Foglio di collegamento tra Gruppi Famiglia
GF120 – luglio 2025
Giubileo 2025: la speranza
Lettere alla rivista
1-IL VI COMANDAMENTO È QUELLO SPIEGATO NEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
Salve,
per non stare male, come ogni volta che mi imbatto in interpretazioni "buonistiche" del preziosissimo VI comandamento, che per essere osservato fedelmente oggigiorno costa sangue nel senso di molte persecuzioni sia da chi vorrebbe sedurti anche con ricatto e molestie e avere rapporti sessuali con te per sfruttarti, sia da chi crede di essere fedele alla Chiesa cattolica ma non capisce che la Chiesa cattolica è fondata sull'insegnamento degli Apostoli e questo è difeso dal Catechismo della Chiesa Cattolica, non ho neanche letto il vostro articolo nell'ultimo numero della rivista dei gruppi famiglia su quanto in oggetto.
Vorrei ricordare che per il VI comandamento bisogna con umiltà, riverenza e Timor di Dio, fare riferimento a quanto spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica che è in pieno vigore.
Il sesto comandamento (non commettere atti impuri) invita alla castità di mente e corpo le persone single e anche i fidanzati e implica che, se una persona convive, non può ricevere l'assoluzione perché in stato di peccato mortale e senza proposito di non commetterlo più; perciò, non può neanche fare la Santa Comunione, per non esporla al sacrilegio. Risponderemo tutti a Dio nel seguire o meno i suoi precetti di vita. Non temiamo di testimoniare con coraggio la libertà che viene dal Vangelo. La Verità non cambia perché la Verità è Gesù e Lui vuole solo il vero bene dell'uomo e della donna.
Perché Maria Goretti e numerosissimi altri Santi avrebbero dato la vita per difendere la loro verginità?
La Madonna è Vergine e Madre di Dio.
Vi consiglio vivamente di scrivere un altro articolo per riparare, Se aveste deviato da quanto scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica, perché altrimenti vi caricherete anche della colpa di sviare i semplici, che credono a Gesù Via, Verità e Vita e così camminano nella via retta della fedeltà al Vangelo, unica Via di salvezza in questi tempi di abbrutimento dell'umanità e di violenza nelle famiglie a danno molto spesso della donna.
Per esperienza personale, non rispettare questo comandamento in tutta la sua portata, spiegata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, è difficile ma dà una libertà senza confronto e realizza la persona nella sua dimensione più alta, anche solo umanamente. Altrimenti si diventa schiavi anche nella coppia perché il sesso senza impegno e sacrificio non è amore, l'amore c'è dove ci si impegna nel per sempre con la benedizione di Dio anche nelle difficoltà.
Anche l'apertura alla vita e la fedeltà all'insegnamento della Chiesa Cattolica in termini di contraccezione, argomento di un altro vostro articolo, che non ho letto, è importante perché anche solo umanamente la denatalità è un problema pressante e drammatico. La castità anche nel matrimonio è possibile però solo se nel fidanzamento e in tutta la vita da single si rispetta il VI comandamento come insegnato dal Catechismo. Altrimenti è scontato che poi si continua con i propri vizi ed egoismi che non fanno maturare nel vero amore di coppia. Perciò vedete che importanza ha rispettare nella sua totalità e pregnanza il VI comandamento come insegnato dal Catechismo della Chiesa Cattolica.
Non vorrei risposta perché non discuto sull'insegnamento di Gesù e della Chiesa Cattolica. Tempo perso.
Cordialmente, con rispetto e carità fraterna,
Lisa
Gentilissima,
la ringrazio per questa sua forte testimonianza di amore e di fedeltà alla dottrina della Chiesa. Purtroppo, non desiderando lei una risposta diretta, mi limito ad esporre il ragionamento che ci ha guidato nella redazione dello scorso numero. Chi conduce una vita sessualmente disordinata pecca solo contro il VI comandamento o contro tutti i comandamenti della seconda tavola della Legge?
Se la risposta sovente è sì, come abbiamo cercato di dimostrare, allora il peccato carnale riguarda l’interezza della persona e non soltanto i suoi genitali.
Quindi l’attenzione va spostata dall’atto in sé alla persona che lo compie, alla situazione che sta vivendo, in altre parole alla piena avvertenza e al deliberato consenso del soggetto.
È uno squarcio in cui si può inserire il discorso della misericordia, caro a papa Francesco.
Misericordia non vuol dire che vi sia una “gradualità della legge”; la legge, il catechismo restano immutati, ma vi può essere gradualità nella capacità della persona di farla propria.
In questo squarcio si inseriscono anche i cammini che la pastorale familiare propone ai divorziati risposati credenti.
Franco Rosada
In questo numero
2-LA SPERANZA
Essere pellegrini di speranza
di Franco Rosada
Il tema di questo numero doveva essere la dottrina sociale della Chiesa, ma negli ultimi mesi abbiamo convenuto, come redazione, che non potevamo far passare sotto silenzio l’anno giubilare né il tema della speranza che caratterizza questo giubileo.
Ci ha fatto da guida nella realizzazione del numero un piccolo libro del compianto prof. Goisis, un libro “difficile” ma ricco di suggerimenti intitolato opportunamente: Speranza.
Ora che la rivista è terminata, per guidarvi nella lettura, provo a darvi una mappa per un suo migliore utilizzo.
Possiamo suddividere il numero in cinque parti.
Nella prima affrontiamo il tema della speranza dal punto di vista teologico (vi invito di cuore a non perdetevi le riflessioni di Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi).
Nella seconda entriamo nel clima del giubileo, con la bolla di indizione di papa Francesco e gli approfondimenti sugli otto segni di speranza indicati da Bergoglio.
Terza parte: questo è lo spazio dedicato alle vostre testimonianze.
La quarta parte è dedicata al tema della speranza in famiglia con due riflessioni, la prima di tipo sociologico, la seconda di tipo più filosofico, scritta dalla moglie del prof. Goisis.
Quinta parte: due significative esperienze di speranza per coppie in crisi o divorziate-risposate; si tratta del cammino di Retrouvaille e del servizio pastorale Amoris laetitia della diocesi di Torino.
Terminiamo con le attività dei Gruppi Famiglia: quelle di questo inverno e quelle in programma per questa estate. C’è poi una postilla in ultima pagina: un breve e doveroso ricordo di papa Francesco e, soprattutto, di quante volte sulla rivista abbiamo attinto ai documenti del suo pontificato.
Spero che, in tutto il materiale pubblicato, possiate trovare qualcosa di utile per voi, per la vostra coppia e il vostro gruppo da utilizzare nel prossimo anno pastorale.
A questo proposito, vi segnalo anche il sussidio preparato dall’ufficio Famiglia della CEI: La speranza in una promessa.
P.S. Alla luce dell’elezione al soglio pontificio di un papa che ha scelto come nome Leone, rimandandoci a Leone XIII, papa della Rerum novarum, la prima enciclica sulla dottrina sociale della Chiesa, la scelta trattare sulla rivista questo tema in un prossimo numero potrebbe risultare provvidenziale. È possibile, infatti, che il primo documento del magistero di papa Prevost possa riguardare proprio queste tematiche.
3-AUGURI PAPA LEONE!
“La Pace sia con tutti voi!”.
Con questo saluto, che riprende le prime parole del Risorto, è iniziato il pontificato di Robert Francis Prevost.
Una tematica, quella della pace, che ha caratterizzato il pontificato di papa Francesco (come dimenticare l’idea di “terza guerra mondiale a pezzi” da lui spesso utilizzata?).
Il tema della pace è anche il primo segno di speranza che siamo chiamati a testimoniare in questo anno giubilare.
Come avviene per ogni nuovo pontificato, tante sono le attese nei confronti di Leone XIV.
Per quanto riguarda la Chiesa, è auspicabile il proseguimento del cammino sinodale e l’approdo a risultati concreti a favore dell’intero popolo di Dio, garantendo allo stesso tempo l’unità nella fede.
Da parte mia confido che Prevost possa mettere a frutto il suo dottorato in diritto canonico per dare sistematicità ad alcuni dei pronunciamenti di Bergoglio legati alle dinamiche familiari che sono rimasti “in mezzo al guado”.
Penso, in particolare, al tema dei divorziati risposati e alle aperture offerte nei loro confronti da Amoris laetitia, che mancano però di una normativa generale di tipo canonico.
Franco Rosada
4-SPE SALVI: NELLA SPERANZA SIAMO STATI SALVATI
La speranza tra fede e ragione, tra Rivelazione e storia
L'eternità è immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più.
Le rivoluzioni della modernità hanno dimenticato l'uomo e la sua libertà. Hanno dimenticato che la libertà rimane sempre tale, anche quando si orienta per il male.
Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo.
L'esperienza di un grande amore dà un senso nuovo alla vita. Ma l’amore umano resta fragile, segnato dalla morte. L’uomo ha bisogno di un amore incondizionato, assoluto.
di Benedetto XVI
Nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e questo vale anche per noi (Rm 8,24). La “redenzione”, la salvezza secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta attraverso il dono della speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente.
Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
LA FEDE È SPERANZA
In che cosa consiste questa speranza che, come speranza, è “redenzione”?
Il nucleo della risposta è dato da un brano della Lettera agli Efesini in cui Paolo ricorda loro che, prima dell'incontro con Cristo, erano senza speranza, perché erano “senza Dio nel mondo”. Giungere a conoscere Dio – il vero Dio – questo significa ricevere speranza. Per noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall'incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile.
Su cosa si basava la religiosità all’epoca di Paolo? Il mito aveva perso la sua credibilità; la religione di Stato romana si era sclerotizzata in semplice cerimoniale, che veniva eseguito scrupolosamente, ma ridotto ormai appunto solo ad una “religione politica”. Il razionalismo filosofico aveva confinato gli dèi nel campo dell'irreale. Il Divino veniva visto in vari modi nelle forze cosmiche, ma un Dio che si potesse pregare non esisteva.
Paolo, partendo da ciò, contrappone ad una vita sotto la signoria degli “elementi del cosmo” una vita “secondo Cristo”.
Non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che in definitiva governano il mondo e l'uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l'universo; non le leggi della materia e dell'evoluzione sono l'ultima istanza, ma ragione, volontà, amore – una Persona. E se conosciamo questa Persona e Lei conosce noi, allora veramente l'inesorabile potere degli elementi materiali non è più l'ultima istanza; allora non siamo schiavi dell'universo e delle sue leggi, allora siamo liberi. Una tale consapevolezza ha determinato nell'antichità gli spiriti schietti in ricerca. Il cielo non è vuoto. La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c'è una volontà personale, c'è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore.
Brani per la Lectio:
Rm 8,24-27; Ef 2,8-14
Domande per la Revisione di Vita:
• Ci sono dei momenti in cui ci sentiamo senza speranza?
• Siamo anche noi tentati dalle speranze del Mondo, oppure cerchiamo speranza nella magia, negli oroscopi, nelle esperienze New Age?
LA VITA ETERNA
Abbiamo finora parlato della fede e della speranza nel Nuovo Testamento e agli inizi del cristianesimo ma questa riflessione interessa il vivere e morire dell'uomo in genere e quindi interessa anche noi qui ed ora.
Tuttavia, dobbiamo adesso domandarci esplicitamente: la fede cristiana è anche per noi oggi una speranza che trasforma e sorregge la nostra vita?
Dono della fede
Nella ricerca di una risposta vorrei partire dalla forma classica del dialogo con cui il rito del Battesimo esprimeva l'accoglienza del neonato nella comunità dei credenti e la sua rinascita in Cristo. Il sacerdote chiedeva innanzitutto quale nome i genitori avevano scelto per il bambino, e continuava poi con la domanda: “Che cosa chiedi alla Chiesa?” Risposta: “La fede”. “E che cosa ti dona la fede?” “La vita eterna”.
Di fatto, il Battesimo non è soltanto di un atto di socializzazione entro la comunità, non semplicemente di accoglienza nella Chiesa, la comunione con i credenti, perché la fede è la chiave per “la vita eterna”.
Ma allora sorge la domanda: vogliamo noi davvero questo – vivere eternamente? Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo. Continuare a vivere in eterno – senza fine – appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine – questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile.
Ovviamente c'è una contraddizione nel nostro atteggiamento, che rimanda ad una contraddittorietà interiore della nostra stessa esistenza. Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall'altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? Questo paradosso suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la “vita”? E che cosa significa veramente “eternità”? Ci sono dei momenti in cui percepiamo all'improvviso: sì, sarebbe propriamente questo – la “vita” vera – così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo “vita”, in verità non lo è.
Agostino scrisse una volta: In fondo vogliamo una sola cosa – “la vita beata”, la “felicità”.
Non c'è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera.
Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente. Non conosciamo per nulla questa realtà; anche in quei momenti in cui pensiamo di toccarla non la raggiungiamo veramente.
La vera speranza
Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte, ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. bramiamo. Questa “cosa” ignota è la vera “speranza”.
La parola “vita eterna” cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. “Eterno”, infatti, suscita in noi l'idea dell'interminabile, e questo ci fa paura; “vita” ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento.
Possiamo soltanto presagire che l'eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia.
Brani per la Lectio:
Ap 21,1-4, Ap 22,3-5
Domande per la Revisione di Vita:
• Desideriamo davvero la vita eterna?
• Come vorremmo che fosse?
• Abbiamo mai vissuto istanti di vera felicità?
SPERANZA E INDIVIDUALISMO
Nel corso della loro storia, i cristiani hanno cercato di tradurre questo “sapere che non sa” in figure rappresentabili, sviluppando ipotetiche immagini del “cielo” che, comunque, hanno dato a molti, nel corso dei secoli, lo slancio di vivere in base alla fede e di abbandonare i beni materiali.
Di questo tipo di speranza si è accesa nel tempo moderno una critica sempre più dura: si tratterebbe di puro individualismo, che avrebbe abbandonato il mondo alla sua miseria e si sarebbe rifugiato in una salvezza eterna soltanto privata.
Come si è arrivati a interpretare la “salvezza dell'anima” come fuga davanti alla responsabilità per l'insieme, e a considerare di conseguenza il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri?
La fede nel progresso
Tutto ha inizio con l’avvento dell’evo moderno. Fino a quel momento il ricupero di ciò che l'uomo nella cacciata dal paradiso terrestre aveva perso si attendeva dalla fede in Gesù Cristo, e in questo si vedeva la “redenzione”. Ora questa “redenzione”, la restaurazione del “paradiso” perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fede, con ciò, venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo.
Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l'attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana.
Anche la speranza, nei primi pensatori moderni come Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso.
Ragione e libertà
Per Bacone, infatti, è chiaro che le scoperte e le invenzioni appena avviate con la modernità sono solo un inizio; che grazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno dell'uomo.
Al contempo, due categorie entrano sempre più al centro dell'idea di progresso: ragione e libertà. Il progresso è soprattutto un progresso nel crescente dominio della ragione, è progresso verso la libertà perfetta.
Il regno della ragione, infatti, è atteso come la nuova condizione dell'umanità diventata totalmente libera.
In ambedue i concetti-chiave di “ragione” e “libertà”, però, il pensiero tacitamente va sempre anche al contrasto con i vincoli della fede e della Chiesa, come pure con i vincoli degli ordinamenti statali di allora. Ambedue i concetti portano quindi in sé un potenziale rivoluzionario di un'enorme forza esplosiva.
Dobbiamo brevemente gettare uno sguardo sulle due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza, perché sono di grande importanza per il cammino della speranza cristiana, per la sua comprensione e per la sua persistenza. C'è innanzitutto la Rivoluzione francese come tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà ora anche in modo politicamente reale.
Con la Rivoluzione il “regno di Dio” arriva là dove la “fede ecclesiastica” viene superata e rimpiazzata dalla “fede religiosa”, vale a dire dalla semplice fede razionale.
La rivoluzione proletaria
Nell'Ottocento l'avanzare sempre più veloce dello sviluppo tecnico e l'industrializzazione con esso collegata crearono, tuttavia, ben presto una situazione sociale del tutto nuova: si formò la classe dei lavoratori dell'industria e il cosiddetto “proletariato industriale”, le cui terribili condizioni di vita Friedrich Engels nel 1845 illustrò in modo sconvolgente. Era necessario un cambiamento, un rovesciamento della società borghese.
Dopo la rivoluzione borghese del 1789 era arrivata l'ora per una nuova rivoluzione, quella proletaria.
Karl Marx raccolse questo richiamo del momento e, con vigore di linguaggio e di pensiero, cercò di avviare questo nuovo passo grande e, come riteneva, definitivo della storia verso la salvezza – verso quello che la Rivoluzione aveva qualificato come il “regno di Dio”. Essendosi dileguata la verità dell'aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell'aldiquà. La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica. Il progresso verso il meglio, verso il mondo definitivamente buono, non viene più semplicemente dalla scienza, ma dalla politica – da una politica pensata scientificamente, che sa riconoscere la struttura della storia e della società ed indica così la strada verso la rivoluzione, verso il cambiamento di tutte le cose. La sua promessa, grazie all'acutezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato ed affascina tuttora sempre di nuovo.
Ma con la sua vittoria si è reso evidente anche l'errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. Così, dopo la rivoluzione riuscita, Lenin dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere.
L’ambiguità della libertà
Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli.
Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno.
L’ambiguità del progresso
Innanzitutto, c'è da chiedersi: che cosa significa veramente “progresso”?
Nel XX secolo, Theodor W. Adorno ha formulato la problematicità della fede nel progresso in modo drastico: il progresso, visto da vicino, sarebbe il progresso dalla fionda alla mega bomba. Ora, questo è, di fatto, un lato del progresso che non si deve mascherare. Detto altrimenti: si rende evidente l'ambiguità del progresso. Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo.
Brani per la Lectio:
Gn 11,4-9; Mt 21,33-43
Domande per la Revisione di Vita:
• Quanto il nostro agire è legato alla religiosità e quanto alla fede?
• La nostra esperienza religiosa è liberante o schiavizzante?
• Come possiamo conciliare il regno di Dio con il regno dell’uomo?
LA SPERANZA CRISTIANA
Infatti, dobbiamo costatare che un progresso addizionabile è possibile solo in campo materiale. Nell'ambito invece della consapevolezza etica e della decisione morale non c'è una simile possibilità di addizione per il semplice motivo che la libertà dell'uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni. Non sono mai semplicemente già prese per noi da altri – in tal caso, infatti, non saremmo più liberi.
Il tesoro morale dell'umanità non è presente come sono presenti gli strumenti che si usano; esso esiste come invito alla libertà e come possibilità per essa. Ma ciò significa che:
a) il retto stato delle cose umane, il benessere morale del mondo non può mai essere garantito semplicemente mediante strutture, per quanto valide esse siano.
b) Poiché l'uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato.
Se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata – buona – condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell'uomo, e per questo motivo non sarebbero, in definitiva, per nulla strutture buone.
L'uomo non può mai essere redento semplicemente dall'esterno.
Francesco Bacone e gli aderenti alla corrente di pensiero dell'età moderna a lui ispirata, nel ritenere che l'uomo sarebbe stato redento mediante la scienza, sbagliavano. Con una tale attesa si chiede troppo alla scienza; questa specie di speranza è fallace. La scienza può contribuire molto all'umanizzazione del mondo e dell'umanità. Essa però può anche distruggere l'uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa.
D'altra parte, dobbiamo anche constatare che il cristianesimo moderno si era in gran parte concentrato soltanto sull'individuo e sulla sua salvezza [vedi riquadro a sx]. Con ciò ha ristretto l'orizzonte della sua speranza anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell'uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti.
Non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore. Ciò vale già nell'ambito puramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l'esperienza di un grande amore, quello è un momento di “redenzione” che dà un senso nuovo alla sua vita. Ma ben presto egli si renderà anche conto che l'amore a lui donato non risolve, da solo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L'essere umano ha bisogno dell'amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l'uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha “redenti”.
Chi viene toccato dall'amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe “vita”. Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la “vita eterna” – la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita.
Gesù ci ha spiegato che cosa significhi “vita”: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora “viviamo”.
Ma ora sorge la domanda: in questo modo non siamo forse ricascati nuovamente nell'individualismo della salvezza? No. Il rapporto con Dio si stabilisce attraverso la comunione con Gesù – da soli e con le sole nostre possibilità non ci arriviamo. La relazione con Gesù, però, è una relazione con Colui che ha dato sé stesso in riscatto per tutti noi (cfr. 1 Tm 2,6). L'essere in comunione con Gesù Cristo ci coinvolge nel suo essere “per tutti”, ne fa il nostro modo di essere. Egli ci impegna per gli altri, ma solo nella comunione con Lui diventa possibile esserci veramente per gli altri [vedi Pellegrini di speranza di papa Francesco].
Brani per la Lectio:
Gv 17,1-8; Rm 8,31-39
Domande per la Revisione di Vita:
• Scienza e fede sono compatibili?
• Quanto essere nella Chiesa ci fa crescere nella speranza?
• Quanto le nostre comunità ecclesiali sono segnate dall’individualismo?
Sintesi dei paragrafi 1-28 dell’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI.
A cura della Redazione.
5-INDIVIDUALISMO E FEDE
Il rapporto personale, intimo del credente con Dio è qualcosa difficile da comunicare e da condividere.
Anche a livello coniugale si fatica a condividere questa parte intima di sé stessi. Si tratta di un rapporto simile a quello tra amante e amato, riservato, privato e segreto.
Ma questo amore deve tendere ad irradiare amore: come si vede che una persona è innamorata così si dovrebbe vedere il nostro amore per Cristo. E questo non accade.
Usciamo dalle nostre liturgie con facce feriali, non festose: è questa è una forma di individualismo, non riusciamo a mostrare il volto di una comunità lieta di aver reso grazie al Signore e che si sente chiamata a trasmettere questa gioia.
Prima del Concilio l’accostarsi all’Eucarestia richiedeva molte attenzioni (a digiuno, in ginocchio, obbligatorio deglutire) e fare la comunione non era per tutti, ora si è caduti nel suo opposto. Ma, sia ieri che oggi, l’essere in comunione all’intero della comunità resta in molti casi una chimera.
Siamo chiamati ad essere in comunione con Cristo nel sacramento dell’altare ma anche ad essere in comunione tra di noi, proprio perché in comunione con Lui.
Franco Rosada
6-LA SPERANZA NON DELUDE
Dalla Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell'Anno 2025
Tutti sperano ma la speranza cristiana non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio.
Di papa Francesco
Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza.
Una Parola di speranza
“La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 2.5).
Sono molteplici gli spunti di riflessione che san Paolo propone nella sua Lettera ai Romani.
Paolo vuole portare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, come annuncio della speranza che compie le promesse, introduce alla gloria e, fondata sull’amore, non delude.
La speranza, infatti, nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce: “Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5,10). E la sua vita si manifesta nella nostra vita di fede, che inizia con il Battesimo, si sviluppa nella docilità alla grazia di Dio ed è perciò animata dalla speranza, sempre rinnovata e resa incrollabile dall’azione dello Spirito Santo.
La speranza cristiana, in effetti, non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino (Cfr. Rm 8,35.37-39).
Ecco perché questa speranza non cede nelle difficoltà: essa si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita.
Un cammino di speranza
San Paolo è molto realista. Sa che la vita è fatta di gioie e di dolori, che l’amore viene messo alla prova quando aumentano le difficoltà e la speranza sembra crollare davanti alla sofferenza (Cfr. Rm 5,3-4).
Ciò porta a sviluppare una virtù strettamente imparentata con la speranza: la pazienza. Siamo ormai abituati a volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante.
Non si ha più il tempo per incontrarsi e spesso anche nelle famiglie diventa difficile trovarsi insieme e parlare con calma. La pazienza è stata messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone. Subentrano infatti l’insofferenza, il nervosismo, a volte la violenza gratuita, che generano insoddisfazione e chiusura. Invece, riscoprire la pazienza fa tanto bene a sé e agli altri.
Da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita cristiana sia un cammino che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù.
Non a caso il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita.
Segni di speranza
Oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, siamo chiamati a riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre. Siamo chiamati a scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo.
È necessario, quindi, porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza...
Segno di speranza è la pace per il mondo, come l’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile.
In generale, siamo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti e agli ammalati, i migranti, gli anziani, i poveri.
Infine, di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani.
[N.d.R.: nelle prossime pagine proveremo a illustrarli seguendo l’elenco proposto dal Papa e attingendo all’archivio della rivista].
Riconciliarsi con Dio
L’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia.
Abbiamo la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno, confidando nell’efficacia della comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. L’indulgenza, infatti, ci permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio.
Ad essa si affianca Il Sacramento della Penitenza che ci assicura che Dio cancella i nostri peccati.
La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno. Lì permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole.
Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!
Fonte: Spes non confundit
Sintesi della Redazione
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Che atteggiamento abbiamo nei confronti del futuro? Ci lasciamo condizionare dal clima di incertezza trasmesso dai media?
• Sappiamo coltivare la pazienza nei confronti della vita e nei confronti degli altri?
• Sentiamo nostri gli eventi dell’anno giubilare?
• La confessione è un sacramento che pratichiamo con assiduità?
7-RISCOPRIRE L’OTTAVO GIORNO
Il Giubileo ci offrirà l’opportunità di riscoprire, con immensa gratitudine, il dono di quella vita nuova ricevuta nel Battesimo in grado di trasfigurarne il dramma. È significativo ripensare, nel contesto giubilare, a come tale mistero sia stato compreso fin dai primi secoli della fede. Per lungo tempo, ad esempio, i cristiani hanno costruito la vasca battesimale a forma ottagonale, e ancora oggi possiamo ammirare molti battisteri antichi che conservano tale forma, come a Roma presso San Giovanni in Laterano. Essa indica che nel fonte battesimale viene inaugurato l’ottavo giorno, cioè quello della risurrezione, il giorno che va oltre il ritmo abituale, segnato dalla scadenza settimanale, aprendo così il ciclo del tempo alla dimensione dell’eternità, alla vita che dura per sempre: questo è il traguardo a cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno (cfr. Rm 6,22).
papa Francesco
8-DALLA PERDONANZA AD OGGI
Mi piace pensare che un percorso di grazia, animato dalla spiritualità popolare, abbia preceduto l’indizione, nel 1300, del primo Giubileo. Non possiamo infatti dimenticare le varie forme attraverso cui la grazia del perdono si è riversata con abbondanza sul santo Popolo fedele di Dio. Ricordiamo, ad esempio, la grande “perdonanza” che San Celestino V volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo. La Chiesa già sperimentava, dunque, la grazia giubilare della misericordia. E ancora prima, nel 1216, Papa Onorio III aveva accolto la supplica di San Francesco che chiedeva l’indulgenza per quanti avrebbero visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto. Lo stesso si può affermare per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela: infatti Papa Callisto II, nel 1122, concesse di celebrare il Giubileo in quel Santuario ogni volta che la festa dell’apostolo Giacomo cadeva di domenica. È bene che tale modalità “diffusa” di celebrazioni giubilari continui, così che la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il cammino delle comunità e delle persone.
papa Francesco
9-MARIA, MADRE DI SPERANZA
La speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita.
Non è un caso che la pietà popolare continui a invocare la Vergine Santa come Stella maris, un titolo espressivo della speranza certa che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto, ci sorregge e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare.
papa Francesco
10-ESSERE SEGNI TANGIBILI DI SPERANZA
1. PACE
11-La tragedia della guerra
Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza.
Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subito? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura.
Francesco, Spes non confundit n.8
Pace e fede
La liturgia, la catechesi e la carità sono momenti essenziali di educazione alla pace.
La liturgia rappresenta infatti il vissuto sacramentale di una pace celebrata e invocata come dono. Una pace che non fa adagiare sugli spazi sentimentali, ma che diviene l'annuncio fondamentale. “La pace, infatti, non è tanto un problema morale, quanto un problema di fede. Perché, più che il nostro agire, tocca il nostro essere di persone ‘conformate a Cristo’ in profondità, non con l'aggiunta esteriore di incarichi, ma con l'unzione dell'olio che penetra e consacra radicalmente” (Bello, Omelie e scritti quaresimali, 40).
La catechesi, invece, e in essa il ritorno alla Bibbia, deve proporsi come momento fondamentale di formazione alla pace. Significa assimilare, e non solo a livello intellettuale, ma ponendo in gioco se stessi ricercando le ragioni della propria fede, quella nuova prassi di pace che l'Evangelo propone. Chiaramente la pace diviene punto di riferimento essenziale e rilettura del dato teologico catechistico a partire da Gesù Principe della pace; fino a giungere alle motivazioni che portano ad una prassi di pace che affonda le proprie radici in tutto il discorso della montagna e più specificamente nelle beatitudini.
A partire da questa formazione integrale e globale, la carità si presenta come esercizio di una prassi di pace. La comunità parrocchiale, pertanto, deve iniziare, abilitare e accompagnare il cristiano verso un esercizio serio e veritativo della pace.
Al termine di questo percorso la celebrazione sacramentale diviene anche momento di verifica del proprio agire e l'eucaristia momento privilegiato in cui la pace che è celebrata è anche verificata.
Domenico Amato, GF112
Pace e famiglia
Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia.
La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono.
Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società. In questo senso, rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari. Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini.
papa Francesco, GF112
Per saperne di più: GF112 Costruire la pace
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• La pace nel mondo ci sembra una chimera, come si coniuga il nostro senso d’impotenza con la speranza cristiana?
• Cosa possiamo fare per educare alla pace in famiglia?
• Cosa possiamo fare per coltivare la pace nella realtà sociale in cui viviamo?
• Cosa facciamo per imitare il Signore sulla via della pace?
2. FAMIGLIA
12-L’apertura alla vita
L’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile è il progetto che il Creatore ha inscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore. È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti, perché il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro ad ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza.
Francesco, Spes non confundit n.9
La fecondità nuziale
Come uomini, siamo costituiti in modo tale che per realizzarci ci occorre qualcuno "posto di fronte a noi" che ci stimoli continuamente ad accoglierlo e a donarci sempre di più.
Con il matrimonio tutto ciò diventa un impegno che predispone la condizione più adatta per l'accoglienza dei figli.
La feconda relazione tra Cristo e la Chiesa, partecipata agli sposi nel sacramento delle nozze, salva e dona la vita eterna, quella stessa vita a cui gli sposi, con la forza dello Spirito Santo, si aiutano a generarsi alla vita eterna.
Sicuramente la fecondità di coppia si esprime in modo concreto nella procreazione, per cui chiunque sia concepito è parte del disegno originario di Dio; da sempre e per sempre conosciuto da Dio; pensato, amato, accolto e atteso in Cristo.
Ogni concepito è in Dio già una sua immagine e somiglianza. Come genitori, se vogliamo la verità sui nostri figli, dobbiamo cercarla nella Trinità: nel Dio Unitrino è nato ogni nostro figlio prima ancora che noi lo abbiamo concepito.
Noi sposi "prestiamo" il fango dei nostri corpi (Gen 2,7) all'atto-intervento di Dio perché susciti in e a loro un figlio. Il figlio che nasce è sempre un evento che continua e rinnova la creazione divina che accade qui e ora, ma ha la sua origine e il suo destino nell'eterno.
Il figlio è un atto creativo trinitario sia perché lo rende presente sia perché rinvia a esso. E negli sposi Dio ha voluto concedere e prolungare il suo potere creatore. E per questo i figli restano anche un continuo richiamo per la coppia non solo a diventare sempre più "noi", ma a concretizzarsi e a crescere continuamente nella fecondità. Che va oltre la fertilità.
Paolo Brugnera, GF73
La missione degli sposi
Gli sposi hanno una via loro specifica con cui si sentono protagonisti nella Chiesa; con cui si sentono 'soggetto' attivo e non tanto 'oggetto' delle cure e impegni altrui. Qual è la missione di due che si sposano?
Essi, che sono laici, sono mandati nel mondo circostante, ossia nella vita sociale, in mezzo alle dinamiche della vita. Il luogo della missione è la loro casa, è il loro lavoro, è il loro ambiente quotidiano.
In Familiaris consortio leggiamo che la "missione della famiglia è quella di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso... dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo per la Chiesa, sua sposa" (n.17).
Questo avviene prima di tutto nell'amore di coppia e nella generazione - educazione - formazione dei figli; ciò costituisce il comandamento fondamentale dato dal Creatore agli uomini (Vedi Genesi): crescete, moltiplicatevi, riempite la terra...; insieme all'altro che riguarda il custodire e coltivare il giardino, ossia il lavoro.
Ma l'essere soggetto attivo nella società e nella Chiesa si estende per contagio ad altri campi, fino a raggiungere l'ambiente attorno a sé e il mondo.
Comunità di Caresto, GF73.
Per saperne di più: GF73 Essere fecondi
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Come coppia, come viviamo l’invito alla fecondità?
• In che modo la nascita di un figlio in una famiglia è manifestazione di speranza?
• In che modo la nostra comunità di credenti sostiene le coppie nei loro progetti genitoriali?
• Speranza e fecondità: valori superati o sono valori che reggono il mondo?
3. DETENUTI
13-Misure alternative
Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi.
Francesco, Spes non confundit n.10
Lavorare in carcere
In Italia, scrive Daniela de Robert, “gli istituti di pena per adulti sono 190 con una capienza teorica di 50.644 posti e una disponibilità reale di 47.105. Ma i detenuti alla fine del 2018 erano 59.854.
Di queste oltre 31 mila sono le persone detenute con una condanna o un residuo pena fino a un massimo di tre anni e di queste oltre 10 mila con pena inferiore all’anno”.
Sono più di quarantamila persone che potrebbero usufruire di misure alternative e che si potrebbero aggiungere ai 34 mila soggetti che già ne godono.
Ma purtroppo non è così: chi ha meno possibilità fuori, ne avrà ancora di meno in carcere.
“Alcune pene alternative”, continua la de Robert, “sono puramente teoriche per chi non ha possibilità solide di supporto sociale: impossibile una detenzione domiciliare per chi non ha una casa o una semilibertà per chi non ha un lavoro o una rete esterna in grado di supportarlo”.
La legge 354 del 1975 sottolinea che il lavoro nelle carceri è uno dei fattori fondamentali per la riabilitazione dei detenuti.
