o quello di un’altra persona sulla spinta dell’eccitazione, ma nella loro pulsione sessuale fanno fatica a far emergere il desiderio di una relazione vera, intima e profonda con un’altra persona.

Molti specialisti invitano e informano i nostri figli su come si fa “un sesso perfetto”, ma davvero pochissimi aiutano a comprendere invece come si fa l’amore e soprattutto come si entra nel territorio in cui l’incontro con l’altro è fonte di profonda bellezza e di verità. Per sé e per chi ci sta accanto.

Alberto Pellai

Fonte: https://www.facebook.com/profile/100044165512791/search/?q=giovani%20sesso%20amore

 

 

27-LE RAGAZZINE CHE SARANNO

Il successo delle Storie della buonanotte per bambine ribelli mi provoca sentimenti contraddittori: gratitudine per la divulgazione che portano avanti in un mondo ancora pieno di rigurgiti maschilisti e di nuclei sociali e familiari obsoleti, paura che la complessità del discorso si esaurisca in una corrente modaiola, attenzione a che la declinazione di una parola come “libertà” non si esaurisca nella proposta di un modello unico.

Resto perplessa di fronte a libri che esortano le bambine a odiare il colore rosa e rifiutarsi di indossare abiti femminili. Mi sembra un’altra costrizione speculare alla precedente: perché il bambino perfetto può sognare di indossare abiti da principessa e la bambina perfetta deve voler diventare meccanico al solo scopo di dimostrare qualcosa  al mondo dei grandi? Certo, forse bisogna prima demolire l’asfittico modello unico proposto dalla scriteriata adultizzazione dell’infanzia sfociata in una sessualizzazione imposta dall’ottica patriarcale.

Però sono convinta che la realtà ci supererà, ci stia già superando. Penso che, mentre noi discutiamo di schwa e asterischi, di fluidità e non binarismi (e dall’una e dall’altra parte ci irrigidiamo sui nostri gusti linguistici anziché dare la priorità all’ascolto, all’istanza del cambiamento, al punto interrogativo), le bambine e i bambini del futuro siano già oltre, in un mondo in cui non bisogna rispondere alla domanda perché è la domanda stessa a essere decaduta.

Sono convinta che le nostre figlie e nipoti se ne infischieranno delle nostre risposte e dei nostri schemi, anche di quelli rovesciati: demoliranno tutto con una naturalezza che nemmeno sospettiamo, libere anche dalle nostre battaglie. Chi sono le femminucce, chi sono le ragazzacce? Chiederanno perplesse, mentre saranno impegnate a essere chi vogliono.

Nadia Terranova

Fonte: Specchio de La Stampa, 6 Marzo 2022. Sintesi della Redazione

 

28-LA 194: UNA TESTIMONIANZA

Tutto incominciò con la raccolta di firme per il referendum abrogativo delle norme del Codice Rocco sulla «integrità della stirpe» promosso dai radicali.

Né i radicali, né il femminismo storico volevano una legge che regolasse l’aborto, volevano la libertà di scelta,  secondo lo slogan “nessuna legge sul nostro corpo”.

E invece ci fu una legge.

Anche allora l’aborto non era la massima aspirazione delle femministe, ma un male necessario, per non essere schiacciate in un ruolo che chiudeva le donne in una gabbia di oppressione e subalternità.

Al di là del clima gioioso che c’è sempre nelle manifestazioni, l’aborto non era vissuto come una rivendicazione orgogliosa, piuttosto come una disperata via di fuga, non un diritto, ma un potere iscritto nel corpo. Solo con il femminismo della differenza si è acquisita la consapevolezza che l’aborto è un diritto della donna.

Che dire del matrimonio tra omosessuali? A quei tempi era al di fuori dell’orizzonte gay, perché avrebbe voluto dire normalizzare e irreggimentare la libertà sessuale. Infatti, si scagliavano contro il matrimonio eterosessuale, il “pezzo di carta”.

Tutto è cambiato: ora si sostiene il liberismo procreativo, il nuovo fiorente mercato del corpo, fatto di contratti,  affitti di parti del corpo femminile e le femministe che sono contrarie vengono definite con disprezzo Terf, femministe radicali trans-escludenti.

Libero adattamento della Redazione da un articolo di Eugenia Roccella, La Stampa, 24 Ottobre 2022.