Ma ci sono lavori e lavori. Il 32% dei detenuti lavora ma la maggior parte di essi è alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e si occupa di pulizie, distribuzione del vitto, mansioni di segreteria, scrittura di reclami e documenti per gli altri reclusi.
Inoltre, per dare un impiego al maggior numero possibile di persone si organizzano dei turni, così molti sono occupati soltanto per brevi periodi o per poche ore alla settimana.
Il lavoro che “funziona” è quello che viene offerto dalle cooperative a dalle aziende esterne.
In questo caso si riduce drasticamente la probabilità di tornare a commettere un reato: si passa dal 75% di recidiva a meno del 10%.
Città Nuova, GF104
Visitare i carcerati
Le nostre “visite” sono iniziate quando dei nostri vicini di casa si sono “trasferiti” in carcere. Ci ha colpito la povertà degli ambienti del carcere, a volte anche lo squallore che sembra travolgere le persone che ci vivono e lavorano. Invece ci ha sorpreso l'umanità che il personale spesso dimostra con chi sconta le pene.
Non c'è nulla da guadagnarci ad essere solidali con loro, se non amici, perché non è cosa ben vista dalla gente ed è fonte di enormi pregiudizi e paure.
A noi è capitato di percorrere insieme con queste persone dei tratti di strada e di riconoscere in loro quel briciolo di umanità che pur sempre esiste e mai vien meno, che fa nascere un rapporto di lealtà e solidarietà nonostante tutto.
Perché non credere che in fondo a ciascuno possa esserci la voglia di essere persone belle e felici? Perché non essere noi a riaccendere, con il nostro comportamento, quella consapevolezza che qualcosa di apprezzabile e buono c'è in ognuno?
Quante volte ci siamo sorpresi per la tenerezza dei gesti di queste persone, per la gratitudine e semplicità delle loro parole.
Renato Durante, GF90
Per saperne di più: GF104 Periferie e GF90 Anno santo della misericordia
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Siamo mai stati a visitare qualcuno in carcere? Abbiamo mai partecipato ad iniziative all’interno degli istituti penitenziari?
• Abbiamo mai conosciuto famiglie con congiunti in carcere?
• Abbiamo mai fatto qualcosa a favore dei carcerati (p.e. comperare oggetti o alimenti da loro prodotti, regalare libri e/o abbonamenti a riviste?
4. AMMALATI
14-Vicinanza
Segni di speranza andranno offerti agli ammalati, che si trovano a casa o in ospedale. Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono. Le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine.
Non manchi l’attenzione inclusiva verso quanti, trovandosi in condizioni di vita particolarmente faticose, sperimentano la propria debolezza, specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale. La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera.
Francesco, Spes non confundit n.11
Il lavoro del medico
Nei medici di famiglia con una forte motivazione vocazionale, nonostante la burocrazia, sopravvive la voglia di continuare a visitare le persone, di starle a sentire, di andare fisicamente nelle loro case o negli ospedali quando sono ricoverate. A prescindere da ciò che portano come richiesta.
Tante volte il paziente si rivolge a noi chiedendo una visita perché non respira bene, ma in realtà ci vuole vedere a quattr'occhi per paura di qualcosa di indefinito, o perché sa benissimo dov'è il suo dolore e non sapendo con chi confrontarsi ci chiama per un bisogno di relazione vera, non mediata dal pietismo a buon mercato, né falsata da interessi personali.
Esiste ormai una solitudine affettiva che circonda il malato, soprattutto per i casi più gravi, come la solitudine che segue una vedovanza, o una diagnosi infausta.
Già, perché non sempre una malattia seria determina una coesione dei familiari, alcune volte si assiste al fuggi fuggi generale dei vari parenti che non gradendo più la vista del fratello malato di Altzheimer o della madre affetta da tumore, vanno in depressione al solo sentirli nominare e si defilano bellamente.
Allora subentra la carità che sottende la nostra vocazione di medici, ci rechiamo dai malati sapendo benissimo che non è la pillola che possiamo prescrivere che li farà stare meglio ma è farsi carico dei loro dolori che li potrà aiutare a sopportarli.
Maria Rosa Fauda, GF90
Offrire sollievo
Di fronte alla sofferenza e alla malattia siamo un po’ tutti spiazzati.
Se poi si tratta di malattie degenerative ci sentiamo umanamente del tutto impotenti. Molto spesso siamo frenati dal timore di essere considerati invadenti perché c’è un pudore anche rispetto alla malattia. Anche se la parrocchia è una comunità viva e solidale, questo tipo di sofferenze esige molta delicatezza.
Serve una conoscenza profonda della famiglia impegnata nell’attività di cura ed è necessario che questa, a sua volta, sentendosi davvero parte della comunità, ne accetti l’aiuto.
Come la comunità parrocchiale si fa carico di coloro che sono nel bisogno materiale e spirituale, sarebbe altrettanto importante che, nella comunità, si parlasse apertamente di queste realtà facendosene carico.
Resta vero che lo svolgimento delle attività di cura necessarie non possono essere affidate in modo improvvisato e che gli ammalati sovente fanno fatica da accettare volti sconosciuti.
L’aiuto, in pratica, alla fine si può ridurre ad offrire alla famiglia interessata qualche momento di sollievo.
Chi non ha il coraggio di offrire concretamente questo delicatissimo servizio credo possa dedicarsi serenamente alla preghiera di intercessione a favore del malato e della sua famiglia, e non è cosa da poco.
Anna Lazzarini, GF111
Per saperne di più: GF111 Invecchiare e morire da cristiani e GF90 Anno santo della misericordia
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Abbiamo mai avuto occasione di frequentare persone che svolgevano il compito di care giver per qualche loro congiunto? Come siamo riusciti ad aiutarli?
• Di fonte alla malattia di un nostro caro come ci comportiamo? Siamo portatori di speranza?
• Di fronte alle nostre malattie, p.e. quelle croniche, sappiamo conservare la speranza?
5. GIOVANI
15-Il futuro incerto
Di segni di speranza hanno bisogno anche coloro che in sé stessi la rappresentano: i giovani.
Essi, purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni. Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire. È bello vederli sprigionare energie, ad esempio quando si rimboccano le maniche e si impegnano volontariamente nelle situazioni di calamità e di disagio sociale. Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia. L’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi.
Francesco, Spes non confundit n.12
I timori dei genitori
Quando si diventa adolescenti si scopre di avere un corpo e una mente "nuovi", di non aver più bisogno della guida costante dei genitori.
Si desiderano e si sperimentano nuove e intense emozioni: uscire da soli, andare ad una festa, la prima sigaretta, il primo bacio, la vacanza con gli amici, ma anche il piacere sessuale, lo sballo alcolico, l’uso di pasticche, le corse in macchina, etc.
È quello che temono i genitori: il mondo là fuori è pieno di rischi e loro figlio è poco più di un bambino.
Ma se non si rischia, non si cresce e non si diventa adulti; l’importante è che i rischi che l’adolescente corre siano "costruttivi", e non solo finalizzati alla ricerca di sensazioni forti o, peggio, portatori di "dipendenze".
Alberto Pellai GF83
Precariato
Cresciuta nella consapevolezza di dover dimenticare il mito del posto fisso, dagli anni 90 la generazione dei flessibili ha imparato invece che il destino più comune è invece quello di precario.
Chi è flessibile passa idealmente da un lavoro all’altro migliorando le proprie competenze e il proprio stipendio.
Fino al 2008, l’anno della crisi, in Italia è cresciuto invece un esercito di lavoratori lontano da questa realtà.
Uomini e donne spesso inchiodati allo stesso lavoro, senza tutele e sempre con lo stesso stipendio, con contratti a tempo reiterati per anni e anni.
Tonia Mastrobuoni, GF79
Droga
In un giorno riuscivo a farmi anche sette tipi di droga diversi, la mia famiglia è ricca, alle feste butti giù roba che nemmeno conosci, girano un sacco di farmaci, Xanax, Tavor, Valium, ansiolitici, antidepressivi. Le dosi se vuoi arrivano a casa, come fosse Deliveroo… L'offerta è pazzesca. Ma è a scuola che tutti noi abbiamo cominciato. Vi prego, intervenite lì.
Rocco, GF115
Convivenza
Quello che emerge, ascoltando le giovani coppie, è una generalizzata e diffusa difficoltà, quando non un'incapacità, progettuale.
Le coppie si trovano in una situazione di precarietà, economica, sociale, abitativa, relazionale che diventa una dimensione costante delle loro esistenze; manca la capacità di pensarsi in un tempo e in un rapporto che sia diverso da quello del momento presente, perché il cambiamento non trova uno spazio di pensiero.
Uomini e donne che, spesso non per scelta, si trovano in una condizione di vita generalmente precaria, connotata dalla mutevolezza e dal cambiamento, e faticano a pensarsi diversi, a immaginarsi nel futuro.
L'opzione della convivenza, quale forma di legame di coppia, raramente sembra rientrare all'interno di un progetto di vita, fatto di scelte ragionate e consapevoli.
Simona Trovati, GF58
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Sappiamo trasmettere speranza ai nostri giovani o siamo anche noi rassegnati come lo sono diversi di loro?
• Sappiamo accettare i loro errori, i loro sbagli, le loro cadute o siamo giudici severi? Trasmettiamo loro giudizio o speranza?
• Li aiutiamo a scegliere compagnie e ambienti aperti alla speranza e a valori positivi?
6. MIGRANTI
16-Accoglienza
Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti, che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per sé stessi e per le loro famiglie. Le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure; l’accoglienza, che spalanca le braccia ad ognuno secondo la sua dignità, si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore. Ai tanti esuli, profughi e rifugiati, che le controverse vicende internazionali obbligano a fuggire per evitare guerre, violenze e discriminazioni, siano garantiti la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, strumenti necessari per il loro inserimento nel nuovo contesto sociale.
La comunità cristiana sia sempre pronta a difendere il diritto dei più deboli. Spalanchi con generosità le porte dell’accoglienza, perché a nessuno venga mai a mancare la speranza di una vita migliore. Risuoni nei cuori la Parola del Signore che, nella grande parabola del giudizio finale, ha detto: “Ero straniero e mi avete accolto”.
Francesco, Spes non confundit n.13
Partita IVA
“Che mondo. È un mondo tremendo”. Il nome vero non lo dice, ha troppa paura: "Se mi riconoscono ho chiuso, non lavorerò mai più". Lo chiameremo Hassan: ha quarant'anni, viene da un paese del Maghreb ed è laureato in biologia. Naturalmente qui in Italia, in Val di Magra, tra Sarzana e La Spezia, dove vive dal 2005, fa tutt'altro: il muratore. Ma sulle impalcature - quasi sempre senza casco o altre misure di sicurezza - Hassan non ci va da lavoratore dipendente, e se per questo nemmeno da precario. Ci va come "imprenditore", come datore di lavoro di sé stesso, con tanto di partita Iva.
Roberto Giovannini, GF67 extra
Gli invasori
Faccio parte della Caritas del mio paese per cui sono molto in contatto con immigrati, soprattutto donne e bambini.
La nostra difficoltà maggiore non è il rapporto con loro, ma quello con i nostri compaesani che vedono nel nostro volontariato un incentivo all’invasione, come la chiamano loro.
Per questo motivo abbiamo anche rotto delle amicizie, ma io credo che certi valori siano irrinunciabili.
Chiara, GF97
Albanesi
Era il 1996 e mia madre aveva bisogno di assistenza continua. Ho dovuto ricorrere ad un aiuto per non lasciarla sola neppure di notte, così sono ricorsa da una famiglia di albanesi.
Era composta da una giovane coppia e la mamma della giovane moglie.
Abitavano vicino all'abitazione di mia mamma. Questo facilitava il lavoro. Madre e figlia mi garantivano la presenza giorno e notte alternandosi.
Sono andata all'Ispettorato del Lavoro per la regolarizzazione. Ricordo come fosse adesso lo sguardo sbalordito dell'impiegato e la frase che mi ha detto: "ma lei è matta a prendersi in casa una famiglia di albanesi!".
Sono uscita un po' preoccupata. Pensavo tra me e me: "eppure mi sembrano delle brave persone…".
Le ho viste molto attente a tutti i bisogni di mia madre ma ho anche scoperto che avevano molti pregiudizi sull'Italia.
Giuseppina Ganio Mego, GF67
Con gli emigrati
Vivevo a pieni polmoni, senza paura, anche nelle più profonde pieghe, tutti i disagi dell'emigrazione. È forte la difficoltà di vivere in Paesi di cui non conoscevo gente, lingua, costumi, come fossi io pure un emigrato, condividendo a volte con loro il disprezzo.
Quante volte passeggiando con loro venivo insultato. Ebbi a volte la tentazione di ribellarmi, ma come emigrato tacevo, perché l'emigrazione, ieri e oggi, è come una necessità per un pezzo di pane per sé e la famiglia.
Antonio Riboldi, GF67 extra
Per saperne di più: GF67 Noi e gli altri e GF97 Immigrati
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Sul tema immigrazione quali sono le nostre idee?
• Come parliamo di questo tema ai nostri figli/nipoti?
• Scuola multietnica: elenchiamo vantaggi e svantaggi.
• Immigrati e cittadinanza: jus solis, jus scolae sono ancora di moda?
• Come testimoniamo la speranza cristiana di fronte a persone che sono mosse dalla speranza?
7. ANZIANI
17-Gratitudine
Segni di speranza meritano gli anziani, che spesso sperimentano solitudine e senso di abbandono. Valorizzare il tesoro che sono, la loro esperienza di vita, la sapienza di cui sono portatori e il contributo che sono in grado di offrire, è un impegno per la comunità cristiana e per la società civile, chiamate a lavorare insieme per l’alleanza tra le generazioni.
Un pensiero particolare rivolgo ai nonni e alle nonne, che rappresentano la trasmissione della fede e della saggezza di vita alle generazioni più giovani. Siano sostenuti dalla gratitudine dei figli e dall’amore dei nipoti, che trovano in loro radicamento, comprensione e incoraggiamento.
Francesco, Spes non confundit n.14
La “nonnità”
Non avremmo mai pensato che le nostre due nipotine, di 2 e 4 anni, ci potessero mancare così tanto; vivono lontano e le possiamo raggiungere solo ogni tanto, è bello sentirle per telefono, ma tenerle in braccio è molto diverso.
Siamo nonni severi (!), e se dobbiamo essere sinceri pensiamo sovente che "ai nostri tempi…." i genitori erano di mano più salda. Ma in fondo siamo contenti siano così ben impostate. Ogni volta che passano qualche giorno con noi soli ci stupisce la loro capacità di adattarsi alla diversità di caratteri, di abitudini, della cucina diversa. Certo quando sono con noi, senza i genitori, abbiamo giornate piene, restano brevi momenti, più che altro quando sono a nanna.
Eppure, non c'è viaggio o crociera che valgano quei giorni passati assieme.
Celine e Paolo Albert, GF61
Non dare disturbo
Le fatiche della vita sono realtà che non ci lasciano uguali a prima, ma ci cambiano e ci spingono a cogliere l'essenziale.
Così ci scopriamo a sbirciare con occhi diversi i nostri genitori mentre giocano e sorridono con i nostri figli (e così ci permettono di dedicare del tempo per noi due, per le altre famiglie); quando attendono preoccupati l'esito di un esame medico importante; quando gioiscono di fronte ad un traguardo importante che noi abbiamo raggiunto; quando piangono per la morte dei loro genitori, o di uno dei loro figli...; quando si rimboccano le maniche, ora che sono in pensione, per permettere ad altri meno fortunati di stare meglio.
Sommersi dai nostri impegni li ammiriamo per la forza e l'energia interiore che mostrano; e nei loro momenti immancabili di malattia o di stanchezza impariamo a stare loro vicini, in punta di piedi, perché non si sentano in colpa per darci tanto disturbo.
Antonella e Renato Durante, GF61
Essere pensionati
L'andar in pensione, per me e per mia moglie, è stata una scelta comune per ragioni di salute, per poter disporre diversamente del nostro tempo, aver più tempo per la coppia ed avere più disponibilità per gli altri.
Non avendo figli non abbiamo dovuto fare la scelta obbligata di tanti, che si sono impegnati a tempo pieno a far i nonni, però ci siamo riproposti di aiutarci di più tra di noi e di tenere l'occhio attento al volontariato e ad approfondire il cammino di fede come coppia anche attraverso gli esercizi spirituali e il turismo religioso nei luoghi dello Spirito (Terra santa, itinerari di San Paolo, Santuari).
Da oltre 30 anni frequentiamo gruppi d'ispirazione cattolica che ci hanno seguito nel nostro rapporto di coppia ed ora in quello della terza età.
Da queste realtà sentiamo di aver ricevuto molto, sperando di aver anche dato qualcosa.
Giacinto e Raffaella Bruschi, GF61
Per saperne di più: GF61 I frutti dell’autunno
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Come coppia anziana, in che modo viviamo la speranza?
• Cosa ci raccontiamo a fine giornata? Non solo di quello che abbiamo fatto ma anche in che modo l’abbiamo vissuto? I sentimenti che abbiamo provato?
• Riusciamo a ridere dei nostri reciproci errori compiuti in passato, oppure c’è ancora qualcosa che...?
8. POVERI
18-Lo scandalo dei poveri
Speranza invoco in modo accorato per i miliardi di poveri, che spesso mancano del necessario per vivere. Di fronte al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi e rassegnarsi. Ma non possiamo distogliere lo sguardo da situazioni tanto drammatiche, che si riscontrano ormai ovunque, non soltanto in determinate aree del mondo. Incontriamo persone povere o impoverite ogni giorno e a volte possono essere nostre vicine di casa. Spesso non hanno un’abitazione, né il cibo adeguato per la giornata. Soffrono l’esclusione e l’indifferenza di tanti. È scandaloso che, in un mondo dotato di enormi risorse, destinate in larga parte agli armamenti, i poveri siano “la maggior parte” […], miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto” (Francesco, Laudato si’, cit., n. 49). Non dimentichiamo: i poveri, quasi sempre, sono vittime, non colpevoli.
Francesco, Spes non confundit n.15
Come stai?
È molto faticoso mettersi nelle scarpe degli altri, perché spesso siamo schiavi del nostro egoismo.
Quando incontro un senza tetto la prima cosa che gli dico è ‘Buongiorno’. ‘Come stai?’. Le persone che vivono sulla strada capiscono subito quando c’è il vero interesse da parte dell’altra persona o quando c’è, non voglio dire quel sentimento di compassione, ma certamente di pena. Si può vedere un senza tetto e guardarlo come una persona, oppure come fosse un cane. E loro di questo differente modo di guardare se ne accorgono.
Papa Francesco, GF104
Dalla parte del “giusto”
Noi cristiani abbiamo la sindrome del salvatore non ci rendiamo conto che, primo, è Cristo che salva; secondo, Cristo opera la sua salvezza morendo in croce. Giochiamo costantemente il ruolo dei buoni, di quelli che stanno dalla parte del giusto e finiamo per crederci giusti. E invece noi non salviamo nessuno, possiamo creare un contesto favorevole perché questa ‘salvezza’ avvenga solo se sappiamo scendere costantemente dalle nostre teorie e ci mettiamo in ascolto, cioè cambiamo perché la realtà che bussa alla nostra porta cambia.
Tendiamo a strumentalizzare i poveri per rassicurare il nostro buon cuore di benefattori, ma mai per loro stessi, per renderli protagonisti, soggetti attivi.
Fabrizio Floris, GF104
La decima
Da quando ci siamo sposati destiniamo circa il dieci per cento delle nostre entrate alla condivisione. Lo consideriamo un gesto di giustizia più che di carità, è diventata un’abitudine e non ci pesa.
Fino ad ora, nonostante siamo due insegnanti, non ci siamo mai trovati alle prese con difficoltà tali da rimpiangere quei soldi.
Elisabetta, GF103
Fede incarnata
La fede si deve vivere con azioni sociali in favore del bene comune, dei poveri e degli oppressi.
Così abbiamo deciso da tempo di andare là dove i poveri hanno bisogno, in un paese del Terzo Mondo.
Gloria e Dino Verderio, GF96
Per saperne di più: GF104 Periferie
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Che atteggiamento abbiamo verso coloro che chiedono l’elemosina per strada? Attenzione, rifiuto, indifferenza?
• Conosciamo famiglie che si sono ritrovate “povere”? Cosa abbiamo fatto per loro?
• La povertà segna molte famiglie nel mondo. La realtà del terzo e quarto mondo è ancora viva nelle nostre comunità?
Testimonianze
19-IN COSA SPERIAMO?
La speranza vede ciò che ancora non è e che sarà. Lei ama ciò che ancora non è e che sarà.
Nel futuro del tempo e dell’eternità. Charles Peguy
Paura del futuro
Di fronte ai drammi della contemporaneità si manifesta l'isolamento di tanti cristiani bloccati da una paura verso il futuro; un tale clima di sfiducia fa tutt'uno con una concezione abitudinaria del cristianesimo, direi con una concezione stanziale che tende ad addormentare l'attesa del ritorno di Gesù Cristo.
Giuseppe Goisis
La pace
In questi giorni sembra che il mondo si capovolga e tutto quello per cui abbiamo sognato e lavorato vada in frantumi. La pace è la nostra più grande speranza. Papa Francesco da sempre parla di pace e lavora per la pace, purtroppo non è tanto ascoltato.
Chiara
Disperare
Molti, giovani e vecchi, soggiacciono alla tentazione del disperare, anche con le scelte più estreme; e hanno un certo ruolo anche i maestri del nulla, che evocano, con parole suadenti e con ambiguo distacco, la notte che scende sull'Occidente, con ombre sempre più fitte, lasciando i loro figli/discepoli/ascoltatori privi di illusioni, ma anche di risorse propositive; senza pregiudizi, ma anche senza strumenti per sormontare la crisi, giacché ogni alternativa appare identica e quasi condannata in anticipo. Questi custodi, in definitiva, non custodiscono che il nulla e il nulla è il loro segreto.
Giuseppe Goisis
Ali e radici
Ci preoccupiamo spesso di lasciare qualche eredità consistenti ai nostri figli e nipoti ma l'autentico educatore sa che occorre tramandare soprattutto due dimensioni: le radici giacché senza radici non si generano frutti e le ali per volare innanzi. Trasmettere la speranza come eredità significa proprio questo: offrire alle generazioni più giovani radici per consistere e ali per slanciarsi.
Giuseppe Goisis
Un Dio vicino
La speranza è per me una modalità di vivere la mia umanità – e quindi di testimoniarla – con tutti quelli che incontro e nelle realtà di ogni giorno. In particolare, mi sembra di vivere la speranza quando posso aiutare qualcuno a credere nelle sue capacità e anche quando riesco ad andare oltre le apparenze spesso negative delle realtà che mi si presentano. Ogni incontro, ogni nuova responsabilità, ogni compito è un atto di speranza perché da un lato è riscontro e accettazione dei miei limiti, ma nello stesso tempo è fiducia nella presenza di Dio che ama e ci è vicino.
Paola
Credere nell’impossibile
La speranza è quel momento della vita dove non c’è più nulla da fare, la fine, in cui solo un miracolo può cambiare la sorte. La parola sperare è come un augurio associato a un pensiero negativo, quando l’animo è in una situazione di sconfitta e anche la preghiera sembra avere un gusto amaro; sperare, mi vien da dire, è credere nell’impossibile.
Emanuele e Cinzia
Un mondo migliore
La speranza per me è il domani. Sono “anziana” che è un modo elegante per non dire vecchia, dovrei rassegnarmi ad aspettare la morte; invece, ho un monte di cose da fare e programmare per il futuro. Mi è stata regalata la vita, non posso sprecarla, ho il dovere di lavorare per un mondo migliore. Ho 6 nipoti: come posso non sperare per il futuro? Ai miei nipoti grandi racconto la mia storia fatta di tante privazioni della mia infanzia povera che non era triste perché c’era tanta fatica ma anche tanto affetto. Sono nata subito dopo la guerra e i sopravvissuti dovevano sperare che il mondo migliorasse.
Chiara
Ottimismo
Il nostro è il tempo degli equivoci, di un conformismo emozionale che tende a offuscare le differenze; tale conformismo ci invita ad appiattire i contorni di ogni verità, ispirandoci spesso una falsa solidarietà. Così, erroneamente, si fa coincidere la speranza con l'ottimismo. Ricorrendo ad un arguto paradosso si può dire così: l'ottimista" proclama che viviamo nel migliore dei mondi possibili, e il "pessimista" teme che possa essere vero.
Giuseppe Goisis
Qualcuno dall’alto
Per molti oggi i soldi sembrano essere la cosa più importante ma nei momenti tristi e disperati della vita non puoi farcela se non speri che dall’Alto Qualcuno ti pensi e ti aiuti a superare le difficoltà e che un giorno ormai non più tanto lontano, per me anziana, ti accolga con tanta misericordia.
Chiara
Andrà tutto bene?
Ci sono due tipi di speranza. La prima è quella che io chiamo dell’essere campati per aria. È la speranza del “andrà tutto bene”, ma poi alla prima difficoltà si sprofonda nella delusione, frustrazione, rabbia, vuoto, depressione, ecc.
La seconda, quella vera, è la speranza che ti interroga, ti scuote e ti porta ad agire di conseguenza.
È la speranza dell’essere coscienti del tempo che stiamo vivendo e dentro questo cambiamento epocale proiettarsi al futuro facendo del nostro meglio.
Daniela
Resurrezione quotidiana
Quando entra nella nostra vita la stella della redenzione, dapprima sembra cambiare poco, ma è perché non afferriamo un essenziale mutamento: la risurrezione quotidiana. La speranza, facendoci intravedere una più ampia prospettiva, consente un giudizio profondo su noi stessi, e quindi permette di riordinare ed emendare la nostra vita; la risurrezione, dunque, non solo come metamorfosi da rinviare al futuro, a cui si crede per fede, ma anche come esperienza seriale del risollevarsi, lottando con la morte giorno dopo giorno e rettificando la nostra bussola interiore.
Giuseppe Goisis
Cose nuove
La speranza è la luce che ci guida nel buio, è un dono che ci viene offerto e accende il coraggio, non l’eroismo, ci fa procedere intelligentemente passo dopo passo, respiro dopo respiro, illuminando la nostra fantasia ed espandendo la nostra intelligenza per creare cose nuove, nuove strategie.
Daniela
La metafora dell'àncora
I padri della Chiesa usano la profonda metafora dell'àncora: ogni uomo e ogni donna poggiano sull'intreccio profondo della creazione e questo li sostiene nello sporgersi verso la vera patria, quella del Cielo.
Due grandi maestri della spiritualità e della mistica: Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, esprimono, con un'identica frase, la situazione agonica di chi rimane radicato nel mondo, ma aspira con tutte le forze all'immersione nel Divino: “Spero in una vita così alta che muoio di non morire”.
Giuseppe Goisis
Un dono da accogliere
La Speranza, virtù teologale, è un dono che viene da Dio, che accolgo nella mia vita e che si fonda sulla fiducia e convinzione – che deriva dalla Fede – che Dio ama il mondo che ha creato e che Cristo è morto e risorto per tutti.
La speranza fa memoria di quanto ricevuto nel passato, vive e affronta con coraggio e pazienza le difficoltà del presente in vista di una vita futura.
Paola
N.d.R. Le riflessioni che riportano la firma del compianto prof. Giuseppe Goisis sono tratte da libro dell’autore: Speranza, Edizioni Messaggero Padova, 2020
Una testimonianza
20-LA SPERANZA CRISTIANA
Se Cristo è risorto, anche noi siamo chiamati ad una vita nuova, che non si ferma davanti alla sofferenza e alla morte, ma si apre ad una prospettiva di eternità.
di Nicoletta e Corrado Demarchi
Ci sono momenti nella vita in cui le difficoltà e le vicende quotidiane possono mettere a dura prova il nostro spirito: in questi contesti, la speranza cristiana si rivela una forza straordinaria, capace di sostenerci e orientarci con uno sguardo colmo di luce.
Non dobbiamo confondere la speranza con l’ottimismo o con una fiducia ingenua che tutto andrà per il meglio. Per noi cristiani, essa ha un fondamento solido, poggiato su tre pilastri fondamentali.
La fedeltà di Dio.
Il primo pilastro è la fedeltà di Dio. Dio mantiene sempre le sue promesse, anche quando la vita ci mette di fronte ad ostacoli e sofferenze. Possiamo essere certi che il Suo amore e la Sua misericordia non vengono mai meno. Questa certezza ci aiuta a non sentirci soli, sapendo che siamo accompagnati sempre da una presenza fedele e instancabile. Come dice il Salmo 33:18: "Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua Grazia".
La risurrezione di Cristo.
Il secondo pilastro è la resurrezione di Cristo. La vittoria di Gesù sulla morte è il cuore della speranza cristiana. Se Cristo è risorto, anche noi siamo chiamati ad una vita nuova, che non si ferma davanti alla sofferenza e alla morte, ma si apre ad una prospettiva di eternità. Come afferma 1 Pietro 1:3: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva".
L'azione dello Spirito Santo.
Il terzo pilastro è l’azione dello Spirito Santo. Esso opera nel cuore dei credenti, alimentando la speranza e sostenendoci nelle difficoltà. Grazie alla Sua guida, possiamo affrontare la vita con fiducia, trovando la forza per superare le prove e guardare al futuro con maggiore serenità. Romani 5:5 ci ricorda: "La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato".
La preghiera
La speranza non è quindi un concetto astratto, ma una realtà che si può vivere e che trova conferma nell'esperienza concreta. Essa va alimentata quotidianamente, coltivandola e rafforzandola nel nostro cammino, attraverso la preghiera e prendendo come esempio le persone che vivono la loro fede con autenticità, anche nelle sofferenze, e che sono quindi per noi di grande incoraggiamento.
Ci sono inoltre momenti nella vita in cui, nonostante i problemi, anzi, proprio attraverso di essi, sperimentiamo una nuova fioritura. Situazioni in cui, grazie alla fede e alla speranza, troviamo la forza di rialzarci e ripartire. Queste esperienze sono molto importanti perché ci ricordano che il dolore e il male non hanno mai l'ultima parola.
La Parola di Dio
La lettura della Sacra Scrittura, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ci aiuta a scoprire e conoscere storie concrete di uomini e donne che hanno guardato la realtà con occhi nuovi e hanno affrontato le sfide quotidiane in modo diverso dalla rassegnazione o, peggio, dalla disperazione. Come dice Romani 12:12: "Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera".
L’affidamento
La speranza cristiana non è quindi solo un sentimento, ma una forza dinamica che ci orienta verso l'alto, trasformando il nostro modo di vivere. Ci invita a guardare oltre le difficoltà del presente, a confidare nelle promesse di Dio e a camminare con fiducia, sapendo che non siamo soli.
In un mondo spesso segnato da paura e scoraggiamento, la speranza diventa una testimonianza luminosa, un faro che indica la direzione e un sostegno prezioso per affrontare ogni giorno con coraggio e serenità. Con questo sguardo di fiducia rivolto al Padre che non ci abbandona mai, possiamo vivere, allora, con il cuore e la mente trasformati, aperti a Dio ed alla Sua volontà.
21-SPERANZA E FAMIGLIA
Quando una coppia decide di dare inizio a una famiglia, deve avere ben presente che è solo l'avvio di un entusiasmante percorso che maturerà nel tempo.
Nella vita familiare l'amore è l’olio che allenta gli attriti, la colla che unisce e la musica che porta armonia. Friedrich Nietzsche
Di Carmine Arice*
Cos'è la speranza? Non è l'ottimismo, direbbe Václav Havel, il famoso presidente poeta della Cecoslovacchia. “La speranza non è l'ottimismo, non è nemmeno il desiderio, un peso come vuoto da riempire. È un'attesa di un compimento la cui sorte è indipendente da noi”. Se così fosse avrebbe ragione quel proverbio famoso che dice: “Chi vive sperando…”.
Invece, la speranza significa avere la certezza, o perlomeno la convinzione, che quello che si sta facendo, credendo e vivendo abbia un possibile senso, al di là di come andranno a finire le cose.
Così intesa la speranza non volta le spalle alla negatività che attraversa la vita ma si fa impavida talpa della storia, una talpa che, piena di fiducia, scava infinite gallerie nell'oscurità.
Applicate questo alla famiglia e capite cos'è la speranza. Sperare significa far credito alla realtà perché possa essere foriera di futuro. Ecco, allora, alcuni suggerimenti in tal senso.
Non smettere di amare
Coltivare la speranza significa per la famiglia e per coloro che credono in essa, riempire di senso le inevitabili fatiche, riconoscendo in esse il valore e il motore per vivere il presente, comunque esso si presenti. E l’unico senso capace di essere più forte anche della morte è l'amore. In fondo, coltivare la speranza in famiglia significa non smettere di amare. Quando una coppia decide di iniziare una nuova pagina di storia dando inizio a una famiglia, deve avere ben presente che è solo l'avvio di un entusiasmante percorso che maturerà nel tempo, nella misura in cui ci sarà disponibilità a crescere proprio grazie alle inevitabili fatiche che la vita riserva.
Ed è allora che la speranza renderà capace, come dice la Scrittura, di essere forti nella tribolazione, sapendo che l'amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori. “Nella vita familiare l'amore è l’olio che allenta gli attriti, la colla che unisce e la musica che porta armonia”. Chi ha scritto questa frase non è un autore cristiano ma Friedrich Nietzsche.
In questo noi cristiani dovremmo essere esperti, visto che sappiamo da Qualcuno cosa vuol dire l’amore.
Non essere soli
Per coltivare la speranza occorre percepire che non si è soli a lottare. Non si è soli a vivere esperienze a volte davvero difficili e al limite della sopportazione. La solitudine ammazza prima della morte, chiunque.
Ammazza la famiglia, lasciata sola a lottare per la sopravvivenza dignitosa del suo quotidiano. E questo è un peccato sociale di cui siamo tutti corresponsabili.
La famiglia ferita è un danno sociale. Non basta dire che la famiglia è la speranza della Chiesa e del mondo e che è la cosa più bella che Dio ha fatto.
Le Istituzioni devono fare la loro parte e non le dobbiamo lasciare in pace fino a quando non assicurano la giustizia necessaria.
La Comunità ecclesiale deve fare la sua parte se vuole essere credibile quando annuncia la sacralità della famiglia, ma poi sono necessari gli artigiani di speranza per la famiglia, che sono coloro che dinanzi le situazioni concrete non girano la testa dall'altra parte.