 

29-LA FAMIGLIA POSSIBILE DEL GIOVANE D'OGGI

La seconda conferenza del prof. Guido Lazzarini

 

a cura della Redazione

Riportiamo di seguito una sintesi della conferenza del professor Guido Lazzarini del 30 aprile 2022 la cui versione integrale è disponibile sul sito dei Gruppi Famiglia.

 

L’affermazione della convivenza

Il numero dei matrimoni, sia civile che religiosi, è in costante diminuzione. Se nel 2044 erano 249.000 l’anno, nel 2019 sono scesi a 184.000. Le coppie preferiscono convivere e ciò è dovuto a varie cause.

Una prima cause è data dal processo di secolarizzazione, unito al venir meno della tradizione. Questi due aspetti sono molto legati tra loro.

Tradizione significa famiglia patriarcale, una realtà dove chi aveva il potere era il maschio più esperto e sovente il più anziano. In quel contesto la sposa dei figli e dei nipoti doveva piacere alla famiglia.

La tradizione perde potere quando si passa da una società agricola ad una industriale. Prima della seconda guerra mondiale il 65% lavorava in agricoltura, mentre ora siamo sotto il 10%.

Un’altra causa è legata al lavoro: oggi sovente è precario e ciò genera incertezza verso il futuro. Unito a questo c’è l’affermazione di nuovi valori, il  primo dei quali è l’individualismo.

 

Giovani e valori

Per valore in sociologia si intende tutto ciò che orienta l’agire della persona. Quali sono i valori delle nuove generazioni?

Il primo di questi è il protagonismo: si sentono forgiatori del proprio destino (individualisti) ma nello stesso tempo sono insicuri.

Nella famiglia rurale il protagonismo era quasi nullo, inizia nel dopoguerra come conseguenza dell’industrializzazione ed esplode nel ’68. Purtroppo, avendo cancellato le radici (la tradizione), il protagonismo si regge sull’oggi. Le radici sono già andate in crisi nel ’68 quando gli studenti hanno sostituito l’autorità dei genitori (sovente poco acculturati) con quella dei professori.

Oggi i ragazzi hanno sostituito i professori con i social! Quindi molte idee formative arrivano dalla rete.

Questa volatilità della formazione dà origine al nomadismo: il soggetto si trova in una condizione di continua ricerca, insoddisfatto di quello che ha rispetto a ciò che offre il mondo. Questo vale anche per il matrimonio: le norme, le regole, le usanze sono sentite come legacci, impedimenti.

La volatilità della formazione, unita all’eccesso di informazioni, determina nei giovani la difficoltà di educarsi ad un pensiero critico.

Il pensiero critico è la capacità di ragionare sulle situazioni, di cogliere il pro e il contro, il bene e il male, in un prospettiva temporale e non solo nell’immediato.

Come si può formare il pensiero critico? Non certo su Internet o sui social.

Purtroppo, nella società in cui viviamo, non c’è più un indirizzo forte, condiviso. Sono finiti i tempi delle grandi aggregazioni di massa, sia religiose sia politiche.

Le uniche appartenenze di oggi sono le tribù, le comunità virtuali (che possono essere più o meno ben orientate). I No-Vax sono un esempio di questo tribalismo perché, nonostante tutto, l’uomo ha bisogno di appartenenza.

Un ultimo valore è la ricerca del benessere. Questa ricerca è iniziata nel secondo dopoguerra ma quello che oggi la caratterizza è l’immediatezza, mentre una volta si ragionava su tempi lunghi.

Oggi i nipoti godono dell’accumulazione fatta dai loro nonni negli anni ’50 – ’60 (p.e. la seconda casa). I genitori di allora – erano i tempi del boom economico – volevano che i figli potessero godere delle cose che loro non avevano avuto e per questo erano disposti a fare sacrifici. Oggi è il contrario: il benessere deve arrivare subito.

Il discorso del benessere vale anche per la vita di coppia: bisogna viaggiare, non farsi mancare niente, non certo pensare a risparmiare per il domani.

Questi quattro orientamenti di vita hanno oggi un peso determinante nella scelta del partner e nella vita di coppia.

 

Chiesa e giovani

Nei confronti dei giovani, come Chiesa, siamo chiamati a non avere pregiudizi ed essere molto aperti.

È necessario che noi stessi, per primi, approfondiamo il significato del Sacramento del matrimonio, del quale gli sposi sono i ministri.