Dobbiamo chiedere la grazia di avere degli artigiani di speranza, che non girino la testa, cirenei della gioia della famiglia, che non siano mossi da interessi che non siano quelli di concorrere al benessere di tale realtà.
La stabilità coniugale
La famiglia vedrà fiorire la speranza quando saprà essere coraggiosa nel coltivare quei valori che la definiscono nella sua identità e nella sua missione. Se prima mi sono soffermato su ciò che occorre fare per la famiglia ora vorrei considerare quello che la famiglia deve fare per sé stessa.
Tra i valori che la caratterizzano, vorrei insistere sul grande dono della stabilità coniugale con le importanti ripercussioni che ha sulla coppia e sui figli.
Questo è uno dei valori più in crisi, un frutto del nostro tempo, e ciò vale anche per la consacrazione religiosa: oggi vale il “per sempre finché dura”.
Non sono pochi gli studi che dimostrano come le famiglie stabili hanno una minore incidenza del rischio di devianza dei minori adolescenti rispetto alle coppie provvisorie o instabili.
L’amore reciproco, fino al sacrificio della vita, deve essere perseguito come valore primario, il primo dono che la coppia può fare alla società.
Io ho fatto per undici anni il direttore in una scuola e una volta ho chiesto ad un bambinetto che accompagnava la mamma che doveva fare un colloquio: “senti un po’, chi è il tesoro di mamma?”.
Io mi sarei aspettato che si riferisse a sé stesso e invece lui mi ha risposto senza esitare: “papà!”.
Mi sono detto: questo è un bambino felice perché ha capito, senza esserne geloso, che il tesoro della mamma è il papà, e viceversa.
L’amore fedele non solo è sostanza della vita familiare ma è anche sacramento dell’amore fedele di Dio per l’umanità.
Il valore del perdono
Coltivare la speranza significa anche aiutare a rialzarsi chi è caduto, a rimarginare ferite a chi se le è procurate o gliele hanno procurate, favorire percorsi di riconciliazione o di perdono. Non c’è speranza senza perdono.
Chi porta rancore non sa cosa sia la speranza.
Speranza e fiducia nella possibilità di ricominciare percorsi nuovi o rinnovati è un gran bel dono che la vita può farci a condizione che lo si voglia.
Nessuno dovrebbe sentirsi spazzato via per sempre e nessuno dovrebbe sentire che la sua dignità non è più tale dopo aver commesso errori. Il buon Dio non rottama nessuno.
Quando parliamo di nuovo Testamento dobbiamo sottolineare l’aggettivo “nuovo”. Nuovo non perché si apre ad accogliere nuove persone ma perché prende le persone malandate, bistrattate e le fa nuove. Questa è una meraviglia! Le case felici sono costruite da mattoni di pazienza, non dimentichiamolo.
Noi siamo eterni
Infine, per coltivare la speranza è bene alzare lo sguardo verso l'orizzonte che va oltre il tempo e lo spazio e che si chiama eternità. Io temo che quest’anno, giubileo della speranza, facciamo diventare questo tema una riflessione solo sulla speranza con la esse minuscola.
Non dimentichiamo che la virtù teologale della speranza è anzitutto uno sguardo sull'oltre, sull'eternità. Per questo auguro alla famiglia di sentirsi pellegrina verso la pienezza di vita, verso quella casa che progressivamente accoglierà ciascun membro che la compone.
La famiglia vive nel tempo un po’ di qua, nel mondo, poi uno alla volta si parte e si va in cielo. Ma è proprio in cielo che la famiglia si ricompone per sempre. E questo lo hanno capito i bambini piccoli perché l'unica consolazione che hanno quando muore il nonno è sapere che in paradiso lo riabbracceranno.
Anche se le nostre esperienze su questa terra sono grandiose e belle, sono sempre penultime e segnate da una nostalgia di pienezza che solo il cielo può soddisfare completamente. Siamo mortali.
O meglio, mettiamolo al contrario, non siamo immortali, ma siamo eterni.
*padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, Torino
Sintesi dell’intervento durante la Settimana della Famiglia 2025 organizzata dal Forum Famiglie Piemonte
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Su quali valori di senso si fonda la nostra vita?
• Temiamo o confidiamo nel futuro?
• Su cosa si fonda la stabilità della nostra coppia, della nostra famiglia?
• Il perdono è una virtù che riusciamo a praticare come coppia?
• Siamo mortali ma siamo anche eterni. Questa affermazione ci dona serenità?
22-CONTRO IL NICHILISMO SERVE SPERANZA
Le famiglie e i genitori hanno un’essenziale compito educativo, quello di trasmettere ai figli e ai nipoti il senso fondamentale dell’esistere.
Lo scorso mese di agosto il tema del nostro campo estivo di Valle di Cadore è stato “Spero dunque siamo”, un titolo a suo modo anticipatore dei contenuti di questo numero.
La relatrice è stata Monica, moglie del filosofo Giuseppe Goisis, scomparso nel 2023.
A lei abbiamo chiesto di farci un breve sunto delle sue riflessioni di quella settimana, che erano state tratte dagli scritti del marito.
di Monica Goisis
L’uomo è, per sua natura, ricercatore di significati; è insito nell’uomo l’essere cercatore e donatore di senso allo stesso tempo, intuendo quei sensi o significati che sono iscritti nella realtà.
L’ospite inquietante
Ma il nichilismo sembra ormai entrato nelle nostre case, nelle nostre famiglie, e ha svuotato l’esistenza da sentimenti di fiducia verso gli altri e verso il futuro.
Si tratta di un nichilismo stanco e rassegnato e, proprio per questo, ancora più difficile da contrastare.
Questo “ospite inquietante” che entra nelle nostre vite, soprattutto nelle vite dei giovani, sembra possedere e raggelare l’esistenza, spingendo a scelte temerarie ed estreme, o anche a “non scelte”, a lasciare scorrere il tempo, in modo insignificante.
Non possiamo non vedere come l’aridità e la nostra indifferenza, come individui e come società, generino e alimentino un disagio profondo che si traduce nell’incapacità di trovare motivazioni autentiche, scopi essenziali del nostro agire, quelle motivazioni e quegli scopi che dovrebbero essere spinti e ispirati, più che dai “sogni”, a volte così grandi da diventare voli utopistici, da forti e umanissimi “desideri”, vissuti qui sulla terra, ma con occhi e cuore rivolti al cielo.
Abbiamo bisogno di nuova linfa, di una speranza ragionevole, praticata e praticabile.
Creare significati
Siamo capaci a creare significati e valori? L’atto della scoperta, l’entusiasmo dell’incontro quando avviene, si presentano in maniera così appassionante che ognuno di noi può essere portato a rispondere di sì; ma nessun significato e valore, neppure il più elevato, si presenta in modo del tutto limpido e incontrovertibile.
Allora, significati e valori devono essere afferrati dal dinamismo di una coscienza in cammino, incorporati man mano e vitalmente. Perché, come si affacciano nelle coscienze ed emergono fino ad essere il sole nella vita della mente, così possono diventare evanescenti a poco a poco, e sparire come stelle cadenti.
Il significato ultimo
Dovendo allora considerare la questione con maggior rigore - sia pure con grande spirito di sintesi - non è così scontato che noi siamo in grado di creare i significati quando, sovente, sono invece loro a costituirci nel nostro essere e nella nostra consistenza interiore.
Questi significati vengono via via sviluppandosi in noi solo a condizione che vi sia una direzione e anche un punto di arrivo, un essere/valore sommamente importante, dal quale noi ci scopriamo dipendenti.
Solo subordinandoci ad esso possiamo realizzarci. La dipendenza da questo essere/valore più grande non sembra dunque riferire tale sviluppo a una specie di elaborazione o proiezione del valore, qualcosa di quasi “meccanico”, ma pare rinviare, piuttosto, ad un quadro di Trascendenza.
Educare ai significati
Cerchiamo ora di portare la nostra riflessione verso quello che, in questo contesto, possiamo fare e sperare per l’ambito familiare, educativo e relazionale, evitando, in primo luogo, di illuderci che bastino buone intenzioni o generoso “attivismo” per uscire da questo clima di nichilistica insensatezza che ha, purtroppo, radici profonde.
Esistono dei “prerequisiti” per l’educazione ai significati; sarebbe necessaria un’originaria comunicazione familiare, “domestica”, in cui l’autorità liberatrice, che può essere incarnata dalla figura paterna, e il calore accogliente, che può sprigionarsi dalla tenerezza materna, agiscano in sinergia, per generare un clima basato sulla fiducia e la confidenza che consenta e favorisca l’accoglienza dei significati e dei valori fondamentali.
I genitori in primo luogo- soprattutto nel primissimo periodo della vita-, ma poi anche gli educatori, i formatori hanno il compito di aiutare le nuove generazioni ad organizzare progressivamente - nella propria interiorità - un sistema di significati e valori “buoni”, che promuovano la fiducia verso gli altri e verso l’intera realtà e, con i giusti tempi, anche la mutua responsabilità.
Significati e valori devono quindi essere interiorizzati gradualmente attraverso le tappe dell’esistenza. Noi dipendiamo dai valori e dai significati che costituiscono l’orizzonte del nostro vivere, così come la nostra crescita personale dipende dalla qualità dei valori e dei significati verso cui protendiamo.
In un certo senso, prendiamo la figura di ciò che ci importa maggiormente e solo la spinta dell’amore può tener aperta la nostra forma d’esistenza.
Speranza e responsabilità
C’è un nesso tra speranza e responsabilità, che è molto evidente in ambito familiare: agiamo a favore dei figli, dei nipoti - anche nelle piccole cose - gli impegni piccoli, perché ciò ha un senso e perché è qualcosa di cui dobbiamo rendere conto.
Scrive Giuseppe Goisis1: “Innanzitutto, bisogna richiamare le famiglie e i genitori all’essenziale compito educativo, che consiste nel trasmettere il senso fondamentale dell’esistere; tale senso è l’eredità più preziosa che si possa lasciare e la più difficile da predisporre, non articolandosi in parole e tanto meno in prediche, sminuzzandosi invece nei tanti gesti, silenziosi ma eloquenti, della vita quotidiana, irradiandosi nell’incisiva pregnanza dell’esempio. Un tempo sostenevo che era importante trasmettere che, in quel mix di gioie e dolori che configura l’esistenza, è prevalente l’aspetto della gioia e della festa; ora penso che occorra trasmettere un messaggio diverso, secondo il quale, prescindendo da ogni contabilità troppo stringente, comunque, anche se domina il dolore, la vita val la pena di essere vissuta, come un’avventura straordinaria, che può trovare nel rapporto con gli altri la propria linea orientativa”.
Uno sguardo verso l’Alto
Se abbiamo questo sentimento fondamentale che la vita vale la pena di essere vissuta, possiamo maturare in noi l’idea stessa di bontà. E poi del Bene e dunque dell’immagine del Divino come Dio personale.
Dai significati, dunque, si dovrebbe risalire ai valori, dal senso della vita giungere al rapporto con Dio.
La nostra speranza è che siamo stati creati per conoscere Dio, amare Dio e partecipare, attraverso la Grazia, alla Sua vita.
“Per comprendere, tuttavia, o anche per intravedere, la straordinaria sorte che ci è riservata”, conclude Goisis2, “occorre alzare lo sguardo rispetto agli affanni che divorano la nostra esistenza attuale, trasformata in una specie di corsa ad ostacoli: occorre pensare davvero a quello che ognuno può diventare, nella prospettiva di amare ed essere amati e di una vita donata per tenere in gestazione tale mistero e per impararlo, pregustando le gioie che ci attendono, con la memoria, la speranza e l’intelligenza”.
1 G. Goisis, Con soavi cure, Gabrielli Editori, 2023, p. 36
2 Ibidem, p.40
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Viviamo o ci lasciamo vivere? Ci sono momenti in cui subiamo questa tentazione?
• Abbiamo dei valori che ci sostengono nel cammino dell’esistenza. Cosa facciamo per coltivarli?
• La vita vale la pena di essere vissuta. Come trasmettiamo questo valore agli altri?
• Dio quale spazio occupa nella nostra vita? Attendiamo con fiducia l’incontro con Lui?
23-RETROUVAILLE:
per le coppie in crisi
Associazione Retrouvaille Italia
Retrouvaille è un servizio esperienziale offerto a coppie sposate o conviventi che soffrono gravi problemi di relazione, che sono in procinto di separarsi o già separate o divorziate, che intendono ricostruire la loro relazione d’amore lavorando per salvare il loro matrimonio in crisi, ferito e lacerato.
Aperto a tutti
Questo programma è di orientamento cattolico, ma è aperto a tutte le coppie sposate, senza distinzione di affiliazione religiosa, o sposate civilmente o conviventi con figli. Vuole tendere una mano e offrire un cammino di speranza, per rimettere in moto il “sogno” che li ha accompagnati nel credere al matrimonio e alla famiglia.
Retrouvaille offre un messaggio diverso dai temi attuali di autogratificazione e autonomia perché aiuta a scoprire come il processo di ascolto, perdono, comunicazione e dialogo sono strumenti potenti nella riconciliazione tra gli sposi e per recuperare un rapporto di coppia duraturo, anche dopo il tradimento e la separazione.
Condivisione
Retrouvaille è condivisione della propria esperienza di riconciliazione. Le coppie animatrici, col condividere le loro vite, danno speranza ad ogni coppia in crisi partecipante.
Questo è il commento di una donna che ha partecipato al programma: “Avevo bisogno di sentire qualcuno che aveva sperimentato ciò che noi abbiamo vissuto e che era sopravvissuto.”
Non conta tanto la gravità dei problemi che vengono condivisi, ma ciò che è importante per chi partecipa è il riconoscere nelle coppie animatrici la volontà che le ha mosse nell’impegnarsi a salvare il loro matrimonio.
In pratica
Per partecipare al programma è necessario che entrambi i coniugi telefonino al centralino dell’associazione manifestando di avere la volontà di salvare il proprio matrimonio.
Il programma inizia con l’esperienza del week-end durante il quale le coppie vengono aiutate a ristabilire il dialogo tra marito e moglie e ad acquisire nuova consapevolezza di sé, come individui e come coppia. Il week-end si svolge in genere in una casa di accoglienza o in un albergo, comincia alle ore 19 di venerdì e termina entro le 18 di domenica. Durante questi due giorni un team formato da tre coppie e da un sacerdote si alternano nel presentare gli argomenti relativi alla relazione di coppia, attraverso la condivisione della propria vita, e stimolando le coppie partecipanti a sperimentare una tecnica di dialogo che migliorerà con l’esercizio durante tutto il programma.
Il week-end non è un ritiro spirituale o un seminario sul matrimonio, ma offre molto di più. Il team non fornisce consigli sul matrimonio, ma fornisce strumenti pratici e un esempio vivente di come l’uso di questi strumenti può migliorare il prprio matrimonio. Dopo ogni presentazione, si avrà la possibilità di riflettere e confrontarsi in completa privacy con il proprio coniuge.
Il cammino continua con una serie di incontri a cadenza settimanale per i tre mesi successivi al week-end, nei quali sono ripresi gli argomenti trattati nel week-end. È impegnativo ma molto importante: la maggior parte delle coppie, infatti, ritiene che questa sia una delle componenti più efficaci del programma e dove si verifica la maggiore crescita della propria relazione.
Ma non finisce qui: il cammino continua nei mesi successivi partecipando a piccoli gruppi nei quale, a cadenza mensile, si incontrano altre coppie che hanno partecipato al programma Retrouvaille, per approfondire argomenti in grado di arricchire il matrimonio. Il piccolo gruppo aiuta a sostenersi nelle difficoltà e consente alle coppie di formare legami forti e duraturi con altre coppie che lavorano alla ricostruzione del proprio matrimonio.
In questo contesto, le coppie che hanno fatto l’intero cammino vengono invitate a impegnarsi a servizio di altre coppie in crisi di relazione, sapendo che il loro coinvolgimento nel programma potrà essere utile ad altri ed essere per loro due un cammino di crescita permanente.
Fonte: www.retrouvaille.it
Sintesi della Redazione
24-RETROUVAILLE:
testimonianze
Amore e alcool
Matteo e Giulia hanno da subito una relazione molto movimentata, tra grandi passioni e litigi frequenti, tuttavia sono certi del loro amore. Fino a quando, dopo la nascita di un bimbo fortemente cercato e desiderato, la loro relazione incomincia ad incrinarsi.
Racconta Matteo: “Non sapevamo cosa fosse la gestione dei conflitti di coppia, le liti erano all’ordine del giorno e più litigavamo e meno voglia avevo di tornare a casa la sera. Così mi sono rifugiato nel bere, fino a farlo in maniera del tutto incontrollata. Arrivavo a casa sempre di cattivo umore o arrabbiato, insultavo e ferivo tutti senza ragioni. A volte ho persino pensato di mollare tutto. È stato il fratello di Giulia a indicarci il programma di Retrouvaille”.
“Mi consideravo attenta a donare amore e tempo sia al piccolino che a Matteo, ma vedevo Matteo sempre più lontano e assente”, racconta Giulia. “Provavo paura, impotenza quando Matteo non ammetteva che aveva bevuto e continuava a mentirmi. Io volevo proteggere nostro figlio Elia. Sono arrivata a chiedere a Matteo di andarsene da casa, di scegliere tra noi e l’alcool”.
Ora, dopo il percorso dei post week, Matteo racconta così la sua esperienza: “Retrouvaille è stata per me una strada di guarigione. Ora sono più consapevole dei miei limiti e problemi e ho preso la decisione di farmi aiutare per la dipendenza dall’alcool”.
Per Giulia “il week-end è stato qualcosa di forte, nei dialoghi con Matteo ho provato sentimenti di tenerezza e rispetto. Ho capito che la sofferenza non era solo mia, ma anche sua. Gli incontri di post week end sono stati per me come una boccata d’aria pura. Mi ha aiutato tanto sapere che ci sono coppie che soffrono come noi, altre che pregano per noi. Tra noi due sono tornati quei piccoli gesti di tenerezza che, grazie a Retrouvaille, abbiamo ricominciato a scambiarci”.
Tradimento
Daniel e Monica sono sposati da 22 anni e hanno due figlie. Il loro è stato un matrimonio d’amore ma con tempo le cose sono cambiate.
Racconta Monica: “Ho iniziato a porre i miei interessi al primo posto e a pensare solo al mio piacere e benessere, ho trascurato il mio sposo e facevo di tutto per stare sempre più distante da lui. Non provavo più niente per lui tranne una profonda amicizia. Mi sentivo confusa e così sono arrivata tradirlo per soddisfare la mia curiosità di ricerca di un altro amore in cui trovare appagamento.
Mi sono sentita in colpa ma nello stesso tempo inquieta e infelice, così in un litigio gli dissi che non provavo più niente per lui. A questo punto toccai il fondo, volevo separarmi, mi sembrava la cosa più giusta da fare. Quando Daniel mi propose il programma di Retrouvaille ero stanca e disperata della nostra conflittualità ma quel percorso fu per me una speranza”.
E Daniel? “Di fronte al tradimento di Monica e la sua richiesta di separazione mi sono sentito inadeguato e sono entrato in depressione. Un giorno navigando su internet mi sono imbattuto sul sito di Retrouvaille, ne parlai a Monica che mi sembrò molto scettica, ma la convinsi a partecipare al Week-end. La cosa più importante che ho imparato è stata l’importanza del dialogo in una coppia, della comunicazione dei sentimenti e un nuovo modo di relazionarmi con Monica. Il percorso del post week-end mi ha aiutato ad uscire dalla depressione e a ritrovare l’equilibrio. Ho ritrovato mia moglie e ho capito che aveva ancora la voglia di stare con me”.
“Dopo il week-end”, racconta Monica, “i miei stati d’animo avevano degli alti e bassi, ma poi continuando con il percorso del post week-end la situazione piano piano è migliorata così come la nostra convivenza. Ho capito che il mio sposo è importante, così come il dialogo in coppia.
Di fronte al perdono di Daniel mi sono sentita rinascere, ho riscoperto le sue qualità. La nostra relazione è rinata”.
Fonte: www.retrouvaille.it
Sintesi della Redazione
Le foto di queste due pagine sono tratte dal sito di Retrouvaille.
25-Il servizio pastorale Amoris laetitia
OGNI FAMIGLIA È SEMPRE UNA LUCE, PER QUANTO FIOCA, NEL BUIO DEL MONDO
di Andrea e Virginia Savino*
Vogliamo cominciare così, con le parole di Papa Francesco, con la sua sensibilità per le persone ferite non solo dalle povertà o dalle fragilità, ma anche dalla sofferenza provocata dal fallimento della relazione d’amore.
Pur continuando ad affermare che “ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio”, la Chiesa “è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli”. Quindi “la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza…” (Amoris Laetitia n. 291).
Con queste affermazioni, papa Francesco riconosce che pure in coloro che vivono in modo incompiuto la vita di coppia la grazia di Dio che opera nelle loro vite, dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità.
Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. “Un soggetto, pur conoscendo bene la norma”, scrive Marco Andina1, “può trovarsi in situazioni concrete che non gli permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza trovarsi in una colpa più grande”.
Di conseguenza, la Chiesa “dovrà mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale” (AL n.244).
Un servizio pastorale
A fronte di questa sollecitazione, nel marzo 2017 la diocesi di Torino attiva il Servizio Pastorale “Amoris Laetitia” per rispondere all’esigenza di creare cammini di accompagnamento e discernimento per i fedeli uniti dal matrimonio sacramentale ma che vivono situazioni di complessità familiare, affinché possano trovare un aiuto specifico e qualificato in base alla propria situazione.
Se pensiamo solo ad una cinquantina di anni fa, il concetto di matrimonio e famiglia ci riconduceva immediatamente al “Matrimonio in Chiesa” e alla famiglia composta da papà, mamma e figli. Ora la situazione è più complessa: sono sempre più frequenti convivenze, separazioni, matrimoni civili (queste situazioni sono “reversibili” in quanto possono ancora sfociare in cammini verso il sacramento del matrimonio) e a queste situazioni si aggiungono divorzi, matrimoni tra celibi o nubili con partner che hanno già vissuto un matrimonio religioso (situazioni irreversibili).
Solo il collirio della misericordia consente di avere lo sguardo giusto per affrontare le varie situazioni di fragilità e imperfezione. La Chiesa deve percorrere non la strada della condanna, con la conseguente emarginazione delle persone, ma la strada della misericordia con la conseguente integrazione (cfr AL n.296).
Una tappa importante
L’esortazione apostolica segna certamente una tappa importante nella riflessione sulle relazioni fallite. Infatti, lascia intravedere – sia pure in modo molto cauto – a partire dal discernimento caso per caso la possibilità di una piena partecipazione anche sacramentale alla vita della Chiesa. Si tratta di una svolta importante e tale svolta necessita comunque di un fondamento teologico più preciso sul quale si continua a lavorare.
“La grande novità, rispetto al passato”, sottolinea Andina, “è la consapevolezza che le situazioni cosiddette irregolari sono molto diversificate e complesse e proprio per questo non esistono semplici ricette adatte a tutte le situazioni. Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da AL una nuova normativa generale di tipo canonico applicabile a tutti i casi. È possibile solo un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non sono necessariamente sempre gli stessi. I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”.
La nostra esperienza
Il servizio diocesano AL offre un servizio di accompagnamento per discernere, informare, formare e integrare le persone e le coppie che vivono situazioni familiari complesse avendo come obiettivo l’uscita dal soggettivismo (il “faccio come mi sento”) e l’integrazione nella Chiesa.
In questo ambito è bene ricordare che in A.L. non c’è nessuna regola generale sull’accesso ai sacramenti, ma una “porta” che tiene conto delle diverse situazioni personali.
Nella nostra esperienza di primo ascolto dove abbiamo incontrato in questi anni circa 200 casi di situazioni delicate di cui quasi il 40% irreversibili (poiché si tratta di coppie divorziate e risposate) abbiamo constatato, nella maggior parte dei casi, che si tratta di persone sensibili, persone di fede che hanno sofferto e quasi mai si avvicinano al servizio con leggerezza e superficialità, persone col desiderio sincero di fare un percorso di presa di coscienza per l’eventuale accesso ai sacramenti e il reintegro nella comunità ecclesiale. Infatti, dopo il primo momento nel quale raccontano la propria storia, quasi sempre accedono al percorso di discernimento con i sacerdoti del servizio.
* responsabili del primo ascolto all’interno del servizio pastorale Amoris laetitia della diocesi di Torino.
1 Marco Andina, Il matrimonio cristiano e il suo possibile fallimento, Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2016
26-TESTIMONIANZE
Ci piace ricordare alcuni casi che abbiamo seguito e che hanno riportato le coppie in piena comunione con la Chiesa (i nomi sono di fantasia).
Anna, 43 anni, era stata abbandonata dal primo marito. Si è risposata civilmente con Silvio (44 anni) e da questo matrimonio sono nati due figli.
Anna era impegnata attivamente in parrocchia ma poi si sono allontanati dall’Eucarestia in quanto non si sentivano a posto davanti a Dio e il sacerdote aveva vietato loro di accostarsi alla Comunione. In occasione del catechismo dei figli hanno fatto il percorso con il Servizio, si sono poi sentiti accolti dal nuovo parroco e si sono riavvicinati. Anna è stata molto contenta perché anche Silvio, solitamente un po’ freddo riguardo alla fede, si è impegnato anche lui in parrocchia.
Enrica, 52 anni, si è sposata molto giovane ma il matrimonio fallisce presto e senza figli. Separata, decide di ricominciare a vivere la sua vita di fede.
Riprende il cammino scout e in questo ambiente incontra Riccardo (celibe, 54 anni) e si innamorano. Continuano il loro cammino impegnato e dopo alcuni anni si sposano (civilmente). Si vogliono molto bene e anche da sposati continuano ad essere molto impegnati in parrocchia e nel mondo scout. Sono stati indirizzati al percorso per il riavvicinamento ai sacramenti.
Rosa (64 anni) si era sposata a 17 anni costretta dai genitori e dopo una vita d’inferno segnata dalle violenze domestiche ha divorziato. Si è risposata con Vincenzo (71 anni) ed entrambi fanno parte di un movimento ecclesiale che però li esclude da qualunque servizio e attività (gruppi famiglia, catechesi, lettura della Parola). L’unico servizio che possono prestare è quello di raccogliere le offerte. Lei si vergogna molto perché non si sente accettata dalla comunità.
Luisa (47 anni) ha avuto un primo matrimonio molto sofferto e nel quale ha subìto violenze. Divorziata e risposata da 12 anni, non riusciva ad avere figli ma quasi per miracolo è nato Marco. Ha avuto difficoltà per il Battesimo così ha fatto un cammino di riavvicinamento ai sacramenti con il proprio parroco. Ora fa la catechista e partecipa attivamente ad un gruppo famiglia.
Queste esperienze ci dimostrano che pure in situazioni non “perfette” può esistere un amore sincero e duraturo che in qualche modo riflette e testimonia l’amore che ci insegna il Vangelo.
L’esperienza di questi anni ci fa dire che, anche se a volte queste persone subiscono pregiudizi e rigidità, quando accogli con rispetto le storie di amore e sofferenza che ti consegnano, queste si sentono accolte e si aprono nuovamente alla speranza.
diacono Andrea e Virginia Savino
Per il lavoro di coppia e di gruppo
• Nella vostra diocesi c’è un servizio pastorale simile a quello presentato in queste due pagine?
• Quanta visibilità ha nella vostra parrocchia questo servizio?
• Le coppie in crisi che voi avete conosciuto hanno cercano un aiuto all’esterno della coppia?
• Perché è così difficile farsi aiutare nei momenti di crisi?
27-GRUPPI FAMIGLIA VALLÀ (TV)
L’attività invernale 2024-2025
Parecchi anni fa, davvero parecchi, gli adulti che facevano parte dei Gruppi Famiglia erano famiglie che avevano dei figli piuttosto piccoli, che però hanno sempre portato con sé sia agli incontri invernali come pure in montagna nelle settimane estive.
Questi bimbi e bimbe una volta cresciuti hanno fatto per un periodo gli animatori dei più piccoli, poi ovviamente una volta divenuti adulti si sono sposati ed anche loro hanno avuto dei figli.
Attualmente queste ragazze e ragazzi d’un tempo hanno pensato bene di mettere a riposo gli attuali ottantenni per farsi carico di tutta l’attività dei Gruppi Famiglia.
Questo ha dato nuova vivacità, nuove idee e più dinamismo alle attività. Le tematiche scelte e proposte sono state diverse per permettere un itinerario vario che potesse interessare più persone possibili, ecco i temi:
- ”Padre nostro, Padre di tutti“, tema presentato da un sacerdote che vive la realtà degli immigrati nella sua parrocchia.
- ”Il per sempre”, presentato da un laico, ci ha parlato delle continue sfide e dei continui cambiamenti che le esperienze della vita portano nel rapporto di coppia e come queste ci stimolano a cercare ogni giorno “il per sempre” nel nostro rapporto di coppia.
- “Crescere è un gioco di squadra”, le sfide educative e l’importanza dell’interagire tra le diverse generazioni.
- “Perché proprio a me “, educarsi a trovare il lato positivo in ciò che ci succede.
C’è chi organizza, chi prepara e chi segue l’attività degli adulti, ossia degli attuali genitori.
Le modalità degli incontri sono state adattate al momento presente con le opportune modifiche, pur mantenendo i punti fondamentali di una efficace catechesi con gli adulti maturata negli anni.
Ma c’è pure chi si è fatto carico dell’attività parallela dei ragazzi spalleggiati dai loro figli ormai dell’età delle superiori e dunque in grado di fare un’animazione viva e attuale con strumenti, immagini e materiale moderno.
La sala degli incontri dei genitori quest’anno è sempre stata al completo, ma anche i ragazzi nelle loro stanze di attività e gioco formativo sono stati sempre molto numerosi.
Aggiungiamo che alla fine degli incontri c’è anche un momento di cena condivisa con tutti coloro che desiderano fermarsi.
E gli attuali vecchietti che cosa fanno? Sorridono molto contenti perché il testimone è passato di mano!
Fiorenza Morao e Valeria Zago
28-RELAZIONE DI COPPIA
Un progetto sempre in costruzione
In questi ultimi mesi, ha preso forma questo affascinante progetto, concepito per esplorare e approfondire le dinamiche delle relazioni amorose nella società contemporanea. Sostenuto da un team di sociologi, psicologi e professionisti del sociale, questo percorso si è sviluppato attraverso sei incontri online, aperti alle persone di tutte le età interessate a sperimentare una riflessione, un discutere, un confrontarsi sul significato dell’amore, del fidarsi, del comunicare e del crescere insieme.
Un aspetto particolarmente interessante emerso è il ruolo dell’amore come valore autentico, capace di distaccarsi dai concetti di possesso e gelosia, spesso influenzati da stereotipi sociali più che da autentici sentimenti.
Il cammino ha affrontato anche temi più ampi, come il ruolo dei genitori e l’impatto della crisi delle strutture tradizionali del matrimonio sulle relazioni moderne che oggi tendono a privilegiare l’autonomia e l’indipendenza causando situazioni di incertezza.
Si è portato anche alla luce l’importanza di riuscire a riconoscere in quale sistema di norme culturali, morali, sociali si vive per riuscire a comprendere come affrontare le sfide che la vita ci propone quotidianamente.
In conclusione, questo progetto rappresenta un buon esempio di come il dialogo e la riflessione possano contribuire ad aiutare a una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie relazioni; una iniziativa che, pur giunta al termine, lascia in eredità un patrimonio di spunti e analisi per chi desidera affrontare con sincerità il complesso mondo delle relazioni affettive.
Irene Scaglione
29-CAMPI ESTIVI 2025
Il calendario quasi definitivo
Ecco il calendario dei campi per famiglie di quest’estate.
Come associazione, anche quest’anno organizziamo un solo campo a metà agosto. Per vostra comodità, segnaliamo anche il campo organizzato dalla diocesi di Cuneo e i WE organizzati dalla Comunità di Caresto (PU).
Non perdete l’occasione per trascorrere alcuni giorni di vacanza in modo “diverso”!
1-8 agosto San Giacomo di Entraque (CN)
Tema: Morte e vita a duello. Che cosa si legge nella Bibbia sulla morte.
Relatore: Angelo Fracchia, biblista.
Org.: Diocesi di Cuneo.
È possibile partecipare anche al solo week-end iniziale.
Info: Angela e Tommy Reinero,
347 5319786, tommy.angela@libero.it
WE di agosto Caresto - Sant’Angelo in Vado (PU)
8-10 Le Beatitudini nella coppia.
15-17 Regola di vita nella coppia.
22-24 Fare memoria, essere riconoscenti.
29-31 Libertà e condizionamenti nella coppia.
I relatori saranno amici e volontari di Caresto.
Info: Daniela, 328 9455674, eremocaresto@gmail.com
10-17 agosto Barcis (Pordenone)
Tema: Intelligenza artificiale. Indicazioni per l’uso.
Relatori vari.
Org.: Colleg. Gruppi Famiglia.
Info: Fiorenza e Antonio Bottero,
340 5195718, 375 6066265, antoniobottero@alice.it
Il calendario è consultabile sul sito: www.gruppifamiglia.it cercando, nella home page, tra le attività in evidenza.
30-BILANCIO 2024 F&F
Un bilancio economico in rosso
Come potete leggere nella tabella sottostante, il bilancio 2024 dell’associazione Formazione e Famiglia, editrice della rivista, si è chiuso con un notevole passivo.
Rispetto all’anno precedente non vi sono state entrate straordinarie (come il ristoro COVID) e le quote del 5x1000 da voi destinate all’associazione sono ritornate ai livelli usuali.
Contemporaneamente, continuano a scendere, anno dopo anno, gli importi dei contributi liberali all’associazione.
I costi per la pubblicazione della rivista sono rimasti sostanzialmente stabili ma, in prospettiva, se non vi sarà un’inversione di tendenza delle entrate, occorrerà valutare l’ipotesi di uscire con solo due numeri l’anno.
D’altra parte, l’età media della Redazione (ma anche dei lettori) tende ad aumentare e, se non vi sarà un ricambio generazionale, anche la nostra esperienza associativa è destinata, nel giro di qualche anno, a concludersi.