Dobbiamo portare i giovani verso il sacramento del matrimonio perché i sacramenti sono doni, che la Chiesa, come madre, ci fa. Ma, allo stesso tempo, dobbiamo ricordarci che la Chiesa è soprattutto sostegno, aiuto, fraternità, è la manifestazione della presenza di Dio in mezzo agli uomini. E Dio si manifesta là dove che c’è l’amore.

Dio è amore e, se due si amano, Dio non può essere assente.

I corsi di preparazione al matrimonio continuano ad essere, se ben fatti, un utile strumento pastorale. Ma ovviamente non basta. Occorre riuscire ad essere presenti in quei momenti della vita dove le persone son più sensibili, come ci insegna l’antropologia culturale: la nascita di un figlio, l’amore di coppia, la morte.

Per esempio, quando vengono a iscrivere il figlio al catechismo non facciamo solo i burocrati ma cerchiamo di far capire che nel loro amore c’è Dio, che il loro amore ha una sacralità, che la Chiesa non è solo un luogo ma una comunità che vive questa sacralità.

La chiesa non è legge, è sostegno, è comunità, una comunità che indirizza e alimenta l’amore familiare e l’impegno per il bene comune.

Questo vale anche per noi adulti: abbiamo anche noi bisogno di incontrare una Chiesa così.

Per ascoltare l’intera conferenza clicca qui!

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          La ricerca del benessere sembra essere un valore molto presente tra i giovani. Come coniughiamo questo “valore” nella nostra coppia?

•          Critichiamo i giovani perché i social sono la loro principale fonte di informazione e formazione. Quali sono le nostre fonti?

•          Insieme “per sempre”: una gabbia o una grazia?

 

30-IL CAMMINO SINODALE DELLA CHIESA ITALIANA

Un germoglio per la Chiesa del futuro: le famiglie missionarie a Km zero

 

di Franco Rosada

Mentre il Sinodo della Chiesa universale vive la fase continentale, quello della Chiesa italiana vive il secondo anno della fase “narrativa” in cui viene dato spazio all’ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori.

In particolare, quest’anno siamo stati invitati a confrontarci su tre priorità individuate dall’Assemblea Generale della CEI del maggio 2022 a cui i singoli vescovi hanno potuto aggiungerne una quarta.

Il nuovo arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, consapevole della difficoltà di mantenere attive tutte le parrocchie e tutte le loro iniziative - a fronte di una continua diminuzione dei presbiteri - ha proposto ai fedeli di interrogarsi su quali esperienze e iniziative delle comunità cristiane diocesane realizzino meglio la bellezza dell’essere Chiesa e di annunciare il Vangelo.

L’invito è stato quello di individuare e condividere quei “germogli” di vita cristiana, quelle iniziative o momenti di Chiesa che sembrano più veri e promettenti nella comunità locale per promuoverli e coltivarli al meglio, con la prospettiva di lasciar cadere le iniziative più datate e meno fruttuose.

La prima esperienza che ho fatto è stata nell’ambito della Consulta diocesana della Famiglia.

Nel gruppo di lavoro a cui ho partecipato questi germogli sono stati individuati nell’impegno dei corridoi umanitari (profughi siriani), nelle collaborazioni tra realtà civili e religiose, nelle sinergie tra gruppi e associazioni cattoliche di diversa estrazione.

La seconda esperienza è avvenuta a livello parrocchiale.

Qui la difficoltà di trovare germogli è stata più faticosa: molti interventi, un elenco di belle iniziative ma, alla fin fine, tutte riconducibili all’attività pastorale già in essere, non germogli.

Questo perché un vero germoglio “è ciò che dà fondamenta alla vita interiore, che testimonia la bellezza del Vangelo, che abilita la presenza battesimale dei cristiani nel mondo”.

Le attività legate all’ordinaria amministrazione, anche quando sono fatte bene e hanno successo, non si possono considerare germogli, perché questi sono, secondo le indicazioni di mons. Repole, le potenzialità che ci sono e magari non si vedono, e che vanno colte per valorizzarle e farle crescere.

A posteriori, l’unica attività che conosco e può rientrare in questa categoria è l’esperienza delle famiglie missionarie a Km zero.

All’inizio si trattava di famiglie reduci da esperienze missionarie che, pur mantenendo le proprie occupazioni, andavano ad abitare, con l’autorizzazione del vescovo, in canoniche o strutture dismesse dove non vi era più garantita la presenza di un sacerdote, per animare in senso cristiano la comunità che le accoglieva.

Nel tempo a questo progetto si sono unite famiglie desiderose di fare un cammino di vita comunitaria con un sacerdote/religioso e/o altre famiglie aprendosi al territorio o all’accoglienza.