In un numero dedicato alla speranza, queste mie considerazioni possono sembrare fuori luogo, ma la speranza cristiana va al di là della contingenza umana e si apre all’Infinito.
Sursum corda (in alto i cuori),
la presidente Noris Bottin
31-PAPA FRANCESCO: Il nostro ricordo
Quanto è indispensabile per la vita del mondo, per il futuro dell'umanità formare una famiglia, essere famiglia oggi.
Non dovete fondare la vostra relazione sulla sabbia dei sentimenti ma sulla roccia dell'amore vero, l'amore che viene da Dio.
Fonte: https://opusdei.org/it-it/article/10-frasi-di-papa-francesco-sulla-famiglia/
di Franco Rosada
Un anno dopo l’elezione di Bergoglio al soglio pontificio un sacerdote che conosceva la nostra rivista mi pregò: “cita più che puoi papa Francesco, è importante!”
Ho tenuto a mente quel consiglio e penso, riprendendo in mano i numeri della rivista dal 1015 ad oggi, di essere stato abbastanza fedele a quella richiesta. Delle sue sette esortazioni apostoliche ne ho citate, nel corso del tempo, cinque, delle sue quattro encicliche due: Fratelli tutti e Laudato sii.
Tra tutti questi documenti la mia attenzione si è focalizzata soprattutto sull’esortazione Amoris laetitia, a cui sono stati dedicati diversi numeri, e non poteva essere altrimenti.
Ringrazio il Signore per il dono che Cristo ha fatto alla sua Chiesa donandoci la persona di Francesco e mi auguro che la sua eredità spirituale resti nei nostri cuori.
Trovate di seguito le occasioni in cui la rivista ha attinto dai documenti di papa Francesco: in alcuni casi vi abbiamo dedicato interi numeri, in altri degli articoli.
Trovate scritti in rosso i titoli delle esortazioni, in blu quello delle encicliche.
Numeri dedicati
GF110 – marzo 2022
È ANCORA DI MODA LA SANTITÀ?
L’esortazione Gaudete et exultate
GF109 – novembre 2021
PAPA FRANCESCO: FRATELLI TUTTI
GF108 – luglio 2021
LA PRIMAVERA DI PAPA FRANCESCO
il modello di Chiesa che desidera papa Francesco
GF103 – novembre 2019
DA COPPIA A FAMIGLIA
AMORIS LAETITIA. Il capitolo 5 dell’Esortazione
GF102 – giugno 2019
IL PADRE NOSTRO
La preghiera cristiana per eccellenza
GF101 – marzo 2019
CRESCERE NELLA CARITÀ CONIUGALE
Amoris laetitia. Il capitolo 4 dell’Esortazione
GF100 – dicembre 2018
LA PIÙ GRANDE AMICIZIA
Amoris laetitia:
l'inno alla carità di san Paolo
GF91 – settembre 2016
ESSERE FAMIGLIA OGGI
L'Esortazione Amoris laetitia
GF89 – marzo 2016
VIVERE CON GIOIA E NELLA GIOIA
Riscopriamo la gioia quotidiana partendo dalla Evangelii gaudium
GF88 – dicembre 2015
VIVERE LA SOBRIETÀ IN FAMIGLIA E NELLA SOCIETÀ
Riflettendo sull'enciclica Laudato sii
GF86 - marzo 2015
PERMESSO, GRAZIE, SCUSA
Tre parole per l’armonia in famiglia meditate con la Lectio Divina
Articoli dedicati
GF118 – novembre 2024
IL MATRIMONIO
Dalla Familiaris consortio alla Amoris laetitia
Amoris laetitia: il capitolo VIII
GF112 – novembre 2022
COSTRUIRE LA PACE
Lo stile di una politica di pace
Il mandato missionario alle famiglie
GF111 – luglio 2022
INVECCHIARE E MORIRE DA CRISTIANI
La Prima Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani
GF106 – novembre 2020
LA CHIESA CHE MANCA
L’esortazione apostolica Christus vivit
Donne diacono? (Querida amazonia)
GF105 – luglio 2020
30 ANNI DI GRAZIA
I laici nella Chiesa: Evangelii gaudium
GF104 – aprile 2020
PERIFERIE
Una Chiesa povera e per i poveri
GF99 – settembre 2018
UN MONDO MIGLIORE
Il Forum Famiglie da papa Francesco
GF94 – giugno 2017
GLI IDOLI DI QUESTO MONDO
Sessualità, denaro, potere, apparenza, tecnologia, media
GF90 – GIUGNO 2016
L'ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA
GF120 EXTRA
Tutto quello che non ha trovato posto nel numero cartaceo
A-LA SPERANZA alla luce della Scrittura
La speranza vissuta a livello di comunità cristiana, di Chiesa, deve diventare tarlo, pulce, disturbo alle comunità umane che pretendono di essere, o ci fanno credere di essere, città stabili.
Noi avvertiamo la pesantezza del tempo, perché abbiamo ancora una visione pagana del tempo, visione simboleggiata dal dio Kronos, un dio che divora tutto ciò che vive e falcia tutto ciò che la terra produce.
La novità del cristianesimo è questa: il peccato è stato tolto e, assieme al peccato, anche la morte è stata sconfitta e la prova di ciò è la resurrezione di Gesù.
Ragionando sul tema della speranza, come Redazione ci siamo ricordati che questo era stato un argomento trattato a fondo dal prof. Graziano Botti, teologo, durante il campo invernale del 1998, un po’ di anni fa.
Rileggendo quanto scritto allora, ci è sembrato utile riproporlo in questo numero.
CHE COS'E' LA SPERANZA
"...pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1Pt 3,15)
La speranza, in lingua spagnola, si traduce con "esperar" che vuol dire sperare ma anche attendere.
E questo concetto di speranza lo troviamo anche nella preghiera eucaristica: "Annunziamo... nell'attesa della tua venuta".
Questa attesa non è parente di quella che, due volte la settimana, contagia gli italiani all'approssimarsi delle estrazioni dei numeri del Super-Enalotto, è qualcosa di sicuro, di certo: Cristo ritornerà!
Per dare fondamento al nostro discorso leggiamo un passo della lettera agli Ebrei (Eb 6,13-20).
(N.d.R. Per ragioni di spazio i brani biblici sono solo citati, ma per la comprensione dell'annuncio suggeriamo, prima di proseguire, di leggere il brano indicato).
Ci sono in questo brano due elementi che danno sicurezza alla speranza: la promessa e il giuramento di Dio che sono irrevocabili (vedi anche Gen 22,16s).
Paolo stesso ci ricorda che la Parola di Dio è viva ed efficace (Eb 4,12), non soggetta ad alcun condizionamento poiché Dio non è uno da potersi smentire (Nm 23,19).
E ancora la speranza è come "un'ancora della nostra vita, sicura e salda" (Eb 6,19), e quest'ancora è gettata su qualcosa di sicuro, solido, che è al di là del velo del tempio del santuario di Gerusalemme, quel velo che separa il Santo dal Santo dei Santi, e che si è lacerato con la morte di Cristo (Mt 27,51).
Gesù, risorgendo, è entrato non nel simbolo di Dio, il Tempio, ma è entrato in Dio stesso e quindi l'ancora della nostra speranza è gettata in Cristo, che è in Dio.
Forse non ci abbiamo mai fatto caso, ma tutte le iconografie della Speranza sono accompagnate dal simbolo dell'ancora.
Brani per la Lectio:
Mc 15,29-39; Mt 7,7-11; Sal 131 (130)
Domande per la Revisione di Vita:
• In che cosa sperano i cristiani di oggi? Dove poggia la nostra ancora?
• Siamo convinti che Dio è affidabile e ci basta la Sua Parola?
• Siamo convinti che Dio risponde, a modo suo, alle nostre attese?
SU COSA SI FONDA
"La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Eb 11,1).
Noi, a questo punto, dove gettiamo le ancore per ancorare la nostra vita? Nella fede, come ci ha ricordato il versetto di apertura di Paolo.
La fede proclama Cristo risorto: senza questa convinzione la nostra fede è soltanto un bluff.
E se Cristo è risorto vuol dire che Dio è fedele alla sua alleanza.
Leggiamo, per capire meglio questi concetti alcuni passi della lettera ai Colossesi (Col 1,13-20; 2,9-15).
Troviamo in questi passi due parole chiave che occorre sottolineare.
La prima è: Cristo "è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura" (Col 1, 15); la nostra fede è in Gesù Cristo, in lui si manifesta in pienezza il progetto di Dio sull'uomo, ed egli è anche il collegamento del creato con il Padre.
La seconda è: Cristo "è il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti" (Col 1,18).
La resurrezione di Cristo è il crinale che separa gli aneliti dell'uomo da quello che è il regno di Dio.
Il mistero di Dio non è misurabile (Ef 3,19) ma resta la vera realtà a cui siamo chiamati, una realtà in cui Dio sarà tutto in tutti (1 Cor,15-28), in cui ogni nostro anelito sarà riempito da Dio e dove ci troveremo davvero a casa contemplando Dio come Egli è (1 Gv,3,2).
Accettare la risurrezione vuol dire essere in tensione verso ciò che conta, noi che sovente siamo tentati da ciò che non conta.
Se crediamo in Cristo risorto non possiamo vivere questa vita come se questa fosse la nostra condizione permanente, ma come se fossimo di passaggio, pellegrini su questa terra, come realmente siamo.
Non ci dobbiamo preoccupare di descrivere la risurrezione, e per fortuna su questo argomento i Vangeli sono molto parchi, quanto di realizzarla, osando sempre di più. La Storia non è una catastrofe, smettiamola di autocommiserarci, ma è un cantiere dove bisogna costruire secondo il progetto di Dio e l'obiettivo è il Regno.
Dobbiamo prendere distanza da questo mondo perché siamo chiamati ad edificarne uno migliore.
La risurrezione è protesta contro la morte e la sofferenza, perché con la risurrezione la vita trionfa sulla morte.
E in base a tutto questo la speranza vissuta a livello di comunità cristiana, di Chiesa, deve diventare tarlo, pulce, disturbo alle comunità umane che pretendono di essere, o di farci credere di essere, città stabili.
Brani per la Lectio:
Lc 24,13-35; Ez 11,17-20
Domande per la Revisione di Vita:
• Di fronte ai drammi dell'umanità siamo afflitti anche noi come coloro che non hanno speranza?
• Cosa facciamo per costruire il regno di Dio?
• In che modo l'obbedienza alla vita, in ogni fatto, nasce e vive di speranza?
COME SI ALIMENTA
"...in virtù della speranza e dalla consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza" (Rm 15,4)
Poiché "tutto ciò che è stato scritto prima di noi è stato scritto per nostra istruzione" (Rm 15,4), da "quel così gran numero di testimoni" (Eb 12,1), prendiamo i due testimoni più significativi in modo da correre "con perseveranza nella corsa..., tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (ivi).
I due testimoni che scegliamo sono Abramo, a cui sono dedicati i capitoli 11-25 di Genesi, e Mosè, protagonista soprattutto del libro dell'Esodo.
Abramo è innanzi tutto un anticonformista, che abbandona gli Dei dei padri per adorare il Dio del cielo, che aveva conosciuto, e che segue quello che la coscienza gli chiede di fare (Gdt 5,7-9).
Abramo non fa calcoli (Eb 11,8s): parte, già anziano, senza sapere dove andrà; è generoso: lascia scegliere a Lot, suo nipote, la parte di territorio che preferisce (Gn 13); è accogliente: ospita con tutti gli onori i tre sconosciuti da cui riceve la promessa di un figlio da Sara (Gn 18 e Eb 11,11); è giusto: intercede presso Dio per Sodoma in nome dei pochi giusti che la abitano; è uomo di fede: offre a Dio il suo unico figlio anche se Dio gli chiede di restituirgli l'unico segno tangibile della sua promessa (Gn 22 e Eb 11,17s); è disponibile, sereno, in pace, anche se, della terra promessa in possesso, riesce ad acquistare solo il sepolcro di Sara (Gn 23 e Eb 11,13).
E passiamo a Mosè, la cui figura troviamo sintetizzata sempre nella lettera agli Ebrei (Eb 11,23-29); sintesi analoghe si trovano anche in Sir 45,1-5 e At 7,20-43.
Mosè, appena nato, si salva perché i suoi genitori "videro che il bambino era bello, e non ebbero paura dell'editto del re" (Eb 11,23 e Es 2,2): tutti i bambini sono belli per i loro genitori, tutto ciò che è creato è bello agli occhi di Dio (Gn 1,31), ma il piano di Dio è contrastato dalla malvagità dell'uomo; ci vuole coraggio per andare controcorrente, per disobbedire agli editti dei nuovi faraoni.
Mosè si salva perché lo raccoglie la figlia del faraone (At 7,21 e Es 2,5-10), anche lei persona controcorrente; questa donna ci ricorda che il bene è dove è, non è mai da una parte sola; infatti, come ci rammenta Paolo, "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28).
Viene allevato alla corte del faraone e "istruito in tutta la sapienza degli Egiziani" (At 7,22 e Es 11,3).
Ma a quarant'anni si rende conto delle condizioni del suo popolo, uccide un aguzzino ma è costretto a fuggire perché il suo popolo non capisce.
Va nel paese di Madian, si sposa e fa il pastore (At 7,29) e quando ha ormai ottant'anni Dio gli appare nel roveto ardente e lo rimanda in Egitto a liberare il suo popolo (At 7,30-34), un popolo da cui era stato respinto come intruso.
Così, per la seconda volta, Mosè "per fede" lascia "l'Egitto, senza temere l'ira del re" (Eb 11,27).
Un conto è lasciare l'Egitto per paura, per evitare l'ira del faraone, come gli è successo la prima volta, quando l'iniziativa era sua (Es 2,11-15), un conto è lasciare il paese con il suo popolo, dopo essere stato mandato da Dio ed essersi, per fede, misurato con il faraone e i suoi sacerdoti e averli, con l'aiuto determinante di Dio, sconfitti (Es 12,31).
Ma nel deserto l'astio del popolo contro Mosè riprende, e Mosè deve pazientare e intercedere presso Dio, ricordandogli l'impegno che si è preso con Abramo e la sua discendenza e ai quali ha giurato: "renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre" (Es 32,13).
Queste due figure, Abramo e Mosè, ci sono vicine, le loro scelte sono, in qualche modo, anche le nostre.
La loro memoria rianimi la nostra fede e tenga viva la nostra speranza.
Brani per la Lectio:
Mt 7,24-27; Gn 22, 1-12; Es 3,1-6; 1 Gv 3,19-22
Domande per la Revisione di Vita:
• Siamo uomini di fede (che credono nonostante tutto come Abramo) o siamo solo uomini religiosi (che si affidano ai riti e fuggono la prova)?
• Cosa facciamo per non farci travolgere ed andare controcorrente?
• La missione di Mosè (come intercessore, amico di Dio) come si manifesta nella nostra vita di corredentori?
LA SPERANZA NELLE TRIBOLAZIONI
"...noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza" (Rm 5,3-4)
La tribolazione fa parte dell'esperienza di ogni uomo, ma per i più risulta qualcosa di incomprensibile.
È vero che la vita dell'uomo è simile ad una corsa, meglio ad una corsa ad ostacoli, ma questi ultimi non sono mai insuperabili, perché non sono superiori alle nostre forze (1 Cor 10,13).
Le difficoltà che incontra la speranza dell'uomo nel cammino della vita possono essere esemplificate con i quarant'anni trascorsi da Israele nel deserto.
Una sintesi di questa esperienza la troviamo nel salmo 106 (105 nella versione CEI) che per Israele è l'equivalente di un inno nazionale, pieno di ricordi di fede ma anche di peccati (Sal 106,7-33).
La prima scena (vv 7-12) rimanda al capitolo 14 dell'Esodo: appena gli Ebrei sono partiti il faraone si pente della sua decisione e li insegue; lo spavento invade i fuggiaschi e diventa rimprovero e rimpianto: "Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto?... è meglio per noi servire l'Egitto che morire nel deserto" (Es 14,11-12).
Ecco la prima difficoltà: Israele rimpiange un passato appena lasciato perché il presente lo spaventa!
Al loro spavento fa da contrappunto la fede di Mosè: "Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi" (ib. v 13).
La seconda scena (vv 13-15) gravita intorno alle "brame nel deserto".
Il Signore salva Israele e distrugge nel mare l'esercito egiziano, ma gli Ebrei "presto dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno" (v 13).
Dimenticare Dio e le sue opere è il peccato di apostasia, equivale a sfiduciare il Signore per sostituirci a Lui nella direzione della nostra vita.
Da questo peccato nascono le "brame del deserto" che assumono l'aspetto della sete, della fame e dell'ingordigia.
Per la sete andiamo a rileggere l'episodio di Mara (Es 15,2-25); per la fame l'episodio della manna (ib. 16,1-4); per l'ingordigia quello delle quaglie (Nm 11,31-34).
La terza scena (vv 19-23) riporta l'adorazione del vitello d'oro (Es 32).
Il popolo sente come troppo misterioso e bizzarro questo Dio che privilegia solo Mosè, parla solo con lui, promette delle cose che, allo stato dei fatti, sembrano esagerate.
Durante un'assenza prolungata di Mosè il popolo chiede ad Aronne "un dio che cammini alla nostra testa" (Es 32,1).
Una simile richiesta fatta ad un profeta sarebbe subito apparsa blasfema, perché il profeta sta dalla parte di Dio, il sacerdote invece, costituito a favore degli uomini nelle cose che riguardano Dio, è più accondiscendente e Aronne cede alle richieste del popolo.
Tre verbi scandiscono il peccato d'Israele: " si prostrarono... scambiarono... dimenticarono" (vv 19-21).
L'ira di Dio non tarda a manifestarsi e solo l'intercessione di Mosè salva Israele (Es 32,7-14).
L’ultima scena (vv 32-33) è collegata con Meriba, dove Mosè "disse parole insipienti" (v 33): la poca fede di Israele sembra aver contagiato anche il suo profeta che infatti, a causa di questo peccato, non entrerà nella terra promessa.
La natura di questo peccato non è chiarita ma quello che conta è l'insegnamento che possiamo trarre: la vita intera non basta per entrare nella pienezza di Dio; se questo vale per i profeti, figuriamoci per noi!
C'è nell'uomo un'incompiutezza che è sancita dalla morte e il cui compimento è nelle mani di Dio nell'altra vita.
Brani per la Lectio:
Es 16,1-20; Gv 6,30-40; Es 17,1-7; Gv 4,5-26; Es 32,1-14; Gv 14,5-14.
Domande per la Revisione di Vita:
• Qual è la tentazione a cui cedo più facilmente?
• Qual è il comandamento che mi coinvolge di più, che sento più vicino alla mia esperienza di fede?
LA SPERANZA AL DI LA' DI OGNI SPERANZA
"...è tempo di cercare il Signore finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia" (Os 10,12)
La vita del credente, anche se segnata dalla speranza, deve misurarsi quotidianamente con il senso del tempo.
La vita di ciascun uomo è infatti "tempo del... pellegrinaggio" (1 Pt 1, 17).
Se è vero che "nella speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24) è anche vero che "ciò che si spera, se visto, non è più speranza" (ib.); la speranza donataci da Gesù non è in questa vita un possesso tranquillo, goduto nella sua pienezza, può essere solo un "tendere a", un "tendere verso".
Una lettura cristiana del tempo la troviamo nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 7,29-31).
Per Paolo il tempo, uscito dall'eternità al momento della creazione, con Cristo ritorna nell’eternità o, meglio, convive con essa, perché Cristo è risorto e continua ad essere presente fino alla fine del tempo (Mt 28,20).
Noi, tuttavia, continuiamo ad avvertire la pesantezza del tempo, o perché troppo rapido o perché troppo lento.
Abbiamo, in altre parole, ancora una visione pagana del tempo, visione simboleggiata dal dio Kronos, un dio che divora tutto ciò che vive e falcia tutto ciò che la terra produce.
Non è questa l'idea del tempo che troviamo nella Bibbia: per Israele il tempo dipende dal Creatore, è nelle sue mani ed egli lo riempie con i suoi interventi di salvezza fino a che "nella pienezza del tempo... mandò suo Figlio... perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5).
È stato così ripristinato il progetto iniziale di Dio che "ha creato l'uomo per l'immortalità" (Sap 2,23).
Ma se il tempo si è accorciato ed ha raggiunto il suo compimento, come vivere questa vita che si vive nella carne? (cfr. Gal 2,20).
Paolo, nel brano sopracitato, ci invita a stare nel mondo con atteggiamento distaccato: "come se non".
Questa non è indifferenza di fronte alle realtà profane, è vigilanza per non essere sommersi dal quotidiano dato che ciò che per il cristiano è essenziale è "altrove".
Il "come se non" concretamente si realizza così: "non conformatevi alla mentalità di questo secolo" (Rm 12,2), "non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui" (1 Gv 2,15).
I desideri sregolati della natura umana, la sicurezza basata sulle proprie forze, sono ostacoli al cammino della speranza.
Ma questo non è un cammino facile, "voi avrete tribolazione nel mondo" (Gv 16,33); per questo occorre "molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, ..., nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni" (2 Cor 6,5) e non bisogna mai abbattersi perché "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18).
In questo la vita di Gesù è stata uguale a quella di tutti gli uomini: "nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5,7-8).
Così come per Gesù, anche per i discepoli l'amore al Padre deve manifestarsi nel fare, nell'accettare le cose che il Padre ha comandato.
Brani per la Lectio:
Ger 29,4-14; Mt 25,1-13; Lc 13,22-30
Domande per la Revisione di Vita:
• Quali esperienze di speranza ho vissuto?
• Quali esperienze di sconforto, scoraggiamento, disperazione ho vissuto?
LA LIBERTÀ, STRUMENTO DI SPERANZA
"...liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia..." (Lc 1,74)
Come ci ha ricordato questo versetto tratto dal cantico di Zaccaria (Lc 1,68-79), noi cristiani siamo uomini liberi perché Qualcuno ci ha liberato.
Occorre però fare qualche riflessione sulla libertà cristiana per non cadere in equivoci.
- Senza verità non può esserci libertà.
"La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17).
La verità è la parola che Cristo rivolge all'uomo per fargli conoscere chi è Dio, qual è il suo piano, per indurlo a credere.
Ora è lo Spirito di verità che ha il compito di guidare alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13) e di convincere "il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio" (Gv 16,8).
Il peccato del mondo sta nel rifiuto di credere a Gesù, la giustizia di cui il mondo deve prendere atto è che, attraverso la morte, Gesù arriva al Padre, il giudizio a cui il mondo è sottoposto è la disfatta del principe di questo mondo, Satana (cfr. Gv 16,9-11).
- Cristo ci ha liberato dal peccato.
Cristo è "l'agnello di Dio, ...colui che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29), alla disobbedienza dell'uomo egli sostituisce l'obbedienza "fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8).
Questo non significa che il peccato non c'è più ma che l'uomo, attraverso la Grazia, ha gli strumenti per evitarlo e, attraverso il pentimento, il modo per annullarlo.
- Cristo ci ha liberato dalla legge.
Sulla legge l'uomo fonda la sua giustizia di fronte a Dio, pensando che basti alla sua giustificazione l'osservanza dei comandamenti e la pratica delle opere buone.
La libertà dalla legge operata da Gesù consiste nell'evidenziare che alla base di tutti i precetti ci deve essere l'amore a Dio e l'amore al prossimo, "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i profeti" (Mt 22,40) ed essi valgono "più di tutti gli olocausti e i sacrifici" (Mc 12,33).
La pratica cristiana non ha comunque eliminato le norme perché queste servono a rivelarci quando lo Spirito non ci vivifica più e a mantenerci giusti.
- Cristo ci ha liberato dalla morte.
La morte è la conseguenza estrema del peccato.
La novità del cristianesimo è questa: il peccato è stato tolto e, assieme al peccato, anche la morte è stata sconfitta e la prova di ciò è la resurrezione di Gesù: "Dio lo ha resuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (At 2,24).
Di conseguenza "come ...per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così...per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita" (Rm 5,18).
Anticipazione simbolica e, nello stesso tempo reale, della morte di ciascuno, è ciò che avviene nel battesimo: per mezzo di esso "siamo ...stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" ((Rm 6,4).
Con questa morte anticipata nel sacramento, si muore a tutto ciò che la morte materiale comporterà: all'attaccamento a questo mondo, al peccato che lo domina, all'uomo vecchio, al corpo, per vivere da persone nuove, cambiate dal di dentro dallo Spirito di Gesù che ci fa gridare: "Abbà, Padre!" (Gal 4,6).
- La libertà strumento di carità.
Anche se Cristo ci ha liberati, noi continuiamo ad essere in bilico tra "il già presente nel mistero" e il "non ancora manifestato in pienezza", in un esercizio difficile e faticoso.
La palestra dove si svolge questo esercizio, senza possibilità di barare al gioco, è la carità fraterna.
"Se uno dicesse: - Io amo Dio - e odiasse suo fratello è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,20).
Ci accompagni in questo cammino l'augurio di Paolo ai Romani: "Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13).
Brani per la Lectio:
Lc 18,9-14; Lc 12,16-21; Lc 10,25-37
Domande per la Revisione di Vita:
• A quale cammino di conversione mi chiama Dio oggi?
• Vivo da uomo libero? da cosa devo liberarmi per essere "risorto" con Cristo?
Sintesi della Redazione
Fonti:
https://www.gruppifamiglia.it/anni95-99/Dossier27.htm
https://www.gruppifamiglia.it/anni95-99/Dossier28.htm
Uomini e donne nella bibbia
B-MARIA DI MAGDALA
Riconoscere il Risorto che ci sta vicino
Di Carlo Maria Martini
“Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva” (Gv 20,11).
Il pianto di Maria riassume ogni pianto dell'umanità di fronte alla morte, riassume lo sconcerto, lo smarrimento, il dolore, la frattura interiore che l'uomo sente di fronte alla vittoria del sepolcro sulla vita, alla vittoria del male sul bene, delle tenebre sulla luce, dell'ingiustizia sulla giustizia, della menzogna sulla verità.
Di fronte alla morte
Quello di Maria è un pianto straziante, un pianto senza speranza, per lei che vede nel sepolcro la fine della vita di un amico. E finché noi piangiamo con Maria e restiamo nella tristezza, non riusciamo a vedere altro che il sepolcro, non sappiamo neppure riconoscere il Risorto che ci sta vicino.
Questa è la nostra condizione umana. L'uomo va incontro alla propria morte e lo sa da sempre, è roso da tale pensiero per tutta la sua esistenza.
Possiamo rimuovere questo pensiero, possiamo esorcizzare la morte; oppure possiamo accettarla o rifiutarla, In ogni caso si tratta di una presa di posizione. Difficilmente non ci poniamo, prima o poi, la domanda: che cosa sarà di me dopo la morte? Che cosa sarà di tutte le ricchezze che hanno costituito la mia vita, cioè l'amore, la fedeltà, il dolore, l'amicizia, la responsabilità, la libertà, la coscienza, il servizio? Noi avvertiamo infatti che questi beni sono di una natura diversa rispetto a quella del mondo biologico.
La grazia del Risorto
La risposta cristiana conferma il nostro presentimento, ma non dice semplicemente che quelle ricchezze rimarranno e che dopo la morte continueremo a vivere. Dice, invece, che con la risurrezione di Gesù l'eternità è già qui, la vita nuova e definitiva è già entrata, adesso, nella mia esperienza. La vita nuova nasce dal mio affidarmi a Gesù morto e risorto, dal mio affidarmi al Padre come Lui si è affidato.
Sperimento tutto questo ogni volta che compio un atto di fede e di amore; ogni volta che ricevo l'eucaristia o un altro sacramento; ogni volta che prendo una decisione seria, buona, eticamente rilevante. Sperimento già l'eternità, l'ho interiorizzata grazie a Gesù risorto che è in me.
L'esperienza di eternità è implicita, per la grazia del Risorto, in ogni atto morale veramente gratuito, in ogni azione che compiamo non per motivo di puro comodo, ma perché è giusta, è vera, pur se va contro il nostro interesse.
Così la risurrezione ci è vicina, così l'eternità entra in noi e Gesù ci vivifica, lo Spirito Santo ci inabita, il Padre ci grida che siamo suoi figli e noi possiamo invocarlo come Padre.
Maria di Magdala piange perché teme la morte, perché è schiacciata dal pensiero della morte di colui che ama. Maria di Magdala cerca la vita, la risurrezione sua e dei suoi. E Gesù la chiama per nome: “Maria!”. Non un ragionamento, non una dimostrazione, bensì un nome pronunciato con amore. La voce ci fa riconoscere il mistero. A questa voce Maria si volta completamente verso Gesù; non pensa più al sepolcro, al suo passato. Ciascuno di noi viene liberato dal proprio passato, dalle proprie schiavitù, dalle proprie nevrosi, dalla propria incapacità a esprimersi, perché, dopo aver detto a Gesù: io cerco la vita, cerco Te, cerco la risurrezione, si è sentito chiamare per nome nel battesimo, nella cresima, nell'eucaristia, nella preghiera, nella gioia della Pasqua.
Proclamare il Risorto
Gesù ci chiama per nome nella pienezza della vita e noi vogliamo proclamare, con Maria: Rabbuni, Maestro, Signore mio, Tu che mi dai tutto, che sei il Signore della Chiesa e della storia, Tu che non ci lascerai mai venire meno, Tu che metti l'eternità fin da ora nel cammino della nostra vita.
E Maria si sente apostrofare: “Va' dai miei fratelli”, va' ad annunciare. Ciascuno di noi, sentendosi chiamare fratello, sorella da Gesù, prova dentro di sé la gioia di annunciare a tutti gli altri che siamo fratelli, che ogni nostro gesto di amore mette l'eternità in mezzo a noi, che la morte non ci fa più paura, perché la vita regna già in ogni gesto di amore, di autenticità, di verità.
L'annuncio “Ho visto il Signore”, che ci ha chiamati tutti fratelli è quello da cui parte la missionarietà della Chiesa.
Fonte: Piccolo manuale della speranza, Giunti Editore, Firenze - Milano 2012
Sintesi della Redazione
C-VIVERE LA SPERANZA COME DIPENDENZA DA DIO
di Anna e Guido Lazzarini
Noi siamo quasi tutti genitori e, come tali, abbiamo tutti un cuore trepidante e sarà sempre così, anche quando i nostri figli ci dimostreranno di cavarsela bene da soli.
Nelle mani di Dio
Il figlio è sempre una cambiale in bianco: speriamo che vada a buon fine, che tutto per lui vada a buon fine: lo studio, la ragazza, la professione, la vita di fede. C’è sempre in noi questa trepidazione. Solo qualche volta c’è in noi, nei confronti dei nostri figli e della nostra famiglia, la speranza certa che siamo nelle mani di Dio e la certezza che Egli ama i nostri figli infinitamente di più e meglio di noi. Guardando i nostri figli siamo sovente preoccupati e trepidanti, ma se oggi (e non domani) nelle nostre famiglie incominciassimo a sentirci tutti dipendenti da Dio, appartenenti a Lui, allora cesserebbero le preoccupazioni e la trepidazione e nascerebbe la gratitudine, ci occuperemmo delle persone senza quell’ansia che è così naturale quando confidiamo solo nelle nostre forze.
La speranza in Dio
Tante volte non ce ne rendiamo conto, ma siamo dei pasticcioni nel senso che “pasticciamo” la fede con il materialismo, con il buon senso e ci auguriamo fortuna, successo nella scuola, nella vita, ecc.… Non è questa la speranza che il Signore ci dona!
Se invece tutti insieme, vicendevolmente, ci ricordassimo che da sempre apparteniamo a Dio, che da sempre Dio ha un suo progetto su di noi e in questo senso elevassimo a Lui la nostra preghiera di famiglia, se riuscissimo a camminare così insieme tutta la vita, arricchendoci gli uni con le qualità degli altri, allora certamente la nostra famiglia vivrebbe la speranza certa di dipendere solo da Dio.
La memoria del cammino della nostra famiglia ci accompagnerà, ci rafforzerà, ci darà la voglia di vivere ed anche la capacità di accettare la morte, che tante volte fa paura.
Nella vita e nella storia della nostra famiglia ci sono poi fatti molto importanti: nascite, Battesimi, Cresime, morti, gravi malattie, ecc... Possiamo viverli come segni della nostra dipendenza, ma potremo anche sprecarli.
Dio si svela a noi fortemente quando ci manca una persona cara: diamo tanto spazio a Dio in questa occasione e non sprechiamoci in parole inutili a noi e agli altri… ricordiamo che l’ultimo regalo di una persona cara che muore è l’offrirci un’occasione di preghiera!
Fare scelte da “figli”
Vivere la speranza vuol dire anche aver fatto una scelta. Finché siamo “figli di tutti” viviamo in un caos interiore che non finisce più, siamo sempre esposti, viviamo nel precario, un po’ nel pulito e un po’ nello sporco (compromessi, raccomandazioni, bustarelle, ecc.…).
Ad un certo punto è necessario decidersi a vivere solo come figli di Dio. Ci capiterà allora di sporcarci le mani nelle cose, e questo sarà l’inevitabile segno positivo d’azione, ma alle nostre mani non si attaccherà più niente, rimarranno pulite per sempre.
Vivere in preghiera
Tutto questo è possibile se sappiamo scandire la nostra vita normale con tempi di preghiera prolungata che ci insegna a mantenere un atteggiamento interiore di preghiera continua (pensiamo alla preghiera del cuore); se sappiamo trovare momenti di deserto, secondo la tradizione biblica, come luogo dell’incontro con la nostra povertà e con la grandezza di Dio; se sappiamo metterci umilmente accanto ai fratelli e con loro fare discernimento, cioè cercare di vedere Dio che passa nella nostra vita e di intuire cosa ci chiede.
Pensiamo alla Revisione di Vita o alla Direzione Spirituale o al Cammino di conversione che nasce dall’incontro frequente con Gesù medico nel sacramento della Riconciliazione: prima o poi saremo davvero capaci di fare totalmente nostro il salmo 131.
Fonte: Per crescere come coppia e come famiglia, Scuola di formazione per Gruppi Famiglia
D-PER CONCLUDERE
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida
per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare
in una valle oscura,
non temerei alcun male,
perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me
tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia
mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.
Salmo 22