Per saperne di più: https://famigliemissionariekm0.wordpress.com/

 

31-LE FAMIGLIE MISSIONARIE A KM ZERO

 

di Gerolamo Fazzini*

Le "famiglie missionarie a km zero", distribuite un po' ovunque in Italia, rappresentano un modo per affrontare i mutamenti in corso nella Chiesa per una via non clericale.

 

Un laboratorio pastorale

Se la famiglia è soggetto di pastorale (e lo è, a buon diritto) va coinvolta come risposta ministeriale alla situazione che sta cambiando. Per dirla con le parole di una delle famiglie protagoniste dell'avventura, quello avviato è un vero e proprio "laboratorio pastorale" che permette alla comunità cristiana di vivere con maggiore serenità la sfida che il tempo presente mette di fronte: come continuare a incarnare nel quotidiano la vita e la fede cristiane?

La trasformazione sociale acceleratasi in questi ultimi anni, il pluralismo culturale e religioso obbligano le comunica cristiane a interrogarsi sulle forme di presenza nella società. Questa esperienza si sta rivelando come un luogo prezioso in cui porci queste e altre domande. E quando un'esperienza suscita più domande che risposte è segno della presenza dello Spirito Santo.

 

La sfida da vincere

La sfida che le "famiglie missionarie a km zero" hanno davanti a loro consiste nel riuscire, progressivamente, a rendere patrimonio dell'intera comunità - seppure vissute in forma diversa - quelle stesse istanze che le famiglie missionarie vivono come specifiche: una vita di coppia che si nutre costantemente della Parola, un modo di essere famiglia "con la porta aperta", un'urgenza missionaria che punta a trasformare i luoghi del quotidiano in altrettanti varchi per l'azione dello Spirito e il desiderio ardente di dar forma a una Chiesa più familiare e, dunque, attraente.

Fin dall'inizio le famiglie si sono caratterizzate per il fatto di provenire da mondi diversi (esperienze in missione, scoutismo, istituti religiosi, associazioni e movimenti...): questa diversità si è mantenuta e, anzi, si è amplificata. La rete delle amicizie, all’inizio limitata alla diocesi di Milano, ora comprende un centinaio di famiglie, che fanno esperienze simili in altre diocesi italiane.

 

I tratti in comune

Camminando con le altre famiglie missionarie, sono emersi con il tempo in modo sempre più chiaro alcuni tratti comuni tra le coppie coinvolte.

Un primo è senz'altro la disponibilità alla temporaneità, a lasciare la propria casa per un tempo di servizio alla Chiesa (e di riorganizzare secondo questa priorità i ritmi di lavoro, la vita dei figli e della famiglia allargata).

 Fondamentale anche un secondo aspetto, ossia un particolare amore per la Chiesa e gratitudine per il proprio percorso ecclesiale. Questo genera la pazienza di stare nella Chiesa così com’è, in quest’epoca, anche nelle sue povertà e stanchezze. E fa maturate anche la capacità di vedere e accogliere il buono e il nuovo che sta crescendo.

Un altro elemento che accomuna le "famiglie missionarie a km zero” è che si tratta di gente "che non si lamenta”, ovvero che gioisce di ciò che ha, che non rimpiange ciò che, anche nella Chiesa, non esiste più o non funziona come un tempo, ma preferisce guardare avanti, con grande fiducia nell'azione, sempre sorprendente, dello Spirito.

 

La missionarietà

Quanto all'aggettivo "missionarie", le famiglie che condividono questo cammino di testimonianza lo intendono innanzitutto nella docilità a Dio, protagonista della missione e, di conseguenza, nella capacità di sperimentare modalità e presenze pastorali nuove, pronte ad accogliere ciò che lo Spirito suscita.

Essere missionari significa anche essere disponibili non solo al servizio, ma anche a un inserimento profondo ("inculturazione”) nella comunità in cui si è inviati, il che significa concretamente, essere disposti a stare al passo della comunità senza strappi in avanti.

Infine, la missionarietà che le famiglie intendono vivere si esprime nella passione per la gente e per un desiderio grande che il Vangelo corra per il mondo, grazie a una “Chiesa in uscita” - come chiede insistentemente papa Francesco - che non si preoccupa solo del benessere della singola comunità parrocchiale, ma abbraccia il mondo intero con uno sguardo e un orizzonte autenticamente cattolici.

 

* giornalista e scrittore

Tratto da: Famiglie missionarie a km zero. Nuovi modi di abitare la Chiesa. ITL Libri (Diocesi di Milano), Milano 2019.

Sintesi della redazione.’

 

Per il lavoro di coppia e di gruppo

•          Come famiglia, vi potrebbe interessare questa proposta?

•          Conoscete famiglie che potrebbero essere interessate?

•          Questa proposta potrebbe essere utile per garantire la presenza della Chiesa sul territorio e compensare, almeno in parte, la carenza di sacerdoti?

 

32-LIBRI RICEVUTI

 

Paola Lazzarini, Non tacciano le donne in assemblea. Agire da protagoniste  nella Chiesa, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2021

 

Questo libro apre una finestra su quello che potremmo definire il femminismo cattolico.

“Nel mondo occidentale”, scrive l’autrice, ”mi pare di poter riconoscere tre direttrici più radicali dell'azione dei gruppi femministi cattolici: quella che mira ad ottenere la parità mediante l'accesso agli ordini sacri (su questo terreno si muovono soprattutto le organizzazioni statunitensi), quella orientata a una ridefinizione in senso democratico dell'intera istituzione ecclesiale (in questa direzione in particolare i gruppi germanofoni), quella di empowering femminile (India, Francia...). Mentre altre istanze, condivise trasversalmente in tutto il mondo, riguardano la lotta agli abusi clericali sulle donne e la crescita di consapevolezza nelle donne cattoliche della loro condizione di subalternità”.

Per quanto riguarda l’Italia, “fino a pochi anni fa, gli studiosi ritenevano che le donne costituissero ancora una maggioranza silenziosa, nonostante il contributo delle teologhe femministe”.

“Le grandi organizzazioni laicali (come l'Azione Cattolica o l'Agesci), pur praticando al loro interno forme avanzate di condivisione dell'autorità tra uomini e donne, non si sono spese in maniera determinante per una estensione di questa corresponsabilità alla Chiesa tutta”.

E qui la Lazzarini racconta la sua esperienza, di come nel 2017 abbia fondato il gruppo Donne per la Chiesa, “nato proprio per portare il femminismo cattolico della base e nella base, coinvolgendo donne laiche, non teologhe, impegnate nelle loro parrocchie, associazioni e movimenti”.

 

Ma il libro, pur nella sua brevità, tocca diversi altri argomenti.

Inizia narrando il percorso di vita dell’autrice, prima consacrata e poi sposa e madre, il rapporto delle donne con i presbiteri, l’accesso delle stesse ai ministeri consacrati.

Per l’autrice il diaconato femminile è un punto importante, anche se “il contributo femminile alla Chiesa sia decisamente più ampio e creativo”.

La seconda parte del libro è dedicata a tematiche femminili: il desiderio, il parto, l’allattamento e, ancora, lo stupro coniugale, l’aborto, l’abuso.

Mi ha colpito, in particolare, come la Lazzarini tratta il tema del parto.

“Attorno al partorire”, scrive l’autrice, “si sono addensati i veli di un pudore e di un timore profondi, tanto da rendere arduo parlarne in maniera esperienziale”.

Cosa c’è nel parto? “Un po’ tutto: la lapidazione, la crocifissione e la resurrezione del nostro corpo unito a quello di Cristo per dare la vita all’umanità”.

Un altro aspetto interessante del libro riguarda il tema dell’autorità.

“Occorre”, scrive la Lazzarini, “iniziare a parlare di potere nella Chiesa cattolica” anche se si preferisce chiamarlo servizio.

Citando la politologa Christiane Florin,  l’autrice invita le donne a prestare attenzione a quelle situazioni in cui il potere viene camuffato, come in frasi tipo: Questo è il tuo ruolo! Sopporta il tuo destino! Prendi Maria come esempio! Dio vuole così!

In sintesi, un libro di “poche” pagine ma ricco di suggestioni.

Da leggere se si è interessati alle tematiche trattate.

Franco Rosada

 

33-WE DI PENTECOSTE A LORETO

19-21 maggio

“Con Maria e Giuseppe sentirsi chiamati e mandati da suo Figlio”. Questo è il titolo del ritiro che si terrà presso il santuario di Loreto e che sarà guidato da don Luigi Maria Epicoco. Ve lo proponiamo perché il santuario è stato scelto da Papa Francesco come Casa di ogni famiglia.

Il programma prevede: accoglienza entro 18,30 del venerdì sera, conclusione dopo il pranzo della domenica.

Ci saranno riflessioni guidate, momenti di preghiera, tempi per il confronto di coppia. Sabato sera è prevista la recita del Santo Rosario e la fiaccolata in piazza.

Per ulteriori informazioni:

http://www.loretofamily.it/programma-2/

 

34-I TEMI DEI PROSSIMI NUMERI DELLA RIVISTA

Questi sono i temi scelti da voi lettori (in ordine di gradimento):

•          Ripensare i sacramenti

            Il loro significato.

            Chi li ha istituiti?

            Servono ancora tutti?

•          Famiglie e malattia mentale

            Dopo Basaglia: come si curano i malati di mente?

            Anoressia, bulimia, videogiochi, ludopatia, tossicodipendenza.

            Depressione, male di vivere, desiderio di morte, demenza senile.

•          La preghiera

            Perché si prega.

            Come si prega.

            Quando si prega.

•          Rileggere il simbolo apostolico

            Il Credo e la sua comprensione.

            Come credere oggi.

 

35-CAMPI ESTIVI 2023

Calendario provvisorio

 

Ecco il calendario dei campi per famiglie di quest’estate.

Come associazione, quest’anno organizziamo un solo campo a metà agosto. Per vostra comodità, segnaliamo anche il campo organizzato a fine luglio dalla diocesi di Cuneo e i WE organizzati dalla Comunità di Caresto (PU) Anche quest’anno non perdete l’occasione per trascorrere alcuni giorni di vacanza in modo “diverso”!

 

28 luglio-4 agosto Sant’Anna di Vinadio (CN)

Tema da definire.

Relatore: Angelo Fracchia, biblista.

Org.: Diocesi di Cuneo.

È possibile partecipare anche al solo week-end iniziale.

Info: Angela e Tommy Reinero, 347 5319786, tommy.angela@libero.it

 

WE di agosto Caresto - Sant’Angelo in Vado (PU)

La Comunità di Caresto, nei quattro fine settimana di agosto (4-6, 11-13, 18-20, 25-27) organizza incontri per coppie e famiglie.

Temi da definire.

I relatori saranno amici e volontari di Caresto.

Info: Daniela, 328 9455674, eremocaresto@gmail.com

 

19-26 agosto Valle di Cadore (BL)

Tema e relatori da definire.

Org.: Colleg. Gruppi Famiglia.

Info: Fiorenza e Antonio Bottero,

340 5195718, 375 6066265, antoniobottero@alice.it

 

Il calendario, aggiornato in tempo reale, è consultabile sul sito: www.gruppifamiglia.it cercando, nella home page, tra le attività in evidenza.

 

36-BILANCIO 2022 F&F

I conti tengono, grazie a voi!

 

Carissime/i,

Come potete leggere nella tabella sottostante, il bilancio 2022 dell’associazione Formazione e Famiglia, editrice della rivista, si è chiuso con un modesto passivo.

A inizio anno avevamo un avanzo di cassa importante che abbiamo utilizzato per sostenere i campi estivi, per aumentare il numero delle pagine della rivista da 32 a 36, per coprire i maggiori costi di stampa e postalizzazione (che nel 2023 aumenteranno ancora!).

La tiratura della rivista è rimasta quella usuale (2000 copie per numero) e la scadenza quadrimestrale.

Il numero dei contributi liberali all’associazione si è mantenuto stabile ma sono aumentati gli importi. Questo vale anche per il 5x1000 che nel 2021 è cresciuto di oltre 1000 euro. Grazie di cuore!

Segnalo infine un particolare importante: le entrate e le uscite legate ai campi estivi sono entrate per la prima volta nel bilancio, raddoppiando di fatto il volume di denaro movimentato dall’associazione.

Grazie ancora per il vostro sostegno,

la presidente Noris Bottin

 

37-PER CONCLUDERE

O Signore, nostro Dio,

quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:

sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.

Con la bocca dei bimbi e dei lattanti

affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,

per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,

la luna e le stelle che tu hai fissate,

che cosa è l'uomo perché te ne ricordi

e il figlio dell'uomo perché te ne curi?

Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,

di gloria e di onore lo hai coronato:

gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,

tutto hai posto sotto i suoi piedi;

tutti i greggi e gli armenti,

tutte le bestie della campagna;

Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,

che percorrono le vie del mare.

O Signore, nostro Dio,

quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Salmo 8

Immagine tratta da https://www.dianellafabbri.it/